Posts written by LauraHeller

view post Posted: 8/5/2017, 08:18 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo nono.



Sono tornata in ufficio qualche giorno dopo.
Ho evitato il giovane supermanager come la peste, nonostante l’incontro in biblioteca non sia stato caratterizzato da particolari baruffe. So che anche Umibozu ha fatto i bagagli per tornare a Tokyo, ma non so se, quando e in che modalità ci reincontreremo.
In ufficio, per adesso, sono ancora accolta da Mitzuki. Credevo se ne fosse andata, lasciando la sua scrivania in balia temporanea di una stagista neolaureata o, comunque, in attesa che Ayakawa le subentrasse in via definitiva.
Invece, la mia solerte segretaria c’è e mi accoglie con un sorriso che non mi aspetto da lei e un caffè Blue Mountain il cui profumo mi ristora.
“Vado in ufficio.” Le dico ringraziandola con uno sguardo, il primo sereno dopo molti giorni di temperie emotiva.
Lo stato di grazia, però, non è destinato a durare a lungo, ché, non appena apro l’uscio e sento i piedi affondare nella moquette che tanto amo, vedo ciò che non mi aspetto e sono assalita da una sorta di conato di vomito.
“Che cosa significa?” domando. Di fianco a me, però, non c’è nessuno.
Mi giro verso la scrivania di Mitzuki, ma neppure lei c’è. Non una stagista. Non un’anima che possa spiegarmi cosa significhi quel vaso e i fiori in esso contenuti, soprattutto.
Un mazzo di rose scarlatte.
Dopo ventitré anni, ancora una volta, qualcuno mi ha fatto dono di quei fiori.
“Mitzuki!” urlo con quanto fiato ho in gola “Chi? Chi si è permesso?...”
Mi manca l’aria.
Annaspo letteralmente, ma nessuno viene in mio soccorso. Chiudo la porta dietro di me con le spalle, quindi scivolo lungo il legno lucido per sedermi a terra.
Respiro appena.
È di nuovo la stessa sensazione di quel giorno, quando rischiavo di annegare.
Inizio a piangere forte, a piangere forsennatamente.
Che cosa significa tutto questo?
Chi vuole farmi del male.
Mi tiro su, nel silenzio totale interrotto solo dai miei singhiozzi, quindi mi dirigo alla scrivania per visionare il mazzo scarlatto: a occhio e croce, si tratta di una trentina di rose. È un bouquet sontuoso, che non avevo più ricevuto da tempo immemore. Ho i sudori freddi, mentre, col massimo della delicatezza, scosto alcuni steli come a cercare un indizio che mi indichi chi possa essere il donatore.
Ma come parlo?
Donatore di rose?
Io vaneggio, davvero.
Masumi è morto. È morto.
Ricomincio a piangere senza posa.
E’ in quel momento che, finalmente, un’anima vivente fa il suo ingresso:
“Che cosa succede? Signorina Kitajima…”
“Se ne vada!” urlo “Non voglio vederla! Scommetto che riderà nel vedermi in questo stato…”
“Ridere, signorina?...” chiede Umibozu spiazzato “Più che altro, mi addolora. Non immaginavo una reazione così forte davanti ad un presente.”
“Lei non può capire!” dico “Chiunque abbia fatto questo sa perfettamente qual è il significato.”
“Oh, certamente.” Afferma abbassando il capo “Ho capito a cosa si riferisce.”
“Questi” sottolineo nonostante il mio nuovo collaboratore sappia a cosa mi riferisco “sono gli unici fiori che Masumi Hayami mi abbia regalato nei sette anni in cui, come ombra scarlatta, ha seguito la mia carriera. Sono gli stessi fiori che stava portando a Izu la sera dell’incidente.”
Nascondo il viso tra le mani e mi sento inconsolabile. Finalmente, l’odioso individuo ha perso la favella. Tace, come è giusto che sia, perché lui non può capire.
“Non pianga…” mormora col tono piano e partecipe.
Sento la sua mano sulla mia spalla, ma non osa avvicinarsi oltre. Percepisce che l’aggredirei sicuramente. Non è lui che voglio accanto. Voglio Masumi e, soprattutto, desidero che quel mazzo provenga da lui e da nessun altro.
“E’ stato lei, forse?” chiedo con un fil di voce, gli occhi pieni di lacrime “Perché mi fa questo?”
Umibozu scuote il capo:
“Non…vorrei mai farle del male, mi creda.”
“Mi lasci sola.” Ordino perentoria “Non ho bisogno di lei. Non ho bisogno di nessuno.”
Due ore dopo, riacquisto a fatica il controllo di me stessa. Sciacquo il viso al lavabo del bagno annesso all’ufficio e lascio la stanza: Umibozu è lì, seduto alla scrivania che fu di Mitzuki, col volto teso e preoccupato.
Non lo vedo così pallido dal giorno in cui mi ha salvato la vita, laggiù alla scogliera.
Non è solo un fatto psicologico. È come se il suo cuore stesse per cedere d’improvviso: per lo meno, a me pare di percepire così.
Ma perché mai, poi, dovrei preoccuparmi delle sorti di questo ragazzino, quando io ho il mio carico per nulla indifferente sulle spalle e, adesso, anche la storia delle rose scarlatte?
Torno ad ispezionare il mazzo di fiori e trovo quel che spero si riveli un prezioso indizio: è un biglietto ed è del medesimo colore. Un cartoncino pregiato, con delle lettere sovrimpresse.

A colei che splende più di Merope e Sterope.



Non c’è firma.
Il desiderio di emulazione giunge fino a un certo punto – e per fortuna! – se chi compie determinati gesti non ha avuto modo di leggere cose che conservo gelosamente.
Cose che solo io e Masumi possiamo aver visto.
E’ ovvio che non possa trattarsi di Masumi, poi. La follia d’amore non è tale da sconvolgermi la mente. Non c’è possibilità di fraintendimento e il mio nuovo supermanager, là fuori, si è dichiarato estraneo alla faccenda.
Ci penso su: in effetti, non ha propriamente detto di non aver mandato il mazzo di rose scarlatte. Ha, inoltre, aggiunto che non vorrebbe mai farmi del male o qualcosa del genere.
Qualche minuto e torno fuori dal mio ufficio. Umibozu è appena uscito e decido di frugare tra le sue carte, quelle che ha sparso sulla scrivania.
Non so cosa cerco. Non so più niente.
Il ragazzo scrive tutto a mano. Pur essendo giovane, quindi, è uno <alla vecchia maniera>.
Usa l’i-pad esclusivamente per le questioni d’affari: lo schermo è acceso, c’è un planning trimestrale con i prossimi impegni del nuovo anno. Mi interessano di più le sue carte, però, e ne ha lasciate incustodite un bel po’. Ad una immediata lettura, comprendo che si tratta di appunti sulla famigerata <scoperta> e quel che leggo ha il potere di stravolgermi abbastanza, ché trasuda una sensualità mai recepita sul testo originale.
È descritto l’incontro d’amore tra le anime gemelle, Akoya ed Isshin, per la precisione il loro amplesso. Anime che, nude, si toccano e, solo con lo sfiorarsi di una mano, realizzano l’estasi. Tutt’intorno, sono galassie, potenze, turbini d’aria. Si percepisce la felicità dell’universo tutto, mentre gli amanti, finalmente, si stringono l’un l’altra.
Yin e Yang si uniscono: diventano tutt’uno, pur permanendo diversi.
Complementari, ma non uguali.
Non avevo mai letto nulla del genere. Il ragazzino ci sa fare con la letteratura: ha saputo ricavare un testo teatrale da quella che era una semplice bozza del Maestro Oozachi.
Dunque, è questo il suo progetto. Non dare alle stampe un libro di critica, ma produrre uno spettacolo: uno spettacolo che ha per soggetto la dèa, ma non è più la dèa di Chigusa Tsukikage.
È la dèa di qualcun altro.
Mi soffermo ancora sull’immagine dei due amanti e, facendo scivolare i fogli, scopro un disegno: l’abbozzo di due corpi che si sfiorano.
Sento, in quel momento, una sorta di vuoto all’altezza dello stomaco: un vuoto che si trasforma in una morsa.
“E’ mai possibile?” mi dico “Questa immagine…”
Mi rammentano, come una sorta di fortunata istantanea, ciò che io e Masumi, una volta terminato lo spettacolo di prova della sensei, nella Valle dei Susini, incarnammo.
“Sta meglio?”
La voce di Umibozu mi coglie alla sprovvista.
“Manager, studente brillante di drammaturgia, scopritore di manoscritti e, ora, anche autore teatrale. Sono veramente stupefatta, ragazzino: la sua versatilità fa paura.”
“Sono solo <appunti>.” Si affretta a dire, mettendo le mani sui fogli che avevo letto di nascosto.
All’inizio, avvicinandomi alla scrivania, avevo provato vergogna, come se fossi in procinto di compiere qualcosa di illecito. Poi, dopo essere stata scoperta, ho cambiato atteggiamento: in fondo, sto legittimamente cercando di capire che cosa Hijiri, di comune accordo con Mitzuki e questo individuo, sta cercando di farmi fare.
Decido per andarmene, tanto so che non mi risponderà.
“Potrebbero diventare un copione, sì.” Si affretta a dire Umibozu.
Io lo guardo biecamente.
“Ci sono immagini ben strane.” Ridacchio “Non particolarmente consone per un teatro tradizionale qual è il nostro.”
“Abbiamo maschere in abbondanza anche per questo.” Si trincera.
“Maschere che prevedano il sesso?” domando ironica.
“Il sesso è un dono degli dèi e noi possiamo sempre…reinterpretarlo.”
Mi aspetto che completi il discorso: le cose stanno facendosi interessanti.
“Quell’immagine…” lo prevengo ancora ignara “dei due amanti nudi che si toccano è nel manoscritto che ha trovato?...”
“Perché me lo chiede?”
E mi fissa sospettoso.
Per lo meno, io credo sia così.
“L’attira perché è una scena abbastanza <hard> o…?” ride.
“Andiamo, sa benissimo che non ho un’età per cui le scene <hard> possano suscitare morbosa curiosità!” sbotto a mia volta.
“Eppure, ne avrebbe bisogno.” Sogghigna “Autoconvincersi di essere una vecchia non può far bene ad una persona che svolge la sua professione. Dovrebbe essere baciata e da uno che se ne intende, anche…”
“Sentiamo, Rett Butler, quale altro film citerà, prossimamente?”
Non mi considera neppure e torna a sedere.
“Se tutto va bene, questo scritto sarà completato a metà del mese e, agli dèi piacendo, sarà messo in scena il 2 di gennaio dell’anno venturo, tra otto mesi esatti.”
“Sta scherzando, vero?” dico sconcertata.
Non può parlare sul serio.
Chi si crede di essere?
“Io sono il suo manager, signorina. E quello che ha finito di visionare poc’anzi sul mio i-pad è il calendario dei suoi impegni futuri…”
E’ troppo.
Gli do le spalle: non posso credere che un’attrice del mio calibro non possa più scegliere quali ruoli rivestire. Non posso credere che il primo arrivato mi ingiunga ciò che debbo o non debbo fare. È inaudito.
“Ha paura, forse?” mi domanda sfidandomi palesemente “Un ruolo nuovo, una reinterpretazione potrebbero scalfire la sua fama già consolidata. Non vuole rischiare, è così?”
“Quel che dice non mi tocca.” Dico ferma “Anche perché, se davvero mi conoscesse, saprebbe che non mi tiro indietro di fronte a nulla.”
“E’ così.” Sottoscrive “Almeno, è così che ho sempre pensato che fosse.”
view post Posted: 6/5/2017, 14:18 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo ottavo.



