Posts written by tenshina

view post Posted: 6/1/2014, 23:59 Incontri - Fanfictions
Yayoi vai pure con calma... intanto... nonostante con enorme ritardo, sono riuscita finalmente a concludere la storia con l'epilogo.
Spero che ti piaccia anche questo... Fammi sapere!
PS: Sono rimasta indietro anche nelle storie di Laura... Devo assolutamente recuperare!

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EPILOGO


Sakurakoji era di fronte alla facoltà di architettura ed ingegneria dell’università R. di Tokyo. Quel giorno Sayuri avrebbe conseguito la sua laurea in ingegneria civile. Aveva partecipato al progetto di un viadotto autostradale in collaborazione con uno studio importante della capitale. Come una qualsiasi altra stagista aveva contribuito solo ai rendering ed assistito ai briefing. Tutto ciò era stato trasposto nella sua tesi. Il suo relatore si era congratulato con lei che ora si preparava a discuterla di fronte ad una folta platea di laureandi tesi, amici eccitati e parenti commossi.
Il ragazzo decise di entrare nel campus attraversando tutto il cortile verso l’aula magna, indifferente agli sguardi sorpresi delle ragazze che sembravano riconoscerlo. Spinse l’anta dell’ingresso e si affacciò nell’ampia sala avvolta nella penombra cercando Sayuri e sua madre. Lentamente fece volgere lo sguardo: individuare l’alta figura della sua ragazza non avrebbe dovuto essere difficile. Mentre era concentrato nella ricerca, non si accorse della graziosa figura che gli si avvicinava alle spalle trillando il suo nome.
Il giovane attore riconobbe subito la voce della sua futura suocera. Si voltò e la salutò calorosamente, chiedendole notizie di sua figlia. La donna gli rispose che stava discutendo ancora con il suo relatore per gli ultimi accordi. Passarono pochi minuti prima che l’intera commissione di docenti entrasse nell’aula e si posizionasse dietro il lungo tavolo che fungeva da cattedra. Le toghe nere bordate di grigio aumentavano la solennità della cerimonia.
Iniziò la lunga sequenza di presentazioni e relazioni, domande e risposte su temi a lui ignoti: resistenza dei materiali da costruzione, tecniche di rendering, composizione urbanistica.
E poi la vide. Il completo scuro che le slanciava la figura, i lunghi capelli raccolti in uno stretto chignon, il collo sottile lasciato senza alcun ornamento.
Sayuri parlò con voce pacata esponendo con chiarezza il progetto a cui aveva partecipato ed illustrando le tavole dei progetti. Le domande che le vennero poste non la trovarono impreparata. Quando finalmente lo raggiunse in platea Sakurakoji poté finalmente notare l’emozione che la pervadeva. Le ciglia le brillavano di lacrime trattenute. L’accolse con orgoglio tra le braccia.
Le discussioni andarono avanti per tutto il pomeriggio. Era ormai quasi sera quando la commissione di laurea si ritirò per valutare i lavori. Passò un’altra mezz’ora prima che si ripresentassero per proclamare i punteggi.
La tensione salì tangibilmente quando il presidente della commissione iniziò il suo discorso augurale per quelle nuove giovani menti che si sarebbero avventurate nel mondo del lavoro.
Ad ogni nome e voto che venivano pronunciati un giovane si alzava ed andava a ritirare il diploma sotto gli applausi della platea, gli occhi commossi dei genitori e le grida di giubilo degli amici.
Giunse anche il turno del suo amore che ritirò quella lode tanto sudata con le gambe tremanti.
Yuu non abbandonò un attimo la figura della sua schiena diritta. Attese la fine della cerimonia e poi uscì nel cortile affollato. Presto la vide uscire e cercarlo tra gli studenti. Si gettò tra le sue braccia.
“Oh Yuu! E’ finita! Posso iniziare a lavorare! A lavorare veramente! Finalmente andremo a vivere insieme!!”
“Già…” – era quello l’obiettivo ultimo di quella laurea. Sayuri era stata irremovibile. Non voleva pesare sulla sua vita. Non avrebbero condiviso una casa fino a che non fosse stata in grado di lavorare sfruttando la sua passione.

Una mano le scorse lenta lungo la schiena arrivando fino alla curva sottile della vita. Adorava il modo in cui la toccava… sempre come se fosse stata la prima volta. Il fuoco li divorava. Le pelli bruciavano mentre con le dita si accarezzavano. I cuori si rincorrevano all’impazzata, mai sazi, mai stanchi. Le labbra succose dell’uomo seguirono le mani lasciando una scia di baci.
Un leggero mugugno sfuggì dalla sua gola.
“Qualcosa in contrario a che io continui?”
La sua voce… oh la sua voce… quasi meglio delle sue mani.
“Non ci provare!”
La girò ed i capelli bruni si sparsero sui cuscini. Masumi la coprì e l’avvolse con le braccia depositando nuovi baci sul collo e sulle spalle.
“Sicura?”
“Non è mai successo che ti resistessi…” – le piccole mani gli afferrarono il volto e lo trascinarono sulle sue labbra. Si baciarono lentamente, scaldandosi – “Perché dovrei iniziare ora?”
“Non sei più sola… ora.” – la sua mano si poggiò sul piccolo ventre arrotondato – “C’è Haruka.”
Maya coprì la sua mano con la propria.
“Haru capirà presto quanto mi ami… e quanto ami lei. E poi il dottore ha detto che va tutto bene.”
“Ci pensi… Haru… non manca molto.”
“Qualche mese… passerà in fretta.”
“Allora meglio sbrigarsi.” – sorrise lui sulla sua pelle.
“Non troppo però!” – gli tirò i capelli.
“Vedrò quello che si può fare!” – concluse.
Masumi continuò ad accarezzarla modellandole i fianchi con le mani, abbracciando il suo corpo, assaggiando la sua pelle.
Maya ricordava il momento in cui aveva scoperto di essere incinta. Ormai erano parecchi mesi che provavano ad avere un bambino che sembrava non voler arrivare. Masumi le diceva di tranquillizzarsi, che tutto sarebbe andato come doveva andare. Lei invece attendeva ogni volta con trepidazione quel lieve ritardo che le avrebbe consentito di sperare. Ed ogni volta quelle gocce color rubino le spezzavano il cuore. Non piangeva. Non voleva. Era bello quello che stavano cercando di fare. Ma si sentiva incompleta. E sciocca. Accidenti! Era di umore troppo volubile. Inoltre da qualche giorno si alzava con un leggero capogiro.
Le temperature si erano alzate leggermente, pensava fosse un abbassamento di pressione. Poi quel visitatore tanto temuto e puntuale non era arrivato. Finalmente.
Era uscita di casa ed era corsa alla farmacia più vicina acquistando un test. D’un fiato era tornata a casa e si era chiusa in bagno. Respiri profondi mentre attendeva il risultato.
Due linee.
Era incinta.
E finalmente aveva pianto.

Masumi l’amò con tutto il suo ardore e la sua dolcezza. Maya era sempre il suo tesoro. E ora era ancora più preziosa perché portava in grembo sua figlia, la loro Haru, un gioiello tanto desiderato e già tanto amato. Era felice perché anche Maya lo era. L’aveva vista farsi tesa con il passare dei mesi e lui non poteva aiutarla in alcun modo se non standole vicino. Quando poi l’aveva atteso a casa e gli era volata in braccio non aveva avuto bisogno di parole per capire. Era incinta.
Ricordava la prima visita, la prima volta in cui avevano ascoltato il battito del suo cuore, la prima rotondità del pancino. La baciò ancora, con tenerezza, le succhiò le labbra e l’abbracciò.
“Ragazzina… non lasciarmi mai!”
“Mai… solo la morte!”
Rimasero nel letto per qualche altro momento.
“Dovremmo alzarci… Il presidente della Daito ci attende.”
“Sai che non lo sopporta quando le ti rivolgi in quel modo.”
“Ma è divertente.” – trattenne a stento un sorriso. Poi si fece serio – “Comunque prima devo passare da un’altra parte.”
“Allora hai deciso?”
“Devo vederlo, e poi sarà finita.”
Suo padre aveva chiesto di parlargli. Non lo aveva più incontrato dal pomeriggio del suo arresto, né era pentito. Poi la settimana precedente lo aveva mandato a chiamare. Tsè. Mandato a chiamare. Non era cambiato niente. Si era interrogato per giorni su cosa volesse. E alla fine aveva capitolato. Quel pomeriggio sarebbe andato a trovarlo.
“Resta pure qui. Ti passo a prendere io per la cena con il presidente.”
Maya gli strinse la mano, cercando di tranquillizzarlo.
“Non può più farti del male.”
L’uomo si vestì e scese in strada dove il taxi che aveva chiamato l’attendeva. Si fece condurre al carcere.
Dovette superare diversi livelli di controllo fin quando si trovò di fronte la direttrice della struttura di detenzione invece di suo padre.
“Signor Fujimura, mi scusi se la distolgo dalla visita. Ma… terrei a parlare con lei prima.” – esordì dopo essersi presentata.
Era una donna attempata, distinta, dall’abbigliamento severo ma non tradizionale. Doveva avere un gran valore se era arrivata ad occupare una tale posizione di comando nell’establishment giapponese.
“Prego. Non si preoccupi. Non ne vedo l’ora.” – il sarcasmo non l’abbandonava mai.
“Lo immagino. So cosa ha passato a causa sua. Ma…”
“Dica… non mi sembra il tipo da tentennare, direttrice.”
“No, ha ragione. Suo padre sta morendo.”
Gelo. Nell’anima. Nel cuore. Nei suoi occhi.
Doveva aspettarselo. Era già vecchio quando era entrato in carcere. Eppure lo vedeva sempre come una presenza scomoda ed immobile nella sua vita. Ora invece doveva guardare in faccia la realtà: sarebbe morto. Come l’avrebbe accolto?
“Quanto tempo ha?”
“I medici hanno detto… non più di qualche settimana.”
“Capisco… ha chiesto di vedermi per poter uscire dal carcere?”
“No. Non penso. Ora ha un trattamento privilegiato, in quanto malato terminale. Non avrebbe motivo di uscire quando fuori non c’è nessuno ad aspettarlo.”
“Non è che abbia fatto molto in tal senso.” – un mesto sorriso.
“Lo so. La lascio andare. Un agente l’accompagnerà in infermeria. Non volevo che lo vedesse senza essere avvisato.”
Si salutarono e Masumi seguì l’uomo che gli era stato assegnato. Percorsero lunghi corridoi spogli e grigi. I passi risuonarono sul pavimento e rimbombarono tra le pareti, cadenzati, gli uni eco degli altri.
Arrivarono infine di fronte ad una porta blindata bianca. L’agente digitò il codice di accesso e le ante si aprirono scorrendo silenziosamente ai lati. L’uomo gli fece spazio ed entrò. Pochi letti vuoti erano disposti lungo le pareti laterali. Le finestre sul fondo l’inondavano della calda luce di giugno. Una zona era nascosta da alcuni paravento chiari. Un’infermiera l’accolse guidandolo proprio in quella direzione.
“Prego.” – disse solo, lasciandolo a contemplare il ricordo dell’uomo vigoroso che un tempo era stato Eisuke Hayami. Un vecchio, emaciato, con la pelle molle e pallida sulle ossa. Mani ossute e raggrinzite adagiate sulle candide lenzuola. Una flebo centellinava un medicinale. Alcuni macchinari monitoravano il battito cardiaco.
Gli occhi erano chiusi. Si domandò se non dormisse.
“Ti piace ciò che vedi?” – la voce, quella no, non era cambiata. Solo più lieve, ma il tono rimaneva freddo e crudele.
“Non mi piace come non mi piacerebbe vedere chiunque altro nelle tue condizioni.” – si aspettava forse che esprimesse soddisfazione per la sua sofferenza?
“In fondo è merito tuo se sono qui. Sarai soddisfatto del risultato.”
“Davvero pretendevi che non mi difendessi dai tuoi attacchi? Hai tentato di uccidermi! Dovevo farmi ammazzare per evitare che finissi qui dentro?” – Masumi strinse i pugni. Aveva perso la capacità di controllarsi in sua presenza. Dopo tanto tempo non aveva più l’immunità al suo caratteraccio.
“Tu!” – sputò – “Tu! Non hai seguito i miei ordini! Hai fatto di testa tua! Dovevo punirti! E tu hai consentito che il mio nome finisse nel fango. Che quegli avvoltoi dei miei nipoti si appropriassero di tutto e svendessero a quel vecchio balordo e rammollito quello che io avevo costruito!”
Il vecchio venne interrotto da un grave attacco di tosse. Fu quasi piegato in due dallo sforzo e dal dolore.
“Non ci posso credere! Mi hai fatto chiamare per rinfacciarmi tutto ancora una volta? Continui a buttarmi addosso colpe tue e non mie! Tue sono state le scelte e tuo è stato il disonore!” – il giovane soffriva nel sentir parlare in quel modo il vecchio. Quelle crudeli parole andavano a toccare ferite mai completamente chiuse, quelle colpe che pensava dovesse addossarsi. Lui stesso si era spesso interrogato sul nome di famiglia, sul destino della Daito, su quello di suo padre. Cercava di affrontarli e di superarli.
Trasse un lungo sospiro.
“Cosa vuoi che faccia? Tu hai deciso di ammazzarmi come un cane e io mi sono difeso. Ho difeso me e la mia famiglia neutralizzandoti ed escludendomi dalla tua sfera di influenza. Sarei ancora tuo figlio se non mi avessi costretto a tanto. La Daito sarebbe ancora tua. La villa sarebbe ancora tua. Tu saresti libero ed in attesa di una nipotina. Sei malato e stai morendo. Vuoi che ti chieda perdono? E sia. Ti chiedo perdono per essere vivo e felice.”
Un lampo di tristezza parve attraversare lo sguardo dell’altro.
“Una nipote, dici?”

Una nipote…
Suo figlio stava per renderlo nonno e lui non avrebbe mai conosciuto quella nuova creatura. Aveva chiamato Masumi per chiedergli perdono. E invece… appena l’aveva visto non aveva potuto evitare di accusarlo ancora, come se niente fosse cambiato, come se non avesse infine compreso che era solo, che aveva cacciato via tutti, che stava morendo.
L’aveva accusato e, dopo una lieve resistenza, Masumi aveva chinato il capo e aveva chiesto il ‘suo’ perdono. Assurdo! Suo figlio non aveva nulla di cui farsi perdonare. A tal punto l’aveva segnato?
Meritava di essere stato rinchiuso.
Meritava di morire nella sofferenza.
Meritava quel male che lo stava divorando dall’interno.
“Tu chiedi perdono a me?” – questa volta fu lui a sospirare.
Glielo doveva.
“Non hai nulla da farti perdonare. Come hai detto tu… ho fatto le mie scelte e tu le tue. Ogni azione ha la sua reazione. Io… devo chiederti perdono. Non tu. Tu… hai tenuto alto il nome della famiglia come non ho saputo fare io. E hai fatto in modo di salvare le imprese di famiglia e la gente che ci lavora.” – un sofferto attacco di tosse – “Dovevo vedere in faccia la morte per comprendere.”
Eisuke chiuse di nuovo gli occhi e sembrò aver detto tutto quanto doveva.
“Ora… va’…” – concluse – “Non hai tempo da perdere con me. Torna da tua moglie e da tua figlia.” – il respiro si era fatto pesante. Il monitor segnava un battito leggermente più accelerato. Il bip scandiva i respiri dei due uomini che si fronteggiavano: l’uno indebolito e morente, steso sul lettino, l’altro in piedi al suo fianco. Masumi che fissava suo padre. Eisuke che gli occhi invece li teneva chiusi.
“E vivi Masumi! Non pensare più a me. Non tornare.”
“Sì, padre.”
Padre…
Da quanto tempo non lo chiamava in quel modo? Da troppo. E ancora di più, da quando era un bambino, non lo faceva con tanto sentimento.
Un senso di appagamento gli riempì il cuore. Bastava tanto poco per trovare soddisfazione? Un ‘padre’ detto con sentimento. Solo questo?
“Addio… figlio…”
Il vecchio riaprì gli occhi sulla figura di Masumi che si allontanava. Sarebbe stato l’ultimo ricordo che avrebbe avuto di lui. Un figlio di cui poteva andare fiero ma di cui non aveva riconosciuto i meriti fino a che non era stato troppo tardi.
Eisuke morì dopo pochi giorni, senza un fiato e senza un lamento. Con il sorriso sulle labbra come se si trovasse nel suo letto piuttosto che in una squallida lettiga nell’infermeria di una prigione.
Nessuno commentò l’ignobile fine di quell’uomo che aveva rappresentato la vergogna per l’intera classe dirigenziale nipponica. Solo suo figlio e sua nuora parteciparono alle esequie. Due figure solitarie di fronte alla tomba della famiglia Hayami che bruciavano incenso e offrivano fiori di susino.

