Onde evitare...

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TOPIC_ICON12  view post Posted on 19/10/2016, 16:02
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Onde evitare…



Onde evitare fraintendimenti, dirò che la scelta di lasciare casa – quella casa – è stata dettata da un intento reale.
Il problema degli uomini è che, il più delle volte, s’arenano davanti alla realtà: nell’arco di pochi giorni, avevo cambiato idea tre o quattro volte, pensando a me, pensando a lei, pensando all’altra.
Niente di più.
L’atto pratico pare essermi precluso, la disperazione è nuovamente a un passo.
Pensare di vivere così, tra una moglie pazza e le quattro mura di un ufficio, mi crea raccapriccio. Per non parlare del tedio perenne, insopportabile. Piuttosto morire, sì morire. Come il protagonista di una commedia teatrale a sfondo tragico.
Quel pensiero mi aveva colto così, d’improvviso: era una sorta di intuizione selvaggia, bizzarra e mi diede un’euforia fuori misura.
Fissai da lontano il mio collaboratore, la mia ombra, quasi invidiandolo. Lui, per quanto morto, poteva scivolare in ogni anfratto in virtù della sua condizione. Negli ultimi tre anni, era stato più vicino a lei di quanto non lo fossi stato io. Uomo fortunato, libero grazie al suo nulla di vivere la mia stessa vita. Essere l’ombra di qualcuno equivaleva, in un certo modo, ad essere quel qualcuno.
Qualche giorno fa, preso da una sorta di raptus, ho persino provato ad ammazzarlo: mi ha detto - scherzando, si è giustificato – di volersi prendere lei, la donna che regge il mio cuore. Prendere definitivamente il mio posto come donatore di rose scrlatte, come fan numero uno, come suo uomo – di lei!
L’abbia detto o meno per scuotermi è una certezza comunque rada, ché, quando si è nelle mie condizioni, si sospetta di chiunque ed anche di più. Si può diventare potenzialmente assassini. Non avrei creduto mai di reagire a quel modo. Certo, in mano non avevo che quel dannato tagliacarte, che gli ho lanciato contro. Poteva essere qualsiasi cosa: un vaso, un sasso. Il mio intento era palesemente omicida. E avrei anche potuto scaricargli addosso il caricatore di il caricatore della colt che tengo nel cassetto, un gingillino per collezionisti che, da qualche tempo, tengo pronto nel cassetto.
“Che cosa sta pensando, signore?” mi domandò lui ed io, con sincerità:
“A te e alla tua condizione, a mio modo di vedere assai gradevole.”
“Un uomo senza stato né esistenza, signore?”
Ora pareva incupito perché, inutile dirlo, c’era rimasto secco anche lui. Quel mio atto di violenza non se lo aspettava di certo.
Vedi, Hijiri, che non era prevedibile? Che non sono prevedibile?
Il fatto era che io non riuscivo più ad intenderne gli intenti.
“Mi sei fedele, è così?” gli chiesi all’improvviso.
“Fino al giorno della mia morte, signore.”
Quanta odiosa deferenza! Eppure, quando mi appellava signore o quando chiudeva ogni frase con quello stesso titolo, pareva dannatamente sincero!
“Allora, sarai tu a farti carico del fardello della mia vita.”
“Signore?”
Gli occhi piccoli di lui divennero fessure.
Davvero, non capiva?
“Mi hai detto che, fino ad oggi, hai copiato ogni cosa di me. Ti lascio tutto: i miei affari, la mia esistenza vegetativa, tutto. Sarai il mio nuovo me, nella mia famiglia e nel mondo. Mio padre si fida di te quanto di me: è, di fatto, l’unica nota positiva che io gli riconosca.”
“Non credo di capire.” Balbettò spiazzatissimo.
“Sto per morire. Ufficialmente. Scriverò a mio padre, intercedendo per te: sarai tu, da oggi, il responsabile dell’esecutivo della Società.”
“Che dice, signore?”
“Credo tu mi abbia inteso benissimo.” Risposi “Del resto, sono già in pratica fuori dalla mia famiglia. Mio padre non ha alcuna idea di quello che sto facendo.
 
