Capitolo ventuno.
E’ un giorno di vento, foriero di ben più potente tempesta.
Il lavoro, a dispetto delle indicazioni perentorie del medico, prosegue. Non ci dedichiamo alla lettura e interpretazione del nuovo copione, che, a quanto pare, provoca più stress di quanto non faccia l’economia nuda e cruda. Certo, però, quando si torna a parlare di Sakurakoji, del fatto che non vorrei nessun altro, al mio fianco, come partner per il lancio del nuovo copione, la tensione torna a crescere.
Umibozu è troppo intelligente per vivere di preconcetti. Ho la sensazione netta che oscilli tra la necessità che sia davvero Sakurakoji a vestire i panni di Isshin e il volerlo allontanare a tutti i costi. Questo può avere una sola spiegazione, ma è quella che mi rifiuto di accettare. Se solo ipotizzassi corrispondesse a verità, finirei per evidenziare quei sentimenti che io stessa non posso provare.
Comprendo Masumi, il suo terrore di avvicinarmi in riferimento all’anagrafe. Ma, ora, la situazione è ancora più complessa giacché potrei essere la madre di questo ragazzo.
Per non parlare del fatto che amare un’altra persona, nella mia condizione, con Masumi costantemente nella testa, sarebbe inaccettabile.
“Cosa le piace del suo partner storico, ragazzina?”
Sono cinque giorni che Umibozu è ricoverato in questa struttura e nessuno è venuto a trovarlo. Non il padre, non la fidanzata di cui mi ha parlato.
“Allora?” mi richiede.
“E la sua fidanzata?” domando a mia volta “Perché non è qui?”
“Non voglio si preoccupi inutilmente.” Risponde “Sono più forte di quanto non creda.”
“Avvertire chi ama sarebbe un incentivo per lei per una più rapida guarigione.” Dico perplessa da tanta tenacia.
“Ho tutto quello che mi serve.” Afferma ed io mi sento avvampare dentro, però. Ancora una volta, infatti, la sua risposta è ambigua.
“Perché non le piace Sakurakoji?” provo di nuovo ad indagare.
Lui, constato in quell’istante, regge perfettamente i miei occhi indagatori, a differenza di me:
“Guarderò con riprovazione chiunque si avvicini alla mia creatura.”
Sta parlando seriamente.
“Ed è questo che rappresento?” dico in un soffio “Una sua creatura?”
Ridacchio imbarazzata, mentre lui, stupendomi, afferra la mia mano:
“Maya Kitajima – ha il tono solenne – lei è preziosa per me più dell’oro, più di qualsiasi guadagno materiale: è la mia dèa scarlatta.”
La sua dèa.
Sì, lo supponevo ed è per questo che è entrato nella mia società di produzione artistica.
Siamo interrotti dall’entrata del medico, che lo rimbrotta. Capisco, dallo scambio di battute, che è il suo cardiologo.
“Per un ragazzo che ha subìto un trapianto, un carico simile di stress è controproducente. È passato molto tempo e, a prescindere da questo, sa bene di non potersi sentire al sicuro.”
Finalmente, ora so. Nel petto di Umibozu è stato cucito il cuore di qualcuno che è passato a miglior vita.
Il dottore esce ed io gli sono dietro in un istante per saperne di più.
L’uomo mi guarda accigliato:
“E’ una parente? Perché, se non lo è, non sono tenuto a passarle alcuna informazione.”
“Sono la sua datrice di lavoro.” Dico sicura “Stiamo lavorando ad un progetto importantissimo!”
“Non mi importa se state lavorando con l’Imperatore in persona.” Mi rimbrotta “Quel ragazzo deve stare a riposo!”
Torno da Umibozu col volto teso.
“Non ha saputo niente di nuovo, se ha letto il mio fascicolo.” Mi dice subito quest’ultimo “Suppongo, però, guardandola in viso, che non l’abbia fatto.”
Guarda la chioma degli alberi che dondolano quasi con violenza al di là della finestra.
“Detesto gli ospedali.” Dico piano “Mi ricordano quella notte.”
