“Finalmente sei arrivato!” esclamò il nonno di Shiori andando incontro a Masumi e abbracciandolo rudemente “Mia nipote si è alzata! Ha chiesto di mangiare un toast con marmellata!”
Sorrideva come se si sentisse sollevato e anche il giovane Presidente della Daito, per un istante, parve rischiararsi in viso.
“E’ una buona notizia!” osservò distogliendosi dalla stretta dell’anziano come se la cosa gli procurasse fastidio.
Si tolse i mocassini e fu introdotto nelle camere riservate alla signorina Takamiya: tutto era in ordine. Mentre incedeva in direzione della stanza di Shiori, il nonno spiegava che la ragazza aveva anche chiesto scusa a tutti, che si sentiva molto meglio, che era pronta a ricominciare.
A Masumi quel drastico cambiamento di rotta parve preoccupante: sintomo tipico di coloro che soffrono della patologia di cui la giovane fidanzata era affetta da sempre.
“Mi pare semplicistico dire che è tutto a posto.” Mormorò prima che egli bussasse alla porta della nipote “Shiori è isterica. Non provi neppure a negarlo. Negare non aiuta. Se possibile, peggiora le cose. Credo che lei, da persona intelligente qual è, lo sappia.”
Il vecchio fece di no col capo:
“Andiamo! Dove hai sentito questa cosa? È colpa dell’anemia! Shiori ha sempre rifiutato di curarsi, ma, ora che si sposerà con te, accetterà di buon grado di farlo. Desidera diventare madre. Sarà una amorevole, ottima madre.”
“Una madre che non riesce a prendersi cura neppure di se stessa?” chiese Masumi con tono così freddo da far indietreggiare il suo interlocutore.
“Vuoi dire che ci hai ripensato?” chiese quest’ultimo arrabbiatissimo “Hai cambiato di nuovo idea?”
“Non vorrei.” Disse Hayami fermo “Ma come pensa che io possa concepire mio figlio con una persona che ha tentato il suicidio, che ha dato fuoco al suo letto urlando frasi sconnesse! Dice che Shiori, oggi, sta bene, ma è certo che sarà così anche domani? E domani l’altro?”
Si passò le mani tra i capelli:
“Desidero tener fede ai miei impegni, ma non alle sue condizioni! Lei crede di poter comprare un compagno per sua nipote. Ci ha creduto anche mio padre e avete combinato queste nozze assurde! Da entrambe le parti, in questi mesi, ho udito minacce di ritorsione in caso di mio diniego. Le dirò una cosa: entrambi voi avete bisogno di me. Quando ho accettato di incontrare Shiori, tutti, nessuno escluso, sapevano chi fossi, che vivevo per gli affari e niente altro. Non mi trasformerò in una badante. Io vivrò la mia vita esattamente come l’ho vissuta sino a prima di contrarre questo fottuto fidanzamento!”
“Stai bene attento, ragazzino!” sibilò Takamiya “Non usare questo tono con me.”
“No, stia attento lei, piuttosto.” Disse Masumi avvicinandosi a lui “A Shiori serve un marito amorevole, ma a lei serve qualcuno che tiri avanti la carretta della sua azienda quando sarà morto. Lei non ha figli o nipoti che siano in grado di farlo. Quindi, non provi neppure a minacciarmi!”
L’anziano abbassò lo sguardo:
“Non mi importa molto dell’azienda. Non dopo ciò che è accaduto.”
Il suo tono era di nuovo diverso, quasi impaziente e preoccupato.
“Ti ho già spiegato” proseguì “che sono disposto a tutto pur di far felice Shiori. Anche cederti l’azienda.”
“Lei non avrebbe comunque scelta.” Sibilò Hayami con una sicurezza che di cui si stupì da solo “Si è già inginocchiato davanti a me. È consapevole che una figuraccia come quella attuale, una volta resa nota, creerebbe un dissesto economico non indifferente!”
“Di quale figuraccia parli?” chiese Takamiya scioccato.
