Un Natale da salvare

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TOPIC_ICON12  view post Posted on 21/12/2017, 09:11
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Un Natale da salvare



Era Natale, ma non lo era.
Mi sono sempre chiesto quale possa essere il senso reale di una festa che,
culturalmente, non ha niente a che vedere con questa terra “piena di dei” e
ancora “pagana”, per certi versi.
La risposta è in quel che ho sempre fatto dacché sono entrato a far parte
di questa famiglia. La risposta è in una parola piccola: denaro.
Guadagno.
Business.
Ritorno economico sonante.
Conosco ogni varinte, ogni sinonimo di questo termine.
I gadget prodotti nella vicina Thailandia in barba al lavoro minorile infestano
le nostre bancarelle.
Le luminarie fatte in Cina rallegrano i cuori, facendosi nel contempo beffe
degli amanti del cielo e contribuendo allegramente all’inquinamento luminoso.
Eppure, ci sono persone, al mondo, che trovano meraviglioso tutto questo.
La ristretta oligarchia dei capitani d’azienda e la di lei prole felice trova questo
spettacolo indegno pieno di fascino e persino di spirito natalizio!
Laddove per “natalizio” si intende tutto ciò che è misericordioso e degno nella
cultura cristiana.
Che non è la mia.
Quest’anno, non celebro niente. Invero, non so se ho mai celebrato qualcosa
dal giorno in cui ho perso mia madre.
Guardo, mentre penso a queste cose, carte, statistiche e poi la faccia di lei,
stesa davanti a me come morta, gli occhi semiaperti di chi non vuole vedere
tutto o di chi ha visto troppo. Lo stato in cui versa ha dell’incredibile. Non è
stato causato da alcun incidente fisico e questo rende la cosa ancor più
singolare. Leggo distrattamente degli scompensi psicologici provocati
dall’anemia perniciosa: è contemplato qualcosa di simile, ma non così tanto.
Al punto che mi chiedo: sta fingendo ancora?
Del resto, v’è avvezza.
Sento una voce che mi chiama da dietro la porta decorata con grandi fiori di
ciliegio e mi rammento di quelli di susino.
Lontani chissà dove.
Chissà quanto...
“Hayami-san, la stanno cercando.”
A casa Takamiya?
Sono stupefatto, ma il pensiero corre a mio padre, l’unico a sapere che mi
divido tra l’albergo e la dimora di Shiori.
E, forse, mi chiederà spiegazioni intorno alla mia repentina decisione di
lasciare casa nostra.
La tata di Shiori ha il viso tirato: capisco subito che la visita non è per nulla
gradita. Il mio cuore comincia a correre così velocemente da perdere un paio
di colpi.
Alzandomi, la giacca che avevo adagiato sulle spalle scivola sul pavimento,
ma non la raccolgo. E poi, un passo per battito, sono già all’ingresso.
Mi chiudo l’uscio alle spalle con la decisione che solo un’immagine sa darmi.
Faccio quasi fatica a visualizzarla perché so già che lei è lì, sul cancelletto e
mi attende ansiosa, le gote rosse per il gran freddo, un fumetto delizioso sulle
labbra. Gli occhi segnati, però, mi ricordano qualcosa di più remoto e profondo.
E sovviene anche a me l’inverno e, con esso, il fatto di essere uscito fuori in
maniche di camicia.
“Non è orario di prove questo?” la rimprovero freddamente.
Subito, però, me ne pento, ma tornare indietro non si può.
“Hayami-san,” comincia “dovevo vederla.”
E una lacrima le taglia il viso, come quel giorno, nella valle, una spatola tranciò
in due la maschera della dea scarlatta.
“Ti avevo promesso Izu.” mormoro “E’ così lontana, quella notte.”
Cerco nelle tasche il pacchetto di sigarette che so di aver lasciato in casa, nella
giacca. Lei me le prende, le mani.
“Non così tanto lontana.” sussurra “Tuttavia, il dolore di questi giorni pare avere
annebbiato i ricordi e consumato, con essi, la promessa che ci siamo fatti.”
“Hijiri ti ha portato qui, vero?”
Maya non può sapere dove si trovi la residenza dei Takamiya: ci sono parti di
Tokyo che una ragazza povera come lei non può immaginarsi neppure in sogno.
Annuisce.
“Lo sto facendo impazzire.” ridacchio “In queste ultime settimane, ho cambiato
idea non so quante volte...”
“...e ora, Hayami-san?” chiede Maya sollecita “Se c’è una cosa che ho imparato
è questa: vivere il presente e non provare a leggere il futuro. Non ci sono profezie,
come non esiste Fato già scritto.”
La fisso negli occhi, stupefatto:
“Già sapevo che eri cresciuta, ragazzina. Non immaginavo tanto, però.”
Mi rammento subito della promessa fattale sulla nave e mi scuso, richiamandola
