- TWO WOMEN -

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TOPIC_ICON12  view post Posted on 13/8/2011, 15:21
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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- Two Women –


(fanfiction ispirata a Garasu No Kamen di Suzue Miuchi)


di Laura Heller

The Bright Side of Rivalry.


Penso di essere stata da sempre un esempio di grazia e perfezione.
Fin dal mio primo vagito, risultò chiaro a tutti che la mia voce era un po’ particolare, adatta a far cose che non tutte le ragazze possono permettersi di fare. L’intonazione, che tanto piaceva alla mamma, che tanto incantava il papà, era tipica delle ragazze che, dietro una apparente dolcezza, nascondevano una grande determinazione, soprattutto in merito ai traguardi da raggiungere.
E poi, a detta di tutti, la mia bellezza meticcia era un autentico passaporto per il successo: avevo tratti orientali e colori occidentali, segno che il mio sangue era una meravigliosa mescolanza di razze e culture.
Accanto avevo persone di grande valore umano e sociale, ero nata da una attrice di talento e da un uomo definito dalla critica cinematografica come il Woody Allen giapponese.
Forse avrei potuto contentarmi dei denari e del vizio, ma proprio l’essere stata baciata dalla fortuna ha sviluppato in me una aspra competizione interiore, che ho condotto fino ad oggi.
Domani mi cimenterò in un ruolo di grande prestigio, che mi lancerà definitivamente nel mondo del teatro e non in quanto figlia d’arte.
Il mio valore reale sarà sotto gli occhi di tutti. Ho lavorato tanto per arrivare a questo.
Dall’inizio della mia vita cosciente, complice mia madre, che ne aveva quasi fatto una malattia, La dèa scarlatta è diventata il mio imperativo categorico, la mia ragione di vita.
Quante maschere ho indossato per poter realizzare il mio sogno! Quanto ho provato il mio fisico esile per riuscire ad essere quel che sono.
Non mi sono mai guardata indietro: non ho mai rimpianto di non essere una ragazzina come le altre! Anche se studiare sodo, come io ho fatto, mi ha spossata, non ho mai desiderato essere diversa da quel che sono.
Il pianoforte lo iniziai a quattro anni; a sei mi cimentai nella danza classica, che pratico ancora. E poi nuoto, palestra, arte della vestizione, soggiorni all’estero. Conosco alla perfezione cinque lingue. Mi sono iscritta a Drammaturgia, nella città in cui sono nata, che è Tokyo, e conto di laurearmi in corso.
Mi sento uno schiacciasassi: nulla mi ferma, nulla mi tocca.
Neppure i sentimenti.
Scherzando, mia madre mi ha detto che non è del teatro che sono innamorata, ma di Maya Kitajima. Sono arrivata sin qui proprio per lei, altrimenti mi sarei fermata a livelli ottimi, ma non certo eccellenti.
Io non sono lesbica. Sono una ragazza come tutte le altre.
Ho avuto degli uomini, ma legarmi non mi interessa e, comunque, è vero che la personalità di Maya mi affascina più di qualunque altra.
Ma non che questo sia sentore di attrazione fisica! Tutt’altro.
Maya è la mia necessaria controparte, lo specchio nel quale misuro quotidianamente il mio talento. Se non ci fosse Maya Kitajima, non ci sarebbe neppure questa Ayumi Himekawa.
Se non ci fosse la sua Akoya, non ci sarebbe neppure la mia Akoya.
Sono come una pianta da frutto, bisognosa di un innesto preciso.
E quell’innesto può essere solo lei, Maya Kitajima.
Per questo, quando hanno cercato di cacciarla dal mondo dello spettacolo, ho difeso il suo onore e la sua incolumità come fossero i miei.
Non posso credere io stessa alla mia reazione rabbiosa. Ho trattato Norie Otobe o chiunque prendesse in giro Maya come degli stracci.
Se lo meritavano.