“Mi riferisco” precisò Masumi “ad una famiglia che non si è presa cura di una ragazza. Di una famiglia che ha finto di non vedere la patologia di cui ella era vittima. Se Shiori fosse stata curata, oggi, non starebbe così.”
“Oh, Masumi, sei tu…” Disse la giovane uscendo dalla sua camera. Il viso era spento, ancora vagamente allucinato il suo sguardo “Mi pareva di aver sentito la tua voce.”
“Per quasi un mese non mi hai neppure riconosciuto.” Disse stranito il suo fidanzato “Sono lieto di vederti lucida.”
“Non potevo continuare.” Fece Shiori fissando quasi biecamente suo nonno “Io non ho alcuna malattia. Ero talmente scioccata dalla tua decisione da reagire in modo inconsulto. Ma avevi ragione tu.”
“Non sei… malata?” ripeté Masumi.
“Non lo sono mai stata. Ho semplicemente reagito da bimbetta viziata e ti chiedo perdono.” Ribadì prontamente la ragazza “Andrò dal parrucchiere, mi vestirò e mi nutrirò. E tu sarai libero di onorare le tue promesse. Oppure no.”
“Dici sul serio?” chiese titubante il Presidente della Daito.
“Perché tutti credete di dover dire la vostra su di me??!” sbroccò Shiori lasciando nonno e fidanzato impietriti “Sarò io a decidere, da questo momento in poi.”
Masumi gettò lo sguardo all’interno della stanza, che pareva in ordine.
“Devi tornare a letto…” fece il nonno conciliante “Siamo lieti di vederti piena di energie, ma non puoi stancarti.”
Gettò uno sguardo sul suo vestiario: non indossava il kimono, ma un bel tailleur di color rosa antico.
“Chi ti ha aiutata a indossarli?” domandò quasi balbettando.
“Che domande!” rimbeccò Shiori “Credi mi manchino le mani o la capacità di scegliermi un dannato abito? E, ora, toglietevi di mezzo, allocchi!”
Masumi le prese il braccio con delicatezza, facendola avvampare:
“Allora, visto che stai meglio, sarò lieto di accompagnarti ovunque tu desideri.”
“Non sarà necessario.” Replicò secca la donna “Mi pareva che la nostra rottura fosse già cosa fatta. Non hai obblighi nei miei confronti.”
Masumi alzò le sopracciglia:
“Dici sul serio?”
“Dico sul serio.” Ribadì la Takamiya divincolandosi.
Il giovane Presidente della Daito prese congedo piuttosto velocemente e l’anziano, scrutata Shiori con attenzione, disse:
“Ti rendi conto che, con questo atteggiamento, potresti perderlo per sempre?”
“Non credo proprio.” Fu il commento secco della nipote “Non ci sarà la vittoria dei sentimenti, stanne certo. E sarà proprio il padre di Masumi a fare il mio gioco. Hai fatto un lavoro da manuale, facendo credere a tutti che volevi dare tutta la tua azienda in cambio della mia felicità. Ma, adesso basta, nonno. Da adesso in poi, si cambia registro: perché Shiori Takamiya conquisterà il suo amore.”
***
Karato Hijiri, in maniche di camicia, avanzava per i boschi di Nara seguito da Maya che, non reggendo il ritmo delle lunghe gambe che la precedevano, ansimava non poco.
“Non credevo di essere così in pessima forma.” Disse al suo amico.
“Mi scusi.” Fece Hijiri fermandosi “Sono io ad essere lesto. Doveva dirmelo, Maya. Questa non è una manifestazione per fanatici del trekking.”
Ella negò con la testa:
“Non fa nulla. Ma…ha idea di dove stiamo andando?”
“Ovviamente.” Sorrise sicuro l’altro “Siamo diretti all’antico tempio, giusto? Il tempio della dèa scarlatta.”
“E’ l’unico posto nel quale posso ritrovare un poco di serenità.” Soggiunse a sua volta Maya “Lì nessuno mi disturberà. Nessuno si reca mai in quel vecchio edificio, dal momento che si trova a ridosso di un pauroso strapiombo.”