per nome.
“E, dimmi, Maya, cosa ti suggerisce il presente?”
Ho caldo all’improvviso, ché ogni sua parola, dolce e inattesa, ha il potere di
operare quel disgelo duro a venire nella stagione che separa l’inverno dalla primavera.
Così, uguali, tutte le stagioni della mia vita.
“Ho fatto tanti errori, Maya.” riprendo prima che ella mi risponda “Ho tessuto una
tela così ingarbugliata, intorno a me, da non essere più in grado di uscirne.”
Sa bene a cosa mi riferisco, ma non lascio più nulla al non detto: i condannati a morte
non hanno niente da perdere.
“Sono il donatore di rose scarlatte.” confesso “E...credo tu lo sappia da un bel po’.
Sono anche lo stesso uomo che, in principio, ha rovinato la compagnia Tsukikage,
nonché il responsabile materiale della prematura morte di tua madre. Sono lo
scarafaggio che, in una notte fredda come questa, ti chiamò uovo d’oro, gettandoti
nel mucchio delle attrici di talento.”
La fisso con intensità:
“Nulla è stato fatto, però, se non nel tuo interesse, anche se in tante cose ho fallito.”
“Qualcuno, una volta, mi disse che l’amore rende maldestri.” mormora con dolcezza.
“Quel qualcuno” la interrompo “lo ha detto anche a me, ma è stato inutile.
Non gli ho dato ascolto e ho continuato a mentire.”
“Perché?” mi domanda con occhi nuovamente colmi di lacrime.
“Perché?” ripeto “Perché avevo una paura fottuta. Paura di un tuo rifiuto e, con esso,
di non poterti più essere di supporto, di vederti. In fondo, mi andava bene che tu avessi
mitizzato il donatore di rose.”
Un’ombra cala tra noi, mentre le nostre mani permangono unite.
“Lei è lì dietro.” dico piano “La carta di riso odora ancora delle fiamme dell’inferno.
Mi raggiunge con le sue spire. Ha...provato ad uccidere la tua immagine.”
Mi sciolgo dalla stretta. Maya ha, nel mentre, alzato lo sguardo in direzione della casa.
“Non si possono vedere segni materiali.” aggiungo “Le nobili famiglie son leste a
far sparire tutto ciò che nuoce alla loro immagine perfettamente felice.”
Le racconto di come abbia preso fuoco l’intera parete davanti a lei: snocciolo
con dovizia di particolari le dimensioni della stanza distrutta, la più grande
dell’ala est, quella destinata all’erede.
Non so quanto possa interessare a Maya questo argomentare articolato sulla
infiammabilità della carta di riso, del legno leggero e dei futon di seta: quello
di Shiori, tra l’altro, era un letto all’occidentale. Caldo, morbido.
Maya, però, mi ascolta zitta, come se il tema del conversare fosse il più interessante
al mondo.
“E ora è malata.” concludo “Un vecchio detto recita che piove tanto sui giusti
quanto sugli ingiusti.”
Non so se Shiori sia giusta, ma di certo io ho una grossa parte di colpa.
Glielo dico e, nel mentre, la fisso con intensità.
“Per sfuggire ai miei sentimenti nei tuoi confronti, colpevoli e inaccettabili, mi
sono rivolto a lei, che era vissuta al riparo dal mondo fino a che non mi ha incontrato.
Sono ben consapevole di essere d’aspetto piacente - arrossisco. Inoltre, sono un
buon partito. Sulla cartaq, credo di rappresentare l’uomo ideale per tante donne.”
Nella tragicità del momento, intravedo un sorriso scarlatto - il rubino della sua
bocca - che squarcia le tenebre e mi induce a imitarlo.
Dischiudo, quindi, le labbra, a mia volta.
“Com’è possibile sorridere in un momento come questo?” le chiedo banalmente
passandomi una mano dietro al collo “Per vivere così bene dovrei averti sempre di
fianco. Ogni qual volta mi allontano, è un deserto di solitudine.”
“Viviamo questo tempo.” mi dice allora riprendendo le mie mani tra le sue
“Fuggiamo ora, in questo istante, in un posto che sia solo nostro. I crucci dell’ora
che verrà, adesso, non ci competono.”
“Adesso...?” domando con un fil di voce.
“Adesso.” risponde Maya ferma “Senza chiederci quel che sarà. Credo che noi si
meriti, dopo tanto penare, un momento realmente nostro, onesto.”
Ci avviamo lungo la strada bianca, in direzione di un lampione poco lontano,
sotto al quale è parcheggiata un’auto paziente.
“Andiamo a casa, Masumi.” mi dice stringendosi al mio braccio.
“Buona Natale, Maya-chan.” dico con la voce rotta dall’emozione.
 
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view post Posted on 22/12/2017, 09:05
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Stregone/Strega professionista

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