Amo il vero talento, lo riconosco e lo stimo e lo rispetto, soprattutto.
E’ questo che mi ha salvata, alla Valle dei Susini, quando, preda della stanchezza e timorosa di non poter agguantare l’ambito premio, ho avuto un attimo di tentennamento, desiderando che Maya soccombesse.
Ma, se non l’avessi soccorsa, sono certa sarei morta con lei. E non per senso di colpa, ma perché non si può vivere senza il proprio specchio alle spalle ed io, alla piccola attrice di Yokohama, credo di voler bene davvero.
Se sono quel che sono è a lei che lo devo.
Ma da quando ho conosciuto Peter Hamill, un fotografo di fama mondiale che, dietro la scusa delle foto artistiche, vuol mettere a nudo il mio corpo e il mio spirito, ho capito che qualcosa, dentro di me, si sta muovendo.
D’improvviso, senza perdere di vista il mio ruolo, i miei pensieri sono come catturati da “altro”.
Ho sempre saputo di essere molto bella e non me ne sono mai vantata. E’ sciocco farsi notare per qualcosa che, dopo i vent’anni, è destinato a sfiorire.
Peter Hamill, però, mi fa provare qualcosa di diverso.
Non è come gli altri uomini con cui sono andata a letto per puro piacere. Stimola il mio cuore, perennemente soffocato dalla razionalità e dall’ansia di perfezione.
Quando mi ha detto che Maya, di questo passo, mi avrebbe superata in virtù del cuore che le batteva per amore, ho provato l’istinto di schiaffeggiarlo.
E’ stato come se mi avesse detto “a cosa ti serve svendere il tuo corpo con chicchessia se non riesci a provare un sentimento vero?”.
L’ho preso in giro, dicendogli che Akoya è una maschera difficile, ma è uguale alle altre, ma, mentre parlavo, mi accorgevo che non era così.
L’anima di Oozachi, i suoi sentimenti per la signora Tsukikage, non possono essere espressi solo con maestria. Ci vuole la “scienza del cuore”, quella che solo chi si spezza le reni nel cercare l’altra metà della propria anima possiede.
Ma io non ho tempo per le filosofie! Sono una ragazza pratica, non credo negli dèi e neppure nell’amore di anime! Sono cavilli per persone che, avendo pochi mezzi a disposizione, si rifugiano in dimensioni parallele. Giochetti che ci si inventa per rendersi sopportabile una vita piatta o triste. La mia vita non è piatta né triste.
Io sono una attrice. E non ho tempi di annoiarmi.
Eppure Hamill mi dà un fastidio enorme. Pretende di insegnarmi a recitare.
Come osa?
E, magari, vorrebbe insegnarmi lui cosa significa amore di anime. Anche adesso, mi sta guardando con disprezzo, e proprio alla fine di una prova che ha lasciato esterrefatto tutto il cast!
“Che cosa vuole?” chiedo acida, mentre cerco nervosamente un asciugamano.
Peter sorride con le labbra strette.
“Perché ce l’ha con me, mademoiselle?”
Lo guardo con sfida.
“Se il mio modo di recitare la disgusta” sibilo “non è tenuto a star qui!”
“Lei non ha idea dell’amore di anime e questo è un fatto, mia cara” ribatte Hamill, fingendo di pulire l’obiettivo della sua Reflex.
“Vorrebbe forse farmelo afferrare lei?”
La mia domanda rimane come sospesa a mezz’aria. Il francese torna a guardarmi e mi risponde in un modo inaspettato:
“Non si impara l’amore. Lo si prova o no”
Rido perfidamente, pensando di dargli lo scacco:
“Come osa, dunque, disprezzare una interpretazione di cui non capisce neppure il senso?”
Faccio per andarmene, ma Hamill mi prende per il polso fino a farmi male.
Solo ora mi accorgo di quanto grandi siano le sue mani, di quanto la sua presa sia possente. Provo un vago turbamento, ma rifiuto di ascoltare il mio cuore.