Lascio la stanza dopo un giorno intero. L’ala ancora riservata alla famiglia è stata quieta e silenziosa per tutto il tempo. Solo un via via di camerieri e, ogni tanto, un saluto da Hijiri.
Mi sono vestita come piace a me, in modo giovanile – non ho mai perso, in tutti questi anni, la voglia di distinguermi in negativo: pantaloni corti con risvoltini sopra le caviglie, una t-shirt informe di quattro taglie più grande e una camicia azzurra altrettanto enorme a mo’ di soprabito. Era appartenuta a Masumi. Niente è stato buttato via dai suoi armadi, per mio preciso volere.
Ciò che era suo, ora, è mio.
E’ sempre stato così.
La Biblioteca non è che il piano inferiore della villa, prima destinato ad enormi garage e ripostigli vari. Gli architetti hanno fatto un lavoro splendido, facendo delle finestre alte dei lucernari sapienti, che indirizzano la luce indirettamente sui tavolini destinati agli studiosi e non sugli scaffali.
I vetri, poi, sono colorati in modo tale da non produrre la luce abbagliante tipica dei luoghi di mare.
Le librerie, tutte molto antiche, sono disposte parallelamente l’una all’altra, come a creare dei corridoi. I testi più preziosi, come anche i manoscritti antichi, sono contenuti all’interno di teche di cristallo.
Non ho voluto vedere dove Umibozu ha trovato la famosa apertura nel muro. So che, lungimirante qual è, ha già portato via tutto ciò che di utile c’era. Mi conforta solo sapere che nulla di più è accaduto di quanto anche il mio fedele Hijiri non sia già a conoscenza.
Mi piace l’odore dei libri. Non ho mai finto di essere una lettrice accanita, ma ho sempre venerato chi riesce a mettere per iscritto i propri sentimenti, elevandoli ad un livello universale di condivisione e di sentire, anche.
Oozachi, dal mio punto di vista, è stato il più geniale di tutti.
Scorgo Umibozu seduto al tavolino più appartato, la schiena curva, tutta protesa verso ciò che sta attenzionando, quasi volesse fagocitarlo.
I raggi del sole accarezzano i suoi capelli biondi, sempre scomposti, ma ad arte. Di certo, non ha dimenticato di pettinarsi: un precisino come quello non può prescinderne. Indossa un vestito elegante, ma ha adagiato la giacca sulla sedia, motivo per cui scorgo il retro del gilet, di seta, che risplende ai raggi del sole anch’esso.
Pare bisbigli.
“Non esistono età…aspetto…rango…”
Cosa sta dicendo? Sta leggendo il capolavoro scomparso, ma a che pro?
“Quando il mondo era nel Caos, gli dèi generarono dèi…”
Ho un tuffo al cuore.
“Il turbine bianco e il turbine rosso, dapprima in lotta, finiscono con l’amarsi…”
C’è qualcosa di non del tutto chiaro, di sghembo. Non sono le battute de La Dèa Scarlatta. Sta leggendo - o declamando – altro. Mi soffermo su altri particolari: il suo tono di voce è nostalgico. Ora, la voce pare rotta dal pianto. Fanno paura questi ragazzini ed io a Masumi doveva averne fatta tanta, salendo sul palcoscenico con quaranta di febbre, ai tempi della mia prima rappresentazione.
La patologia, se la vivi tu in persona, non ti tange: se la vedi in un’altra persona, sei la prima ad additarla.
A condannarla.
O ad amarla perdutamente.
“Lei è qualcosa di più di un estimatore: è un fissato.” Dico con tono gelido, palesando, finalmente, la mia presenza.
Capisco che non si sente preso alla sprovvista.
“Stavo iniziando a chiedermi se le piacesse il mio gilet.” Ironizza girandosi verso di me.
Il suo aspetto è migliorato: non ha più le occhiaie e mi pare abbozzi un sorriso, dietro all’abito facciale perennemente ironico che credo possegga per corredo cromosomico.
Abbraccia la mia figura con un solo sguardo ed io provo imbarazzo. Enorme imbarazzo.
Mi sono vestita come una mendicante e ne sono consapevole.
“Sta bene anche lei, oggi, ragazzina.” E ride.
“Senta, ragazzino,” gli faccio eco “credo lei sappia molto bene dei miei trascorsi, come anche della mia sfortunata relazione con Masumi Hayami. Posso concederle la fiducia che disperatamente i miei due preziosi collaboratori vogliono che io le dia, ma non la libertà di usare espressioni non consone. Quello è l’appellativo che Masumi dava a me e non ha il diritto di usarlo.”
“Lo userò fino a che non avrà smesso di dare a me del ragazzino.” Mi dice con sfida “E, inoltre, oggi non appare affatto come una signora attempata.”
E’ un complimento o una presa in giro? Davvero, non riesco a capirlo.
“C’è una festa, giù in paese.” Rincara Umibozu “Potrei accompagnarla lì e comprarle delle caramelle.”
No.
Ancora?
Come può?
Si dice che i persecutori seriali siano capaci di rovistare persino nell’immondizia pur di reperire informazioni sulle loro vittime.
“Non mi piacciono le fiere.” Dico freddamente “E, inoltre, non vedo perché dovrei andarci giusto con lei.”
“Perché io la faccio ridere. E dannare, anche.” filosofeggia il ragazzo alzandosi.
Ora, i raggi del sole colpiscono la sua cravatta: il volto è in penombra. Ciò nonostante, la luminosità illumina indirettamente il viso, conferendo a quegli occhi azzurri una trasparenza meravigliosa.
Mi mette nostalgia.
Come fosse qualcosa di effimero e destinato a sparire presto.
Un brivido mi percorre la schiena.
“Non deve preoccuparsi per me.” Sogghigna “Io vivrò più a lungo di lei. Anagraficamente, non c’è storia.”
“Ma cos…?” balbetto indignata “Senta, lei è l’essere più riprovevole che abbia mai conosciuto! Il più presuntuoso scarafaggio che sia mai dato trovare in casa. Che dico? In dispensa? Quando hai fame e apri il pensile … trovi il tuo cibo preferito contaminato dalla presenza di quelle orride zampette…”
Umibozu scoppia a ridere fragorosamente:
“Va bene così, ragazzina, è sufficiente. Le va di vedere quello che sto leggendo?”
E mi fa cenno con la mano perché mi avvicini al tavolino. Intanto, si risiede, ma, nel mentre, ha spinto un’altra seggiola accanto alla sua come ad invitarmi a sedere.
Sospiro profondamente e obbedisco per nulla convinta.
Siedo di fianco a lui e ne guardo il profilo: sono scomparsa dal suo orizzonte – o almeno così credo – perché è totalmente concentrato su ciò che sta leggendo.
Si tratta di un manoscritto, redatto su carta di riso. La bellezza di ciò che ha declamato prima si riassume tutta nel fragile supporto. Basta un niente per lacerarlo e questo lo rende quasi commovente e alla vista e al tocco.
“Sentiamo, dunque.” Dico “Ho visto che, poc’anzi, declamava alcune battute del capolavoro scomparso, ma non erano del tutto esatte.”
“Perché questo” mi ferma Umibozu “non è il capolavoro scomparso.”
Sorride come un bambino, adesso.
“E’ la prima stesura, invero.” Spiega “Quella che Ichiren ebbe a redigere prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale.”
“Non lo sapevo neanche che ci fosse una versione precedente…” mormoro stupita.
“E’ la mia scoperta, infatti. Nessuno lo sapeva.” Afferma Umibozu “Ed è interessante come la filosofia del Maestro, nel tempo, si sia evoluta. C’è una differenza profonda, tra le due stesure e questa differenza spiega anche il mutare dei rapporti con la sua adorata allieva, Chigusa Tsukikage.”
“In che cosa divergerebbero, se posso chiedere?” domando interessata e dimentica, per un istante, del fatto che mi trovi seduta accanto all’essere più deplorevole che sia dato conoscere.
“Non posso spoilerare la mia tesi di drammaturgia, ma, se vuole, può pensare all’incanto dell’innamoramento.”
Lo guardo nei profondi occhi azzurri, interrogativa, desiderosa di saperne tanto di più.
È il mio ruolo, del resto: io sono l’unica dèa scarlatta.
“E’ una giornata come questa. È una giornata di pieno sole, signorina Kitajima.” Spiega “Quando il pessimismo non ha ancora intaccato la mente del Maestro come un morbo malefico, quando…la speranza di dare un coronamento al sogno d’amore e l’arte bastava a entrambi. A lei, come a lui.”
Arrossisco:
“C’è stata questa fase?”
“Oh, sì.” Dice Umibozu “Ed è stata la fase dei Poeti, quella quieta, che trasforma le tempeste dell’ES in incanto artistico.”
“La realtà distrugge tutto, è così?” chiedo tristemente “Non il Super- Io che tutto castra, non il potere di tanti, ma proprio la realtà…”
“Ragazzina,” Umibozu mi guarda con intelligenza “tracimare dal sogno comporta dei rischi, come, del resto, viverci dentro. Non esiste una medietà o, se la si raggiunge, dura poco. È destinata a soccombere e a fagocitare l’artista. Così è successo a Oozachi.”
Deglutisco sconcertata.
“Che magro finale, vero? Alla fine, siamo destinati ad una effimera felicità.”
“Tanto vale godere il più possibile dei giorni di sole, allora, non crede?” e fissò il lucernario sorridendo dolcemente. Un sorriso che mi svuotava, <parallelo> alla di lui esistenza, effimera tanto quanto l’alternarsi delle stagioni della vita.
view post Posted: 5/5/2017, 14:59 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo settimo.