Masumi lasciò il penitenziario sollevato e sofferente.
Aveva ottenuto l’assoluzione da suo padre per come si era comportato, per averlo denunciato, per aver permesso che la Daito e le altre imprese collegate fossero acquisite dal gruppo Takamiya. Non avrebbe mai creduto di aver tanto bisogno di quelle parole. Dopo quanto era successo aveva pensato che non gli importava più nulla di quanto suo padre lo odiasse. Non era vero. In tutta la sua vita, pur cercando vendetta, aveva anelato alla sua approvazione.
Un dolore sordo gli squassava il petto.
Il padre che aveva ritrovato stava morendo. E l’avrebbe perso per sempre.
A casa trovò Maya pronta per la cena. Appena lo vide corse ad abbracciarlo. Sentì il suo ventre rotondo premergli addosso e le braccia circondarlo.
“Sta morendo.”
Lo strinse. Nessun commento.
“Mi ha chiesto perdono.” – le sussurrò ancora – “E sta morendo.”
“Allora… se ne andrà con l’anima in pace e ti farà vivere serenamente. Ti ha fatto un dono enorme e conserverai i suoi ricordi.”
“Non che siano proprio edificanti…”
“Già… ma quest’ultimo lo sarà.”
“Andiamo. Ci stanno aspettando.”
Si avviarono verso il ristorante dove li avrebbero accolti il presidente della nuova Daito Art Production ed il suo vice. Tra le altre cose dovevano definire gli ultimi dettagli prima della firma del contratto per l’ennesima replica della Dea Scarlatta ed una nuova rappresentazione del “Sogno di una notte di mezza estate” che si sarebbero svolte l’anno seguente.
Era da quando il gruppo Takamiya aveva acquisito il gruppo Daito che le due case di produzione collaboravano per la realizzazione delle migliori rappresentazioni della stagione.
Arrivati all’ingresso il maître li accompagnò al tavolo.
Masumi vide i lunghi capelli neri del presidente adagiati sulla schiena di quella donna tanto volitiva da arrivare ad essere temuta da tutti i suoi concorrenti.
L’uomo lanciò un’occhiata ammiccante al suo vice ed attrasse l’attenzione della donna.
“Presidente, scusi il ritardo!”
Saeko si voltò e sbuffò poco educatamente, suscitando il sorriso di Karato.
“Sai che non lo sopporto quando mi chiami ‘presidente’. Sono stata la tua segretaria!”
“Lo sa benissimo!” – rispose Maya, interrompendo la sicura battuta del marito – “Ma sai quanto si diverte a stuzzicarti!”
Iniziarono a definire tutto mentre attendevano le loro ordinazioni. Quando iniziarono la cena erano ormai giunti al termine. Tutti misero via i blocchi su cui avevano preso appunti.
“Avete deciso?” – chiese Maya.
Masumi notò immediatamente il rossore spargersi sul volto della donna più potente del mondo dello spettacolo.
“Sì.” – solo un leggero sussurro. Mitsuki chinò il volto chiedendo aiuto a quello sorridente di Hijiri, sotto lo sguardo sempre più curioso di Masumi.
“Ci sposiamo… il prossimo dicembre!”
Il sorriso si allargò sul volto di tutti i commensali.
“Congratulazioni! Qui ci vuole un brindisi vecchio mio!”
Chiamò il cameriere.
“Come facevi a saperlo?” – chiese poi a sua moglie.
“Cose da donne…” – rispose solo lanciando un’occhiata d’intesa all’amica.
Lo sapeva ormai da qualche settimana. Dopo la vicenda di Eisuke, il tracollo delle imprese Hayami e l’ascesa al potere degli odiati nipoti con il successivo intervento di Masumi a che si convincessero a monetizzare il capitale prima che si svalutasse ulteriormente vendendo al vecchio imperatore, Hijiri si era riappropriato della sua esistenza ottenendo la revisione del rapporto sull’incendio in cui aveva perso la vita sua madre e sua sorella in cambio di alcune informazioni circa alcuni loschi rapporti intrattenuti dall’ormai detenuto Eisuke Hayami.
Da quel momento, Masumi aveva consigliato Yeyasu Takamiya di mettere a capo della Daito Art Production la sua ex-segretaria, donna capace, arguta, ambiziosa ed intuiva, mentre lei aveva subito nominato lui come suo vice, dandogli modo di far fruttare le sue capacità alla luce del sole: non ci sarebbe più stato bisogno dei servigi dell’uomo ombra.
Il rapporto con Saeko si era consolidato ed alla fine si era fatto forza e le aveva chiesto di sposarlo, correndo il rischio di dover combattere contro il suo spirito libero e ribelle.
Invece solo due lacrime di gioia gli avevano risposto.
Ed un sorriso che aveva visto solo il giorno del matrimonio di Maya e Masumi.
Ormai arrivati al termine della cena, videro entrare nel locale una coppia che ormai faceva parte delle loro amicizie. Aki e Shiori si avvicinarono al loro tavolo.
Mikami manteneva intatto il suo portamento anticonformista non mancando di scandalizzare i vecchi componenti della buona società quando la coppia partecipava agli eventi pubblici. Shiori, dal canto suo, era radiosa.
Questa era la vera coppia d’oro.
Quando uscivano in pubblico sembravano risplendere: mai un’ombra passava nei loro sguardi, le mani erano sempre intrecciate e suscitavano l’invidia di chi non provava lo stesso stato di beatitudine.
Contrariamente a quanto tutti si erano aspettati, invece di convolare a nozze erano semplicemente andati a vivere insieme, non sentivano il bisogno di un contratto che sancisse e benedisse il loro legame. Yeyasu Takamiya si era dimostrato magnanimo, dopo un primo momento di sconcerto… e inquietudine.
Grazie alla sua attività, Shiori aveva stretto i rapporti di amicizia con Masumi e sua moglie e, come aveva predetto, lui aveva trovato un buon amico in Aki.
“Volete unirvi a noi?” – chiese Maya indicando la bottiglia di champagne.
“No, tranquilla. State festeggiando?” – rispose Aki.
“Saeko e Karato ci hanno appena comunicato che intendono sposarsi.” – rispose lei entusiasta, lanciando occhiate compiaciute verso l’amica.
“Ma è magnifico!” – giubilò Shiori.
“Posso già sentire il tuo cervello lavorare alacremente Shiori! Ma non starle troppo addosso.” – intervenne Masumi.
“Che sciocco che sei!” – si finse offesa lei – “Non sono tanto venale!”
E tutti scoppiarono a ridere.
Quando i due si allontanarono, Mitsuki prese la parola.
“Ayumi sta per tornare in Giappone.” – rivelò.
“Davvero? Quando?” – chiese Maya curiosa – “Come lo sai? A me non ha ancora detto niente.”
Lo sguardo furbo del presidente della Daito la diceva lunga su quanto in realtà sapesse.
“La Daito ha deciso di mettere in scena nelle prossime stagioni una serie di opere tratte dal romanticismo inglese e… chi meglio di Ayumi potrebbe esserne la protagonista?”
“Saeko, ma come sei riuscita a convincerla? Ormai sono anni che lavora con il Rose Theatre di Londra!”
Ancora una risata maliziosa sotto lo sguardo affascinato di Hijiri.
“Ma io non ho dovuto convincere nessuno! Ho solo fatto la proposta quando con lei c’era anche suo marito che si è dimostrato felicissimo di tornare a vivere in Giappone!”
“Sei veramente perfida! Ayumi non riesce a rifiutare nulla a Peter!” – la rimproverò Masumi.
“Oh non direi! Ayumi non fa nulla che non voglia. Penso piuttosto che abbia còlto il desiderio di Peter per tornare a casa.” – controbatté Maya – “Non vedo l’ora di incontrarla!”
“Tornerà fra qualche settimana, alla fine della stagione teatrale londinese.”
La gioia negli occhi della giovane trapelava chiaramente all’idea di rivedere l’amica dopo tanto tempo.

I pochi mesi che mancavano alla nascita della piccola Haruka passarono. Maya si era fatta ancora più bella e florida nel suo stato di futura mamma. Il ventre rotondo e delicato illuminava tutto il suo portamento, mentre lo sguardo si era fatto ancora più dolce e tenero.
Quando un tardo pomeriggio di settembre Maya iniziò a sentire quelle contrazioni che aveva imparato a riconoscere ad un ritmo cadenzato e regolare seppe che era giunta l’ora.
Aveva chiamato Masumi ancora in ufficio e subito dopo un taxi.
Cercò di fare tutto metodicamente: prese la valigia pronta da settimane, si vestì con calma tra un dolore e l’altro. Scese al piano terra ed attese la vettura sotto il patio.
Dopo neanche mezz’ora era già stesa sul lettino del reparto di Ostetricia e Ginecologia con Masumi che le teneva la mano tra le proprie.
Il travaglio durò qualche ora: la giovane non aveva mai provato un dolore tanto lancinante. La fronte pallida ed i capelli umidi appiccicati alla pelle. Ma gli occhi, quegli occhi, erano tanto vigili quanto determinati.
La sua bambina, la sua Haruka, stava per nascere. Sarebbe stata accolta dalle mani amorevoli dei suoi genitori. Non vedeva l’ora di stringerla, allattarla, vederla dormire e anche sentirla urlare a squarciagola. Probabilmente si sarebbe dovuta stancare di sentirla piangere, ma sarebbe stata la voce di sua figlia.
La voce di sua figlia la sentì, finalmente. Un pianto netto, potente, arrabbiato.
“Me la dia!” – pregò il dottore con le mani tese e gli occhi umidi di lacrime.
E gliel’appoggiarono addosso avvolta in un piccolo telo bianco di cotone. Piangeva ancora con il suo visino rugoso, le sue mani strette a pugno, gli occhi chiusi. Bastò quello, bastò che sentisse il calore e l’odore della sua mamma per farla cadere in un sonno profondo sotto gli occhi adoranti di suo padre che l’accarezzava sul capo ancora sporco.
Maya e Masumi si guardarono: quel momento era un nuovo meraviglioso inizio.
view post Posted: 19/11/2013, 14:59 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Concordo con te, Barbara. Su tutto!
view post Posted: 12/11/2013, 17:32 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Ebbene sì.. dopo quest'ultimo capitolo, forse sono più angosciata da Marcus che da Heinz.... Il pazzo mi è sembrato titubare di fronte alla morte della madre, potrebbe essere il fattore che gli restituirà la lucidità? non lo so, ma lo spero, per Hector e Laura (se Hector dovesse tornare sul trono come reagirebbe lei?)
Marcus invece mi è sembrato determinato a sfruttare qualsiasi tipo di appoggio (vero o immaginario che sia!")... PAURA!
view post Posted: 12/11/2013, 17:08 Incontri - Fanfictions
Scusate per le enormi attese con cui vi ho afflitto in questi ultimi capitoli.
Siamo arrivate alla fine ormai... sono passati due anni (mamma mia! mi sembra ieri!).
Oggi posterò il capitolo 43... mancherà solo un breve epilogo per ritrovare i nostri beneamati a distanza di qualche tempo.

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CAPITOLO 43
Koji guardò Eisuke Hayami tendergli la mano dalla sua sedia a rotelle. Sapeva cosa doveva fare. Fargli dire senza equivoci cosa aveva commissionato e confermare la sua identità. Sarebbe stato difficile, certo, ma come poteva pensare il vecchio Hayami che uno yakuza non avesse seguito i suoi ordini e che lo potesse tradire? Quell’uomo aveva sempre basato tutto sui soldi, ottenendo chi e cosa voleva, senza rendersi conto di quanto un individuo è disposto a fare e a dare per quei sentimenti profondi che lui tanto disprezzava: l’amore, l’amicizia e l’onore.
L’onore era alla base del codice di comportamento della famiglia cui apparteneva. Sapeva che nel resto del Giappone la yakuza si era uniformata al pensiero di Eisuke, ma il suo capo ancora resisteva e teneva alta la tradizione su cui si era fondato il loro potere. Koji non era un romantico: la sua vita non lasciava spazio ai sentimentalismi, ma comprendeva che alcuni traffici, per quanto proficui, a lungo termine erano deleteri. La sua famiglia gestiva i ‘servizi di protezione’ agli esercizi commerciali dei quartieri che controllava a Tokyo; era famosa per i canali sicuri di ricettazione di merce rubata; le sue erano le migliori escort ad ogni livello; organizzava tutte le scommesse clandestine su ogni campo dell’attività umana. Tuttavia, sul loro territorio, evitavano ed osteggiavano il traffico di droga e quello degli esseri umani. Non volevano minorenni sulla coscienza.
Suo padre era stato luogotenente del vecchio capo ed ora lui ricopriva lo stesso ruolo. Nel corso degli anni aveva visto la differenza dei rapporti della famiglia con Eisuke Hayami e Ieyasu Takamiya. Stima per l’uno, affari con l’altro. Quando il primo ordinava, il secondo chiedeva cortesemente. La famiglia era condiscendente con Hayami per interesse, ma collaborativa con Takamiya per reciproco rispetto. Non ci era voluto molto per decidere come muoversi quando Hayami aveva ordinato l’omicidio di suo figlio. Per quanto non avessero legami di sangue, non era considerato un atto onorevole. Inoltre sapevano che il giovane aveva l’appoggio della famiglia Takamiya.
L’uomo al secondo posto nella linea di comando della famiglia alzò lo sguardo da quella mano ed incontrò gli occhi duri del vecchio: sperava forse di vedere del pentimento?!
“Ha fatto un ottimo lavoro! Spero che il suo capo si sia congratulato con lei!”
“Sì, l’ha fatto. Come aveva ordinato, l’incidente di suo figlio è stato un lavoro pulito, senza tracce, un guasto meccanico.”
“Bene, bene.” – mancava solo che si sfregasse le mani – “Ha preferenze per il taglio delle banconote?”
“La mia famiglia non ha problemi nel riciclare soldi sporchi, dovrebbe saperlo bene. Il compenso per il lavoro che ho svolto sarà impiegato per il meglio.”
Vide la carrozzina muoversi per la stanza, fino a raggiungere una vecchia crosta senza alcun interesse artistico. Forse valeva meno della cornice che la decorava. Scostò l’immagine ed aprì la cassaforte. Pose una serie di mazzette su un tavolinetto, chiuse il vano blindato e gli si accostò.
“Avevamo detto centocinquanta milioni di yen, giusto?”
“Non sbaglia un colpo!”
“Non posso permettermelo.” – concluse il vecchio.
Preso il denaro, Koji tentò di strappargli qualche altra affermazione compromettente che circostanziasse tutta la conversazione.
“Perché ha deciso di ucciderlo? In fondo era suo figlio!” – nessun ‘signore’, nessuna riverenza. Gli parlava da pari a pari.
“Non era più mio figlio, non da quando aveva deciso di contravvenire ai miei ordini sposando quell’insulsa ragazzina.”
“Ragazzina… è comunque la nuova Dea Scarlatta!”
“La vera Dea Scarlatta è solo Chigusa Tsukikage. Masumi doveva sposare la nipotina di Takamiya!”
“Ma poteva evitare un simile atto… credo ci sarebbero stati altri modi per vendicarsi.”
Lo vide stringere i pugni sui braccioli: pur nella tarda età manteneva una forza invidiabile negli arti.
“Non sarebbe stato sufficiente! Saperlo respirare la mia stessa aria dopo l’umiliazione che mi aveva inferto sarebbe stato troppo. Inoltre lo sa anche lei, no? Aveva annunciato una nuova casa di produzione. Si rende conto? Voleva farmi concorrenza! Quello… quello!”
“Ormai il dado è tratto. Masumi Fujimura è morto e lei si può godere la vendetta!”
“Già.” – solo quella sillaba, sarebbe bastata solo quella.
Si congedò, sapendo con certezza che oltre una delle pareti della stanza doveva trovarsi l’uomo con cui aveva progettato il guasto dell’automobile.