“Io non so se esista l’amore di anime, ma di certo so bene quel che provo per lei”
Cerco di divincolarmi, rossa in viso.
La sua dichiarazione è inaspettata.
Cosa vuol fare? A poche ore dallo spettacolo dimostrativo questo deficiente col naso adunco viene a spiattellarmi i suoi sentimenti inutili!
“Sono sincero. Io l’amo”
Finalmente, con uno strattone, riesco a divincolarmi.
“E pretende di conquistarmi dicendomi che non gradisce la mia Akoya?” chiedo con inarrestabile rabbia.
Lo sguardo di Hamill diventa di pietra. I suoi occhi grigi sembrano liquefarmi all’istante.
“Non mi permetterei mai” mormora col tono amaro “di screditare la sua interpretazione per i miei fini. Come può pensare che io possa desiderare le sue attenzioni mentendo su una cosa che le sta tanto a cuore!”
Mi dà le spalle come fosse lui la parte lesa!
Che screanzato!
“Io non ricambio i suoi sentimenti!” sottolineo astiosa.
Peter si gira d’improvviso.
“Mi dica” torna a chiedere “quando ha voglia di far l’amore, sulla base di che cosa sceglie il suo partner?”
Le domande si susseguono incalzanti:
“Per il suo aspetto? Per la sua intelligenza? Per le sue ricchezze?”
Sospiro, fingendo di deporre le armi.
“La passione” rispondo “la passione con cui mi stringe mi fa decidere se spingermi oltre o frenarmi”
Hamill socchiude gli occhi.
“Molti uomini debbono aver risposto a questo requisito” dice col tono per nulla convinto.
Divento paonazza. Mi sta prendendo in giro!
“Monsieur” ribatto “io, d’aspetto, sarò pure occidentale, ma sono perfettamente giapponese, nello spirito. Non tollero di parlare della mia vita privata in luogo pubblico e con uno sconosciuto per giunta!”
L’uomo ride.
“Lei ha solo paura” afferma “la signorina perfezione non tollera che la passione disordinata squilibri l’esistenza che si è costruita”
Guardo Hamill con sfida:
“E se anche fosse così?” domando “che male ci sarebbe? Io sono una attrice e sono perfettamente felice di rappresentare l’amore solo sul palco”
“Forse non c’è nulla di male, ma la sua vita è un deserto” risponde seccamente il fotografo “ed è uno spreco che una donna della sua intelligenza e bellezza, capace di far girare la testa persino a uno come me, sprechi occasioni importanti di crescita interiore. Perché una attrice deve nutrirsi dentro per diventare più brava. Ma questo lei lo sa, vero?”
“Uno come lei?” chiedo di rimando.
Hamill annuisce stanco. Si accende una sigaretta.
“Io ero come lei prima di conoscerla” racconta “senza padroni, libero di obbedire solo a me stesso. Ma ora darei una mano o un occhio per realizzare questo amore”
Resto visibilmente turbata.
I suoi occhi penetranti mi provocano una sensazione nuova. La sua passione è sconcertante e sento che, se gliene dessi la possibilità, mi amerebbe anche adesso. Cerca di osservarmi “dentro” come fosse alla ricerca del vero io di Ayumi Himekawa e, nel contempo, non la smette di accarezzarmi con lo sguardo.
“La smetta di fissarmi” dico con la calma che solo una attrice navigata può ostentare.
Hamill non molla la presa:
“Non posso amarla, non posso neppure guardarla. Ha qualche altro diktat?”
Perché non riesco ad andarmene, ad urlargli in faccia il mio disprezzo, a vomitargli addosso risate cariche di ironia? Dov’è la mia sicurezza? Sembra che, a livello latente, questo gioco mi piaccia.
E poi, quel suo sguardo appassionato mi dà brividi per tutta la schiena.
No, non posso desiderare un uomo simile.