Mi sveglio nel mio letto. Nel letto che fu di Masumi, per lo meno. Nel letto mai nostro.
Faccio scivolare il braccio sul lenzuolo di seta fresco. Finalmente, mi sento meglio. Traggo godimento da questa sensazione di benessere, unica e sola dopo molti anni.
Il fuoco, dentro al camino in pietra, è acceso: in quel momento, mi rammento dell’accaduto e prego di non avere l’ennesimo scontro con lui, Umibozu.
“Buon giorno, signora.”
Il saluto viene da una voce amica, finalmente.
“Hijiri…” balbetto debolmente.
“Sta meglio, adesso?” mi domanda con tono lievemente ansioso. Riconosco, finalmente, il mio amico e collaboratore.
“Non pensi mai più di abbandonarmi a me stessa.” Gli dico con sollievo, mentre gli tendo la mano.
Egli mi fissa con la consueta dolcezza, ma non si avvicina:
“Sa benissimo che ci sarò sempre, per lei. E sa anche che non ho mai inteso abbandonarla.”
“Perché, allora, quell’odioso individuo?” chiedo. La domanda è rivolta all’unico uomo che può rispondermi, ché Mitzuki, quando si tratta di mantenere il riserbo, è irremovibile. Hijiri, invece, se preso per il verso giusto, è un libro aperto. È questo che adoro di lui.
“Non ho da dirle nulla di diverso da ciò che già non sa.” Afferma soltanto “E, stia certa, tutto è fatto in funzione del suo bene.”
Mi parla del capolavoro scomparso e dei suoi figli naturali, che, se portati in scena, rilanceranno non solo l’intero teatro oozachiano, ma anche la sua interprete principale: io.
E questo è possibile solo se consentirò a Umibozu Ayakawa di entrare nella mia vita.
“Signor Hijiri, lei sa perfettamente di che pasta io sia fatta.” Rispondo con tono grave “Non ho mai accettato diktat da nessuno, men che mai se non adeguatamente motivati.”
“Non è un diktat. È un caloroso consiglio.” Mi sorride l’altro senza perdere il consueto aplomb.
“Non riuscirò ad interpretare alcunché, se non comprendendone le ragioni.” Mi giustifico.
“Pensavo che un’attrice del suo calibro, si nutrisse più di sensazioni che di ragioni.” Mi dice Hijiri “E, in ogni caso, ad Izu lei troverà tutte le risposte che cerca. Perché è per questo motivo che si trova qui, giusto? Solo, la prego di star lontana dalla scogliera. Da una parte di scogliera, in particolare. So che non ha intenzione di suicidarsi: è troppo intelligente e, se avesse voluto, l’avrebbe fatto vent’anni fa.”
“Lui dov’è?” chiedo riferendomi al mio prossimo manager.
Quando ho formulato la domanda, Karato ha già compreso che ho abbassato le armi. Solo che non so perché le ho abbassate.
“Sta riposando.” Risponde “Era molto provato. Un ragazzo come lui, nelle sue condizioni…”
“Mi ha salvato la vita,” Gli racconto “ma non mi sento proprio di ringraziarlo. Ha un’aria così saccente e spavalda.”
“E’ un ragazzo che vive alla giornata. Non lo giudichi come giudicò il signor Masumi.”
“Abbiamo perso molto tempo, io e Masumi.” Mormoro commossa “Perché, fino all’ultimo, ho continuato a farmi domande sul suo operato, sul perché agisse in segreto, senza farne parte con me. Se solo si fosse rivelato…io non attendevo altro.”
Guardo Hijiri negli occhi:
“Perché mi invita a non giudicarlo? Cosa c’entra questo discorso con Masumi?”
“Forse, nulla o, forse, tutto.” risponde l’uomo “A volte, che si tratti d’un amore o di un’amicizia, lasciamo siano i preconcetti a vincere. Non dovremmo, non crede?”
Annuisco, ma quell’Umibozu proprio non riesco a tollerarlo:
“Ha detto che vive alla giornata…che intende dire?”
“Non ha letto il fascicolo?” mi domanda Hijiri sollevando lievemente le sopracciglia.
“Si riferisce al suo cuore?” chiedo di rimando.
Non fa in tempo a rispondermi. Bussano, nel mentre, alla porta.
È lui, Umibozu:
“Non voglio disturbare la signorina Kitajima più di quanto non abbia già fatto. Desideravo solo sincerarmi delle sue condizioni.”
“Sta meglio e la ringrazia.”
Hijiri non si sposta dalla porta. È palese che non voglia innervosirmi.
“Lo faccia entrare.” Dico spiazzando tutti.
Scruto Umibozu in viso: è pallido, ha gli occhi leggermente cerchiati e pare ancora più smilzo, come se avesse compiuto chissà quale sforzo. Ho una stretta al cuore, un’altra cosa che non ti spieghi.
“La faccio entrare solo per chiarire un punto, ragazzino…” dico “Non avevo intenzione alcuna di suicidarmi. È stato un dannato incidente.”
Egli annuisce:
“Me ne rallegro. Non sarebbe stato tollerabile un simile spreco di talento.”
Fino alla fine, continua a tartassarmi, a buttarla sul piano economico.
Mi rammento di Masumi, del fatto che fingesse di considerarmi l’uovo d’oro della Daito.
Ma lui non è Masumi: è solo un viscido. Ma è infermo e, sapendolo tanto giovane, provo pena.
“Cerchi di riposarsi.” Aggiungo “Dal momento che sarà il mezzo per il mio prossimo successo artistico.”
Umibozu socchiude gli occhi come chi sa di avere incassato il suo primo sì.
E sarà anche l’ultimo, penso tra me.
Lo aspettavo al varco. Se avesse fallito, la scusa per cacciarlo via dalla mia vista e dalla mia società si sarebbe presentata in tutta la sua seducente realtà.
view post Posted: 4/5/2017, 15:08 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo sesto.



“Ma è impazzita, ragazzina?”
“Che cosa diavolo le è saltato in mente?”
Ho le orecchie chiuse.
Quanta acqua ho imbarcato? Ho la nausea. Sento il sale ovunque e quella sensazione di scivolosità continua a permanere, come fossi costituita più d’acqua che d’ossa.
Non riesco a respirare. Il cuore prova a battere, ma è come impedito.
Forse, è questo il morire.
Sento, però, qualcosa che mi trascina a sé, come un flusso d’aria impetuoso che mi sbatte contro qualcosa. È come se provassi ad uscire da me, ma inutilmente.

“Si svegli, dannazione!”