Nella piccola biblioteca, intanto, regnava il silenzio. Maya era sgomenta: sentirne parlare Masumi era diverso che assistere alle spietate parole pronunciate dell’uomo che a volte l’aveva aiutata sotto mentite spoglie. Era stato allucinante per il suo animo buono e fiducioso.
Hijiri, dal cinico che era, ormai conosceva Eisuke, niente più lo stupiva. Aveva assistito alle peggiori nefandezze. Suo padre gli aveva raccontato di come si era comportato quando Masumi era stato rapito.
Masumi era semplicemente rassegnato e determinato. Aveva forse sperato che si smentisse? Si sedette portandosi le mani al volto. Doveva decidere: denunciare suo padre o ricattarlo. Nel primo caso avrebbe sicuramente risolto il problema ma avrebbe gettato nel fango il nome della famiglia di cui aveva fatto parte per tanti anni. Un sentimento stupido, forse, ma molto radicato in sé: il prestigio del nome era quanto di più importante ci fosse stato in passato per lui insieme al potere ed ai soldi. Ricattarlo con quella conversazione avrebbe tacitato i suoi sensi di colpa, ma sarebbe bastato a tenerlo a bada? Un altro solo passo falso, una disattenzione e sarebbero stati perduti. Fidarsi del vecchio generale millepiedi e trovarsi pugnalati alle spalle. Non sarebbe stato la prima volta.
Si chinò sulle ginocchia. Maya ed Hijiri lo guardarono, attendendo le sue indicazioni. Masumi li osservò a sua volta ed incrociò gli occhi con quelli della sua compagna. E comprese: lei era tutto, niente sarebbe valso il rischio di perderla. Certamente non il nome della famiglia che l’aveva tradito.
“Andiamocene!” – avevano quello che erano venuti a prendere. Non c’era più motivo di rimanere in quella casa. Uscirono dalla stanza ripercorrendo la strada che avevano fatto all’andata. Non incontrarono nessuno, convinti che Eisuke si stesse crogiolando nella soddisfazione.
Uscendo dalla porta della cucina che dava sul giardino, Masumi avvertì come un peso che gli si fosse sollevato dal cuore: non avrebbe più messo piede in quella casa, né calcato i pavimenti in marmo, né goduto del calore dei suoi caminetti o guardato con odio l’ala ristrutturata dove sua madre era quasi morta. Non avrebbe più dovuto sopportare la sua tetra atmosfera. Non avrebbe rimpianto neppure la biblioteca: non c’era nulla che non potesse trovare altrove. Maya lo precedeva e allungò una mano per trattenerla. L’abbracciò, mentre Hijiri saliva nell’auto lasciandoli sotto l’edera rampicante del cancelletto.
“Questa è l’ultima volta che ti porto in questa casa! Mai più dovrai tornarci!”
“Stai bene?” – gli chiese, stringendogli la camicia tra le dita.
“Manca un’ultima cosa perché io possa stare veramente bene!”
Entrarono in macchina e Masumi disse ad Hijiri di dirigersi verso la vicina stazione di polizia. Costeggiarono le mura di cinta delle ville delle famiglie parvenu della classe dirigente nipponica: parchi spaziosi, lussureggianti, che circondavano eleganti abitazioni in stile occidentale, perché quelle tradizionali erano riservate alla vecchia nobiltà, a famiglie come quella dei Takamiya. Uscirono dal quartiere ed imboccarono la via che li avrebbe condotti alla periferia.
Si fermarono davanti alla guardiola della caserma. Masumi scese dall’auto e, poggiando una mano sul tettuccio, si chinò a guardare sua moglie mentre diceva al suo uomo di accompagnarla a casa: lui avrebbe fatto il suo ‘dovere’. Lanciò il cappello sul sedile posteriore, si rialzò e si diresse verso l’agente di guardia.
L’uomo lo guardò sconcertato: era dato per morto, non doveva essere semplice accettare la sua presenza.
“Devo denunciare un crimine!” – disse solo, stringendo la pen-drive nella tasca del lungo impermeabile nero.
“Ma è…?” – l’agente non terminò la domanda.
“Sono Masumi Fujimura e devo denunciare il mio tentato omicidio!” – ribadì. Senza ulteriori tentennamenti, venne accompagnato nell’ufficio del commissario, un uomo attempato, dal volto rugoso e dagli occhi quasi spenti, probabilmente per i troppi crimini cui aveva dovuto trovare un colpevole e per quelli che erano rimasti irrisolti. Si alzò dandogli il benvenuto e chiedendo ironicamente se non si trovasse di fronte ad un nuovo messia.
“No,” – rispose Masumi – “nessuna resurrezione. Non sono mai morto e di questo credo che dovrò rendere conto alla legge, ma devo denunciare quanto è realmente avvenuto ed il responsabile che mi ha spinto a fare ciò che ho fatto.”
“Si segga e mi racconti tutto dall’inizio. Provvederemo dopo alla deposizione ed alla trascrizione.”
“Qualche giorno dopo il mio matrimonio sono venuto a conoscenza della volontà di uccidermi da parte di colui che era stato mio padre, per vendetta, per l’affronto subito.” – si fermò, notando lo stupore sul volto dell’uomo anziano.
“Non si stupisca,” – lo prevenne – “mio padre è stato in grado di lasciarmi in mano a dei rapitori, rinnegandomi, pur di insegnarmi che nella vita non ci si può fidare di nessuno e che tutto va ottenuto con le proprie forze. Avevo poco più di dieci anni, allora.”
Un’altra pausa e dolore in quegli occhi stanchi – “Continui.”
“La persona che Eisuke Hayami ha assoldato aveva un debito nei confronti di chi mi ha avvisato. Per questo, sono stato messo in guardia e mi è stata data la possibilità di difendermi. Abbiamo fatto in modo di far credere a mio padre che tutto procedesse come da programma. Abbiamo orchestrato l’incidente, fatto in modo che l’auto fosse semi-distrutta nell’impatto e che una squadra di attori con una finta ambulanza portasse via un semplice fantoccio: tutto per fugare i dubbi nella stampa e nel committente. Avendo ormai la certezza della mia morte, ‘mio padre’ ha convocato il killer e l’ha retribuito per il lavoro svolto.”
La descrizione era stata chiara e concisa.
“Come fa ad esserne certo?”
Masumi trasse dalla tasca la mano stretta a pugno e rilasciò la piccola pen-drive sulla scrivania.
“Vi è registrata la conversazione tra il killer ed il committente, facilmente individuabile in Eisuke Hayami.”
Il commissario prese l’oggetto sulla cui base avrebbe dovuto incriminare uno degli uomini più potenti del paese. Sarebbe potuto essere l’ultimo caso su cui avrebbe indagato, perché sarebbe stato promosso o destituito. La inserì nel computer ed ascoltarono insieme la conversazione.
Non c’erano dubbi: il killer nominava Masumi Fujimura ed il vecchio sosteneva più volte di voler eliminare suo figlio, reo di aver sposato la Dea Scarlatta e di aver annunciato di volersi mettere in proprio.
Sarebbe bastata ad istruire un caso? Sì.
Avrebbero reso innocuo Eisuke Hayami? Forse no. L’uomo disponeva dei migliori avvocati. Avrebbero potuto smontare tutto il capo d’accusa?
“C’è modo di rintracciare la persona che ha organizzato l’incidente?”
“Sì, ma preferirei non coinvolgerlo. Ha rischiato molto avvisandomi. Tutta la sua famiglia ha messo a rischio la sua credibilità.”
“Beh… capisco, ma…”
“Abbiamo l’auto. E i rilievi condotti dalla polizia.” – continuò Masumi – “Potrà essere provata la manomissione dei freni e dell’albero motore.”
“Certo… questo aiuta.” – il commissario si fece cogitabondo, massaggiandosi il mento squadrato e sbarbato – “Devo parlare con il prefetto. Mi attenda qui.”
Masumi rimase al suo posto. Nervoso, ma impossibilitato ad accendersi la sua fidata sigaretta. Fece vagare lo sguardo nell’ufficio: una stanza piccola e modesta, lontana anni luce dal lusso cui era abituato. Scaffali pieni di faldoni; schedari colmi di vecchi fascicoli; vecchi manifesti e circolari; la foto del prefetto e quella dell’imperatore; un piccola Buddha sopra la scrivania, al fianco di un vecchio monitor a tubo catodico. La scrivania era usurata: il piano era graffiato in più punti, il colore sbiadito nelle zone più utilizzate. La vecchia sedia era talmente logora da avere la simil-pelle tutta screpolata. Si distrasse guardando fuori dalla finestra che dava sul cortile della caserma: le auto di pattuglia erano parcheggiate in file ordinate, pronte per uscire.
Non attese molto che il commissario tornò nella stanza.
“Mi scusi per l’attesa.”
“Ascolti, commissario. So cosa vi siete detti, ma non posso permettere che mio padre resti fuori, libero di agire. Se non riuscirete a provvedere voi, dovrò farlo a modo mio, minacciandolo di rendere pubblica la conversazione e sperando che ciò lo blocchi. Preferirei che provvedeste voi: non voglio correre rischi. La prossima volta potrebbe colpire mia moglie ed è un’eventualità che non posso prendere nemmeno in considerazione.” – le sue parole furono accorate. Decisamente controcorrente con l’atteggiamento algido di Masumi Hayami.
Il commissario si mise le mani in tasca e lo fronteggiò.
“Non è mia intenzione lasciare un simile individuo libero di nuocere alla società. Dovevo solo valutare con il prefetto che ci fossero prove sufficienti per una condanna certa. Non possiamo rischiare che, dopo le accuse, torni libero.”
Masumi assentì, consapevole delle implicazioni.
“Si rende conto che con questa vicenda il nome della famiglia Hayami non avrà più lo stesso prestigio?”
“Non mi importa. Non è la mia famiglia e non lo è mai stata. Fate quel che volete. L’importante è che la mia vera famiglia non debba più patire per la sua scelleratezza!”
“Dovremo annunciare la sua ricomparsa e spiegare gli eventi signor… Fujimura. Credo sia meglio indire una conferenza stampa dopo l’arresto di suo padre. Procederemo questa sera stessa.”
Il giovane si alzò in piedi e, inchinandosi leggermente, gli chiese se avesse potuto accompagnarli. Voleva vedere con i propri occhi Eisuke Hayami farsi inoffensivo.
“Solo se non interferirà. Dovrà aspettare fuori dai cancelli.”
Ripercorse la strada a bordo di una pattuglia della polizia. Il commissario era alla testa della squadra. Quando arrivarono bloccarono gli ingressi al parco. Il vecchio ufficiale si accostò al campanello e suonò, annunciandosi alla richiesta dell’interlocutore.
L’assistente di suo padre li fece accomodare, ignaro. Masumi vide gli agenti procedere speditamente lungo il viale principale ed entrare nella villa. Non passarono che dieci minuti prima che ne uscissero circondando Eisuke Hayami sulla sua carrozzina mentre imprecava contro l’inefficienza delle forze dell’ordine che lui stesso contribuiva a stipendiare.
“Aspettate che lo sappia il prefetto! Finirete tutti a fare la fila agli uffici di collocamento!”
Nessuno replicava, tutti ligi al codice di comportamento che la situazione richiedeva.
“Chiamerò il mio avvocato! Come vi permettete?! Arrestarmi!! Per tentato omicidio, poi! E chi avrei tentato di uccidere, sentiamo!” – gridò.
“Me!” – si fece avanti, fronteggiandolo.
Vide il vecchio sbiancare, quasi in preda ad un mancamento.
“Tu!” – sputò – “Tu dovresti essere morto!”
“Allora devo essere all’inferno, se sei con me.”
Masumi si voltò dall’altra parte, ormai rassegnato a scorgere un qualsiasi lume di affetto o anche solo razionalità in quegli occhi.
“Troverò il modo di fartela pagare, lo sai!” – gridò ancora, il viso rubicondo dalla rabbia – “A te o alla tua cara mogliettina…”
Il giovane si bloccò raddrizzando la schiena. Si voltò ed il suo sguardo avrebbe potuto incenerire chiunque. I suoi occhi sembravano lame d’acciaio affilate. Gli si avvicinò e si chinò fino alla sua altezza artigliando i braccioli della sedia con le dita.
“Signore…” – iniziò uno degli agenti.
Masumi lo ignorò.
“Ascoltami bene, vecchio!” – iniziò – “Puoi minacciare me, ma non lei! Visto che sono vivo, dovresti aver capito che ho amici potenti. Prova ancora a fare qualcosa che non sia giocare a mahjong con i tuoi compagni di cella e non mi farò scrupoli a farli muovere.” – le ultime parole furono appena sussurrate, udibili solo a suo padre.
“Mi hai educato tu, non scordarlo!” – concluse, rialzandosi e tornando sulla sua strada – “Non dubitare mai che non ne sarei capace!”
Non lo guardò più. Se ne andò avviandosi a piedi verso il parco dove spesso trovava sua moglie quando era ancora una ragazzina. Il tragitto era lungo, ma non era importante. Aveva bisogno di calmarsi e l’aria fredda del tardo pomeriggio l’avrebbe aiutato. I passi lo guidarono alla sua destinazione, memori di tutte le volte in cui aveva fatto quel tragitto, sperando di trovarla sull’altalena.
I chilometri si srotolavano mentre il furore veniva placato. Ripensò a sua moglie che l’attendeva in albergo, sicuramente in ansia, di certo consapevole dei sentimenti che l’affliggevano. Si fermò sul marciapiede. Guardò il cielo buio e nuvoloso oltre le luci arancioni dei lampioni.
Cosa sto facendo?
Non era necessario andare al parco! Rivedere Maya era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Fermò un taxi e diede l’indirizzo dell’hotel. Quando la vettura accostò all’ingresso, trovò ad attenderlo una folla di giornalisti, impegnati a parlottare tra loro fin quando non notarono il suo arrivo. Allora, come cani randagi attorno ad un bidone dei rifiuti, gli si addossarono, brandendo microfoni come armi e scattando foto a ripetizione con i loro fastidiosi flash.
“Signor Fujimura… cosa è successo?”
“Come mai suo padre è stato arrestato?”
“Come si è salvato dall’incidente?”
Sapevano già tutto. Cosa doveva aggiungere? Li avrebbe fatti cuocere nel loro brodo per qualche giorno: alcuni agenti avrebbero fatto trapelare briciole d’informazioni e i giornali avrebbero banchettato per settimane sulla vicenda, distruggendo quanto rimaneva del buon nome di famiglia.
“No comment.”
Solo questo, lapidario, mentre il pensiero della Daito e del suo destino gli attraversava la mente. Cosa ne sarebbe stato delle centinaia di persone che contavano sull’azienda per cui lavoravano per arrivare alla fine del mese e mantenere la propria famiglia?
Domani, domani ci penserò…
Entrò nelle porte girevoli dell’atrio scansando le mani dei giornalisti.
I leggeri sussurri nella hall sapevano di casa dopo il frastuono esterno.
Il portiere lo salutò cordialmente.
“E’ un piacere vederla in salute, signore.”
“Anche per me, Shin, anche per me. Mia moglie è in camera?”
“Sì, signore. La signora l’attende.”
Lievi borbottii l’accompagnarono mentre si dirigeva all’ascensore: curiosità, sconcerto. Le porte si chiusero con il familiare scampanellio mentre un leggero fruscio accompagnava la salita. Pochi secondi e le porte si aprirono di nuovo. Questa volta su un corridoio vuoto, dal pavimento in legno coperto da un soffice tappeto. C’erano poche camere a quel piano. Arrivò fino in fondo, fece passare la chiave nel lettore magnetico: un leggero click gli comunicò che la porta era aperta.
Spinse l’anta ed entrò nel calore della stanza: Maya era vicino alla finestra. Doveva averlo visto arrivare ed ora lo guardava con gli occhi lucidi ed una mano aggrappata alla tenda scura.
“E’ finita.” – solo questo.
La donna attraversò di corsa la stanza e gli volò tra le braccia. Lo strinse, consapevole della rabbia, del dolore, della rassegnazione e del sollievo che gli albergavano nel cuore.
“Cosa ti hanno detto alla polizia?” – chiese – “Alla televisione hanno solo detto che tuo padre era stato arrestato e che eri vivo. Non hanno collegato le due notizie.”
“Lo faranno…” – rimasero stretti.

Diverse furono le reazioni che accompagnarono la notizia dell’arresto di Eisuke Hayami: soddisfazione, timore, sconcerto.
Dolore. Yeyasu Takamiya provava dolore. Quello che aveva considerato l’amico di una vita e che nelle ultime settimane aveva dovuto riconsiderare completamente era stato arrestato. Suo figlio, quello che aveva adottato per renderlo il suo erede, era stato costretto a farlo rinchiudere per evitare di continuare a rischiare la vita, sua e della sua famiglia. Sicché era il dolore che dominava il suo cuore: dolore per la perdita di un amico, dolore per aver compreso di non averne mai avuto uno, dolore per un’anima dannata che sperava trovasse la redenzione negli ultimi anni che gli restavano da vivere.
Vedeva sua nipote guardarlo con gli occhi velati di tristezza. Aveva capito quanto stava soffrendo e gli era vicina, nonostante il periodo felice che stava vivendo con quel giornalista. Era diventata una splendida donna, grazie a Masumi ed al gesto che aveva pensato fosse sconsiderato. Era dolce nell’animo, attenta agli altri, desiderosa della vera felicità. Non sarebbe mai stato abbastanza grato al suo mancato genero per la rottura del fidanzamento. Solo il pensiero di Shiori mitigava la tristezza di quel momento. Quello e la consapevolezza di non essere solo come Eisuke. Un vecchio indebolito dagli anni che non avrebbe più potuto contare su nessuno. Aveva allontanato tutti ed ora tutti lo avrebbero scansato come un appestato: suo figlio, ferito nell’animo; sua nuora, ingannata e colpita ancor prima di averlo conosciuto; lui stesso, tradito dall’unica amicizia considerata sincera; i suoi collaboratori più stretti, fedeli solo fino a che avessero percepito il loro stipendio; gli ‘amici’ che intendevano l’amicizia come faceva lui stesso e che si sarebbero dileguati alla stregua del suo patrimonio e del suo prestigio.
Dolore.

Sollievo. Chigusa Tsukikage appoggiò la schiena alla sedia di vimini vicina all’ampia finestra da cui guardava il giardino invernale. Rilasciò le mani ed il giornale spiegazzato sulle ginocchia, traendo un sospiro. Masumi aveva mantenuto la promessa. Aveva protetto la Dea Scarlatta. Aveva fatto tutto quanto era in suo potere. Non avrebbero più dovuto preoccuparsi di quella figura ingombrante e pericolosa. Eisuke era stato fedele al suo personaggio fino alla fine. Fino all’ultimo non aveva ceduto di un passo, perseguendo il potere e la vendetta. Masumi era stato fortunato. Aveva avuto gli appoggi che a lei erano mancati.
“Genzo,” – chiamò, attirando l’attenzione del fedele collaboratore – “Voglio uscire. Prepara l’auto.”
L’uomo annuì. Voleva vedere la sua prediletta. Voleva accertarsi che tutto stesse andando per il meglio.

Sgomento. I dipendenti del gruppo Hayami cui la Daito Art Production faceva capo erano in preda al panico. Cosa ne sarebbe stato di loro? Le aziende sarebbero colate a picco: un gruppo di quelle dimensioni non poteva restare senza amministratore delegato ed il consiglio di amministrazione non aveva i poteri per eleggere chicchessia perché la maggioranza delle quote societarie erano comunque in mano alla famiglia Hayami. Potevano sopravvivere allo scandalo delle dimissioni di Masumi Hayami finché ci fosse stato suo padre, ma l’arresto di quest’ultimo avrebbe creato una crisi di potere ai vertici. I mercati avrebbero banchettato sui resti delle imprese Hayami come gli avvoltoi sopra una carcassa putrefatta: loro ne avrebbero pagato le conseguenze. Il panico si avvertiva chiaro negli occhi di ognuno. Passi frenetici segnavano l’andirivieni di segretarie ed impiegati carichi di pratiche e documenti che andavano ad un punto all’altro dell’edificio, cercando di risolvere una situazione al di là delle loro facoltà. Nessuno parlava, confermando il clima funereo che si era instaurato.

Rabbia. Non solo aveva perso la competizione sulla Dea Scarlatta contro quel dilettante di Kuronuma, adesso Hajime Onodera non aveva più nemmeno l’appoggio del vecchio Hayami. Senza di lui, simile per i metodi adottati, la sua stessa carriera era a rischio. Quale compagnia teatrale o casa di produzione lo avrebbe voluto, conoscendo la sua nomea ed il suo caratteraccio? Certo, aveva vinto premi importanti, ma nei confronti diretti con registi quotati era sempre stato sconfitto. Infranse contro il muro il bicchiere di cristallo da cui aveva bevuto la vodka ghiacciata.
“Maledizione!”
Trasse un profondo respiro, cercando di calmarsi.
Del tutto inutile. Sentiva il sangue corrergli nelle vene ed il viso congestionato dalla rabbia.
Cosa diavolo aveva combinato quel vecchio per finire arrestato? Doveva esserci una scappatoia!
Ma sì… d’un tratto il pensiero del team di avvocati al soldo di Eisuke Hayami lo rinfrancò. Sicuramente avrebbero trovato una soluzione e tutto si sarebbe appianato. Nella peggiore delle ipotesi sarebbe bastato ungere chi di dovere.

Soddisfazione. Finalmente riusciva a capire qualcosa. Quando Ayumi aveva visto Masumi vivo e vegeto si era stupita e quando le aveva detto che sarebbe dovuto essere morto non aveva capito. Ora aveva saputo che Eisuke Hayami era stato arrestato ed iniziava a comprendere che dietro l’incidente doveva esserci lui. Era stupita, molto. Sapeva che il vecchio Hayami era un uomo spietato, ma arrivare a voler morto suo figlio! Anche Peter era della stessa opinione. Era difficile immaginare un simile epilogo. Per conto loro, speravano che quella storia fosse finita e che non ci sarebbero state scappatoie per il colpevole.

Preoccupazione. Koji si chiedeva che conseguenze ci sarebbero state per la sua famiglia in seguito alla cattura di Eisuke Hayami. Non credeva che, avvisando i Takamiya, si sarebbe giunti all’arresto di quell’individuo. Masumi Hayami aveva proprio voluto metterci una pietra sopra. D’altra parte, era comprensibile. Vista la minaccia, l’uomo era andato sul sicuro. Pensò a quanto si era sbilanciato durante la registrazione: non aveva fatto nomi, quindi non era quello il problema. L’unico punto debole sarebbe stata la possibilità che Eisuke patteggiasse una pena più lieve in facendo nomi e fornendo le prove delle attività illecite con cui aveva collaborato. Con un ghigno decise che avrebbe contattato i suoi uomini all’interno del carcere per far giungere un messaggio chiaro al nuovo ospite: niente scherzi o non sarebbe arrivato a sentire la sentenza che lo avrebbe condannato.
view post Posted: 24/10/2013, 16:56 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Ma che bei personaggi che abbiamo e rincontriamo: a questo punto temo una pazzia di Marcus: rapimento e salvataggio di Hector? Una vicenda speculare a quella che vide Laura e Masumi da protagonisti ed Hector spettatore inerme?

Eriko è tornata con tutto il suo spirito 'strafottente': mi chiedo quanta pazienza abbia David.