Un uomo che, con l’ausilio o la scusa di una macchina fotografica, ha mercificato migliaia di corpi di donna.
Che rabbia mi fa!
Pensare che abbia provato ciò che prova per me adesso per altre ragazze!
Sono gelosa!
Cammino all’indietro, senza smettere di guardarlo e, forse, per lo sciocco timore che, in un momento di distrazione, egli torni a bloccarmi.
Ma incespico su un riflettore e cado rovinosamente.
Hamill corre verso di me per aiutarmi, ma lo blocco con una mano sospesa a mezz’aria.
“Sto bene!”
Cerco di rassicurare lui o me?
Ma non mi obbedisce. Si china su di me, zitto e addolorato, liberandomi il piede sinistro da un cavo elettrico.
Il suo viso è a pochi centimetri dal mio; ha un profumo da uomo meraviglioso, di Armani se il naso non mi inganna. I suoi abiti sanno di pulito. Anche se fuma tabacco, l’odore che emana dal suo petto è dolce, mai devastante.
Sono sopraffatta e lui se ne accorge, guardandomi dentro gli occhi azzurri.
Mi massaggia piano la caviglia ed io mi sento invadere da una grande passione.
Vorrei baciarlo e non solo.
Peter ha capito perfettamente quanto lo desideri.
Sento le sue mani cingermi i fianchi. Sono enormi, caldissime.
Già pregusto un piacere mai provato.
Le nostre labbra si sfiorano piano, prima di sigillarsi in un bacio appassionato.
Affondo le mie dita fra i suoi folti capelli, mentre, all’orecchio, gli sussurro che in camerino ho un letto abbastanza comodo che ci attende, se lui vuole.
Mi guarda con occhi stravolti dal desiderio, mentre mi prende in braccio.
Nel corridoio, deserto perché è ora di pranzo, si odono solo i nostri sospiri appassionati, i passi malfermi di Peter che cerca di indovinare con impazienza la porta del mio camerino.
La troviamo.
Chiudo a chiave e mi precipito tra le sue braccia. Sembro un’affamata, ma, per la prima volta in vita mia, non mi interessa mostrare una perfetta Ayumi Himekawa.
Sento le sue labbra umide indugiare sul mio collo, sulla scollatura della mia maglietta sportiva, mentre le mani cercano ansiose i seni. Lo sento gemere. I suoi occhi grigi vagano alla ricerca dei miei, contemplano le mie forme semiscoperte, come se stesse studiandole. Sono svestita fin sui fianchi. Le dita lunghe di Peter Hamill giocano coi miei capezzoli, col mio ombelico, regalandomi momenti di intenso piacere. Ma quando mi cerca la pelle nuda dei glutei, sotto i pantaloni, anche io perdo il controllo, desiderando eccitarlo fino allo strenuo. Lo bacio dappertutto ed egli mi lascia fare, completamente soggiogato, forse ancora incredulo per quel che gli sta capitando.
Non c’è razionalità che possa appagarmi come lo sono adesso, penso mentre le sue mani risalgono parallelamente lungo le mie cosce, fino a lambire la mia intimità. Gemo sopraffatta al tocco di quelle dita che si insinuano dolci e si alternano, poi, alle labbra e, infine, alla lingua.
Voglio disperatamente che Peter vada fino in fondo, adesso.
Il suo desiderio è palese. Stringo le ginocchia sui suoi fianchi squadrati ed egli, finalmente, mi prende.
“Non chiudi mai gli occhi?” mi chiede con tono affannato, staccando le labbra da uno dei seni che mi ha catturato.
E’ sudato, eccitato, non pensavo potesse farmi una domanda in un momento del genere.
“Voglio guardarti” rispondo debolmente “non ho mai visto un uomo in questo stato”
Hamill mi osserva stupito.
“Se eri tanto disgustata dai tuoi partner, potevi anche dirglielo” mormora movendosi lentamente dentro di me.