Questa voce.
È una voce cara, ma non l’ho mai udita.
E, finalmente, un sussulto mi scuote il petto. È come una scarica elettrica: l’acqua viene su e la nausea viene a placarsi col vomito. Lo stomaco pare rompersi ed io smetto di brancolare in questa medietà incomprensibile che è il passaggio da vita a morte.
Avverto una morbidezza quieta, ma un poco ansiosa, sulle labbra.
Una sensazione meravigliosa.
Gli occhi, però, non mi reggono.
Le orecchie, del resto, non le supportano abbastanza.
Ho freddo.
Ho molto freddo.
Dormire è una metafora della morte. Così dicono.
Ma io posso ben affermare che la morte, quando ti ci avvicini, è ben altra cosa ed è quasi in simbiosi con la tua coscienza e col tuo vissuto.
Nel sonno, invece, sperimenti l’assenza del sé, ti quieti e nulla è.
Magari, la morte fosse così.
Permango in questo stato di assenza e mi sveglio dopo molte ore – per lo meno, a me sembra sia passato un secolo.
Provo a muovere le braccia, ma non riesco.
Apro gli occhi e vedo la pietra sopra di me.
Nelle narici, ho l’odore dello iodio e del mare, anche.
La testa, per lo meno, faccio a muoverla.
Sulla parte sinistra del mio corpo, avverto un calore intermittente, reso più forte a seconda dello spirare del vento.
“Che è successo?...” domando debolmente, ma non so a chi.
Mi accorgo che è del tutto normale non riuscire a muoversi, dal momento che sono stata avvolta e - strettamente – in una montagna di indumenti.
Muovo il collo in avanti per guardare qualcosa che non siano gli scogli sopra di me e intercetto una figura di spalle, dei capelli chiari e scomposti, bagnati.
Ho un tuffo al cuore e, se non sapessi che sono in balia di pensieri tormentati e confusi a causa del mio “piccolo incidente quasi mortale”, direi che si tratta proprio di lui, di Masumi. Ma è più smilzo e piccolo. Il mio Masumi, invece, era prestante e muscoloso. Negli ultimi tempi, era un armadio. Aveva talmente tanto peso, gravato sulle spalle, da essere aumentato di volume.
Concretamente.
Materialmente.
Ci sono panorami – o persone – che non vorresti mai smettere di rimirare e, invece, per cecità improvvisa o altre cause, non riesci più a recepire.
Mi sentivo così.
Da ventitré anni.
“Sta meglio?” mi domanda una voce rauca e stridente. Graffia il cuore, davvero.
“Che cosa mi è capitato?” chiedo a mia volta.
“Lo sa benissimo, per Diana!” sbotta l’altro “Che cosa aveva intenzione di fare? Un’immersione subacquea senza muta?”
È fuori di sé e non capisco perché uno sconosciuto debba esserlo.
“Stava per morire, benedetta donna!”
“La smetta di urlare…” biascico provando a sollevarmi sui gomiti. Finalmente, ho forza sufficiente per togliermi di dosso questi abiti così pesanti da opprimermi “…che significa che stavo per morire?”
Finalmente si gira ed ho uno scatto d’ira repentino, spontaneo: lui? Che cosa ci fa lui qui?
“Se non ci fossi stato io,” mi previene ancor più fuori di sé “ora sarebbe al Creatore!”
Si avvicina minaccioso e inizia a scrollarmi:
“E’ stata incosciente per quasi mezz’ora! Ho dovuto praticarle la cardiopolmonare, lo sa? E ci stavo per restare secco io!”
“Poteva lasciarmi morire, allora, stupido ragazzino!” gli urlo a mia volta.
Mi passo una mano sulle labbra, forse l’unica parte calda del mio corpo. Vorrei rimettermi addosso tutti i vestiti, ma non lo faccio: perché sono indignata una volta di più e perché non vorrei mai mostrarmi debole davanti a questo sciocco, importuno individuo!
“Stupido ragazzino?” ripete “A me? Lei è una donna senza spina dorsale! Pensa di avere ancora l’età per camminare sulla spiaggia come se non le importasse? Viaggiare con la fantasia non è appannaggio dei fanciulli? Chi è, tra noi, il ragazzino? Anzi, sa che cosa le dico? È così che la chiamerò d’ora in poi: ragazzina!”
“Come osa?”
Faccio per alzarmi, ma la testa mi giro e torno ad accasciarmi sulla sabbia. Il vento, ora, me la sbatte un poco addosso e sento quasi dolore, lì dove la pelle è nuda.
Lui si avvicina a me repentino, la preoccupazione stampata negli occhi azzurri.
“Sta bene? Forse, è meglio che la porti da un medico…”
“Ho solo bisogno che mi lasci in pace…” dico debolmente, prima di cadere svenuta ancora una volta.
Troppo sforzo. Troppo stress. E quest’individuo, poi…
view post Posted: 3/5/2017, 11:16 Buon Primo Maggio? Ma dove? - Allnews
Mi sembra un tuo diritto. Io ho preferito risparmiare i due euro per la colazione.
view post Posted: 3/5/2017, 11:15 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo quinto.



“Non ho diritto di scelta.”
Ripeto quelle parole come un mantra, sia nella mia mente che a labbra strette, come fanno i matti, come fanno i fissati.
Attraverso quel lembo di mare su un motoscafo aziendale senza pensare ad altro.
Che cosa poteva voler dire se non quello che ha detto: non posso escluderlo dalla mia vita. Questo è il regalo di Mitzuki e Karato. Il trattamento di fine rapporto lo hanno versato loro a me e si chiama Umibozu.
Scendiamo al porticciolo che è già chiaro.
Il sole sta salendo piano, sull’orizzonte.
Senza sapere perché, senza alcun desiderio razionale in testa, mi tolgo le scarpe, poggiando i piedi sul legno freddo ed umido. Ma già sento con chiarezza i piedi affondare sulla sabbia fine, quella sabbia avvolgente e calda che ho sempre adorato. Quella sabbia che riceve l’affondo del corpo e che Masumi stesso, prima di me, ha avuto di amare, di esperirne il potere terapeutico e rilassante.
Non c’è nulla di più bello dell’attesa.
Nell’attesa non vedi nulla, non percepisci la bellezza e, figurandotela soltanto, la anticipi, la rendi sommamente bella.
Come i bimbi, più felici la Vigilia, che nel giorno di Natale stesso.
Così io.
Il sole non c’è ancora, ma già i suoi raggi illuminano ogni anfratto della scogliera. Ad un chiaroscuro risponde il suono di un’onda ed è un magnifico concerto di luci e suoni, di quelli che solo gli animi predisposti all’ascolto possono udire. Del resto, recitare per anni mi è servito proprio a questo: a sentirmi parte di un mondo assai più grande del microcosmo a me toccato in sorte. Non si è che un niente, in questo universo.
C’è una parte che adoro, in questo lato dell’isola. Anticipa la vista della casa ed è nascosta, quasi fosse uno scrigno: qui le rocce precipitano in verticale sul mare. La spiaggia su cui cammino, d’improvviso, termina insidiosa. Camminando immersa nei tuoi pensieri, non vedi che l’acqua s’alza piano, lambendo prima la pianta dei piedi, poi le caviglie. Quando giunge alle ginocchia, sei già scivolata in basso, e non distingui più l’acqua, dal cielo, dalla pietra che ti sovrasta.
Il terrore si impadronisce di te. Ed è proprio quello che fa il morto, che ti uccide.
Il terrore.
È una sensazione strana, quella del respiro che ti si strozza in gola. Urli e, più lo fai, più imbarchi acqua. Lo stomaco si dilata a velocità prodigiosa, il tuo corpo è un fantoccio in balia dell’acqua salmastra e scivolosa. Provi piacere, in quest’essere trasportata senza mèta e, nel contempo, sai che è giunta la fine.
La fine.
Lì, in fondo, ci sei tu e attendi. Il ciclo, per me, è giunto al termine e, finalmente, dall’altra parte, come Altair e Vega nella celeberrima leggenda, avremo il nostro ricongiungimento. Poi, agli dèi piacendo, ci reincarneremo e vivremo in pienezza, come meritiamo, come abbiamo sempre meritato.
view post Posted: 2/5/2017, 15:17 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo quarto.



Ho raggiunto la stazione centrale.
La macchina aziendale ha raggiunto lo scalo alle dieci in punto, appena in tempo per prendere l’ultimo treno della notte.
Voglio stare da sola. Voglio tornare a Izu senza avvertire nessuno. Voglio visionare quei dannati manoscritti e capire.
Mitzuki ha parlato di un ideale prosieguo del capolavoro scomparso. Vaneggiamenti, io penso!
Mi son portata dietro il fascicolo di Umibozu Ayakawa. Già so, però, che non ne leggerò neppure una riga. Già so che rifiuto di averlo come segretario o consigliere o altro.
Attraverso le campagne nella notte, su queste rotaie così lisce da tracciare, nella mia mente, traiettorie aeree.
È un rollercoaster dei pensieri. Lunghi vent’anni, sì.
Che a questo ragazzino sia stato concesso di scartabellare nel mondo mio e di Masumi è scandaloso. Che abbia creduto di trovare qualcosa di rilevante – lui che nulla sa! – lo è altrettanto. Come può conoscere in dieci secondi quel che io ho appreso in una vita?
La sua età mi scandalizza, mi ripugna.
Piccolo, sciocco, saccente presuntuoso.
Cosa sa lui di amore di anime?
Mentre penso questo, contraddicendo il proposito iniziale, finisco per aprire il fascicolo a lui dedicato.
L’incipit della sua tesi di laurea è la celeberrima frase del Maestro Oozachi:

“Non esistono età, aspetto, rango
Per le due anime che s’amano.”