Grazie come sempre Laura.
view post Posted: 16/10/2013, 18:50 Incontri - Fanfictions
CAPITOLO 42
Aprì la porta della suite convinto di trovare Maya impegnata in qualche esercizio di recitazione o assorta nei suoi pensieri. Quello che in realtà vide, invece, fu velenosamente doloroso.
Ayumi Himekawa stava cercando di far alzare dal pavimento sua moglie, immota, muta, con gli occhi spalancati, i capelli sciolti sulle spalle, le mani perse in grembo. Un’occhiata alla televisione, ancora sintonizzata sul servizio della NHK, gli fece comprendere cosa fosse accaduto: era arrivato tardi. Credeva di riuscire ad avvisarla prima che la televisione desse la notizia della sua morte, invece aveva tardato a causa delle precauzioni prese per non farsi riconoscere.
“Maya…” – sussurrò.
Quel respiro fu avvertito solo da Ayumi che si voltò interdetta, guardando stranita il suo abbigliamento: un cappello dalla tesa larga calcato sui capelli, un lungo impermeabile nero, occhiali scuri in mano.
“Cosa sta succedendo? Perché la televisione ha detto che lei è morto, se adesso è qui?”
Uno sguardo colpevole sfuggì dai suoi occhi.
“Perché era quello che sarebbe dovuto accadere. Lasciami solo con lei, ti prego.”
Ayumi respirò profondamente, incerta se credergli o meno, consapevole solo del senso di colpa che aveva scorto in lui. Poi vide anche il dolore nelle sue iridi color dell’oceano. Cosa l’aveva causato? Fissava la sua amica. Lo stesso dolore che era comparso in quelle di lei. Assentì. Diede un’ultima carezza sulla spalla dell’amica, prese il soprabito ed uscì dalla stanza.
Rimasto con la donna distrutta sul pavimento, Masumi le si inginocchiò al fianco. Leggero, le posò un bacio tra i capelli senza aver alcun segno di risposta. La chiamò, sortendo lo stesso risultato. La sollevò tra le braccia stringendosela al petto. Si diresse verso il divano e si sedette con il suo piccolo tesoro in grembo. La cullò, senza dire più nulla, attendendo paziente che si riavesse dal limbo in cui si era rifugiata, pronto ad affrontare la sfida più dura della sua vita: riconquistare la fiducia di sua moglie.
Quando l’aveva vista sul pavimento, come una bambola rotta, aveva compreso che Hijiri aveva avuto ragione. Avrebbe dovuto parlare con lei del suo piano, tutta l’ansia che avrebbe potuto provare era nulla se confrontata con quanto stava passando in quel momento. Se solo sfiorava l’idea che lei potesse morire diventava pazzo. Maya, invece, aveva assistito quasi in diretta a quella che lei pensava fosse la prova della sua morte, del suo abbandono. Quando avrebbe capito che Masumi sapeva tutto, che avrebbe potuto avvisarla ma che, con cognizione di causa, non l’aveva fatto, allora l’avrebbe persa.
La strinse più forte, tanto che pensò di avvertire un leggero gemito. Rilasciò la presa. Le mise una mano sul volto. Gli occhi ora erano chiusi. Si era addormentata? Non aveva versato una lacrima tanto era il dolore che stava sopportando.
“Maya…” – la chiamò ancora. Il tono dolce, delicato, che usava per dirle che l’amava – “Ragazzina…”
Come avrebbe fatto? Cosa le avrebbe detto? Come giustificare un tale patimento? Ora le sue motivazioni gli sembravano talmente deboli!
Non poteva permettersi di perderla. Ormai erano ad un passo dal risolvere tutti i loro problemi. Avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare. L’adagiò meglio sul suo petto ed appoggiò la schiena al divano. La tensione di quella giornata interminabile si fece sentire e si addormentò, vinto dalla stanchezza.

Maya non aveva registrato il momento in cui la televisione era stata spenta, né quando Ayumi era andata via. Non sapeva quando si era addormentata, l’unica cosa che comprendeva era che si stava riavendo dall’oblio e non voleva. Non voleva tornare alla realtà, perché ad attenderla ci sarebbe stato un mondo senza Masumi, il suo amore, la metà della sua anima, suo marito. Non sarebbe sopravvissuta. Non anche a quella morte. Aveva superato quella di sua madre grazie alla vicinanza di quell’uomo, ma chi le sarebbe stato vicino ora che la sua roccia si era sgretolata?
Le sfuggì un singhiozzo. Lacrime di dolore iniziarono finalmente a scendere copiose dai suoi occhi, andando a bagnare il guanciale.
Non sapeva nemmeno quando era andata a letto. Sentiva il suo profumo sotto le narici. Il suo buon profumo! Si sarebbe chiusa in quella stanza per sempre impedendo che quell’aroma le sfuggisse via come aveva fatto lui?
Impossibilitata a combattere anche contro la veglia che la reclamava aprì gli occhi.
Non era distesa sul letto, ma seduta nel soggiorno della suite. E non sul divano.
Sbatté di nuovo le palpebre.
Stava sognando. Era già impazzita.
Forse erano passate già delle settimane da quel giorno sciagurato e le aveva rimosse dai suoi ricordi.
La mente le rimandava il volto di Masumi, addormentato sotto di lei. Un volto segnato dalla tensione anche nel sonno. Non era possibile, lo sapeva, ma si volle illudere. Sollevò una mano a toccargli il mento. Le lacrime ancora scorrevano bagnando l’impermeabile che aveva creduto essere un cuscino.
“Oh, Masumi! Come farò adesso?” – gemette disperata, portando quella stessa mano, riscaldata da quell’allucinazione, a serrarsi sulle sue labbra.
Vinta dalla sofferenza, si alzò correndo verso la camera e gettandosi sul letto. Pianse tutte le sue lacrime, strinse le lenzuola artigliandole con le gracili dita, soffocò le sue grida ed i suoi singhiozzi nel materasso.
“Maya…” – quella voce! Già il solo vederlo addormentato l’aveva sconvolta. Ma sapere che quella voce non era altro che un frutto della sua mente acuì la sua disperazione.
“Vattene!”
“Lasciami spiegare…” – provò sempre a dire ‘la voce’.
“Non c’è niente da spiegare” – urlò – “Tu non sei reale. Lui è morto ed io sono pazza!” – non si voltò nemmeno a guardarlo.
Silenzio. Ecco! Aveva ragione. Cosa doveva aspettarsi dopo tutto? Che quell’ombra replicasse alla sua tesi?
“Non sono morto. Sono qui. Maya, guardami!” – come se la visione avesse letto nella sua mente. Che sciocca! Era la sua mente che la creava!
“No!”
Un mano si poggiò sulla sua schiena.
Una mano?
Una mano calda!
Il cervello umano poteva produrre allucinazioni tanto veritiere?
“Maya, vòltati!” – pregò ancora la voce – “Ragazzina, guardami!”
Sapendo che mille spine le avrebbero stretto il cuore, si voltò e lo vide. Il miraggio indossava lo stesso impermeabile nero ed aveva la stessa espressione stanca.
Le prese una mano e se la portò al volto, alla guancia.
“Maya, sono vivo. Credimi!” – la pregò.
“Quanto vorrei che fosse vero!” – sapeva di parlare al nulla, ma non poteva rinunciare a scambiare qualche parola, falsa, con lui – “Ma ho visto l’auto distrutta! Ho visto i paramedici che ti portavano all’obitorio!”
“No!” – la interruppe – “Non ero su quell’auto! Non ci sono mai salito! Maya, guardami!”
Il tono, ora, era di supplica. Sotto la sua mano avvertì il calore e la consistenza della sua pelle. Con ancora le gote bagnate dalle lacrime avvicinò il volto al suo petto.
Riconobbe il suo profumo.
Se era un’illusione, il suo cervello aveva fatto veramente un ottimo lavoro.
“Sono pazza! Ti ho creato, perché non dovrei crederti? Io stessa vorrei che tu non fossi mai stato su quella dannata vettura!”

Masumi guardò sconsolato sua moglie. Quando Maya avesse capito cosa fosse effettivamente successo, non sarebbero bastate delle scuse. Avrebbe dovuto far fronte ad una vera e propria bomba. Le liti, i battibecchi, le scaramucce che fino ad allora c’erano state sarebbero sbiadite al confronto.
Come ripagarla di tanto dolore? Come perdonarsi il fatto che si credeva pazza?
Serviva però un elemento scatenante. Non poteva lasciare che continuasse a considerarlo un’illusione. Si tolse l’impermeabile. La prese di nuovo per mano e la trascinò nel bagno. La costrinse ad entrare nella doccia ed aprì il getto dell’acqua gelida.
“La senti? Non stai sognando! Ti stai bagnando con l’acqua fredda ed io ti sto parlando! Guardami, dannazione!” – imprecò mentre cercava di attrarre su di sé i suoi occhi caldi – “Sono qui! Non ti ho lasciato! Non sei sola!” – la stringeva per le spalle, bagnandosi a sua volta. Si guardavano sotto quelle stille gelate che lavavano via la tensione. Masumi parve scorgere un lampo di consapevolezza nello sguardo di Maya.
Riconoscimento. Sollievo.
Le mani di sua moglie si aggrappavano alla sua camicia e finalmente si strinse a lui, riconoscendo finalmente la sua presenza. Le lacrime, come un balsamo, ora si confondevano con l’acqua che scorreva su di loro e lavavano via il dolore e la disperazione che l’avevano governata fino a quel momento.
Masumi si fece sfiorare il viso. Si lasciò osservare negli occhi e scrutare nel cuore, pronto a tutto pur di convincerla che era lì.
“Masumi?” – il tono incerto, timoroso di credere troppo.
“Ragazzina, non riconosci più tuo marito?” – cercò di alleviare la tensione, ben conscio che di lì a qualche minuto avrebbe dovuto raccontarle tutto ed implorare il suo perdono. Ma l’avrebbe fatto, senza remore. Era disposto a giocarsi tutto ciò che gli rimaneva, anche il suo orgoglio, pur di non perderla.
“Masumi!” – un grido, un sorriso e l’abbraccio che l’aveva catturato sei anni prima, nella sua villa di Nagano.
Maya non smetteva di ripetere il suo nome, incurante dell’acqua che continuava a bagnarli, immemore dello strazio che ancora l’animava, certa soltanto che l’uomo a cui aveva donato se stessa era ancora con lei.
Masumi chiuse il getto ed avvolse entrambi in un largo telo di spugna. La tenne stretta, bisognoso della sua forza.
“Perdonami!” – sussurrò, incapace di trattenere ancora i suoi sensi di colpa – “Perdonami, ti prego!”
“Cosa dovrei perdonarti?! Sei qui.” – come se la sua sola presenza bastasse a farle dimenticare tutto.
“Perdonami! Sapevo e non ti ho detto niente! Potevo evitarti tutto questo dolore e non l’ho fatto!”
Un lampo! La consapevolezza della comprensione. La sua mano si alzò decisa.
Masumi chinò il volto, non abbandonando un attimo il suo sguardo, pronto a ricevere qualsiasi punizione lei gli avesse riservato.
Lo schiaffo non arrivò mai. Piuttosto giunse una lieve carezza.
“Togliamoci questi abiti bagnati. Raccontami cosa è successo veramente e solo dopo deciderò se hai qualcosa da farti perdonare!”
Dov’era finita la ragazzina dall’animo incendiario che aveva conosciuto? Era divenuta una donna paziente che ascoltava tutto prima di saltare alle conclusioni. Hijiri gliel’aveva detto. Mitsuki gliel’aveva detto. Maya gliel’aveva detto. Lui stesso aveva capito che era maturata. Eppure ogni volta che si dimostrava tale, rimaneva abbagliato.
Fece come gli aveva detto. Si spogliò ed indossò l’accappatoio. Maya fece lo stesso. Si sedettero sul letto, l’uno di fianco all’altro, mano nella mano. Consolato da quell’atto di vicinanza, Masumi iniziò a raccontarle tutto, senza più tralasciare nulla.
L’incontro con i Takamiya e la rivelazione del folle piano di suo padre. Il contatto con la yakuza ed il progetto del falso incidente. La partecipazione di Hijiri e la sua volontà di tenerla all’oscuro delle sue intenzioni, convinto di risparmiarle dolore ed angoscia.
Vide bene i sentimenti che si agitavano nel cuore della giovane: tristezza e collera al nome di Eisuke; ansia per l’incidente; amore e delusione per il suo silenzio.
“Quante volte ti ho detto che non sono più una bambina e che non voglio segreti?”
“Tante…”
“Quante volte dovrò ripeterlo ancora?” – la voce era atona, ma Masumi riuscì a scorgere irritazione… e speranza.
“Spero vorrai ripetermelo ogni volta penserai che ne abbia bisogno. Sono un testone! Quindi penso dovrai farlo spesso!”
“Hai ragione, sei un testone!” – convenne lei, riservandogli una buffa smorfia – “Ma non posso fare a meno di te. Non potrei mai smettere di amarti, come non posso smettere di respirare. Come posso non perdonarti?”
Masumi si portò una mano alle labbra baciandole il polso ed il palmo.
“Grazie! Grazie!”
“Non farmi più una cosa simile! Non potrei sopportarlo ancora!” – una briciola del dolore che l’aveva sconquassata quel giorno ricomparve nei suoi occhi.
“Mai più! Te lo prometto!” – tutto si poteva dire, meno che non avesse imparato la lezione.
Masumi l’attirò a sé, finalmente. L’abbracciò come fosse stata la prima volta ed un po’ lo era perché, anche se per poco, si erano persi. In quell’abbraccio ritrovarono loro stessi, la speranza, la gioia e la loro unione, sempre viva.
“Ho creduto di perderti!” – il sussurro della sua voce bassa e roca la colpì al cuore come una dolce preghiera.
“Tu?” – chiese Maya, quasi singhiozzando – “Tu? E cosa dovrei dire io? Pensavo fossi morto!”
“E io ho creduto non mi avresti mai perdonato per averti fatto soffrire tanto! Calpestare il tuo stesso suolo ed essere diviso da te sarebbe stato veramente come morire!”
“Non dirlo!” – Maya gli si aggrappò – “Non dirlo! Finché avrò vita, mai ti abbandonerei!”
Le sue grandi mani le incorniciarono il volto, mentre le loro labbra si univano. Tocchi dolci, lievi, leggeri e fugaci. Desiderosi e desiderati. Vinti dall’amore e dalla ritrovata felicità, il bacio divenne appassionato, famelico, generoso ed esigente. I volti si movevano, le labbra si sfioravano, i denti mordevano e le lingue si intrecciavano, mentre le mani frenetiche vagavano raminghe.
Liberatisi dagli accappatoi ritrovarono la loro dannazione e la loro estasi; la loro tortura e la loro delizia; la loro fame, sete e sazietà.
I petti si sfioravano, i fianchi si scontravano ed i loro sussurri si intrecciavano nel silenzio della stanza.

Tempo dopo, l’uno di fianco all’altra tacevano, persi nella ritrovata unione.
“Adesso?” – un sussurro scaturì dalle labbra della giovane. Ansia. L’indice tracciava strani disegni sul petto dell’uomo.
“Adesso? Domani lo yakuza incontrerà Eisuke per riscuotere il premio per la mia morte.” – con quanta leggerezza parlava della sua morte stringendole la mano.
“E noi?” – chiese ancora tirandosi su e guardandolo in quegli occhi blu tornati freddi come il ghiaccio.
“Noi?”
“Noi, sì! Non mi lascerai da sola in casa! Questa volta sarò con te!”
“Maya…” – provò lui.
“Non ricominciare! Siamo appena usciti dall’orrendo equivoco che hai creato!” – mai era stata tanto decisa.
Un breve scambio di sguardi e Maya vide la sua resa.
“E sia!” – Masumi rilassò il capo sul cuscino – “Domani assisteremo di nascosto alla conversazione.”
“Come?”
“Dimentichi che ho vissuto alla villa fino a qualche settimana fa? Conosco ogni anfratto, ogni passaggio, ogni porta e corridoio!”
“Va bene.” – Maya lo strinse, consapevole del dolore che anche lui doveva aver provato nello scoprire l’intenzione omicida di suo padre.
C’era la possibilità che fosse impazzito? Come poteva essere altrimenti se attentava alla vita di suo figlio?
“Pensi sia impazzito?” – chiese, incapace di trattenersi.
“Eisuke?” – Masumi fece scorrere le dita lungo la curva della sua schiena – “No! No, amor mio. Non è impazzito. È lui, senza maschere, senza artifici morali. Non ha ottenuto ciò che voleva. Deve distruggere chi gliel’ha impedito.”
“Cosa farai, Masumi?”
Un pesante sospiro accompagnò il silenzio che seguì quella domanda.
“Non lo so. Devo ancora decidere… deciderò… per il nostro bene, per il tuo bene!”
“Sì.” – sarebbe stata con lui, qualunque fosse stata la sua decisione.
Si appisolarono. La tensione, le emozioni accumulate in quella giornata li avevano distrutti. Si svegliarono solo alle prime luci dell’alba, sollecitati anche dalla fame.
Sentì Masumi telefonare ad Hijiri per concordare l’incontro della mattina. Passarono il tempo che rimaneva facendo colazione chiusi in camera: non potevano rischiare che qualcuno lo vedesse e lo riconoscesse. Quella stessa sera, forse, avrebbe dovuto spiegare alla stampa ed alle forze dell’ordine che si era trattato di un equivoco. Che un suo sottoposto aveva guidato l’auto e che l’uomo non era morto, ma che era stato coperto dai paramedici per proteggerlo dall’assalto della stampa. Che con l’equivoco che si era creato, si era preoccupato di tranquillizzare sua moglie ed i suoi conoscenti più stretti, prima di dare la corretta versione dei fatti.
Lasciarono l’albergo in compagnia di Hijiri. Durante il tragitto riepilogarono le successive mosse. Maya non lasciava mai la mano di suo marito: troppo vicino era ancora il ricordo del dolore.
Fermarono l’auto davanti all’ingresso del parco ed osservarono l’andirivieni del traffico per qualche minuto. Compreso che nulla avrebbe disturbato le loro mosse, si diressero verso l’entrata secondaria sul retro. Aprirono piano il piccolo cancello in ferro nascosto dai rampicanti. Prudentemente avanzarono sul vialetto verso le cucine, costeggiando aiuole piene di violette e perfettamente custodite anche nel periodo invernale. Karato si era informato: per l’incontro con Koji, Eisuke aveva dato il pomeriggio libero a tutti i domestici tranne al suo assistente personale. La porta non era chiusa a chiave: attraversarono l’ambiente solitamente invaso dalla servitù. Elettrodomestici, stoviglie, pane…
Uscirono silenziosamente sul corridoio e si diressero verso la stanza adiacente allo studio, dall’altra parte del piano terra. Hijiri guidava il gruppo e si fermò al fianco delle scale avvertendo il rumore della carrozzina a motore del vecchio Eisuke. Il ronzio si stava avvicinando e tutti trattennero il fiato nella speranza che non voltasse nella loro direzione. Passarono alcuni secondi durante i quali il rumore si fece sempre più forte per poi interrompersi.
Si guardarono negli occhi, timorosi, preoccupati. Cosa sarebbe successo se Eisuke avesse voltato la carrozzina dalla loro parte e li avesse visti? Se avesse visto suo figlio, tutto il loro piano sarebbe andato a rotoli ed il vecchio sarebbe stato libero di attentare ancora alla loro vita.
La marcia della carrozzina riprese e loro trassero un muto sospiro. Ora il ronzio sembrava allontanarsi come anche il pericolo di essere scoperti. Attesero che la porta dello studio si chiudesse dietro di lui e ripresero il loro percorso. Raggiunsero la porta ed entrarono, facendo attenzione a non far rumore. La stanza, attigua allo studio, era una piccola biblioteca organizzata in scaffali paralleli alti fino al soffitto, con una scrivania in un angolo ed un caminetto spento in quello opposto. Da quando Masumi si era stabilito in albergo era la stanza meno frequentata della villa. Prima era il suo rifugio: si faceva accendere il fuoco durante l’inverno, si versava un bicchiere di whisky dal tavolinetto dei liquori, prendeva un romanzo storico o un saggio economico e si sedeva davanti al fuoco scoppiettante. Ora lo stato d’abbandono era testimoniato dalle tende chiuse, dalla polvere sugli scaffali e dalla temperatura decisamente fredda.
Hijiri aveva portato un microfono direzionale ed il registratore: avrebbero ascoltato e memorizzato l’intera conversazione nella speranza che il vecchio si sbilanciasse sul ruolo che aveva sostenuto nell’incidente di Masumi.
Posizionarono l’attrezzatura ed attesero in silenzio. I minuti passavano lenti. Si guardavano negli occhi, silenziosi, troppo tesi per qualsiasi commento.
Dopo un periodo che reputarono infinito, sentirono una vettura passare sull’acciottolato del viale d’ingresso e fermarsi davanti al portone. Lo sportello sbatté. Il campanello suonò.
Koji era arrivato.
L’assistente lo fece accomodare e dopo pochi attimi udirono che entrava nella stanza adiacente. Accesero l’apparecchiatura, mentre i cuori iniziarono a battere nei petti e le mani a sudare copiosamente. Quei minuti avrebbero deciso se si sarebbero liberati o meno di quella minaccia; se Eisuke Hayami si sarebbe o meno arreso.
“Ha fatto un ottimo lavoro. Spero che il suo capo si sia congratulato con lei!”
La prima frase e la conferma. Se ce ne fosse stato bisogno.
view post Posted: 14/10/2013, 22:34 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Che belli David e Angie... Anche se poi ci tocca sopportare Marcus...