“No, Peter, mi vergognavo di vedermi attraverso i loro occhi” dico. E alimento col movimento dei fianchi il ritmo del suo corpo.
Mi sussurra che sono bellissima, che aspetta questo momento praticamente dal momento in cui ha posato gli occhi su di me. Ho piacere nel constatare che la sua durezza si è dissolta in un istante, sostituita da un sentimento forte e appassionato. Percepisco quanto sia stato disperato al pensiero che io non lo ricambiassi.
Ma anche adesso che, forse per la prima volta in vita mia, provo un’estasi magica, anche ora che mi sono lasciata soggiogare del tutto, mi tornano in mente lo spettacolo dimostrativo e lei, Maya, la mia unica rivale.
Guardo Hamill che, accanto a me, ancora ansimante, si mette una mano dietro il collo. E’ rosso in viso, spossato, ma ha una espressione davvero felice sul volto.
“Sarò una Akoya perfetta” gli mormorò sulle labbra. Egli apre gli occhi un poco, dopo avere, di colpo, regolarizzato il respiro.
Ride ed è come se mi schernisse!
“Che cosa significa?” domando preda di un inaspettato senso di nausea.
“Sarai una Akoya passabile” risponde lui, mettendosi a sedere. Cerca le sigarette nella tasca della giacca e, trovatele, se ne accende una.
Sono sconcertata dal suo atteggiamento.
“Eri andata molto bene” afferma l’uomo ironico “…fino a poco fa”
Continuo a non capire. Non ho detto una parola, a parte far riferimento allo spettacolo ed Hamill non può certo stupirsene così esageratamente!
Tra poche ore sarà decisa la mia vita.
La mia!
“Fammi un fischio” dice Peter recuperando i pantaloni “quando deciderai riguardo alle tue priorità. Anche se non garantisco che sarò lì ad attenderti”
Sono stravolta.
Continuo a non capire un tubo di amore e di mentalità maschile.
Mi rivesto in fretta.
Cerco Maya nel suo camerino perché sento l’impulso di parlarle, forse di confidarmi o semplicemente di essere capita.
La trovo davanti allo specchio, con la valigetta del trucco aperta, una espressione assente sul volto. E’ un albero di susino perfetto già adesso, già prima di calcare le scene.
Si gira verso di me, come se non fosse stupita di vedermi, e noto subito che ha gli occhi segnati dal pianto.
Sospiro, mentre il mio sguardo cade su un mazzo di rose scarlatte pateticamente adagiato su una poltroncina.
“Sono bellissime” dico “ma devi metterle in acqua se non vuoi che sfioriscano presto”
Maya riflette un po’, quindi, con un tono che mi allarma, sussurra che quelle rose, per quanto ne sa, sono sfiorite già da un pezzo.
Resto senza parole per un attimo.
“Maya” provo a chiedere debolmente “hai saputo qualcosa del tuo tutore?”
La giovane scoppia in pianto, mentre annuisce.
Le metto una mano solidale sulla spalla, continuando a fissare senza capire il mazzo di rose.
“L’ho perso per sempre” confessa Maya, mentre cerca di reprimere i singhiozzi.
Deglutisco sinceramente dispiaciuta.
Deve aver scoperto chi è.
E, a giudicare dal suo turbamento, il sentimento che prova per lui non deve essere corrisposto.
D’improvviso ho come una sorta di illuminazione.
Prendo Maya per il piccolo mento e la costringo a guardarmi negli occhi.
“Ascoltami bene, per quanto ne so io, un uomo che illude e poi molla per correre dietro ad un’altra non merita considerazione” sbraito “è la tua vita, ragazza, e devi lottare perché essa sia felice. E’ la sola che hai, lo capisci? E se lui non ti ricambia, fattene una ragione! Subito! Stasera non ti giochi la carriera con una attrice di quart’ordine, ma con Ayumi Himekawa! Se vuoi essere sconfitta, fallo in modo onorevole, almeno. Ti ho perdonato tutto, Maya, ma non potrei mai tollerare che tu mi consegnassi La dèa scarlatta senza aver lottato!”