Ancora fastidio.
Inarrestabile quanto la nausea che mi opprime dalla sera in cui ho perso Masumi.
Guardo fuori dal finestrino, dove tutto è nero, intervallato ogni tanto da luci artificiali.
È impossibile, per me, cacciare indietro i pensieri molesti.
E’ incredibile come rabbia e tristezza fagocitino ogni istinto di bene, ogni propendere positivo verso qualcosa o qualcuno.
Ancora non pondero razionalmente ciò che potrebbe avere spinto Mitzuki e Hijiri ad abbandonarmi per favorire questo perfetto sconosciuto. Non possono desiderare davvero la fine della mia carriera.
Non loro.
La carrozza su cui viaggio è silenziosa, deserta. È una sensazione deliziosa: è una sorta di viaggio nella mia solitudine.
Vado alla ricerca di un senso da attribuire al mio me.
Non c’è giorno, Masumi, in cui non mi domando dove tu sia. In quale anfratto? Sotto quale forma vivente? Se davvero le anime gemelle esistono, come prescinderne?
Venti anni.
Rivivo quel giorno, ossessivamente, ad ogni sorgere del giorno. Vedo l’immagine tua farsi evanescente: ti stringo tra le braccia, ma scivoli via perché, ormai, non appartieni a questa dimensione. Ti invoco appellandoti Isshin e fingendo io stessa di essere chissà quale miracolosa dèa.
Ma non c’è né c’è stato alcun miracolo.
Masumi, io ti stavo abbracciando e con me, tutte le potenze angeliche che presiedono all’amore. Non è stato sufficiente e, da allora, vago alla ricerca di te.
Quanto mi pare lunga – e amara! – l’attesa.
Le giornate, già monotone, si fanno infinite, all’appropinquarsi della vecchiaia.
Mi ricordo all’improvviso della data. Oggi è il mio compleanno: oggi compio 42 anni.
Sospiro profondamente e appoggio la schiena al sedile morbido.
Mi trasmette calore, mi avvolge.
Viaggiare in prima classe è uno di quei privilegi per cui val la pena essere benestanti.
Realizzare d’essere mentalmente soli, però, non corrisponde sempre alla realtà vissuta.
Così, ciò che è molesto può palesarsi davanti a te quando meno te lo aspetti.
“Non ci posso credere.” Dico a labbra serrate.
Lui è lì.
Umibozu è seduto qualche posto avanti al mito, lato corridoio come me e sta guardandomi.
“Buonasera, signorina Kitajima.”
Signorina.
Sarà anche un luminare in studi oozachiani e in economia, ma non dimostra alcuna conoscenza in fatto di galateo: chiamare una donna di quarant’anni “signorina” o è una presa in giro è, appunto, una questione di ignoranza.
“Qual buon vento la porta?” dico ironicamente, mentre mi alzo per raggiungerlo.
Una piega sarcastica?
E’ quella che vedo sulle sue labbra senza dubbio alcuno: dov’è finito il ragazzo servizievole che se ne stava dietro le spalle di Mitzuki? Ha rivelato la sua vera natura. Come previsto, il fatto di aver firmato gli dà, ora, il diritto di comportarsi da padrone.
Inaudito, tutto ciò.
“Non è sarcasmo.” Mi previene “E, del resto, neppure il suo…buon vento indica ciò che, di primo acchito, le parole significano. O sbaglio?”
Sagace.
Resto in piedi davanti a lui: ho tirato giù il bagaglio e, ora, passo alla carrozza successiva.
“Una mossa inutile, signorina.” Riprende “Sappiamo perfettamente entrambi che stiamo andando nello stesso posto.”
“Per lo meno,” mastico “eviterò di vedere la sua faccia per un paio d’ore buone.”
“Senta,” mi dice abbassando i toni – la piega sarcastica è sparita “faremmo meglio ad abbassare le armi, non trova? Io sono qui solo per portare benefici a lei e alla sua società di produzione artistica. Si sieda accanto a me; mi rivolga pure tutte le domande che le vengono in mente. Ricominciamo daccapo, vuole?...”
No che non voglio, ma non glielo dico.
Non sopporto quei suoi capelli biondi scomposti, quegli occhi azzurri impertinenti. Indossa un impermeabile chiaro sopra un vestito classico scuro. Troppo studiato per avere solo 24 anni.
Sono sicura che ha guardato le vecchie foto di Masumi per rendersi simile a lui. Solo nel vestire, però, ché la sua sostanza è tutt’altro che simile!
“Qual è il suo scopo, ragazzino?” chiedo scortesemente canzonandolo nel modo che più aggradava a Masumi quando si rivolgeva a me.
Lui mi fissa negli occhi con una eloquenza che mi sconcerta:
“Ho rinunciato a molti incarichi di prestigio per trovarmi, oggi, su questo treno. Non ho bisogno di lavorare per Maya Kitajima, che, come la sua sensei, disdegna gli affari come si disdegnano gli scarafaggi. Trovo la vostra mancanza di attenzione all’economia e al mondo uno spreco indegno: col vostro talento e genio, con ciò che possedete artisticamente parlando, potreste rendere ancor più grande il vostro nome e ciò che ruota attorno al capolavoro scomparso. Credo Che Mitzuki e Hijiri se ne siano accorti: del resto, se il signor Masumi si circondava di persone concrete e pratiche, un motivo doveva pur esserci.”
“Non osi nemmeno nominare Masumi. Non provi neppure ad interpretare il suo pensiero!” sbotto rossa sino alle orecchie.
“Masumi Hayami era un preparato uomo d’affari.” Puntualizza freddamente Umibozu “Era stato designato niente di meno che dall’imperatore Ryu Takamiya perché diventasse amministratore unico del gruppo Chuo. Ora, mi rendo conto che per lei, che vive d’arte, ciò possa costituire un nulla!”
“Stia zitto!” sibilo “Ha commesso un errore fatidico, grazie al quale mi priverà del piacere di attaccarla ancora: non nomini mai più quella famiglia. E, che piaccia o no ai miei…ex collaboratori, lei non sarà il mio braccio destro! Non accetterò mai di lavorare con lei né ora né mai.”
“Se pensa di avere scelta, si sbaglia.” Afferma sibillino.
L’altoparlante annuncia finalmente l’arrivo alla stazione. Finalmente, con altri mezzi, potrò raggiungere la casa di Masumi sull’isola. Finalmente, potrò liberarmi di questo individuo.
“Lei si è rivelato esattamente per come è.” Dico alzandomi.
“Ci vediamo domattina.” Afferma alzandosi a sua volta, il tono ancora perentorio “Non può escludermi quando e come più le aggrada.”
view post Posted: 1/5/2017, 16:01 Buon Primo Maggio? Ma dove? - Allnews
E' quanto ho pensato, stamattina, "aprendo" virtualmente la rassegna stampa. La prima cosa che ho visto è stato Fiorello che ironizzava su inferno e paradiso (da una parte, la carne, dall'altra le verdure).
Mi son detta: quest'uomo è un genio, se riesce, un po' alla Alberto Sordi, a prendere per il culo l'italico bestiame, tutto dedito a panza, cibarie e null'altro.
L'Italia è un Paese alla deriva, in mano alle mafie e alla lentezza burocatica. E' un Paese dove i criminali la fanno franca e chi povero lo è davvero si sporca la fedina penale sol per avere rubato una mela.
L'Italia è un Paese in cui un ragazzo dotato e di bellissime speranze deve far la valigia - pena l'ammuffire disoccato in eterno - per andar altrove. Non all'interno dello stesso Paese, ovviamente, ma all'Estero.
L'Italia è un Paese che ha rinnegato la Resistenza e i Partigiani diventando serva dell'America e delle sue politiche imperialistiche trasformate in "esportazione del VERO ideale democratico".
L'Italia è un Paese incolto, dove agli insegnanti viene chiesto di non insegnare a pensare. Perché, dietro all'esercizio del pensiero si nasconde la politica, lo sapevate? Eppure, io vi dico che, oggi, non saprei neppure chi votare. Destra o presunta Sinistra non fa differenza. Gli schieramenti non allineati né a destra né a manca non li conto neppure.
A quanto pare, creare cittadini consapevoli equivale a fare politica. Bella cosa mettere il bavaglio ai professori: hanno capito tutto e iniziato la loro opera demolendo la scuola pubblica quando uscì la famigerata circolare.
Ai ragazzi dispensiamo nozioni inutili, quindi, per creare le famigerate competenze.
Ma competenze de che?
Ah, la novità è che il giovintoscano restauratore di scuole e dispensatore di voucher è tornato: anche se aveva detto di ritirarsi a vita privata, ha ritenuto opportuno ridiscendere in campo per salvare il Paese. Ne bastava già uno che si credeva Gesù Cristo. Ora c'è l'erede.

Per quanto tempo ancora, Signore?
view post Posted: 1/5/2017, 15:40 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo terzo.



Ventiquattro anni.
Leggo sul fascicolo dalla classica copertina gialla, quella destinata ad essere archiviata nei raccoglitori di metallo che piacciono alla mia solerte segretaria.
O, forse, dovrei dire ex-segretaria.
Quando io calcavo le scene, nel pieno del mio vigore giovanile, lui, tale Umibozu Ayakawa, veniva al mondo.
“Non è stata una vita semplice come parrebbe.” Mi dice prima che io possa leggere oltre “Indubbiamente, la sua è un’ottima famiglia: il padre è avvocato e la madre si è occupata di lui fino a che non è stato autonomo. Lei è venuta a mancare l’anno scorso, a causa di un brutto male. Il babbo, invece, esercita ancora. E’ ancora giovane: sui sessanta, credo. Forse non lo sai, ma è stato uno dei legali della Daito Art Productions, ai tempi della direzione di Eysuke Hayami.”
Come faccio a saperlo? Quel nome, Hayakawa, mi è del tutto sconosciuto.
“Vai avanti.” Le dico con malagrazia “Sai benissimo che odo queste cose per la prima volta.”
“Il ragazzo era un promettente atleta, ma un problema cardiaco lo ha tenuto lontano dal professionismo.” Racconta lei guardandomi da dietro le lenti ambrate “Così, si è dedicato agli studi. Inizialmente, aveva vinto una borsa di studio per Giurisprudenza, ma poi ha scelto Economia e, subito dopo, Drammaturgia. Della tesi di quest’ultima laurea, già sai.”
“Spiegami come è arrivato qui, a ricoprire non uno, ma ben due ruoli: quello tuo e persino quello di Hijiri.”
“Karato” continua Mitzuki “lo ha conosciuto un paio di mesi fa mentre si trovava alla Biblioteca di Izu per un seminario su Oozachi: si trattava di un corso destinato agli studenti laureandi del corso di Drammaturgia. Il direttore gli ha raccontato della sua eccezionale scoperta…”
“E’ mai possibile” domando perplessa “che, in tutti questi anni, nessuno abbia mai avuto la tentazione di aprire quella cassaforte? Chi è il direttore in questione? Di certo, un incompetente…”
Saeko scuote la testa. Si leva per dirigersi alla macchinetta del caffè.
Mentre armeggia, continua a parlare e, mano a mano, il suo tono si fa più grave.
“Ovviamente, nessuno di noi era a conoscenza dell’esistenza di questa cassaforte.” Afferma “Il ragazzo ha frequentato la biblioteca ogni giorno per consultare i manoscritti portati lì da Nara e redigere una tesi di laurea sperimentale. Un giorno, a quanto pare, mentre cercava nell’ala privata, quella intitolata al signor Masumi, ha visto un’apertura. Incredibilmente sfuggita a chi aveva lavorato sulla struttura per renderla pubblica.”
“Una cosa che ha dell’incredibile.” Ironizzo.
“Tra la porta e la grande libreria,” riprende la segretaria “c’era una piccola manopola. Troppo piccola per poter essere notata.”
“E’ impossibile!” sbotto “I lavori di intonaco e stuccatura delle pareti sono stati svolti dai migliori imbianchini del circondario! Come non accorgersi di una serratura di tal fatta?”
“Non lo so, Maya. Sto semplicemente raccontandoti come sono andate le cose.” Mi risponde Mitzuki.
“Non ne sono convinta.” Biascico “E se fosse tutto un imbroglio di quell’Umibozu?”
“Un imbroglio?” ripete “A che pro?”
“Non lo so! Un imbroglio, qualche espediente per mettere le mani su ciò che appartiene a me e a Masumi, magari! E quel fantoccio è già arrivato a mèta, se è riuscito a prendere il posto tuo e di Hijiri!”
“Maya, siamo stati noi a decidere in questo senso.” Dice Saeko stringendo le labbra “Ti prego di non partire prevenuta. Ascolta ciò che Umibozu ha da dirti e sono certa che converrai con me sulla giustezza delle scelte compiute.”
Mi alzo dalla poltrona e raggiungo la grande vetrata dietro di me. Sento i piedi affondare nella moquette Anni Settanta che tanto piaceva a Masumi e provo una stretta al cuore. Già non ero d’accordo sul fatto che la casa – quella casa – venisse trasformata in una Biblioteca pubblica: ora, addirittura, c’era chi aveva il permesso di violarne i segreti. Non ero, del resto, neppure certa che Masumi – il mio Masumi – desiderasse rendere nota quella scoperta. E, ora, è arrivato questo ragazzino pluridotato e ci ha scritto su una tesi di laurea sperimentale! Un documento destinato alla pubblicazione senza il mio consenso!
È davvero inaudito.
“Maya, non è reato scartabellare in biblioteca, come non lo è neppure scoprire un passaggio segreto o…un reperto archeologico. Succede e basta!”
“Sì, ho capito!” ribatto “Ma è tutto quel che è accaduto dopo a lasciarmi sconvolta. Senza contare il fatto che quel ragazzo, Umibozu, pare di un presuntuoso pazzesco.”
“Sei partita prevenuta tu.” Mastica la segretaria.
È del tutto inutile: non riesce a capire che le rivoluzioni copernicane sono stravolgimenti in piena regola. Non si può urlare al mondo che è la terra a girare intorno al sole, dopo secoli di scienza che imponevano il contrario!
“Basta. Te ne prego, ora lasciami sola. Sono davvero stufa di sentire la tua voce.” Dico arrabbiatissima.
“Farò come dici.” Ridacchia piano “Credo tu sia molto curiosa, ora, di leggere quel fascicolo.”
view post Posted: 29/4/2017, 15:42 Anime Gemelle - Fanfictions