Ricordo male oppure qualcuno dei sakurakoji assistette alla donazione di sangue di Hector? Ho nella mente l'immagine di Laura che guarda. Ma forse ricordo male.
view post Posted: 11/10/2013, 12:12 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Sono proprio fuori! Soprattutto Marcus, ma come gli viene in mente di prestare fede ad Heinz, soprattutto vista la sua professione di avere i sentimenti di Maasumi e quanto Heinz gli ha fatto male!
A parte questo, concordo con Fulvia per quanto riguarda la famigliola newyorkese!
view post Posted: 8/10/2013, 21:28 Incontri - Fanfictions
Ora iniziano dei capitoli un po' difficoltosi perché rappresentano la fine della storia e spero di riuscire a tenere alta la tensione.
Fatemi sapere cosa ne pensate... se ho sforato troppo nella melodrammaticità, se ho esagerato in qualche senso, le vostre impressioni... per migliorarmi e non deludervi.

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CAPITOLO 41
Il momento era giunto. Di lì a qualche ora sarebbe risultato morto. La vita era veramente beffarda. Aveva disperato fino alla fine di raggiungere la felicità e ora che l’aveva agguantata, suo padre, la persona che avrebbe dovuto proteggerlo, lo voleva morto.
Vide la signorina Mitsuki entrare nella sala delle conferenze che aveva affittato per l’occasione al SunRise Hotel. Si affrettò a raggiungerlo con la cartella dei documenti stretta al seno. Hijiri l’aveva chiamato informandolo di cos’aveva fatto Eisuke. Masumi l’aveva contattata, proponendole di incontrarsi per parlare del suo futuro. Era stato un colloquio stimolante ed erano giunti ad un accordo. Mitsuki sarebbe rimasta al suo fianco come sua assistente nell’attività che si accingeva ad annunciare e, se Maya avesse voluto, sarebbe stata anche la sua agente, con la possibilità per il futuro di scegliere l’una o l’altra carriera.
“Signore, sono quasi tutti arrivati, come da programma.”
“Ottimo. Annunci pure che fra dieci minuti la conferenza stampa avrà inizio.”
La donna passò nell’altra stanza.
Masumi si affacciò un attimo e vide l’origine del vociare che sentiva anche da dove si trovava. Erano tutti volti noti, naturalmente. Si aspettava domande scomode ed era anche per questo che non aveva permesso a Maya di accompagnarlo.
Si accese una sigaretta, l’ennesima di quel giorno, e la fumò nervosamente fino all’ultima tirata. Hijiri gli si affiancò.
“Tutto sistemato, per dopo?”
“Sì. Ho preso i contatti con chi di dovere. La messinscena durerà meno di 24 ore. Koji ha preso appuntamento con tuo padre per il pagamento del lavoro per domani mattina.”
Un leggero cenno di assenso. Uno sguardo gravido di preoccupazione.
“Maya?”
“Dovrò avvisarla appena sarà successo.”
“Vuoi veramente rischiare che lo scopra in altro modo? Le televisioni daranno fin da subito ampio risalto alla notizia, soprattutto dopo la diretta della conferenza stampa. Inoltre, l’incidente è previsto poco distante da qui.”
“Già…” – un sospiro – “Ma non posso permettere che si preoccupi inutilmente. Ce l’avrebbe con me per essermi esposto!”
Hijiri lo guardò rassegnato. Era difficile smuoverlo, quando si convinceva di qualcosa. Definiti gli ultimi dettagli, si avviò verso il parcheggio sotterraneo dell’hotel dove erano posizionate le loro auto, lasciando che il suo capo e Saeko, sopraggiunta nel frattempo, facessero quel che dovevano.
“Signore, io vado.” – gli disse Mitsuki. Avrebbe tacitato i giornalisti prima del suo ingresso.
L’uomo prese in mano i documenti di cui necessitava ed entrò nella sala incedendo sicuro verso il centro del tavolo. Nel silenzio totale, si sedette, posò i documenti di fronte a sé ed alzò lo sguardo sul pubblico.
Quante volte aveva fatto quegli stessi movimenti? Quante volte il suo sguardo glaciale aveva zittito valenti operatori di stampa? Ora si trovava lì, orfano della sua posizione privilegiata a capo della Daito, pronto ad annunciare al Giappone quale sarebbe stato il suo futuro.
“Signori,” – iniziò con voce decisa – “vi ho invitato qui, oggi, perché immagino abbiate molte domande su quanto avvenuto la scorsa settimana e perché è ora che annunci quale sarà il mio futuro come Masumi Fujimura.”
Un brusio interessato si levò dalla piccola platea. Forse qualcuno neanche aveva creduto che lui avesse rinunciato al suo cognome altisonante.
“Dal prossimo lunedì” – continuò indifferente – “aprirà i battenti la Fujimura Production. La casa di produzione sarà di medio-piccole dimensioni ma il personale è già stato selezionato e contiamo di reinvestire i proventi fino a competere con le major del settore. Stiamo trattando l’acquisto di alcuni teatri per la prossima stagione, mentre sono iniziati i contatti con alcune compagnie teatrali di rilievo.”
Questo disse Masumi, sorvolando naturalmente sul fatto che lo Shuttle X sarebbe stato di sua proprietà. Trascurò anche di dire che i contatti con i proprietari dei teatri che aveva nominato erano iniziati parecchio tempo addietro, tramite Hijiri. Nel giro di poche settimane gli atti di trasferimento della proprietà sarebbero stati perfezionati ed avrebbe potuto definire anche gli ultimi particolari per gli spettacoli in programmazione.
“Questo, signori,” – riprese – “è quello che farò. Per quanto concerne invece il mio nuovo stato di coniugato, credo sia stato tutto spiegato nell’articolo pubblicato su Tokyo News lo scorso lunedì.”
L’uomo concluse. Bevendo un sorso d’acqua dal bicchiere che aveva di fronte, scambiò uno sguardo d’intesa con la signorina Mitsuki al suo fianco la quale prese la parola.
“Signori, il signor Fujimura risponderà alle vostre domande. Prenotatevi per alzata di mano. Verrà dato spazio a tutti.”
Mitsuki provvide a cedere la parola ai vari giornalisti, consentendo a colui che era tornato ad essere il suo datore di lavoro di rispondere a chi e come preferiva.
“Signor Ha… Fujimura, nell’articolo che ha citato, quanto c’è di vero e quanto invece è frutto di romantica quanto comoda invenzione?”
Un sorriso sardonico comparve sul volto di Masumi, mentre assaggiava il gusto maligno di quella domanda. Prima che potesse prendere la parola però Mitsuki intervenne.
“Il signor Fujimura ha già detto che…”
Con un gesto della mano la bloccò.
“La ringrazio per l’occasione che mi sta dando. Le parrà strano nel nostro mondo, ma ogni parola che è stata scritta in quell’articolo è vera. Mette forse in dubbio anche la professionalità del suo collega oltre che la mia parola?”
“Beh, riflettevo solo sull’influenza che ha avuto sui suoi ‘sentimenti’ il fatto che la signorina Kitajima si sia rivelata l’aggiudicataria dei diritti della Dea Scarlatta…”
Se l’era immaginato. Il freddo calcolatore non poteva sposarsi perché innamorato. Cosa si aspettava? Lui stesso l’aveva anticipato anni addietro: avrebbe sposato solo una donna utile alla Daito, un computer l’avrebbe scelta per lui.
“Come avrà notato, non ho nominato la Dea Scarlatta nel mio primo intervento. Non l’ho fatto perché Maya sarà l’unica detentrice di quei diritti, così come non subirà le conseguenze negative di un mio eventuale fallimento.” – la voce era ferma e lo sguardo deciso. Non aveva bisogno di camuffare alcunché, non era altro che la verità.
“Allora perché aspettare tanto?” – insistette il giornalista.
“E’ la mia ultima risposta per lei. I rapporti con Maya non sono mai stati facili per il ruolo avverso che ho sempre ricoperto nei confronti della sua compagnia. Ho atteso che le cose cambiassero.”
Prima che l’uomo accennasse un’altra domanda, la signorina Mitsuki diede la parola ad un altro intervistatore.
“Era veramente solo ammirazione quella che provava per la signorina Kitajima quando l’ha conosciuta?”
Una grassa risata sgorgò dalla sua gola.
“Dica un po’… la ricorda, vero, nelle sue prime apparizioni?” – se Maya stava guardando l’intervista, sperò che cogliesse la verità nelle sue parole – “Lei pensa veramente che il mio interesse nei suoi confronti potesse essere più che ammirazione professionale?” – la risata continuò ad aleggiare nella sala.
Il povero giornalista si incassò nelle spalle arrossendo vistosamente anche per aver sprecato la sua occasione.
“Lei, in fondo, prego…” – continuò la donna.
“Ci scusi se insistiamo, ma la signora non è che sia cambiata poi molto, no?”
Uno sbuffo, infastidito stavolta.
“Forse non era presente alla rappresentazione della Dea Scarlatta o non ha partecipato al ricevimento successivo o, ancora, non ha visto le foto del nostro matrimonio?” – e anche questo fece la fine di chi l’aveva preceduto – “Veramente, vogliamo continuare a parlare del mio matrimonio? È una delle poche cose chiare ad oggi.”
La domanda successiva riguardò i teatri con cui aveva contatti.
“Non posso rivelare i nomi dei teatri. Inficerei le trattative in corso. Come non posso accennare nulla in merito alle compagnie coinvolte.” – li anticipò.
Un mormorio di lamentele si levò dalla platea.
“Tutto a tempo debito, signori. Vi posso assicurare che non lesinerò informazioni al momento opportuno.” – già, lui aveva fatto del talento di manipolare i mass-media la sua fonte di ricchezza.
“Signor Fujimura, cosa pensa invece dell’atteggiamento di suo padre?”
“A che proposito?”
“Beh, come ha preso la rinuncia al cognome degli Hayami?”
“Me lo dica lei. Sarà sicuramente più informato di me.”
Masumi notò un sorrisetto sfuggire dalle labbra di Mitsuki.
“Sembra che abbia affidato agli avvocati di famiglia l’incarico di estrometterla dagli affari e che abbia intenzione di trovare un sostituto per la direzione della Daito Art Production.” – sciorinò saccente l’omuncolo.
“Allora sapete tutto. Non ho altro da aggiungere.” – in realtà l’avrebbe avuto, pensò con amarezza, ma un malsano affetto filiale e la mancanza di prove gli impedivano di muovere accuse pesanti.
“Cosa ne pensa, signor Fujimura?”
“Fossi stato in mio padre,” – con il suo carattere e la sua avidità – “avrei fatto lo stesso.”
“Quando potrà rivelare nuovi dettagli circa la nuova casa di produzione?”
“Contiamo di chiudere tutte le trattative nell’arco di un mese, per permettere alle compagnie ingaggiate di provare con dovizia tutti i nuovi spettacoli in attesa della riapertura della stagione del prossimo anno.”
“La signorina Kitajima sarà una delle attrici scritturate?”
Era veramente tanto difficile ritenerla sua moglie?
“La decisione sarà naturalmente solo sua. Sarà impegnata con la messa in scena della Dea Scarlatta. Vedremo come si evolverà la situazione.”
Con un ultimo cenno alla platea, si alzò in piedi e si diresse alla porta da cui era entrato. Sentì la signorina Mitsuki congedare tutti gli addetti stampa. Lui raggiunse Hijiri, allentandosi la cravatta.
“Tutto pronto?”
“Sì, signore. Diamo inizio allo spettacolo!”

Maya aveva seguito tutta la conferenza stampa tramite la televisione via cavo dell’hotel. Le domande dei giornalisti su di lei l’avevano alterata: volevano insudiciare tutto ciò che di puro c’era stato tra loro. Che ne sapevano dei sacrifici di entrambi? Che ne sapevano del dolore patito da Masumi in quegli anni? Lei stessa non ne poteva avere idea visto che era vissuta nell’ignoranza. Poteva solo immaginarlo, ma la fantasia era niente in confronto alla realtà.
Si erano trovati da pochi mesi ed ora arrivavano degli sconosciuti che si permettevano di insinuare un interesse morboso di Masumi nei suoi confronti, un’attenzione malata verso una ragazzina di tredici anni!
Solo la risposta infastidita di Masumi le faceva tornare il sorriso.
“Dica un po’… la ricorda, vero, nelle sue prime apparizioni? Lei pensa veramente che il mio interesse nei suoi confronti potesse essere più che ammirazione professionale?”
Le aveva fatto tornare in mente come si comportava, la fanciullina spavalda che era, le loro prime schermaglie, i loro primi incontri. Quando le aveva indicato il posto durante il primo spettacolo a cui aveva assistito. Lui così elegante e ben educato, lei così ordinaria ed impacciata. L’incontro a casa della signora Tsukikage e la visione del suo lato spietato. Il suo salvataggio dai cani nel cortile della compagnia Ondine. Il primo spettacolo da attrice: le critiche negative assoldate da Masumi Hayami ed il primo mazzo di rose scarlatte donato dal suo ammiratore. Il peccato e l’ammenda. Con una mano toglieva, con l’altra le donava più di quanto avesse tolto.
Quante volte si erano scontrati? Quanti litigi? Quanti alterchi? Si erano trovati su fronti opposti ed avevano agito di conseguenza, apparentemente. E dietro le apparenze, Masumi l’aveva sostenuta. Dall’ombra aveva costituito lo scoglio cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà. Alla fine, dopo la morte di sua madre, era stato disposto anche a muoversi in suo favore alla luce del sole, ma tutti erano talmente abituati a vederli in conflitto, lei compresa, da non aver còlto il cambiamento: il sostegno dopo al morte di sua madre, lo stralcio del suo contratto con la Daito, l’aiuto per lo spettacolo al parco, l’indirizzamento alle selezioni delle Due Regine, lo spettacolino alla prima di Isadora…
E quegli idioti volevano rovinare tutto! Non l’avrebbe permesso.
Ripensò all’altra risposta di Masumi, quella per il giornalista che sosteneva che non fosse cambiata.
Incredulità sul suo volto; un bagliore di desiderio nel suo sguardo; calore nel cuore di Maya. Implicitamente aveva fatto capire di trovarla ‘affascinante’. Mai una volta l’aveva chiamata ‘ragazzina’, un nomignolo che ora era solo loro, privato.
Per quanto riguardava invece la casa di produzione, naturalmente, Masumi le aveva anticipato già tutto, mettendola anche a conoscenza del fatto che la sua società era la proprietaria dello Shuttle X. Maya non aveva ancora pensato a cosa fare dei diritti di rappresentazione. Si fidava ciecamente di Masumi ed avrebbe voluto cederglieli, ma l’uomo era stato categorico: i diritti erano suoi e suoi sarebbero rimasti. Avrebbero però potuto ‘lavorare’ insieme per rendere indimenticabile la messa in scena dello spettacolo.
Lavorare insieme a Masumi. Supportarlo. Imparare cose nuove. Recitare per lui senza doversi nascondere. Che bello!
La televisione continuava a trasmettere la sua programmazione mentre Maya girovagava per la suite mettendo in ordine qua e là. Un capo d’abbigliamento nel cesto per la lavanderia; una camicia nell’armadio; i cuscini al loro posto; le stoviglie della colazione fuori dalla porta.
Fu in quel momento che squillò il telefono della reception. Uno sguardo sorpreso si dipinse sul suo volto mentre ascoltava il suo interlocutore e affermava di far salire la sua ospite.
Ayumi! Finalmente l’avrebbe rivista! Non era venuta al suo matrimonio, le aveva scritto che non poteva presenziare alla cerimonia perché era fuori dal paese. Era tornata! Chissà come aveva preso la notizia che Masumi era diventato suo marito.