Mi alzo di scatto, con gli occhi che bruciano dentro. E’ la seconda volta, da quando ci conosciamo, che faccio a Maya questo discorso.
“Non capisco un cazzo di amore di anime” confesso stremata “sono appena stata a letto con un uomo che mi ha disprezzata, ma non mi arrendo. Nessuno ha il diritto di ferirci. Abbiamo lavorato tanto. Abbiamo lavorato sodo ed oggi, comunque vada, la piazza è nostra, non di quegli sciagurati! Se il donatore non vuol saperne di te, che vada a farsi fottere!”
Vedo Maya sorridere debolmente e me ne rallegro.
“Sfrutta il tuo dolore” concludo “e fai sognare il pubblico…e anche me”
So che, forse, le ho messo in mano la chiave per il successo, ma non mi importa.
Io sono Ayumi Himekawa e vivo in funzione del teatro. Non vorrei mai che Maya, il mio “specchio”, offrisse una performance disgraziata.
Non c’è persona più importante di lei, per me.
Tutto passa.
La passione è un frutto che si coglie quasi sempre acerbo e lascia l’amaro in bocca.
L’amicizia, invece, quella vera, quella fatta di comprensione totale, di momenti di confidenza rubati alla vita frenetica, dura per tutta la vita.
E’ come essere fratelli di sangue.
Credo sia stato così per Genzo e la signora Tsukikage; credo sia stato così per mamma e papà, sebbene essi abbiano avuto la fortuna di innamorarsi, dopo essere stati amici per anni.
Così è per me e Maya.
L’amicizia e il teatro. Questo mi basta.
E voglio che per te sia così, Maya. Se potessi, vorrei lenire all’istante il tuo cuore piagato, ma esso ti servirà, tra poco: usa l’eredità maledetta che il tuo tutore ti ha lasciato!
Aiuto la mia amica-rivale ad acconciarsi i capelli. Le sollevo il kimono sulle esili spalle. Le appunto l’obi.
Completo la vestizione senza dire una parola e così lei.
I nostri sguardi fermi sono già proiettati in scenari del prossimo futuro.
Deve essere tutto perfetto e lo sarà.
“Grazie” mormora Maya, rimirandosi nello specchio.
“Domani” dico “farai lo stesso per me”
Si sente bussare ed io ho un sussulto, pensando possa trattarsi di Hamill che torna a cercarmi.
Ma non è lui.
“Guarda guarda” penso fra me. Ma, in fondo, me lo aspettavo.
Io so tutto quel che riguarda Maya. Lo capisco per istinto.
Certo, constato, è davvero un uomo bellissimo.
In smoking, poi!
Ma ha una espressione quasi contrita sul volto e, forse, ha bevuto un bicchierino di troppo.
“Signor Hayami” saluto inarcando il sopracciglio sinistro, mentre provo a lasciare il camerino soddisfatta del mio operato.
“No” dice Maya col tono perentorio “resta, te ne prego!”
Sorrido un poco imbarazzata, incontrando lo sguardo teso del signor Masumi.
“Ci lasci soli, signorina Himekawa” ordina l’uomo.
“Non abbiamo nulla da dirci” afferma Maya dandogli le spalle.
Impallidisco.
Guardalo, Maya, guarda cosa ha appuntato sul bavero dello smoking!
E’ una rosa scarlatta, sono i suoi sentimenti! Non ha più paura di mostrarli.
Mi metto una mano davanti alla bocca, eccitata all’idea di assistere ad una clamorosa dichiarazione d’intenti.
Dio, mi sento la spettatrice di un film emozionante!
Questi due, insieme, fanno scintille.
