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Capo Terzo Entrò nella stanza da letto della sua fidanzata tirando con nervosa rapidità la porta scorrevole. Era stato risistemato tutto a tempo di record. Non c’era traccia dell’incendio provocato da Shiori un paio di settimane prima. Purtroppo, però, il resto non era cambiato e per “resto” intendo il macabro rituale delle rose viola. Stipate in ognuno dei quattro angoli della camera da letto e persino sul letto, quasi fosse un giaciglio funebre. Lei, seduta al centro del futon, reggeva un paio di forbici aguzze. A Masumi parvero le stesse che lo avevano ferito. Non se ne sarebbe stupito: la follia di Shiori non era che un riflesso di una assurda, riprovevole follia collettiva. Follia di famiglia. L’imperatore dell’alta finanza, colui che lo aveva pregato di prendersi cura tanto di lei quanto del suo impero, era solo un vile, un mentecatto che aveva costretto la sua stessa nipote a vivere un’esistenza di apparenze e fantasmi, di perfezione ipocrita e di falsità. Con quale coraggio, ora, minacciava ritorsioni? Avevo accompagnato Masumi in macchina e attendevo con ansia che egli uscisse: sapevo che voleva portare via Shiori da casa di suo nonno, ma non ero certo che questi avrebbe condisceso. Entrambi nutrivamo seri dubbi in merito. In effetti, i timori condivisi trovarono rapida conferma: non potevo vederne le sagome, ma le voci del giovane Hayami e dell’imperatore Takamiya giunsero nitide alle mie orecchie. “Che cosa sei venuto a fare? Questo atteggiamento in casa mia è oltraggioso!” stava dicendo l’anziano “Non ti consentirò di fare nulla fino a che non avrai giurato di sposare mia nipote come stabilito!” Il mio cuore era in confusione: rabbia e incredulità mi scuotevano da capo a piedi. Avrei voluto aiutare il mio principale, ma non potevo. “Lei non immagina quanto questo suo atteggiamento abbia arrecato danno a Shiori!” sbottò Masumi, la voce più lontana. Ne desunsi che era entrato in casa, presumibilmente nel salotto, nonostante le imprecazioni di Takamiya. Si udì un ciabattare convulso: il vecchio, forse la tata e qualche servitore. “Non ti lascerò portare via Shiori!” Ma Masumi non rispondeva neanche. Lo rividi dopo pochi istanti, la donna in braccio, uno sguardo vuoto da far paura su entrambi i volti. Quanto può essere gravoso un amore non corrisposto! Io lo sapevo bene, ma, almeno, avevo la fortuna di supportare praticamente le persone cui tenevo. Godevo della loro fiducia. Il signor Hayami e Shiori, invece, palesavano dolorosa insofferenza, seppur per motivi differenti. La ragazza aveva alcuni petali viola in grembo: la sua visione mi diede nausea repentina. I capelli erano sfatti; il contorno degli occhi segnato da sinistre ombre violacee. “Andiamo alla clinica di Keyo, Hijiri.” Mi disse Masumi sistemando Shiori sul sedile posteriore. Io non fui del tutto persuaso di quella decisione: temevo che, folle com’era, ella potesse tirar fuori un coltello e ammazzarci mentre eravamo intenti a fare altro. Lui mi rassicurò senza aprire bocca. “Masumi,” disse la Takamiya “andiamo in viaggio di nozze? Ho fatto bene a bruciare quella ragazza.” Furono di nuovo brividi. E anche la risposta di Masumi mi lasciò di sasso: “Sì, è bruciato tutto. Ora, però, devi pensare a rimetterti in sesto: la moglie di un manager deve essere in forma.” “Sì? Devo fare un bambino.” Rispose ingenuamente l’altra. Poi, con un guizzo di follia: “Non devi farlo mai più, Masumi. Sei stato cattivo con me. Non avrai un’amante. Io non sono come mia madre e mia nonna.” |