Egli non replica.
“La notte in cui ho perso Masumi, anche tutta la mia vita è andata a puttane. Ho iniziato a vivere in modo del tutto diverso. Più che fare l’attrice, ho accettato di diventare una sorta di talent scout. Tutto per ingannare me stessa e ciò per cui sono nata. Sì, ne convengo. Non ho mai smesso di recitare, ma l’ho fatto senza convinzione alcuna: raggiunto il traguardo che mi ero prefissato ovvero vestire i panni di Akoya, mi sono chiusa in me stessa, curandomi di preservare quanto mi restava, senza più mettermi in discussione.”
Lo guardo nei profondi occhi azzurri:
“Ma lei, questo, lo aveva intuito. Vero, ragazzino?”
Egli annuisce, ma stavolta non trova nulla su cui ironizzare e mi stupisce una volta di più.
“Comprensibile: ritrovare l’altra metà della propria anima e perderla così repentinamente…”
“No,” dico con le lacrime agli occhi “lei non lo sa, anche se, per qualche strano motivo, sento che comprende. Perché questa sensazione?”
Egli abbassa il capo, ma non risponde: pare confuso, spiazzato. Vorrebbe dire, ma non dice. È come se la voce non venisse fuori.
“Sakurakoji” riprendo “ha accettato ancora una volta di vestire i panni di Isshin. Nessun altro è in grado di capire lo scultore sacro: non ha trovato la sua anima gemella, ma è andato in cerca di essa per metà della sua vita. Incessantemente, disperatamente.”
Non dice nulla e, allora, gli spiattello ciò che penso ovvero che persino lui sa che nessun altro è degno di abbracciare quel ruolo.
“Ancora una volta, per sognare, mi toccherà soffrire profondamente. E’ necessario, però. Sul palcoscenico, è sempre stato Sakurakoji la sua anima gemella, è così?”
Annuisco.
“Non sia geloso.” Provo a sdrammatizzare “O questa <vecchia> penserà che le passano per la testa delle strane idee.”
“Idee come baciarla appassionatamente, ragazzina?”
E’ serio. E’ serio? E’ serio!
“Lei è sotto farmaci pesanti.” Rispondo col cuore che batte all’impazzata “Riposi. Un mio bacio sarebbe controindicato, nelle sue condizioni.”
Decide immantinente di cambiare discorso, tornando su Yuu. A quanto pare, non è così fuori di testa:
“Ad ogni modo, il suo partner storico è stato apprezzato dalla critica, ne convengo e, da quanto dicono i più anziani, è risultato, a tratti, commovente.”
Si riferiva al fatto che avesse recitato con la gamba rotta nello spettacolo dimostrativo.
“Proprio non le riesce di fargli un complimento!” sbuffo “E, se mi dicesse che non ha mai visto la rappresentazione sui canali youtube, non le crederei.”
“Qualcuno ha cancellato quei video. Li ho veduti giusto un paio di volte, anche perché ero concentrato su altro.”
Riecco la battuta tendenziosa.
Si sta tracimando senza saperlo oppure è la solita battuta finalizzata a creare imbarazzo.
Quell’altro sono, senz’ombra di dubbio, io.
“Lei” dice infatti “è, senza dubbio, la più degna interprete di Chigusa Tsukikage: ha creato la sua dèa dal nulla. Ha mutato il suo aspetto ordinario in quello di un essere divino e un mucchio di macerie in una valle scarlatta.”
Mi fissa con ammirazione, senza alcuna menzogna, senza affettazione. La butto sul ridere ancora una volta:
“Grazie per l’aspetto ordinario!”
“Era bellissima.” Mi interrompe “Divina e inaccessibile; spontanea, pur nel suo essere sospesa tra terra e cielo; tutt’uno col cielo e con ogni altro essere terrestre; grata per il dono della vita e portatrice di vita, parimenti.”
E’ ispirato e appare molto felice, come chi è soddisfatto e non palesa alcuna obiezione.