Hijiri annuì:
“Mi spiace di disturbarla con la mia presenza, ma, come le ho detto, non intendo tornare indietro senza di lei.”
“E’ testardo come non mai…” bofonchiò Maya, che, però, avvertiva dentro un gran senso di pace. La presenza di Karato non la infastidiva: sentiva, anzi, di poter condividere con lui la sua pena, oltre che la sua solitudine.
Le parole che egli le aveva rivolto, prima di arrivare a Nara, però, erano sospese a mezz’aria come un grosso punto di domanda .
Che cosa mai aveva inteso dirle? Quel discorso sulle ombre e, soprattutto, il fatto di essere diventato egli stesso gli occhi di Masumi, l’ombra di Masumi, facevano pensare ad un sentimento vero, del tutto distinto da quello del suo capo. Hijiri provava cose che ella non aveva neppure immaginato potesse provare..
Finalmente, attraversato il ponte che la Tsukikage aveva bruciato in un tempo ormai lontano – e che qualche <anonimo> si era preoccupato di risistemare - giunsero all’ingresso del tempio in cui Ichiren Oozachi aveva trascorso gli ultimi giorni della sua tormentata esistenza. Nonostante ci fosse il sole, a Maya parve più cadente della volta in cui ci aveva dormito insieme a Masumi Hayami.
Si rese conto che era lui <il sole>: anche in quella notte di pioggia incessante, ella non si era mai sentita sola. Le grandi braccia di Masumi, le sue mani calde, l’avevano riscaldata per tutto il tempo.
Hijiri notò il suo disappunto, provando una stretta al cuore.
“Sa con chi sono venuta qui la prima volta?” gli domandò l’attrice tirando su col naso.
“Io conosco tutte le mosse del suo benefattore.” Rispose il collaboratore della Daito “Ma il privato del mio capo è sempre rimasto tale.”
“Ha intuito bene.” Sorrise mesta Maya “E’ stata una notte di tempesta. E in tempesta il mio cuore lo era davvero. Se ho continuato a sperare, dopo, è stato sulla scorta di quei preziosi ricordi. Seguiti da una visione mistica, che mi ha indotta a pensare scioccamente a ciò che non poteva essere. Non poteva mai essere!”
Egli non replicò.
Si appoggiò a un grande susino secolare, fissandone la cima: si muoveva mollemente e quel movimento continuo causava una pioggia incessante di petali rosa e bianchi. Alcuni finivano sulla testa dorata di Hijiri, altri su quella più scura di Maya.
Fu un pomeriggio strano.
Erano arrivati alle cinque e, ora che il sole era calato dietro i monti <a scrigno> che entrambi ben conoscevano, si accorsero di avere ancora tanto e tanto da dire, da raccontare.
La vita dell’ombra aveva suscitato in Maya enorme curiosità; dal canto suo, Hijiri desiderava sapere cosa poteva avere spinto una giovane donna piena di talento e sulla strada per il successo in direzione di un uomo che non aveva mai visto in viso.
Così, dopo aver cenato in pratica con niente – Maya aveva con sé solo un paio di merendine – accesero il fuoco e sedettero davanti a una fiamma che, causa la forte umidità, stentava a sollevarsi.
Dava fumo e, talvolta, crepitava in modo quasi scomposto.
Fu il collaboratore della Daito a parlare per primo: del resto, pensava, rompere il ghiaccio, come anche corteggiare, era cosa che spettava all’uomo. Quell’accostamento lo fece sorridere e preoccupare insieme: le parole <urlate> al suo capo, molto tempo prima, parevano prendere corpo, complice l’atmosfera magica della valle scarlatta, del suo tempio, delle sue leggende inventate o realmente esistite.
“Mi prenderò Maya Kitajima.”
Così gli aveva detto senza batter ciglio e, in cambio, aveva ricevuto un fendente che, per caso o per precisa volontà, si era conficcato sullo stipite della porta.