Capitolo secondo.



Sento bussare piano alla porta e tiro giù le gambe dal tavolo repentinamente per non farmi sorprendere in un atteggiamento non consono per la grande artista che rappresento.
E’ lei, Mitzuki, la donna che, anni fa, ha dato l’anima per lavorare al fianco di Masumi Hayami e, oggi, è al mio servizio. Da quella notte, per la precisione, io ho due persone su cui faccio totale affidamento: una di queste è lei. L’altro è Hijiri.
Sono i miei supermanager: gestiscono tutto ciò che gira attorno al business relativo al capolavoro scomparso. Il compito specifico di Saeko è quello di visionare copioni teatrali adeguati alla mia immagine di “interprete geniale”: sono sempre l’erede prediletta di Chigusa Tsukikage, in fondo. E mentre la mia storica rivale si è data al teatro alternativo, io vesto panni per lo più tradizionali, che non mi facciano distanziare troppo dalla maschera che, fino al momento in cui non troverò a mia volta un’altra erede, dovrò tenere ben ferma sul volto.
Il mio aspetto non è cambiato molto: certo, ora son diventata più smaliziata e ho una scintilla impertinente negli occhi. E’ come se vivessi per due, in fondo, dato che Masumi non è più al mondo. La scintilla negli occhi non pregiudica il mio carattere, che è rimasto quello di una ragazza semplice: è solo che, crescendo, son diventata un pelo più sicura di me stessa e di ciò che ho nel cuore.
“Che succede, signorina?” domando un po’ piccata. Me la figuravo con la tazza di caffè sul solito vassoietto d’argento e, invece, noto subito che non è sola. Dietro di lei c’è una sagoma maschile: un vestito scuro, non nero, due gambe lunghe, due spalle larghe. Troppo giovane per essere Hijiri.
“Se permette,” mi spiega la segretaria “vorrei presentarle colui che sostituirà Karato per circa sei mesi.”
Cerco di capire cosa sta succedendo: Hijiri che se ne va senza dare spiegazioni dirette a me? Dopo vent’anni di servizio continuato, si cerca un sostituto e me lo piazza alla porta?
Guardo Mitzuki biecamente, mentre il tipo fa un passo in avanti e si schiarisce la voce:
“Signora Kitajima, è un piacere fare la sua conoscenza. Mi chiamo Umibozu Ayakawa…”
Sciorina informazioni non richieste, che ascolto a malapena. Quanti anni avrà, questo strano individuo? Ha uno sguardo azzurro che inquieta e capelli lunghi sulle spalle.
“Appena uscito dall’asilo, mi pare di capire.” Ironizzo piuttosto scortesemente.
Egli stringe impercettibilmente gli occhi:
“Credevo che una persona come lei non fosse avvezza al giudizio. Non a quelli di natura anagrafica, per lo meno.”
“Certamente!” ridacchio “Del resto, la mia ombra scarlatta era ben nota per la sua propensione per le ragazzine più giovani.”
Era un commento indegno e lo sapevo: denigrare Masumi e il nostro amore di anime, però, era quanto mi consentiva di sopravvivere al meglio da quella sera.
Ribadisce ancora di essersi laureato non so dove, non so con quale tesi.
Non mi frega nulla di ciò che dice e vorrei lo comprendesse. Forse, lo capisce, ma, da top manager qual è, sa benissimo di dover tentare la carta della perseveranza per poter ottenere il posto.
Mi previene mentre sto per palesare questo pensiero:
“Non ho alcun motivo di farmi pubblicità. Il mio ruolo alla Compagnia Tsukikage non è in discussione. Sono stato assunto regolarmente: ho firmato poc’anzi.”
“Il signor Hijiri” sottoscrive Mitzuki con la pedanteria che le è consueta “è stato fermissimo, a riguardo. Umibozu è già, di fatto, il suo nuovo manager e non solo subentra a Karato, ma anche a me medesima.”
Sta sorridendo!
Impercettibilmente, ma sta sorridendo!
Mitzuki sta prendendomi in giro.
“Lei somiglia sempre più al signor Masumi, lo sa?”
“E’ un complimento, suppongo.” Dico un po’ rigida.
“Certamente.” Sottoscrive la donna mentendo spudoratamente.
“Vorrei sapere, almeno,” aggiungo dominandomi a stento “a cosa debbo questo abbandono in massa.”
“Nessun abbandono.” Dice Saeko repentina “Noi resteremo alla compagnia: semplicemente, io e Karato abbiamo ritenuto opportuno svecchiare la vecchia amministrazione. Il signor Umibozu ha svolto alcuni masters dedicati ed è un fine conoscitore di manoscritti teatrali ancora pressoché sconosciuti.”
“Potrebbero” si intromette educatamente il nuovo arrivato “segnare un nuovo corso. Gli inediti del Maestro Oozachi, di cui Tsukikage sensei e lei, oggi, siete eredi, costituiscono un capolavoro a sé.”
“Ne ho già sentito parlare a josa.” Quasi sbotto “Ma sono solo tracce: Oozachi non ha mai scritto copioni teatrali. I suoi diari sono troppo confusi per poterne trarre qualcosa di organico.”
Chi sono costoro? Chi è costui? Penso tra me. Come osano parlare di cose che non hanno per loro importanza alcuna: io ho letto quei diari, quand’ero nella Valle. Non hanno nulla di rivoluzionario, sotto il profilo artistico.
“State cercando di dirmi che La Dèa Scarlatta è passata di moda? Ma che cosa volete?”
Faccio cenno a quell’…umicoso di uscire dal mio ufficio, ordine che lui accetta con riluttanza. È stato bene addestrato: sa che Maya Kitajima non accetta i diktat di nessuno, a parte quelli che lei medesima si dà. Resto solo con la mia segretaria o con quella che lo era fino a due secondi fa.
“Dove diavolo è finito Hijiri? Che cos’è questa storia?”
“Il signor Umibozu” mi spiega lei abbassando i toni “ha un curriculum eccellente. La sua tesi in drammaturgia…”
“Credevo avessi detto che era laureato in economia!” l’interrompo scocciata.
“Maya, ascolta.” mi dice con ferma dolcezza “Io sono troppo vecchia e manco di idee. Questo ragazzo, se ne leggi il curriculum, è un luminare nel settore. Ha due lauree. Ha scoperto dei manoscritti segreti e…una sorta di seguito de La Dèa Scarlatta.”
“Un …seguito?” ripeto “Che accidenti stai dicendo? Io vivo in quella casa sei mesi all’anno e non ho mai trovato manoscritti di tal fatta!”
“Non si tratta di materiale rinvenuto nel vecchio tempio dedicato alla dèa, Maya.” Precisa Mitzuki “Era nella casa di Izu, in una cassaforte segreta. Da quando l’edificio è stato trasformato in biblioteca e osservatorio, parecchi giovani studenti vengono a consultare la ricca collezione di testi lì presente.”
“E, secondo te, se Masumi avesse avuto qualcosa del genere in saccoccia, non ne avrebbe fatto parte con me o con la sensei Tsukikage?”
“Il signor Masumi, purtroppo, è deceduto prima che potesse rivelare a chicchessia questa rivoluzionaria scoperta. E Umibozu ha contattato il signor Hijiri per comunicargli l’eccezionale scoperta, avvenuta, a quanto pare, in modo del tutto casuale.”
“Adesso tu ti siedi e mi racconti tutto dall’inizio. Tutto, hai capito?”
L’ordine fu perentorio e, per la prima volta dacché la conosco, ho visto Mitzuki abbassare un poco il capo in segno di obbedienza.

CONTINUA!...

view post Posted: 28/4/2017, 15:41 Anime Gemelle - Fanfictions
Dedicato a te.