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view post Posted on 20/10/2016, 15:54
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Seconda Parte



Si vive per l’amore.
Si fa di tutto per abbracciare quel po’ di felicità che, si spera, tocca in sorte ad ogni individuo all’atto di venire al mondo.
Io ho fatto le mie scelte per questo ed ora, nella solitudine di questi luoghi, posso dire d’essere felice.
Mio padre mi è venuto dietro.
Il paradosso delle storie, talvolta, è questo. Ciò per cui decidi di modificare il corso della vita, alla fine, è trascinato con te in un turbine di novità inatteso.
Sperato, in precedenza, con ostinata disperazione.
Ed ora lì, realizzato. Tutto quel soffrire – anni di bocconi al veleno – perde di senso. Diventa immotivato e, come tale, frustra non poco. Ti chiedi: non potevamo arrivarci prima?
Vedere mio padre, seduto davanti alla distesa dei susini scarlatti, immerso nella stessa nebbia della dea, mi pare un assurdo materiale. Se, prima, ce l’avevo con lui per tutto ciò che mi aveva imposto, oggi, invece, ce l’ho con lui per questo suo essersi finalmente convinto.
Fosse diventato così prima, diavolo d’un vecchio, avrebbe coronato il suo sogno con la sensei. Certo, anche la mia storia, leibnizianamente, sarebbe mutata di corso: forse, non avrei incontrato lei, che riempie la mia esistenza di aria come di vita in genere.
La vedo, nella sua naturale semplicità, camminare lungo il corso del fiume, nei panni di chi le ha dato fama e sicurezza. In fondo, la storia della dèa è una vicenda positiva, che infonde speranza ad ogni amante deluso. Quel carico tenero di sicurezza, a fronte della disperazione prodotta dai conflitti interni ed esterni a noi, è un balsamo benefico per chiunque lo faccia entrare nel proprio cuore, nella propria coscienza.
Non è una favoletta romantica poter dire che c’è qualcuno al quale siamo destinati a ricongiungerci nell’eterno ritorno al mondo. I filosofi antichi lo avevano intuito e così anche i mistici che vissero su queste terre. Lo dissero più volte, insegnandolo nelle scuole, come per le strade, come nei templi.
La frenesia dei giorni, l’inno perenna a Mammona, sono capaci di far perdere il senso di quanto appreso. Ed è triste, poi, risvegliarsi desiderosi di vivere quanto si credeva dimenticato. Perché, se il Fato non ti pone innanzi subitaneamente l’altra parte di te, allora, l’infelicità è assicurata. Andare raminghi nel mondo in cerca di essa è il minimo.
Io amo. Rendo grazie agli dèi o a chi per loro per questo stato, oggi, di grazia, un tempo precluso a causa delle colpe di mio padre, su di me ricadute come ombre terribili e nefaste, foriere di altra disperazione. Al peggio, davvero, se non vi si appone un freno mentale, non c’è mai fine.
Amo la donna che ho davanti, che è qualcosa di più di uno strumento per trarne godimento. Lei mi comprende.
Lei <sa> il mio dolore.
Lo comprende nel profondo.
Lo ha vissuto.
Ha visto il rifiuto stampato sui volti, riservato da questo sciocco contesto sociale, a chi nasce differente, a chi non ha o ha meno.
Abbiamo rotto insieme questo stato di cose e, nel vortice, come dicevo, è finito anche il mio diffidente, cattivissimo genitore. Il generale millepiedi sta alla corte degli dèi anche lui, adesso. Ha sciolto i lacci che lo tenevano avvinghiato all’inferno e per fortuna. Pare che il momento clou si sia consumato quando la mia ombra si è presentata a casa sua con un fascio di cartellette sottobraccio.
“Piacere,” gli avrà detto “io sono il suo legittimo erede.”
Un perfido erede. Quello che, essendo ufficialmente morto, si introdurrà capillarmente, mafiosamente, nel sistema della società, influenzando il cartello tutto.
Io non sono fatto per queste cose, lui sì. Uno che è disposto a farsi ammazzare pur di dimostrare fedeltà imperitura non può essere incapace di affrontare il boja.
Stranamente, a quelle parole, mio padre deve aver reagito in modo improprio. O, semplicemente, deve aver preso coscienza che era giunto il momento di tirare i remi in barca.
Il momento delle iene era arrivato, ma il suo era finito.
Sono convinto che il mio ex collaboratore non deluderà le aspettative. Curerà a dovere gli interessi di tutti, della mia donna, in primis.
Io me ne starò qui, con lei di fianco, a godere le mollezza che il benessere mi ha consentito di avere pur in questo nulla. Un nulla assolutamente non gravoso.
Nel momento in cui sono morto, ho realizzato di essere vivo.

FINE

 
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