“Signore” dico riacquisendo la mia razionalità “siamo alla vigilia di uno spettacolo importante e sono certa che lei non è qui per turbare la mia amica, quindi…”
Masumi Hayami mi ferma. Osservo la mano sospesa a pochi centimetri dalla mia faccia, sconcertata.
“Sono venuto a farle i miei auguri” dice egli “per lo spettacolo e per il suo fidanzamento”
Incrocio le braccia sul petto: ma che cosa sta dicendo?
E’ davvero ubriaco, così come avevo pensato!
Maya sarebbe fidanzata?
“Yuu Sakurakoji è davvero un ragazzo fortunato e sono certo che, sul palco, sarete molto realistici” continua Masumi accendendosi una sigaretta.
Sakurakoji??!
Ma Maya non è innamorata di lui. Lo saprei, se lo fosse.
E’ lui che sospira per lei, anche se si tiene accanto quell’attrice di second’ordine!
Non sono fidanzati.
“Grazie” risponde Maya lasciandomi di stucco.
E sarebbe venuto per questo motivo bislacco con una rosa appuntata sul petto? E’ completamente fuori di testa. Così a Maya salirà il sangue agli occhi.
La vedo seria e tesa, come non le importasse nulla di quel che sta accadendo.
Masumi vuole forse ottenere questo?
Possibile?
“Auguri anche a lei per dopodomani” afferma la mia rivale guardandolo fisso negli occhi “è davvero fortunato ad avere accanto una sposa come Shiori Takamiya”
Detto questo, esce dal camerino per andare dietro le quinte.
Il sipario si alza tra poco.
“Come può venir qui a dirle una cosa del genere?!” urlo sprezzante “Maya non è fidanzata con Yuu. E’ del suo ammiratore che è innamorata”
“Del suo ammiratore” rimarco “lei ha idea di chi sia?”
E con questa domanda lo lascio in camerino, pallido come un cencio.
Raggiungo Maya, dietro le quinte.
Vedo Hamill, nella postazione riservata ai fotografi, armeggiare con la sua Reflex. Alza lo sguardo e mi vede.
Ecco un altro uomo pallido come un cencio, penso fra me, ricacciando in gola la collera.
Vorrei urlare.
Ma cosa ne sai tu, bastardo che ti infili nel mio letto, dei miei sentimenti? L’arte mi assorbe completamente, non ho tempo per te!
Sembra triste, ma non voglio neppure pensarci. E’ il momento di Maya ed è su di lei che devo concentrarmi. Sono ansiosa di vedere come interpreterà l’amore di anime insieme a Sakurakoji.
Mi sono accorta che Shiori Takamiya si aggira nel foyer. Spero proprio che non abbia intenzione di urtare i nervi alla mia amica. Ha un aspetto sinistro. Sarà per via dell’anemia di cui soffre o, probabilmente, ha capito che, finché non porta Masumi all’altare, non è del tutto al sicuro.
Sobbalzo.
E’ lei. E’ dietro di me e mi saluta.
“Buongiorno” dico arrossendo un poco “come mai è dietro le quinte?”
La domanda è mirata, ma lei non lo sa.
Tuttavia, mi risponde in un modo che mi lascia perplessa, essendo risaputa la sua timidezza.
“Forse lei non lo sa” afferma piano “ma è la società di mio marito ad avere organizzato lo spettacolo dimostrativo allo Shuttle X”
Certo che lo so! Ma guarda che sfacciataggine! Io faccio parte della Daito!
“Sì” dico di rimando “lo so bene, del resto il suo futuro marito è stato abile a intrufolarsi nell’affare, pur mancando del consenso della sensei Tsukikage”
Shiori avvampa, ma è più per l’utilizzo del termine “futuro marito” che per l’accusa di scorrettezza mossa a Masumi.
“E’ vero” afferma Shiori lentamente come suo solito “solo dopodomani sarò ufficialmente la moglie del giovane Hayami. Ma si tratta solo di un atto formale, dato che l’accordo è già stato firmato da un mese davanti al nokodo”
Non mi sono accorta che Maya era accanto a noi.