Anime Gemelle

Le anime gemelle esistono.
Sono informi e senza ossa e, ciò nonostante, sono più avvinghiate che mai l’una all’altra. Non sono mai andata a piangere sulla tua tomba né ad aspergere l’acqua rituale per darti un ultimo saluto. Perché, comunque, so che ci sei. So che non ti sei mai allontanato da questo mio fianco ora un poco sghembo e cadente. Perché son vecchia d’improvviso e perché il dolore mi affloscia non poco. Il dolore che nasce dal sapere, ma non vedere più. E’ contraddittorio, lo so. Io ti sento accanto, ma mi angoscia il fatto di non potere stringere la tua mano. Materialmente, con questa fisicità che , oggi, ti è stata negata.
Ho pianto.
No. Più che piangere, ho urlato e bestemmiato, anche. Stupidamente, gli uomini bestemmiano, quando, invece, dovrebbero pregare con intensità maggiore coloro o colui che tutto può, se vuole. Anche risuscitare da morte. Non importa se subito o dopo due anni.
Io credo fortemente, adesso. Non dico che gli dei non sono perché tu non sei più.
Ma non accetto questo tuo essere ridotto in cenere. Intollerabile rimando a un Fato segnato dall’eternità e, ancora una volta, per un’altra vita ancora, incompiuto.
Eravamo più vicini che mai. Bastava tendere la mano. Io stavo per raggiungerti: negli occhi avevo la spiaggia e i granchi. Nelle orecchie, il rumore della risacca quieta. Mi figuravo la volta celeste.
Tu, ancora una volta, come hai fatto per sette lunghi anni, ti sei mosso per primo. Sei salito sulla tua auto fiammante: vedevi e sentivi le stesse mie cose. Ti figuravi la volta celeste.
Ma non sei mai giunto a destinazione.
E io, attraversando la strada qualche ora dopo, ho visto solo un cartoccio di lamiere.
Non avevano lasciato nulla, a parte ciò che rimaneva dell’auto: nulla di tuo. Io sono scesa col cuore in tumulto. Ho realizzato l’inaccettabile quando ho visto un petalo scarlatto sulla pelle dei resti di un sedile carbonizzato. Non era bruciato. Era più scarlatto che mai ed eccezionalmente vivo.
Mi son vista pendere da una corda, ma mi è toccato vivere per raccontarlo.

Capitolo Primo.


Vent’anni dopo e qualche anno di più di venti. La piccola attrice, ancora piccola di statura, s’è fatta più che adulta.
Ha guadagnato l’ambìto premio, ma a che prezzo? Il prezzo più alto, che è quello dell’assenza. Difficile filosofeggiare di anime gemelle, se la tua non è più. Ci vorrà un altro ciclo di vite per sperare nel ricongiungimento. Così, almeno, dicono i religiosi.
Cui credo relativamente.
Il Maestro, colui che, anni addietro, dette inizio a tutto questo, aveva in realtà preso una colossale cantonata. Né aveva tratto forma di consolazione alcuna dalle sue romantiche teorie.
Non ho creduto ad una sola parola pronunciata su quel palcoscenico. Non una.
Se ho vinto – se ho vinto qualcosa – lo debbo al dolore provato, al corredo di sentimenti lautamente dispensato dalla vita. Ed è la più infame delle promesse non mantenute.
Qualcuno ravvisa note beffarde sul mio volto attuale. Io penso di avercele già da quella sera.
Penso sia naturale, per una donna di quarant' anni e passa disconoscere il piacere per il piacere e ridere sapientemente delle credenze favoleggianti di taluni.
Oggi, io vivo di rendita. Non manco di sostanze e ciò aiuta a non mancare di null’altro. La materialità serve eccome, quando il terreno frana sotto i piedi: puoi usarne una parte per addolcirti l’esistenza. Poco importa se, a mancarti, è l’anima gemella.
Ieri, la mia segretaria mi ha chiesto se avessi bisogno di qualcosa: le ho risposto che no, non voglio proprio niente. Devo solo spingere la carretta e far tornare tutto nei ranghi, anche se “ieri” era vent’anni fa. Perché, di là degli anni trascorsi e dei conforti, il ricordo è ancora molesto, come il pensiero della promessa d’amore non mantenuta.

CONTINUA!...

view post Posted: 16/4/2017, 15:40 Volume 50 - Le Rose Negate - Fanfictions
Attenzione. Questa short-fic è stata elaborata facendo riferimento agli spoiler sul volume 50 in circolo!
Le immagini vengono da google search e appartengono quasi tutte a siti stranieri.
Buona lettura!

Le rose negate
- Volume 50 -



Ho parlato col dottore, ieri sera.
Era scuro in volto, non dissimile da chi reca pessime notizie, ma non sa come tamponare la cosa così da renderla accettabile.
Non ci sono terapie applicabili, ad oggi. La situazione mentale di Shiori è tale da non consentire nulla di canonico. Ho pensato, in quel momento, alla possibilità di interpellare uno shamano, un guaritore, un qualsiasi testa di cazzo possa fare qualcosa. Mi sono sentito terribilmente ridicolo.

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Sono letteralmente relegato all’angolo di questo ring claustrofobico, ma penso che sposarmi, allo stato attuale, sia la scelta peggiore che possa prendere. Hijiri ha detto più o meno così: Shiori – e io, naturalmente – meritiamo un amore vero, reale, che non sia il surrogato di un fuilleton ottocentesco. Anche se, a differenza del mio collaboratore, non sono del tutto convinto che la mia…fidanzata sarebbe infelice. In fondo, sono l’ennesimo premio che una ragazza bella, ricca e vincente come lei agguanterebbe.
Non sono certo io o i miei sentimenti ad essere messi in dubbio, oggi.
Ciò che mi rode, che mi uccide letteralmente dacché ho parlato con Hijiri, è il fatto che lei possa rifarsi una vita. Lei non è come me.
Lei è parte di me, ma non è me.
Perché lei ha il teatro, mentre io ho solo lei per recitare la parte di me stesso.
Senza di lei, rasento la follia.

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Non mi ero accorto di questa cosa fino a quando Hijiri non ha dichiarato di volersela prendere. E’ stato il primo, dopo quello pseudofidanzato dai capelli di plastica che si chiamava Rio. Ma, all’epoca, io ero ancora inconsapevole della portata di questo amore. Non potevo minimamente ponderare fin dove mi sarei spinto pur di tenerla legata a me.
Omicida.
Sarei disposto ad ammazzare piuttosto che vederla con chiunque altro. A Sakurakoji ho detto che Maya sarebbe stata tutta sua, ma gli ho mentito. E, nel momento in cui ho pronunciato quelle parole, ho mentito anche a me stesso.
Nessuno. Nessuno deve averla.
Sento che potrei diventare più matto di quanto non sia già adesso. Sarei pronto a commettere un atto efferato.
Non so chi, tra me e Shiori, sia più pazzo.
E in che cosa differisco da mio padre? Da quel padre che disprezzo profondamente per i modi rudi e la cattiveria che non concede sconti neppure a chi lo segue con tanta devozione!
Mi sono messo con la Takamiya perché ero disperato: non mi interessava nulla del gruppo Chuo. Avevo già la Daito, che sarebbe passata a me, in quanto unico erede di Eysuke. Inoltre, ero stato proprio io, facendo a brandelli la mia anima, a tessere attorno a me il sembiante dell’affarista senza scrupoli. Tutto era andato come previsto, fino a che non è arrivata lei, Maya.
La sua forza, come la sua insignificante normalità, mi hanno fatto ricredere su tutto.
Perché, di là del fatto che sono un uomo piacente, ricco e intelligente, nascondo in fondo al cuore il bambino che è cresciuto sotto l’ala protettrice di una mamma normale. E che mi ha reso normale. Desideroso come tutti di guardare il cielo per ore, in un planetario o all’aria aperta.

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Lei mi capisce profondamente, più di chiunque altro.
Essere felice con Maya è il sogno più grande che possa realizzare, ma, se oggi decidessi, come Hijiri suggerisce, di essere felice, quali conseguenze, quale futuro per noi? Non sono convinto che Eysuke decida di restarsene con le mani in mano: la revoca dell’adozione creerebbe un buco nel mio futuro e, inevitabilmente, in quello di Maya. Non potrei più proteggere lei e neppure me stesso.


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***



Eysuke, seduto al tavolo della sala da pranzo, depose il quotidiano di fianco al piatto cogitabondo.
Invero, non aveva letto una sola riga delle notizie di finanza che, di solito, lo assorbivano del tutto.
“Asakura,” chiamò piano.
L’assistente gli fu prossimo in un istante:
“Signore?”
“Che notizie…di mio figlio?” chiese con uno sforzo mentale notevole. Non era il momento giusto per dare alla servitù l’immagine di un uomo che non ha più il controllo su tutto, ma la preoccupazione derivante dal non sapere dove si trovasse Masumi e l’eccitazione per l’imminente fusione col gruppo Chuo ebbero il sopravvento.
L’anziano lo guardò di sottecchi, le bianche sopracciglia inarcate interrogativamente su due occhi piccoli e maligni.
“Non ne so nulla, signore.” Rispose in modo laconico. E fece un passo indietro senza, però, distogliere lo sguardo da quello del padrone di casa.
Le mani di Eysuke, che avevano stretto i braccioli fino a quell’istante, allentarono la presa.
La signora Ono, che serviva a tavola da venticinque anni, si avvicinò facendo un inchino.
“Prima che vada in camera,” mormorò con dolcezza “la prego di prendere la sua medicina.”
E depose sul tavolo un vassoio d’argento su cui erano sistemati due compresse e un bicchiere d’acqua.
“Il signor Masumi non mi ha raccomandato altro.” Precisò la donna.
Il suo tono era così dolce da rabbonire persino il vecchio burbero.
“E ti ha detto altro, il signor Masumi?” chiese Eysuke con ironia.
“I figli devoti si preoccupano sempre della salute dei genitori non più giovani.” Sorrise la signora Ono “E suo figlio è davvero un bravo ragazzo. È dolce e gentile come pochi.”
Fece per congedarsi e Hayami lasciò correre. Sì, Masumi gli era sicuramente devoto: non avrebbe fatto nulla che fosse di nocumento a lui e alla Daito. Né, tantomeno, avrebbe commesso l’errore madornale di far fallire la trattativa del secolo.
Eysuke prese la compressa e la mandò giù, tirando un lungo sospiro.