“Il suo cuore era pieno di amore.” Conclude “L’amore per la sua anima gemella ha fatto sì che la sua interpretazione fosse impeccabile. Nessuno ha potuto dubitare dell’apparizione della dèa scarlatta. Tanto più che ciò è accaduto proprio tra le macerie del Kyoshoto. Nessuno ha trovato da ridire sul fatto che la rivisitazione di Kuronuma, scarna ed essenziale come è tipico della sua regia, abbia avuto la meglio sulla tradizione. Forse, solo quella nella Valle dei Susini offerta da Genzo e dalla sensei è stata, non dico superiore, ma pari.”
Questo mi stupisce e glielo dico:
“E’ strano che faccia riferimento a quella rappresentazione, dato che non esistono registrazioni…la signora Tsukikage era stata assai ferma, a quel tempo. Nessuno doveva riprendere né con cellulari né con altri mezzi.”
Umibozu deglutisce come chi è colto in fallo.
“Esistono” dice “centinaia d’articoli su quello spettacolo.”
Ma non è per nulla convincente e lo sa anche lui: infatti, nessuno al mondo può definire bello o brutto qualcosa che non ha mai veduto. E mi stranizza che lui, pragmatico qual è e preciso, faccia commenti di tal fatta. Chi lo ascoltasse senza conoscerne l’età direbbe che parla per avere visto, non per avere semplicemente letto i commenti.
La mia espressione ironica, infatti, gli appare chiara e non può fare a meno di arrossire.
“Prima che mi lanci addosso i suoi commenti sarcastici, le dico che non sto inventandomi niente né parlo per sentito dire. Sul manoscritto che sto trasformando in copione vi sono riferimenti molto simili: Ichiren Oozachi ha parlato della prima apparizione della dèa in un contesto di guerra e distruzione. Quando ho letto quel testo, mi sono figurato il Kyoshoto e ho cercato su internet, anche, delle foto precedenti alla realizzazione del teatro.
“Di quello spazio distrutto solo una parte è stata conservata.” Sospiro “Quella in cui ho recitato la scena dell’innamoramento della dèa scarlatta. E’ come una teca, una sorta di piramide del Louvre, trasparente, dall’apparenza fragile.”
Mi rammento con sorpresa del fatto che Masumi non ha mai assistito a quella rappresentazione. Se ne è andato giusto qualche giorno prima, lasciandomi preda di una disperazione che, per paradosso, mi è servita per comunicare i sentimenti di una divinità delusa degli uomini e del Fato che hanno abbracciato.
Eppure, neanche per un momento ho pensato che lui non ci fosse, che non mi guardasse recitare la parte di Akoya. Parimenti, mi è difficile pensare che Umibozu non abbia assistito alla mia rappresentazione.
“Lei mi procura scompensi strani.” Confesso “Sotto <certi> punti di vista… sotto <tanti> punti di vista, mi ricorda Masumi Hayami.”
Non trova da ridire, anzi. Conferma ciò che dico, spiazzandomi:
“E’ del tutto normale. In pochi, venerano realmente un autore e la sua opera. Indubbiamente, il signor Hayami è stato uno dei massimi estimatori del capolavoro scomparso. Visse come un’ossessione l’idea che qualcun altro la mettesse in scena. Lei, forse, non lo sa, ma, consapevole dell’impossibilità di farlo, quell’uomo riuscì ad intrufolarsi negli affari del Kyoshoto: fu lui a finanziare l’Associazione Nazionale per lo Spettacolo e, quindi, si può dire che, indirettamente, abbia realizzato il suo proposito. E coronato anche il sogno del suo genitore adottivo.”
“Non lo sapevo, ma non mi stupisce: nulla di ciò che Masumi ha fatto mi coglie di sorpresa. Dietro ad ogni gesto, si celava il suo immenso affetto per me. Lui era il mio unico e meraviglioso donatore di rose scarlatte. Fin dalla mia prima volta sul palcoscenico, non mancò mai di testimoniarmi la sua devozione. Nessun altro ha parlato di me con tanta passione. Nessuno, tranne lei, Umibozu.”
Il ragazzo deglutisce:
“Vorrei sapesse che non è sola, Maya.”