Aveva lasciato da pochi minuti il parcheggio sotterraneo dell’hotel. Percorreva a velocità moderata le strade della capitale che l’avrebbero condotto da Maya.
Stava rischiando la sua vita e lo sapeva, ma avrebbe fatto di tutto per quella persona: l’aveva salvato.
Sapeva che entro qualche chilometro sarebbe andato in blocco il volante, mentre i freni già adesso non funzionavano più. Rallentava solo aiutandosi con il freno-motore. Aveva parlato con lo yakuza che aveva manomesso l’auto. Avrebbe avuto pochi secondi per lasciare il mezzo e mettersi in salvo dallo schianto, ma… un attimo di ritardo nel lanciarsi nel vuoto, una caduta scomposta, un’altra autovettura che sopraggiungeva all’improvviso avrebbero potuto fargli rischiare quanto il rimanere seduto al posto di guida.
Il piede, abituato dagli anni alla guida, premette inutilmente il pedale del freno. Scalò la marcia e sentì il motore urlare.
Si stava avvicinando inesorabilmente al luogo previsto per l’impatto: una curva con una lunga via di fuga ed un palo dell’illuminazione pubblica nel mezzo. Un leggero prato costeggiava la strada. Avrebbe dovuto indirizzare l’auto verso il palo ed accelerare. Pochi secondi prima dell’impatto avrebbe dovuto saltare fuori dalla vettura atterrando sul prato e rifugiandosi tra i cespugli. Un fantoccio avrebbe fatto le sue veci quando l’ambulanza (fasulla) sarebbe giunta provvidenzialmente entro pochi secondi perché lo stava seguendo a poche decine di metri di distanza. I paramedici (fasulli) avrebbero constatato la morte di Masumi Fujimura ed i media avrebbero urlato la notizia.
Eisuke Hayami l’avrebbe saputo e avrebbe chiamato Koji per complimentarsi e confermare l’appuntamento del giorno successivo per il pagamento del compenso.
Sentì il volante farsi rigido sotto le sue dita. Inquadrò il palo su cui avrebbe dovuto schiantarsi alla fine del rettilineo. Indirizzò l’auto verso di esso e accelerò.
Controllò dallo specchietto retrovisore che non vi fossero ospiti inattesi. Vide i lampeggianti spenti dell’ambulanza poco dietro.
Piegò le labbra in un sorriso mentre iniziò a forzare la portiera dell’auto in corsa per aprirla e gettarsi nel prato. Sentì l’impatto con il guard-rail nel momento stesso in cui la spalancò. Rumore assordante di lamiere accartocciate; il motore che urlava a pieni giri mentre fiondava il veicolo verso il suo obiettivo ultimo.
Saltò, sperando di non aver tardato troppo, di non cadere su un sasso nascosto nell’erba, di non rompersi qualche osso.
Lo schianto dietro di lui: lamiere distrutte, vetri in frantumi ancora al loro posto ripiegati su se stessi, il motore fumante.

Maya accolse Ayumi anche se non sapeva cosa aspettarsi. Il sorriso radioso della rivale, però, la rassicurò. Si abbracciarono strette, come le due amiche che erano diventate, uniche a poter dire di comprendersi veramente l’una con l’altra. Ayumi per prima aveva capito il suo genio ed aveva faticato nel misurarsi con lei. Maya aveva compreso da subito la grandezza della rivale e più volte, durante la sua carriera, questo l’aveva spronata a migliorarsi, ad andare avanti.
“Maya…” – esordì Ayumi – “mi ha proprio sorpreso quell’articolo.” – si accomodò, mentre l’amica l’invitava – “Come sai ero fuori e non ho potuto partecipare… mi sarebbe piaciuto.”
Maya le si sedette di fronte, sorridente.
“E’ spiaciuto anche a me, Ayumi, non vederti. Non ho potuto dirti nulla prima perché era tutto segreto a causa dell’annullamento del matrimonio di Masumi con Shiori e la successiva reazione di suo padre.”
“Lo immagino.” – Ayumi osservò il portamento fiero della sua rivale. Il matrimonio le aveva giovato – “Non deve essere stato un bello spettacolo.”
“No… ma non te ne curare.” – Maya sospirò – “Dimmi di te, piuttosto! Come è andato il viaggio all’estero? Dove sei stata?”
“Oh… niente di speciale.” – tergiversò la ragazza. I morbidi capelli, ora più corti, erano sciolti sulle spalle, mentre un piccolo berretto nascondeva la piccola zona della testa che aveva dovuto rasare per l’operazione e su cui i crini stavano ricrescendo – “Sono stata a fare un giro in Cina con Hamill. Nessuno lo sa. Sono andata in incognito.”
Maya la lasciò un attimo, andando ad accogliere il servizio in camera che aveva allertato mentre Ayumi stava salendo. Le servì del tè e, mentre sorseggiava dalla sua tazza, le chiese se non avesse anche lei delle novità da raccontarle.
Ayumi le rivolse uno sguardo felice ed accennò uno dei suoi garbati sorrisi.
“Sì, Maya. Anch’io.”
“Ne sono felice.”
Continuarono in quel modo per parecchi minuti, raccontandosi gli avvenimenti delle ultime settimane.
Ayumi era anche curiosa di scoprire come avesse capito che Masumi Hayami fosse il suo donatore e come l’avesse presa.
Per la prima volta, Maya confidò i propri pensieri ed i propri sentimenti ad una persona che non era Masumi. Le raccontò alcuni degli aneddoti principali, tenendo per sé quelli che lei considerava ricordi preziosi come gemme. Le raccontò di sua madre e di come l’avesse accusato, nascondendo a se stessa le proprie colpe. Le raccontò della prima di Lande Dimenticate. La gioia di quando lo vedeva. La tristezza di saperlo di un’altra. Il dolore di non essere abbastanza. A mano a mano che il racconto procedeva, Ayumi comprese! Comprese una volta di più la grandezza di Maya Kitajima, comprese che tutti i sentimenti devastanti che aveva provato li aveva riversati nei suoi personaggi, in Akoya e nella Dea Scarlatta. Maya aveva tanto sofferto. Ayumi, al confronto, si sentiva veramente una principessa. Alla fine aveva affrontato la mancanza dei propri genitori (ma li aveva ancora entrambi!); aveva patito per il senso di inferiorità che Maya le ispirava (ma era servito a migliorarsi); aveva sopportato la cecità (che era stata temporanea).
Maya meritava quello che aveva ottenuto sul palcoscenico e nella vita, perché aveva talento, perché aveva lottato, perché mai si era arresa nonostante le avversità.
Ayumi era felice di essere passata a trovarla. Era dall’epoca delle Due Regine che non parlavano più come vecchie amiche. Ne aveva bisogno.
Dal canto suo, Maya era contenta di ritrovare in Ayumi l’amica di un tempo dopo i tanti mesi di rivalità che le avevano separate.
Erano nel mezzo del discorso, quando Maya colse metà frase di un cronista alla televisione che la fece raggelare.
“…mura è morto nell’incidente.” – doveva aver capito male!
Quanti uomini con un “-mura” nel cognome dovevano esserci in Giappone? Si voltò, pronta a smentire le sue paure, ma il cronista, impietoso, ribadì quella cruda verità.
“Ripeto, Masumi Fujimura è morto in un incidente automobilistico mentre tornava al suo albergo!”
Dov’era il pavimento? Perché non lo sentiva più sotto i piedi? E perché non si sentiva più il cuore in petto?
Masumi. Morto.
No! Non poteva essere vero. Non era possibile. L’aveva visto fino ad una manciata di minuti prima condurre la conferenza stampa.
Non vedeva più la televisione; non vedeva lo schermo rimandare le immagini della sua auto distrutta e fumante, non vedeva i paramedici caricare sull’ambulanza una barella con un cadavere infilato in un sacco nero. No! Non vedeva nulla.
Quanto tempo era passato? Cosa sapeva Maya?
Sapeva di essere morta, solo questo. Un’anima divisa a metà non è più viva.
Masumi le aveva detto di non preoccuparsi, che sarebbe andato tutto bene. Ma ora? Ora, cosa sarebbe andato tutto bene? L’aveva lasciata sola! Si sentì scuotere… chiamare…
Chi c’era con lei? Masumi? No… non era lui, lui era morto.
Ayumi? Sì, Ayumi era con lei fino a poco prima.
Alzò gli occhi asciutti dal pavimento. Era caduta in ginocchio e non se ne era accorta. Non riusciva a tirarsi in piedi. Dov’era finita la sua forza?
Ayumi la guardava terrorizzata. Chissà che aspetto atroce doveva avere. Cercò ancora di tirarsi su, ma non un muscolo rispondeva ai suoi ordini. Voltò il viso sullo schermo. La foto di Masumi campeggiava su metà del monitor, mentre nell’altra scorrevano le immagini dei Vigili del Fuoco che rimuovevano le lamiere fumanti in cui era ridotta la sua auto. Tutto il Giappone stava assistendo in diretta alla fine della loro vita.

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Abbiate fiducia e lasciatemi tempo... non uccidetemi subito.
view post Posted: 1/10/2013, 20:06 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Marcus mi inquieta ad ogni capitolo di più! Angosciaaa!
view post Posted: 29/9/2013, 09:37 Incontri - Fanfictions
CAPITOLO 40
Shiori non pensava. Non più. Il suo istinto non glielo permetteva. Il suo cuore non voleva. Liberò se stessa, arrendendosi a lui.
Le mani dell’uomo tra i suoi capelli le tenevano la testa modellandola per i suoi baci. Non ne aveva mai abbastanza. Il solido petto contro di sé; i lunghi capelli intrecciati alle sue dita; la pelle leggermente ruvida per la barba incolta che le stuzzicava il volto; gli occhi neri socchiusi che la scrutavano con ardore.
Ricambiò i suoi baci, dimentica dei dubbi che l’avevano assalita. Con cautela fece scorrere le piccole mani sul suo collo, fino ad aggrapparsi alle sue spalle. Sentì la forza dei suoi muscoli sotto le dita.
“Aki…” – sussurrò.
L’uomo sembrò attendesse quel segnale perché la sollevò tra le braccia e, riprendendo a baciarla suadente, attraversò tutto il soggiorno dirigendosi su un ampio soppalco, la sua camera, celata da una parete in vetro scuro satinato.
Si sedette sul letto matrimoniale tenendosela in grembo, senza lasciarle via d’uscita. Come se avesse avuto l’intenzione di andarsene! Sembrarono ripartire da dove avevano interrotto prima del matrimonio di Masumi. Una mano le serrò il fianco, mentre l’altra era sempre ferma sul suo collo. La baciò ancora, dolcemente, scendendo a volte lungo il collo esile. Quando le sfiorava l’orecchio o la carotide, sentiva i brividi scuoterla dalla spina dorsale fino alle gambe. In quei momenti, Aki insisteva finché non le risultava impossibile soffocare un flebile lamento.
La mano che prima era ferma sul fianco andò al volto, disegnando gentili carezze sulla sua pelle. Percorse il collo, laddove erano già passate le sue labbra. Si abbassò sullo sterno, facendole trarre un profondo respiro. Quando raggiunse i bottoncini della sua camicetta, le dita furono sostituite dalle labbra. Mentre umidi baci le venivano donati sulla pelle tesa, Aki si apriva un varco per approfondire le sue carezze.
Ad attenderlo trovò un reggiseno bianco, semplice, di seta, impalpabile.
La sfiorò appena, timoroso di fare qualcosa che la disturbasse, ma Shiori era persa nelle sue sensazioni: gli occhi e le labbra socchiusi, il capo reclinato. Non gli sarebbe mai bastato di vederla in quel modo.
Abbassò di nuovo il volto aspirando il tenue profumo che emanava ed assaggiando per la prima volta la sua morbida carne delicata. Aveva tirato da parte il sottile tessuto ed il seno si mostrava orgoglioso, quasi chiamandolo. Sentì le dita della donna aggrapparsi ai suoi capelli e sorrise, nascosto nel suo petto. Si prese tutto il tempo necessario, mentre Shiori avvertiva un fuoco che iniziava ad ardere nel suo ventre. Non sentì la camicetta che le veniva sfilata, né il reggiseno che veniva slacciato, troppo concentrata sulle emozioni che quelle labbra le suscitavano. Si trovò nuda di fronte a lui e non provò vergogna. Era davanti ai suoi occhi e l’espressione estatica sul volto del suo compagno la entusiasmava: non c’era spazio per i timori.
Baciandole il collo ed avvicinandosi al suo orecchio le sussurrò parole d’amore, mentre con le mani la spingeva a girarsi, arricciandosi la gonna ai fianchi e poggiando le ginocchia sul copriletto nero.
“Sei così bella, Shiori…” – ancora quella voce che le entrava dentro e la faceva vibrare. Ancora quelle labbra che la baciavano e la stuzzicavano sensuali. Ancora quelle dita che la esploravano e la stringevano.
Le sfuggì un singhiozzo quando Aki raggiunse il suo centro. La toccò delicato, sfiorandola appena ed attendendo le sue reazioni. Sospirò ancora il suo nome e solo allora l’uomo si fece avanti, scostando il tessuto ed insinuando un dito nel suo calore… piano, lentamente, abituandola a quella strana presenza, portandola a cercarlo. Non si muoveva, mentre le sfiorava il seno e le succhiava i capezzoli. Era lì, fermo, in attesa di un suo segnale, un segnale che Shiori ancora ignorava di poter dare. Si mosse lentamente in cerca di un maggior contatto.
“Brava… così… continua…” – approvò sulle sue labbra.
Sempre immobile, l’uomo osservava le sue reazioni ed i suoi movimenti. Vide quando il respiro si fece più accelerato; notò immediatamente quando lei comprese che doveva aumentare il ritmo per avere quello che ancora non sapeva di volere; sentì il suo gemito di passione quando un secondo dito si unì al primo e bevve i suoi ansiti direttamente dalle sue labbra mentre si avvicinava al suo primo attimo di piacere assoluto.
“Muoviti per me!” – la spronò, mentre sentiva la sua carne stringerlo ed il suo nome uscire da quelle labbra rosse e gonfie.
Si abbandonò tra le sue braccia esausta, appagata. La mano dell’uomo ancora su di sé mentre tentava di comprendere cosa fosse successo, cosa si fosse incendiato.
Sentì freddo quando sentì Aki ritrarsi.
Sentì caldo quando lo vide portarsi le dita alle labbra.
Credette di morire dal caldo quando la strinse e la portò con sé nel suo letto.
Si trovò stesa sulla schiena, praticamente nuda, con Aki in ginocchio tra le sue gambe che si toglieva la camicia scura. I lunghi capelli gli piovevano sul volto. Gli occhi la cercavano famelici.
Quando si stese di nuovo su di lei, sentì finalmente il contatto della sua pelle contro la propria e fu sconcertata dalle immediate reazioni del suo corpo: di nuovo i muscoli tesi, di nuovo il battito accelerato, di nuovo il desiderio di baciarlo. Lo baciò. Ancora e ancora, mentre Aki tentava di non gravarle addosso e si sfilava gli ultimi indumenti. Quando infine le si avvicinò, Shiori poté sentire per la prima volta la sua virilità spingere prepotentemente contro il proprio ventre.
Trattenne il respiro, cercando i suoi occhi. Aki dovette comprendere il suo smarrimento perché tornò a baciarla dolcemente.
“Tranquilla… Andrà tutto bene, te lo prometto.”
Annuì, Shiori, fidandosi di lui e delle sue parole. Allacciò le mani sul suo collo e ricominciò a baciarlo con rinnovata passione, come a voler dimenticare quella presenza sconosciuta tra di loro.
Corse a sfiorargli la schiena ed il petto, esplorò l’addome ed i fianchi. Tutto denotava un fisico asciutto ed allenato: i muscoli guizzavano ad ogni movimento e si tendevano al suo passaggio. Toccò con dita delicate la linea della mascella e gli tirò indietro i capelli.
Aki la lasciò fare, mentre con le mani la percorreva dalle spalle alla vita, dal seno alle gambe, dal ventre morbido alle ginocchia piegate. Ogni tanto la sfiorava nell’intimo.
Quando fu presa di nuovo dalla passione, le raccolse le gambe nelle braccia, esponendola totalmente, favorendo il proprio ingresso e tentando di ridurre al minimo il suo dolore.
Piano la penetrò di nuovo con un dito, ricordandole le sensazioni appena provate. Quando la sentì ansimare ancora le si accosto. Si guidò piano in lei, ondeggiando appena, facendola abituare.
Era talmente accogliente e calda che dovette attingere a tutta la sua forza per non muoversi tanto impetuosamente come l’istinto bramava. Arrivò alla sua barriera e si fermò, cercando le sue labbra per baciarla prima di avanzare ancora. Accolse il suo grido e bevve la sua lacrima.
“Shht… passa subito… fidati!” – la cullò. Non che lui avesse chissà quali esperienze in merito, ma sapeva che il suo corpo non avrebbe sofferto troppo a lungo.
“Come fai ad esserne sicuro?” – gli chiese scettica, avvertendo ancora il dolore della lacerazione.
In tutta risposta Aki si mosse. Una sola spinta.
“Senti ancora dolore?” – chiese – “Vuoi che mi fermi?”
“No!” – ansimò lei
Un sorriso gli increspò le labbra mentre artigliandole i fianchi con le lunghe dita iniziò finalmente quella danza che li avrebbe condotti insieme verso l’estasi.
Le mani infilate nei suoi capelli, gli occhi socchiusi, il corpo che si contorceva e le gambe strette ai suoi fianchi, Shiori era un capolavoro della natura mentre si mordeva il labbro inferiore nel vano tentativo di trattenere i gemiti.
Vedendola tanto appassionata, Mikami incrementò i suoi sforzi, lasciandosi definitivamente andare. Insieme si mossero, insieme si baciarono ed insieme unirono i propri piaceri, i propri cuori ed i propri spiriti. Infine, insieme giacquero.