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***



“Che cosa hai detto?”
Le parole del vecchio imperatore dell’alta finanza penetravano nelle mie orecchie procurando ferite dolorose.
“Vuoi,” mi incalzò “spiegarmi una volta per tutte che cosa è accaduto? Sembravi così preso da mia nipote! Forse, sei stato un po’ titubante, all’inizio – e ora inizio a capire perché – ma poi non hai più lasciato dubbi. Nulla che ci facesse ricredere sulla tua buonafede.”
“Sono stato sincero, in merito a Shiori.” Dissi senza indugio “C’è stato un momento in cui ho pensato realmente che fosse la scelta più giusta per me. Sotto ogni punto di vista, sua nipote rappresenta il meglio. Per un uomo nella mia posizione, di certo, Shiori è la più grande fortuna immaginabile.”
“Ma…?”
E la domanda di Takamiya recava una nota semiisterica nel tono con cui era stata posta.
“Poi?...non è corretto parlare di poi. Nel mio caso, dovrei parlare di prima.”
“Non posso neppure rimproverarti di voler mettere le mani sulla mia società!” sbottò sempre più scuro in viso “Dal momento che vuoi disdire il matrimonio, mi pare del tutto ovvio che non te ne importi nulla! Che cos’avete, tu e tuo padre, in cantiere? Un affare milionario? L’esclusiva di un gruppo rock mondiale?”
“Mi scuso” svicolai infastidito “per ogni mio atteggiamento. Dacché ho messo piede nella sua casa, ho pensato che sposare Shiori fosse un atto dovuto. A me e alla società.”
“Confermi, dunque, che tutto era finalizzato a mettere le mani sul gruppo Chuo?”
Il tono indignato aveva lasciato il posto a quello scandalizzato, ma non propriamente sorpreso.
“Sei arrivato fino a questo punto per ottenere cosa, sciagurato? Mia nipote è completamente impazzita e, nonostante le mie ripetute preghiere, nonostante sia praticamente ai tuoi piedi, continui a rifiutarti di sposarla!”
“Non intendo lavarmene le mani.” Dissi con tono piano, ma fermo, gli occhi fissi in quelli dell’anziano.
Non volevo avesse dubbi sulla mia buonafede. Avevo mentito sino a quel momento e non era più tempo di perseverare.
Tutto doveva essere fatto per bene, ora: non sarei mai potuto essere felice con Maya, se non avessi tentato il tutto per tutto per riconsegnare a Shiori un’esistenza normale.
“Non c’è dubbio, signor Takamiya. Ciò che lei ha sentito dire di me – il fatto che sia un essere ancor più spietato dell’uomo che mi ha allevato - corrisponde a verità. Dacché ho messo piede in casa Hayami, mi sono adoperato per diventare l’erede perfetto e, in quanto tale, ho messo da parte ogni sentimentalismo, ogni cosa che potesse influenzare la mia attività di imprenditore. Sì, sono un essere privo di scrupoli, lo ammetto. Sono entrata in casa sua con un preciso intento e, subito, si è rivelata essere una scelta errata: sono successi molti fatti sgradevoli. Forse, è un messaggio del cielo o, semplicemente, il Fato. Non posso spiegarlo. Ma è certo che non tornerò indietro: ribadisco con forza che non sposerò Shiori.”
Takamiya scosse il capo, ma non replicò: avevo finalmente colto nel segno. Essermi liberato di quel peso, avere evidenziato più volte che niente e nessuno mi avrebbe ricondotto a Shiori e a quella famiglia mi ha trasmesso quel senso di libertà di cui non godevo da moltissimo tempo. Era finita.
Era finita!
La felicità traboccava letteralmente dal mio cuore e il vecchio, per quanto poco incline ai sentimentalismi, riuscì a percepirla in tutta la sua evidenza.
“Bene.” Mi disse “E…che cosa intendi fare per far tornare Shiori in sé?”
I coltelli affondano facilmente nella carne resa tenera dall’essere indifesi. E chi è felice di andare incontro al proprio amore è tale: indifeso.
“Non credere che io ti liberi dalla tua promessa così facilmente, Masumi.” Rincarò “Ti solleverò solo se riuscirai a guarire la mia adorata nipote.”
Io annuii:
“Ho preso informazioni, in merito. E non perché supponevo che lei mi ponesse di fronte alle mie responsabilità.”
Mi alzai.
“Dunque?” fece Takamiya “Quale sarebbe la tua idea?”
“Portare Shiori a Keyo.” Risposi fermo “Si stratta di un sanatorio, a quasi duemila metri di quota. Lì riceverà cure adeguate. Non so quanto tempo ci vorrà, ma il medico col quale ho parlato mi ha detto che, se sua nipote risponderà in modo corretto, i margini di recupero dovrebbero restringersi.”
“Keyo?...Alta montagna?...” ripeté sconcertato Riu “In ventisei anni di vita, la mia Shiori non è mai stata lontana da questa casa! Mai!”
Volevo rispondergli che l’anemia perniciosa, l’isteria e tutto il corredo che, assieme ai vizi, ella aveva ricevuto erano stati un fottutissimo regalo dell’adorata famiglia, ma mi astenni.
“Può lamentarsi o obiettare quanto vuole.” Dissi “Farò valere per l’ultima volta la mia posizione di…fidanzato, se potrà giovare alla salute della sua nipotina.”
Mi alzai dal tavolino basso e, senza aspettare consenso, mi diressi in camera di Shiori.
Ciò che vidi facendo scorrere la porta di carta di riso mi procurò una nausea profonda. L’ultima nausea, sperai.
Lei era lì, sul letto, seduta. Gli occhi semiaperti fissavano una rosa scarlatta ridotta a brandelli.
Tutt’intorno, poi, era un cimitero di fiori.
I fiori che, un giorno, ebbi a negarle.

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FINE

view post Posted: 16/4/2017, 10:31 Fast and Furious 8 - CINETECA, Televisione, Teatro, Fumetti, I nostri VIDEO!
ATTENZIONE, CONTIENE SPOILER!

Visto ieri sera.
Il primo Fast senza Brian O'Conner, il compianto Paul Walker. Ho pensato, da principio,
che mancasse qualcosa, ma mi son ricreduta già alle prime battute.

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Spiego un po' la trama: Dom è in viaggio di nozze con la sua Letty nella splendida capitale cubana. Solita gara col bullo di quartiere e scene rocambolesche catapultano in una dimensione già nota, ma adrenalinica al punto da farci recepire che nulla è cambiato.
Anche se Brian non c'è: perché Brian, tenendo fede alla promessa fatta a Mia, incinta del secondo figlio - una bimba, stavolta - si è ritirato a vita privata. Dall'inizio, si comprende che neppure Jeordana Brewster prenderà parte alle riprese. Non avrebbe senso, senza Paul Walker. La foto di Brian e Mia, che si vede in alcuni trailer, non comparirà mai, di fatto, nelle scene ufficiali della pellicola.

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A Cuba, Letty eDom valutano la possibilità di far crescere la famiglia e si chiedono come mai non ci hanno pensato prima. Mentre il furioso è in giro per le strade de L'Avana, incontra Charlize Teron, apparentemente alle prese con un'auto in panne. Una chiacchierata informale, fino a che la bellissima quanto diabolica donna gli mostra un cellulare.

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E' l'inizio della metamorfosi di Dom, che passa inspiegabilmente dalla parte del crimine.
La bionda lo tiene in pugno e, all'inizio, nessuno può capire perché la vista dell'i-phone sbandieratogli sotto al naso l'abbia indotto a mutare condotta, a dimenticare l'adorata famiglia e tutti i valori che ruotano attorno ad essa.
Solo quando Dom sale sull'aereo di Cipher (la Theron)
si troverà davanti, per la prima volta...SUO FIGLIO. Helena Nives, l'ex poliziotta brasiliana e collaboratrice di Duke Hobbs, è la madre.Questa perderà la vita tragicamente (non possono esistere due femmine alfa nello stesso pollaio). Per la cronaca, Elsa Pataky è la fortunatissima moglie di Chris Hemsworth, alias Thor.

Tra rocambolesche scene di inseguimenti e bombardamenti, come da cliché, il bene trionfa e la famiglia, col nuovo venuto ribattezzato Brian (!) si riunisce.

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Degno di nota è il passaggio al bene di Deckard Shaw e del fratello Owen, redivivo. Saranno loro a salvare il figlioletto di Dom da morte certa.

Attenzione, però. Cipher è scappata.

Fast and Furios 9 è alle porte?
view post Posted: 16/4/2017, 10:04 La DEMOCRAZIA DIRETTA - La Società vista da noi
Ciao a tutti. Bellissimo post, Fiordi.
Mi piace l'idea della democrazia diretta, da sempre.
Ma credo funzioni solo nelle piccole comunità, dove si può esercitare il controllo diretto su chi viene eletto a rappresentante della res publica. Il Trentino Alto Adige non è stato esente da scandali, negli ultimi anni. Meno che nel sud, certo, ma il fatto che sia una terra ricca, dove tutti vivono bene, ha reso la cosa meno "scandalosa".
D'altro canto, la penso anche come Rino. I populismi sostengono questo particolarismo e inficiano ciò che esso ha di buono: la salvaguardia della cultura, ad esempio, che è rispetto di TUTTE le culture presenti sul territorio.
view post Posted: 14/3/2017, 10:00 The Bedroom - Fanfictions
Grazie, Savira, è sempre un piacere rileggerti tra le mie commentatrici. :wub:
10564 replies since 27/8/2008