Seconda Parte
Si vive per l’amore.
Si fa di tutto per abbracciare quel po’ di felicità che, si spera, tocca in sorte ad ogni individuo all’atto di venire al mondo.
Io ho fatto le mie scelte per questo ed ora, nella solitudine di questi luoghi, posso dire d’essere felice.
Mio padre mi è venuto dietro.
Il paradosso delle storie, talvolta, è questo. Ciò per cui decidi di modificare il corso della vita, alla fine, è trascinato con te in un turbine di novità inatteso.
Sperato, in precedenza, con ostinata disperazione.
Ed ora lì, realizzato. Tutto quel soffrire – anni di bocconi al veleno – perde di senso. Diventa immotivato e, come tale, frustra non poco. Ti chiedi: non potevamo arrivarci prima?
Vedere mio padre, seduto davanti alla distesa dei susini scarlatti, immerso nella stessa nebbia della dea, mi pare un assurdo materiale. Se, prima, ce l’avevo con lui per tutto ciò che mi aveva imposto, oggi, invece, ce l’ho con lui per questo suo essersi finalmente convinto.
Fosse diventato così prima, diavolo d’un vecchio, avrebbe coronato il suo sogno con la sensei. Certo, anche la mia storia, leibnizianamente, sarebbe mutata di corso: forse, non avrei incontrato lei, che riempie la mia esistenza di aria come di vita in genere.
La vedo, nella sua naturale semplicità, camminare lungo il corso del fiume, nei panni di chi le ha dato fama e sicurezza. In fondo, la storia della dèa è una vicenda positiva, che infonde speranza ad ogni amante deluso. Quel carico tenero di sicurezza, a fronte della disperazione prodotta dai conflitti interni ed esterni a noi, è un balsamo benefico per chiunque lo faccia entrare nel proprio cuore, nella propria coscienza.
Non è una favoletta romantica poter dire che c’è qualcuno al quale siamo destinati a ricongiungerci nell’eterno ritorno al mondo. I filosofi antichi lo avevano intuito e così anche i mistici che vissero su queste terre. Lo dissero più volte, insegnandolo nelle scuole, come per le strade, come nei templi.
La frenesia dei giorni, l’inno perenna a Mammona, sono capaci di far perdere il senso di quanto appreso. Ed è triste, poi, risvegliarsi desiderosi di vivere quanto si credeva dimenticato. Perché, se il Fato non ti pone innanzi subitaneamente l’altra parte di te, allora, l’infelicità è assicurata. Andare raminghi nel mondo in cerca di essa è il minimo.
Io amo. Rendo grazie agli dèi o a chi per loro per questo stato, oggi, di grazia, un tempo precluso a causa delle colpe di mio padre, su di me ricadute come ombre terribili e nefaste, foriere di altra disperazione. Al peggio, davvero, se non vi si appone un freno mentale, non c’è mai fine.
Amo la donna che ho davanti, che è qualcosa di più di uno strumento per trarne godimento. Lei mi comprende.
Lei <sa> il mio dolore.
Lo comprende nel profondo.
Lo ha vissuto.
Ha visto il rifiuto stampato sui volti, riservato da questo sciocco contesto sociale, a chi nasce differente, a chi non ha o ha meno.
Abbiamo rotto insieme questo stato di cose e, nel vortice, come dicevo, è finito anche il mio diffidente, cattivissimo genitore. Il generale millepiedi sta alla corte degli dèi anche lui, adesso. Ha sciolto i lacci che lo tenevano avvinghiato all’inferno e per fortuna. Pare che il momento clou si sia consumato quando la mia ombra si è presentata a casa sua con un fascio di cartellette sottobraccio.
“Piacere,” gli avrà detto “io sono il suo legittimo erede.”
Un perfido erede. Quello che, essendo ufficialmente morto, si introdurrà capillarmente, mafiosamente, nel sistema della società, influenzando il cartello tutto.
Io non sono fatto per queste cose, lui sì. Uno che è disposto a farsi ammazzare pur di dimostrare fedeltà imperitura non può essere incapace di affrontare il boja.
Stranamente, a quelle parole, mio padre deve aver reagito in modo improprio. O, semplicemente, deve aver preso coscienza che era giunto il momento di tirare i remi in barca.
Il momento delle iene era arrivato, ma il suo era finito.
Sono convinto che il mio ex collaboratore non deluderà le aspettative. Curerà a dovere gli interessi di tutti, della mia donna, in primis.
Io me ne starò qui, con lei di fianco, a godere le mollezza che il benessere mi ha consentito di avere pur in questo nulla. Un nulla assolutamente non gravoso.
Nel momento in cui sono morto, ho realizzato di essere vivo.
FINE