Il buio… forse quello sarebbe stato l’ultimo giorno che aveva vissuto nel buio. L’oscurità era stata sua nemica, da principio, poi era divenuta sua alleata, quando le aveva consentito di competere alla pari con Maya per la Dea Scarlatta. Infine, era tornata ad essere causa di disagio. Non poteva vedere il sole, le foglie, Peter. Non poteva osservare le espressioni del suo volto. Doveva ‘accontentarsi’ delle inflessioni della sua voce e del tocco delle proprie mani.
Era notte fonda ormai, lo aveva capito dal silenzio che regnava nei corridoi della clinica. L’indomani mattina le avrebbero tolto le bende. Solo allora avrebbero potuto valutare se vi erano stati danni permanenti alla sua vista.
Sospirò. Cosa l’aspettava? Sarebbe potuta tornare a Tokyo e vedere finalmente Maya o sarebbe dovuta partire con Hamill inventandosi poi un incidente che l’avrebbe resa cieca? Tutto si sarebbe deciso da lì a poche ore.
La tentazione di alzarsi, andare in bagno e sciogliere da sola quella dannata fasciatura era forte, ma il dottore si era raccomandato in tal senso: occorreva seguire la procedura per limitare al minimo lo shock per i suoi occhi lontani dalla luce da tanti mesi.
Si girò per l’ennesima volta nel suo letto.
Il pensiero corse ai suoi genitori. A come le erano stati vicini nelle ultime settimane ed alla mancanza che aveva invece avvertito quando era piccola. Era stato un circolo vizioso: Ayumi voleva che fossero orgogliosi di lei e si mostrava indipendente e seriosa. I suoi genitori, vedendola tanto matura, la trattavano da adulta, lesinando le dimostrazioni d’affetto e d’attenzione.
Si accucciò sotto le coperte, cercando di scacciare quei brutti pensieri.
Andrà tutto bene! Andrà tutto bene!
Se lo ripeteva come un mantra e, continuando a ripeterselo, riuscì ad addormentarsi.
Si risvegliò con il richiamo di sua madre che le scuoteva la spalla.
“Ayumi, svegliati. Fra un po’ arriverà il dottore.”
La ragazza si riscosse immediatamente. Si tirò a sedere sul letto, cercando di rassettarsi i capelli sicuramente sconvolti. Si alzò e si diresse in bagno, rifiutando con un sorriso l’aiuto di sua madre. Quando ne uscì, sentì che c’era Peter con lei.
“Papà?” – chiese solo, cercando di sembrare disinteressata.
“Arriverà fra poco.” – le rispose sua madre.
“Veramente?” – non riusciva a crederci ed infatti sua madre dovette capirlo perché la rassicurò.
Ayumi si riposizionò sul letto. Rimasero in silenzio, attendendo il dottore.
Quando entrò nella camera, seguito dalla sua équipe, la salutò cordialmente. Cercò di metterla a proprio agio, scambiando alcuni convenevoli.
Lo sentì sedersi sul letto al termine della spiegazione sulla procedura che avrebbero seguito. Iniziò a sciogliere il nodo alla fasciatura. Stava ormai iniziando a svolgere le bende, quando Ayumi sentì la porta aprirsi e chiudersi silenziosamente.
“Papà?” – chiamò.
“Sì, bambina, sono qui.” – Ayumi allungò una mano e se la sentì stringere.
Il neurologo, nel frattempo, continuava a svolgere i teli sottili. Le veneziane furono tirate fino a creare una leggera penombra nella stanza. Ayumi sentiva la tensione aumentare in proporzione all’assottigliarsi della sua fasciatura. Quando anche l’ultimo strato cadde nelle mani del medico, rimase ad occhi chiusi, timorosa. Sentiva le palpebre tremare, timorose anch’esse. Sempre impavida, ora aveva paura.
Sentì forte la stretta di suo padre, come anche la voce di sua madre. I suoi genitori insieme a lei in quel momento di speranza e paura.
“Apra gli occhi.” – le chiese il dottore – “Lentamente.”
Non potendo più fuggire quel momento, si fece forza. Gli occhi le sembrarono pesanti, come macigni. Li socchiuse prima, scorgendo un leggero bagliore dalla piccola fessura.
Forse… forse poteva sperare. Era arrivata al punto di vedere solo ombre, prima dell’operazione. Già quel bagliore era un miracolo.
Abbassò di nuovo le palpebre. Trasse un profondo sospiro. Riaprì gli occhi con maggior decisione.
Un lampo di luce. Abbagliante. Che lentamente si affievolì fino a definire le sagome che le stavano davanti. Sì, poteva sperare!
Un altro battito di ciglia. La luce tenue non l’accecava più, le sagome divennero più definite e riuscì a distinguere anche i colori dominanti. Credette di riconoscere il viso di sua madre.
Un ultimo battito di ciglia. Vedeva! Le sue pupille non erano più vuote. Distingueva i volti ansiosi dei propri genitori, quelli professionalmente interessati dell’équipe medica, quello pieno di speranza e di fiducia di Peter. Fece vagare lo sguardo dall’uno all’altro, sbattendo piano le palpebre.
Tutti erano in attesa di una sua parola. Gioia o disperazione.
“Mamma, mi prenderesti il Tokyo News di lunedì? Vorrei vedere Maya in abito da sposa!” – la voce ferma, ma gli occhi vivi e lucidi.
“Sì.” – rispose sua madre, portandosi la mano alle labbra a trattenere un singhiozzo.
Suo padre si tolse gli occhiali, iniziando a pulirli per nascondere l’emozione.
I dottori si congratularono per l’ottimo risultato.
Peter. Peter la guardava. Le sorrideva. Finalmente lo rivedeva. Riesaminò i suoi tratti. Il mento volitivo, il naso stretto e pronunciato, gli occhi azzurri, i lunghi capelli biondi. Era lui. Ritrovava in quello che vedeva le scoperte delle esplorazioni effettuate con le dita.
Una lacrima percorse il profilo del suo volto. Aveva disperato di poterlo rivedere ed invece, ora, l’aveva di nuovo davanti agli occhi. Allungò la mano libera verso di lui.
“Peter!” – chiamò.
L’uomo la raggiunse. Le prese la mano tra le sue, la strinse e se la portò al volto baciandola ed accostandola alla guancia.
La mattina trascorse euforica: i suoi genitori non l’abbandonarono mai, né Peter la lasciò sola, sfidando la gelosia di suo padre sotto lo sguardo divertito di Utako.
Quando i medici confermarono che l’operazione era completamente riuscita, prepararono i documenti per il ritorno a casa. In alcuni momenti di pausa, Ayumi riuscì a leggere il giornale e a vedere con i propri occhi Maya che sposava Masumi Hayami. Era raggiante, in quella foto. Il giornalista aveva ripreso gli sposi che uscivano dalla cappella, accolti dagli amici di sempre. Entrambi sorridevano. Ayumi non ricordava di aver mai visto quell’uomo con una tale espressione vittoriosa ed appagata.
Era quasi mezzogiorno quando tutti furono pronti per lasciare la clinica. Si diressero all’albergo per recuperare i bagagli di Hamill e dei signori Himekawa, per poi proseguire verso l’aeroporto. Nel primo pomeriggio ci sarebbe stato il volo di linea che li avrebbe riportati nella capitale.
Ayumi non vedeva l’ora di andare a trovare la signora Tsukikage per tranquillizzarla e, naturalmente, voleva parlare con Maya.

Il sole le feriva gli occhi. Accidenti! La sera precedente aveva dimenticato di tirare le pesanti tende in velluto della sua camera. Eppure era sua abitudine. Perché l’aveva dimenticato? Mentre Shiori cercava di ripercorrere con la mente le ultime azioni prima di coricarsi, ricordò tutto: la visita al museo, la cena con Aki, la fuga a casa sua, …
Si sentì andare a fuoco per l’imbarazzo e l’emozione. Non era stato solo un sogno? Non aveva immaginato di toccarlo, di essere baciata in angoli reconditi del proprio corpo? La risposta le giunse chiara in mente: no. Non aveva immaginato nulla. Non avrebbe potuto spingersi tanto in là.
Si trovava nel letto dell’uomo che le aveva fatto dimenticare chi era, la sua provenienza, le sue origini, senza farla pentire.
Sono pentita?
Ascoltò in silenzio il respiro calmo e cadenzato accanto a sé. Avvertì il calore gentile che proveniva dalla sua parte.
No!
Aprì gli occhi. Erano puntati sul soffitto chiaro, rustico, su cui spiccava un canale in acciaio per l’impianto di condizionamento. Voltò la testa verso la finestra. Il cielo era nuvoloso. Gruppi di nuvole pesanti di pioggia vagavano all’orizzonte. Guardò verso l’uomo al suo fianco. Dormiva placidamente. I capelli scomposti sul cuscino, il volto girato di lato, le coperte che a malapena nascondevano il suo petto.
Lentamente, cercando di fare meno rumore possibile, si alzò a sedere tirandosi le lenzuola appresso, memore della sua nudità.
Stava per tirarsi in piedi quando un braccio muscoloso le circondò la vita facendola cadere all’indietro.
“Dove credi di andare?” – le chiese con tono fintamente minaccioso.
“Io… credevo che dormissi… volevo… il bagno…” – balbettò.
“Dopo!” – e le chiuse la bocca con la propria, peggiorando la condizione già precaria del suo cervello.
“Cosa fai?” – riuscì a chiedere lei.
“Ti do il buongiorno… ed evito che pensi troppo rischiando che ti penta di questa notte!”
“Non sono pentita!” – riuscì ad affermare la donna con voce ferma.
“Non adesso. Ma quando vedrai le chiamate perse presenti sul tuo cellulare?”
“Chiamate perse?” – chiese attonita.
“Già. È dalle prime luci dell’alba che lo sento suonare ad intervalli regolari dal soggiorno!”
“Oh, accidenti! Ho dimenticato di avvisare a casa!”
Proprio in quel momento il telefono riprese a suonare e Shiori, dimentica di tutto, corse nuda verso l’altro ambiente per rispondere.

Aveva perso il conto di quante volte quel dannato telefono aveva squillato. Fortunatamente era dall’altra parte dell’appartamento e si sentiva appena, altrimenti avrebbe svegliato anche lei. Immaginò la faccia di Yeyasu Takamiya se avesse risposto una voce maschile al telefono dell’adorata nipote.
Shiori gli dormiva al fianco, abbandonata nel sonno come lo era stata nell’amore. Amore? Sì, credeva proprio di sì. Non era stato il rapporto di una sera, quello lo sapeva già da prima. Ma non era nemmeno quello di una relazione che dura qualche mese. Aveva provato una vera comunione dei sensi e degli spiriti.
Dopo che si era svegliato, l’aveva osservata per tutto il tempo; ogni espressione che era passata sul suo volto, ogni ciocca di capelli che vibrava al suo respiro, ogni tratto del suo viso che ormai conosceva bene come il proprio. Quando aveva avvertito il suo respiro farsi più leggero, aveva capito che si stava svegliando. Aveva udito un mugolio infastidito e poi un sospiro trattenuto: la luce del sole sul volto ed i ricordi della notte appena trascorsa.
Aki aveva chiuso gli occhi. Quando l’aveva sentita tirarsi su, non aveva resistito e l’aveva agguantata, nel timore che si facesse prendere dai dubbi.
L’aveva vista saltare letteralmente dal letto, senza coprirsi, dimenticando ogni pudore, nella fretta di andare a fugare ogni timore nella sua famiglia.
Aki sedette sul letto. Raccolse un ginocchio al petto appoggiandovi un gomito. Si passò le dita tra i capelli riavviandoli. Vide la sagoma di Shiori muoversi attraverso il cristallo opalescente. La sentiva parlare concitatamente, spiegando al suo interlocutore (suo nonno?) di non preoccuparsi ché stava bene, di aver solo dimenticato di avvisarli che avrebbe passato la notte fuori città per un improvviso impegno di lavoro (evidentemente l’unica ragione, dal punto di vista di suo nonno, che potesse giustificare una notte fuori casa). Storse la bocca in un ghigno. Presto non avrebbe più avuto bisogno di tali scuse.
Decise di alzarsi per recuperare la sua compagna. Infilò un leggero paio di pantaloni in cotone e, scalzo, si diresse verso di lei passeggiando sul caldo pavimento in legno. La donna stava posando in quel momento il ricevitore e si voltò a guardarlo.
Si ricordò allora di essere nuda perché iniziò a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca di qualcosa con cui coprirsi.
Vedendola imbarazzata, il giornalista tirò a sé il telo di cotone che usava come copri divano e glielo drappeggiò addosso, avvolgendola in un abbraccio. Shiori lo ringraziò.
“Tutto sistemato?” – chiese.
Assentì, rifugiandosi in quel bozzolo di fresco tessuto.
“Cosa succede adesso, Aki?”
“Beh… vorrei che prendessi in considerazione l’idea di frequentarmi… ufficialmente, intendo.”
Silenzio.
“Sei sicuro?”
“Perché non dovrei esserlo?”
“Non sono sicura io di meritarmi tanto. Come puoi esserlo tu?” – tornò ad esprimere i suoi dubbi.
“Tu… sei incredibile, lo sai? Quando ieri sera ti ho detto che ti vedo e ti sento non era solo perché volevo stare con te e tranquillizzarti. Ero sincero. Ogni tua nota muove il mio cuore. Puoi ridere e lui scoppia di gioia. Puoi arrabbiarti e sono invaso dal desiderio di cancellare l’ira dal tuo sguardo con i miei baci. Puoi essere insicura, come in questo momento, e l’unica cosa che mi viene in mente è rassicurarti. Puoi essere e fare tutto ciò che vuoi, ma non mi muoverò di qui!”
Finalmente la sentì rilassarsi contro di sé. Non era stato nominato l’aspetto più importante, il fatto che credeva d’amarla. Shiori non aveva chiesto e lui si sarebbe tenuto quella confessione per un altro momento, più propizio, meno delicato.
“Quando hai detto che devi tornare in città?” – chiese, con apparente disinteresse.
La vide arrossire.
“In serata… non potevo dire che sarei tornata prima di pranzo.” – concluse, come a giustificarsi.
“Quindi ti ho a mia disposizione per tutto il giorno.” – constatò soddisfatto.
“Veramente?” – chiese incredula.
“Oh sì, veramente!” – confermò – “Va’ a vestirti, mentre ti preparo la colazione.” – le suggerì infine, mentre le posava un bacio sul collo.
Reggendosi il tessuto addosso si avviò verso la camera, impacciata nella sua eleganza.
Mikami si diresse in cucina ed iniziò a preparare quanto promesso.
view post Posted: 24/9/2013, 19:01 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Ohh! Quanto tempo era che non si vedeva Masumi nostro bello! E fa sempre la sua figura!
Per quanto riguarda David, si è messo sulla buona strada, anche se credo dovrà ancora patire parecchio.
Grazie Laura!
view post Posted: 18/9/2013, 17:26 Incontri - Fanfictions
CAPITOLO 39
Shiori seguì Aki senza protestare per le strade di Tokyo. Il vento gelido di fine novembre le filtrava nel pesante tessuto del cappotto ma non lo sentiva, riparata dal braccio dell’uomo sulle sue spalle. Camminarono speditamente per circa un’ora lasciando Shinjuku ed avvicinandosi al parco di Chiyoda. Entrarono al National Museum of Modern Art. L’uomo la guidò all’esposizione permanente illustrandole i capolavori dei pittori nipponici dell’inizio del Novecento. Shiori si incantò osservando le “Case di Nara” di Hayami Gyoshu. Chissà se Masumi conosceva quel pittore omonimo che aveva adorato Nara come lui stesso. Ricordava bene il suo sguardo perso in quel periodo. Sapeva che era dovuto a Maya, ma credeva che anche l’antico borgo e la foresta sacra avessero avuto il loro ruolo. Osservò con trasporto anche la “Dea Kannon che cavalca il drago” di Harada Naojiro. Gli sfumati e le tenui tonalità dei colori coniugavano la solennità dell’animale mitico con la dolcezza della divinità.
La donna riconobbe per l’ennesima volta di aver trascurato molti aspetti in vita sua. Non era mai andata ad una mostra per il piacere di farlo. Sempre, sempre era un discorso prettamente relazionale. Si girò a guardare l’uomo che l’accompagnava: non aveva intenzione di perderlo. Sperava che i loro sentimenti durassero a lungo. Si sarebbe impegnata per fare in modo che quel piccolo germoglio divenisse una forte quercia. Vinta dall’emozione dei suoi propositi, avvicinò il proprio volto al suo e depose un piccolo bacio sulla sua guancia ruvida. Vide Aki guardarla, stupito di quella carezza inaspettata e, dopo un attimo di indecisione, trarla a sé. Silenziosamente continuarono il giro. Ognuno perso nei propri pensieri si avvicinarono all’uscita: era quasi l’orario di chiusura ormai.

Mikami non voleva lasciarla andare. Dopo quella lieve e gradita carezza, non era riuscito ancora a rivolgerle la parola. Quella piccola iniziativa l’aveva emozionato, fomentando la sete di lei. Avrebbe trovato il modo di prolungare la serata.
Si derise. Quando mai si era fatto dei problemi ad invitare a cena una donna? Con un sorriso sulle labbra ricordò che di sicuro non era stato timido con lei, finora: l’intervista rubata; il loro primo bacio, rubato anch’esso; l’invito a cena in cui gli aveva confessato di non essere più fidanzata da tempo; la premiazione per la Dea Scarlatta; la cena a casa sua. Quei ricordi, uniti alla passione che lo bruciava, gli restituirono la sua spavalderia.
La prese per mano e la tirò lungo il marciapiede. Quando arrivarono di fronte al ristorante che aveva in mente l’abbracciò e le sussurrò all’orecchio: “Tesoro, avvisa casa tua perché stasera non ti lascio andare!”
Vide il rossore prevaderle il volto.
“Te l’avevo detto che ti avrei rapita! – rincarò – “Entriamo, dài!”
La sentì ferma sul posto. Si girò a guardarla e la trovò impalata, ancora rossa in volto, i capelli al vento, le labbra socchiuse.
Non resisté. Le pose una mano sulla nuca e la baciò famelico. Ogni suo atteggiamento, ogni sguardo, ogni sorriso sembravano essere stati creati per soggiogarlo.
Dopo vari minuti, poggiò la fronte sulla sua.
“Tranquilla, stavo scherzando!”
“Vuol dire che non mi rapirai?” – eccola di nuovo. La baciò ancora, divertito dal tono deluso che aveva assunto.
“Farò solo quello che vorrai…”
“Sei impossibile!” – e si fiondò nel ristorante.
La seguì sorridendo ed infilando le mani in tasca. Sarebbe stata una serata molto divertente.

Saeko tornò a casa furente. Aveva dato tutto alla Daito e quell’emerito imbecille di Hayami senior l’aveva licenziata come ennesima vendetta verso suo figlio. Se l’aspettava, certo, ma non credeva sarebbe stato tanto veloce.
Si versò un calice di vino rosso e si gettò sul divano abbandonandosi sullo schienale e chiudendo gli occhi. Aveva conosciuto la sua sostituta. Una signora di mezz’età che ambiva al posto che stava lasciando già quando era entrata lei stessa alla Daito. Quella sciocca l’aveva trattata con sufficienza, come se non avesse nulla da insegnarle, come se fosse stato inevitabile che venisse licenziata. Supponeva che fosse un’incapace. Gliel’avrebbe lasciato credere. Chi era, in fondo, per disilludere una sconosciuta?
Sorrise mestamente. Un’unica lacrima le scivolò sul viso.
Avrebbe dovuto cercare un altro impiego senza alcuna referenza: mandando curricula come se fosse appena uscita dall’Università. Bevve l’ultimo sorso del nettare e si riebbe. Scosse la testa, si diresse in cucina ed iniziò a preparare la cena. Mentre i fornelli andavano, si diresse in camera ed accese il portatile. Avrebbe iniziato subito. Non aveva intenzione di darla vinta a quel vecchio.
Cenò con calma e accese lo stereo inserendo ‘Dal Nuovo Mondo’ di Dvoŕàk. Aveva sempre adorato il secondo movimento. Sembrava di vivere un dolce risveglio; la poesia di un paesaggio innevato e silenzioso; la sorpresa del viaggiatore nel valicare un passo di montagna e scoprire la florida valle al di là dei ghiacci. Alzò il volume e si diresse in camera decisa a redarre un curriculum efficace.
Era arrivata quasi alla fine della lettera di presentazione che la sinfonia cessò. Stava per alzarsi e farla ripartire quando le squillò il cellulare. L’afferrò, incerta se rispondere o meno quella sera. Il numero era sconosciuto e stava per gettare l’apparecchio da parte quando le sovvenne che poteva essere Karato.
Rispose, incerta.
“Ciao, come stai?” – le chiese l’uomo dall’altra parte.
“Sai che hai rischiato che non ti rispondessi?” – eluse la domanda.
“Perché?”
“Non rispondo agli sconosciuti… e non ero dell’umore.” – concluse, incerta fino alla fine se rivelare o meno quanto successo in quella giornata memorabile.
“Sono d’accordo per la prima, anche perché ora il mio numero non è sconosciuto, non più di quanto non lo sia io.”
“Ne siamo sicuri?” – Saeko sembrò ritrovare un piccolo sorriso. Le faceva sempre venir voglia di flirtare.
“Dimmelo tu… e dimmi anche perché non eri dell’umore adatto.” – sospirò.
“Stai parlando con una futura disoccupata.”
“Eisuke?” – come lei, anche Karato doveva aver valutato quella possibilità.
“Già, … è venuto oggi in direzione. Ho anche tutta la giornata di domani per istruire la mia ‘sostituta’.” – sputò fuori quell’ultima parola come se avesse nominato un nuovo tipo di malattia infettiva.
“Sento che ti sta simpatica…”
“E come potrebbe essere altrimenti? È una dei benpensanti che credono che sia arrivata dove sono ora solo per il mio bell’aspetto!” – la rabbia sembrò tornare a fare capolino.
“Beh… non sono per niente simpatici! Sei molto più che ‘di bell’aspetto’!”
“Sciocco!” – rise.
“Vero anche questo!”
“Ma la smetti? Dovrei essere furibonda ed invece sto qui a ridere con te!” – cercò di assumere un tono irritato, ma non riuscì nemmeno a trattenere le risa.
“Meglio, no?” – concluse lui – “A proposito, l’hai detto al signor Masumi?”
“No… non lo sa nessuno. Non volevo allarmarlo.”
“Oh, non ti preoccupare… saresti solo un diversivo, in questi giorni!” – adesso era l’uomo ad aver assunto un tono schivo ed agitato.
“Che significa?”
“Meglio non parlarne al telefono. Mi inviti?”
“C’è veramente qualcosa di grave che preoccupa il signor Masumi o è solo una scusa per venire a casa mia?”
“Il signor Masumi ha veramente qualcosa di grave che lo preoccupa ed è la scusa per venire a casa tua!”
“Vuoi venire da me?” – chiese in tono fintamente formale.
“Aprimi la porta. Sono in strada!” – si affrettò a concludere lui.
“Sei veramente pazzo!”
Quando Hijiri le raccontò quello che il suo ex-principale stava subendo, dimenticò completamente le sue disgrazie. Chinatasi in avanti, fece scorrere le mani sul volto fino a raccogliersi i capelli sulla nuca.
“E adesso?” – chiese, la sua reazione tanto simile a quella di coloro che già sapevano.
“Abbiamo l’appoggio dei Takamiya. Tramite loro, il signor Masumi sta ideando un piano per riuscire a mettere fuori gioco definitivamente suo padre.”
“Sarà pericoloso?” – chiese ancora, l’ansia sempre presente nella voce.
“Non troppo. Non rischierà la vita.”
“Ma?” – Saeko colse benissimo il tono titubante dell’uomo.
Hijiri si alzò mettendosi alle sue spalle ed iniziò a massaggiarle il collo mentre rispondeva.
“Ma… abbiamo sempre a che fare con la yakuza e non mi fido.”
“Povera Maya… chissà come starà adesso!”
“La signora non sa nulla ancora. Il signor Masumi non ha voluto metterla in ansia.”
“E’ un illuso se pensa che non riesca a capire che c’è qualcosa che non va. È molto maturata negli ultimi mesi, non è più una bambina.” – non poté fare a meno di infervorarsi. Non sopportava quell’atteggiamento d’altri tempi che faceva supporre ad un uomo di proteggere la propria compagna tenendole nascoste delle informazioni.
“Concordo con te…” – cercò però di calmarla l’uomo. Dal collo fece scorrere una mano verso il mento e le alzò il volto.
Un lampo di malizia dovette illuminarle lo sguardo perché Hijiri sorrise mentre lei gli chiedeva sulle labbra ben disegnate se volesse un premio.
“Se negassi, sarei un bugiardo!”
“Non voglio un bugiardo!” – affermò seria, andando ben al di là della battuta.
“Lo immaginavo…” – sospirò piano approfondendo finalmente il bacio.
Aveva desiderato le sue labbra fin da quando si erano salutati il mattino precedente. Agognava di assaggiare ancora quella bocca morbida e succosa, quella pelle liscia come porcellana. Voleva far scorrere le dita tra i suoi lunghi capelli neri come la pece. Voleva annegare nei suoi occhi sinceri che lei sempre celava.
Si appropriò del suo collo, lasciando libere le sue labbra di schiudersi ad un gemito di aspettativa. Percorse la pelle scoperta dall’orecchio fino alla clavicola per poi salire fino alla curva della mascella. Mentre una mano le sorreggeva la nuca, l’altra scendeva leggera verso il suo seno coperto dalla leggera camicetta bianca che ancora indossava dall’ufficio. Riuscì a sentire il suo corpo tendersi anche in quel modo. La donna alzò le braccia dietro il suo collo per incatenarlo a sé. Riprendendo a baciarla aprì piano i bottoncini scuri scoprendo lentamente la sua pelle ambrata ed il reggiseno in pizzo.
Adorava la sua biancheria. Era l’unico capriccio che si concedeva: pizzi e seta dominavano. Quando la vedeva vestita faticava a trattenersi, immaginando cosa potesse indossare sotto il suo tailleur. La mano birichina carezzò di nuovo il seno sentendolo inturgidirsi, scorse verso il ventre, morbido e caldo. Con lievi movimenti circolari la fece rilassare tanto da costringerla ad appoggiarsi completamente allo schienale. Le invase nuovamente la bocca con un bacio famelico. Il fuoco gli bruciava i lombi e lo stesso doveva accadere a Saeko perché quando liberò le sue rotondità accogliendole in mano avvertì un leggero movimento del bacino.
Si sporse in avanti e raggiunse un ginocchio che spuntava da sotto la gonna. In una lenta tortura le sue dita percorsero la tenera carne della coscia fasciata dal collant. Raggiunse il reggicalze, saggiando la sua effettiva morbidezza.
Arrivò alla sua femminilità.
Ancora pizzo.
E seta.
E calore.
Dalle sue labbra quasi fuggì un grido.
“Andiamo in camera.” – le sussurrò.
“Il divano è comodo…” – ribatté ansimante.
Per brevi secondi fu costretto ad abbandonarla. Girando intorno al divano si tolse giacca e camicia, rivelando il petto glabro e muscoloso. I suoi occhi lucenti non l’abbandonarono mai, imprimendosi nella mente il volto arrossato, i capelli adagiati sul suo corpo, la camicetta aperta sul davanti, il seno che si alzava al ritmo accelerato del suo respiro.
Cadde di fronte a lei, cercando ancora le sue labbra. Con le mani le aprì lentamente le ginocchia, scorrendo verso i fianchi e trascinando con sé la gonna che si ripiegò su se stessa.
Più l’assaggiava, meno era sazio.
Scese a morderle il seno florido. La sentì trattenere un ansito.
Le invase l’ombelico. Un gemito sfuggì dalle sue labbra.
Raggiunse il centro pulsante del suo essere. Le mani di lei aggredirono i suoi capelli guidandolo, tenendolo vicino, aggrappandosi a lui.
“Karato!” – quasi urlò, Saeko, perdendosi e ritrovandosi in quelle emozioni.
Quando la baciò ancora sentì il proprio sapore sulle sue labbra e la frenesia di pochi attimi prima si ripresentò.
Tirò l’uomo al proprio fianco. Così com’era, seminuda, lo liberò dei pochi indumenti che ancora gli restavano e si sedette sulle sue gambe.
Lo percorse con le mani e con le labbra; con la lingua e con i denti. Ogni sospiro ed ogni gemito era un invito a proseguire quell’esplorazione. La donna sentiva svettare la sua virilità e gli riservava languide carezze.
Quando infine non riuscirono più a trattenersi, Saeko si lasciò invadere iniziando a muoversi con ritmo altalenante cercando di prolungare il momento.
Karato non avrebbe resistito ancora a lungo e, sentendo Saeko approssimarsi al culmine, l’afferrò per i fianchi serrando i loro corpi e aumentando la profondità delle spinte. Le morse una spalla soffocando il grido di piacere che liberò.
L’abbracciò stretta nei momenti di pace che seguirono.
Sospirò il suo nome continuando a toccarle la schiena.
La prese in braccio dirigendosi verso il bagno.
Si guardarono teneramente lavandosi a vicenda sotto l’acqua calda.
Si abbracciarono stretti, mentre Morfeo li accoglieva tra le sue braccia.

Cenarono tranquillamente l’uno di fronte all’altra: il ristorante non era ancora poco affollato. Il proprietario, riconoscendo la donna, si prodigò per loro. Fece in modo che si posizionassero nell’angolo più appartato della sala e che fossero serviti da quella che dichiarò essere la sua migliore cameriera.
Shiori osservava silenziosa l’atteggiamento pacato dell’uomo: sembrava aver dimenticato le battute che si erano scambiati poco prima. Non capiva cosa fare, mentre una sottile tensione iniziò a pervaderla. Spesso Mikami la coglieva ad osservarlo. Allora distoglieva lo sguardo o sfoderava semplicemente un sorriso.
“Quando avrai finito di esaminarmi, mi farai sapere il tuo responso?” – le chiese ad un certo punto, guardando altrove.
“Non… non ho… non ti sto facendo alcun esame!” – ribatté balbettando quasi, colta in fallo.
Aki le prese una mano sopra il tavolo e continuò l’indagine.
“Allora come mai mi sento scrutato?”
Mentre la sua mano scorreva leggera verso il polso sottile della donna, Shiori sospirò cercando di raccogliere le idee.
“E’ solo che non capisco.”
“Cosa?”
“Cosa ti aspetti da me, Aki?” – la tensione che provava era finalmente sfociata in quella domanda. Shiori voleva stare con lui, ma era rósa dai dubbi. Il giornalista le aveva fatto capire di tenere a lei e di sicuro aveva dimostrato di rispettarla. Sentiva dentro il desiderio di approfondire la conoscenza con lui e con le emozioni che generava, ma come doveva comportarsi? Non voleva ripetere gli errori fatti con Masumi. Se da una parte comprendeva che la situazione era del tutto diversa, dall’altra mille dubbi le affollavano la mente. Le sembrava di girare ininterrottamente intorno alla questione senza alcuna possibilità di soluzione.
“Mi aspetto che tu faccia quello che vuoi, sempre!” – la sua voce calma penetrò nella sua testa e solo allora si rese conto di non aver mai smesso di fissarlo.
“Quello che voglio?” – chiese, notando le sue carezze sul polso – “Ma cosa voglio, Aki?” – il tono assunse quasi un tono di preghiera.
“Non lo sai?”
Non sapeva cosa voleva?
Cosa voglio?
Aki!
“Lo so!” – disse più sicura ora – “Quello che non so è… come averlo.”
Si sentì arrossire e distolse lo sguardo, ritirando la mano ed unendola all’altra in grembo.
L’uomo dovete cogliere quei segnali d’imbarazzo.
“Andiamo, vieni con me!”
“Dove?”
“A casa mia…” – nel panico più completo Shiori lo seguì dopo che ebbero pagato il conto. Si tenevano per mano ed Aki procedeva con passo sicuro.
Non aveva detto una parola dopo la sua ammissione. Solo l’aveva guardata con una strana tenerezza negli occhi, mista a quello che credeva essere… desiderio?

Shiori l’aveva scrutato per tutta la cena e lui aveva sopportato silenziosamente. Quando alla fine aveva chiesto delucidazioni, vinto dalla curiosità, le sue risposte l’avevano sciolto. Credeva, e sperava, che la donna si riferisse a lui ed allora aveva capito che era insicura. Non capiva come rapportarsi con lui. Vederla raccogliere le mani in grembo, arrossire, abbassare il volto e distogliere lo sguardo, gli aveva ricordato una bambina vergognosa di fronte al suo primo amico. Vorrebbe conoscerlo, giocarci insieme nel parco, ma non sa come comportarsi perché non capisce se lui prova le stesse cose. Non aveva molti modi per farle capire che lei poteva tutto, che era al sicuro e non aveva nulla da temere. Pertanto, finalmente, aveva lasciato il ristorante e l’aveva rapita.
La donna l’aveva seguito docilmente, timorosa e coraggiosa al contempo. Arrivarono di fronte allo stabile dove abitava: la struttura era una vecchia fabbrica tessile riconvertita. Un’impresa di costruzioni si era premurata di ristrutturarla ricavandone diversi loft su più livelli.
Entrarono nel vecchio montacarichi che fungeva da ascensore. Vicini eppure lontani. Aki la guardava mentre se ne stava in disparte in quell’angusto spazio.
Quando le porte si aprirono sul suo soggiorno la vide spalancare gli occhi. L’ambiente moderno era in contrasto con le vecchie mura esterne. L’arredamento aveva linee pulite, semplici. Un misto di grigi in diverse tonalità. Entrò cauta, osservando le gigantografie alle pareti: per lo più paesaggi dei luoghi esotici che aveva visitato per lavoro. Le isole polinesiane, la foresta vietnamita, uno skyline di Hong Kong, un villaggio in Kenya. Niente di triste. Non aveva voluto scenari di guerra in casa sua: aveva visto troppa crudeltà, troppo sangue, troppe morti per continuare a riviverle nelle immagini che lo circondavano. Per quello erano sufficienti i ricordi che non l’avrebbero mai abbandonato.
Avanzò anche lui, chiudendo la grata dietro di sé. La raggiunse davanti al tramonto polinesiano. Il sole scendeva all’orizzonte proiettando le ombre delle capanne sulle basse acque oceaniche.
Le pose una mano su una spalla, ma era talmente tesa che non un fremito le sfuggì. La girò verso di sé: aveva abbassato la testa e non poteva scorgerne gli occhi.
“Shiori, guardami!” – usò un tono fermo, senza risultare opprimente. Finalmente lo guardò. Gli si strinse il cuore. Una donna tanto bella eppure tanto insicura.
“Puoi avere tutto ciò che vuoi.” – le sussurrò. Spostò una mano sul suo volto – “Non aver paura. Non ti farò del male”
La vide spalancare gli occhi, occhi tanto neri e brillanti da aver paura di annegarci.
“Come lo sai?” – gli chiese in un fil di voce.
“Perché ti vedo. Perché ti sento. Perché non può essere diversamente.”
Mentre parlava aveva fatto scivolare via il cappotto dalle sue spalle e le aveva preso la mano, poggiandosela sul petto: voleva che sentisse battere il suo cuore in modo forsennato. Voleva che capisse che non aveva nulla da temere perché non era la sola a provare quelle emozioni devastanti.
La fissò mentre si concentrava sulle vibrazioni del suo petto chiudendo gli occhi. Lentamente le si accostò e la cinse tra le braccia. La mano sul suo volto passò al collo, tra i capelli. Ora avrebbe potuto ascoltare il suo cuore.
“Lo senti? Mi senti?” – le chiese, deponendole un bacio tra i capelli – “Sono già con te, Shiori, non hai bisogno di fare nulla per avermi!”
Aveva azzardato, lo sapeva, ma voleva essere chiaro. Se l’avesse voluto, non l’avrebbe lasciata. Non gli importava se in passato era stata un’ereditiera viziata, se ne fregava che avesse tramato ed ingannato. L’aveva conosciuta dopo, quando era già una donna diversa, che aveva riconosciuto i propri errori e stava cercando di porvi rimedio. Non aveva parlato con la signorina ipocrita e di buona famiglia, ma con una donna sincera, che rifuggiva la menzogna e aveva voglia di vivere, finalmente. Aveva toccato una donna che non era nemmeno consapevole della propria passione. L’aveva baciata ed aveva trovato un angolo di paradiso.
Non credeva l’avrebbe mai detto in vita sua, ma credeva d’amarla.
Se era lui che voleva, non doveva far nulla per averlo.
La giovane donna rimase silenziosa tra le sue braccia.
“E’ me ciò che vuoi, Shiori?”

Quella domanda le entrò nella mente.
Troppo occupata ad ascoltare il battito ipnotico del cuore dell’uomo che l’aveva conquistata quasi non l’aveva sentito dire che era già con lei. Ma le sue parole le risuonarono nella mente, come se il suo cervello le riproponesse un’informazione che non poteva trascurare.
“E’ me che vuoi, Shiori?”
Quanto tempo era passato da quel momento?
“Sì.” – sussurrò, soffocando quella piccola importante sillaba nella camicia.
Si sentì stringere ancora.
“Ripetilo!” – le comandò – “Non ho sentito.”
Quella voce la faceva vibrare. Il cuore le tremava e lo stomaco era in subbuglio.
Lo abbracciò a sua volta.
“Sì, Aki.”
“Allora sono perduto!” – tentò di allentare la tensione e contemporaneamente chinò il capo per baciarla. Quelle labbra erano sempre più dolci di come le ricordava.
view post Posted: 17/9/2013, 19:06 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Oh la peppetta! Ammetto che il colpo è stato forte, ma David sarà stato troppo precipitoso? Ci sarà una ricomparsa di Jen?
Che curiosità!!!
view post Posted: 16/9/2013, 17:07 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Ma che bella evoluzione che stanno avendo questi due: come un riscoprirsi ed innamorarsi di nuovo. Mi piace.
Laura leggo sempre con piacere i tuoi capitoli, ma non sempre trovo il tempo di commentare: perdonami!
323 replies since 30/11/2010