Spero non abbia sentito nulla.
“Signorina Kitajima!” chiama Shiori “è davvero deliziosa, stasera! Questo abbigliamento color scarlatto trasfigura il suo solito aspetto”
Maya, reagisci! Mandala via a calci nel sedere!
Non reagisce! Non la guarda neppure!
Che ti prende, Maya?
Perché lasci sempre a me il compito di difenderti?
Tiro un sospiro.
“Signorina Shiori” osservo “il fatto che Maya non si arricci abitualmente i capelli e non frequenti boutique d’alta sartoria non significa che non sia bella. Maya è bella: ha tratti regolari e le basta truccarsi un poco per essere naturalmente graziosa. Per non parlare del suo talento straordinario,che, da solo, la illumina da dentro. C’è gente, invece, che, ostinandosi a indossare le maniche a sbuffo di Chanel, pare un clown”
Shiori sorride incassando il colpo e replica che il mio modo di difendere Maya le pare eccessivo, dato che si è limitata a fare un apprezzamento.
Un apprezzamento!
Odio che ci si prenda gioco della mia intelligenza.
Vedo Maya venire verso di me.
Mi prende per mano. Ho un sussulto.
“Guarda” dice “guarda la mia Akoya, non te ne pentirai!”
Il sipario sta per alzarsi.
Prendo posto accanto a Onodera.
E’ bizzarro, non sembro neppure l’attrice che domani calcherà questa scena. Sono la rivale di Maya, competerò con lei per La dèa scarlatta, ma non stasera.
Ora sono semplicemente una sua fan accanita e prego dia il meglio di sé.
Si avvicina un assistente, che mormora qualcosa all’orecchio del regista. Kuronuma si alza allarmato e corre verso i camerini.
“Che succede?” chiedo all’uomo che ha appena parlato col regista.
“Il signor Sakurakoji è stato portato in ospedale”
“Cosa?!” dico stravolta.
Mi scosto i capelli dalla fronte. Perché il destino è così crudele con Maya? Alla vigilia di spettacoli importanti deve sempre affrontare problemi che non dipendono direttamente da lei.
“Signora Tsukikage!” chiamo vedendo arrivare la signora in nero.
Il sipario si alza nel momento in cui lo spirito dell’albero di susino “emerge” dalla corteccia, assumendo un cuore di carne. Sakurakoji dovrebbe entrare alla scena terza.
Mi accosto alla vecchia attrice.
“Il ragazzo si è sentito male dopo aver mangiato della torta con le fragole. Pare abbia una grave reazione allergica in corso” mi informa la donna pallidissima.
“Mio Dio” sospiro “e adesso?”
La donna scuote il capo rassegnata:
“E’ una lotta eterna, per quella ragazza. Nessuno può sostituire Isshin”
“Dovremo interrompere lo spettacolo?!” chiedo io.
La donna annuisce.
“No” tuona il regista “potremmo trasformare lo spettacolo in un monologo, se Maya se la sente”
“Un monologo???” domanda la Tsukikage “andiamo! Questo non è Gina, è La dèa scarlatta! La complessità del copione è tale che Maya non può sobbarcarsi più di un ruolo!”
Kuronuma osserva la giovane attrice, che, richiamata dietro le quinte, ha udito solo l’ultima parte della conversazione.
“Akoya è il cuore del dramma” afferma “e se noi facessimo raccontare a lei medesima la sua storia…”
“Vuole che Maya reciti a soggetto?” mi intrometto scandalizzata.
“Maya non deve inventare niente” chiarisce Kuronuma “deve solo attenersi al copione e pregare gli dèi”
Cala il panico.
“Si può fare” mormora Maya “posso farlo. Lo spettacolo dimostrativo si limita alle scene relative all’innamoramento della dèa e alla fusione con Isshin. Posso recitare anche da sola”
“Sei sicura?” chiede per l’ultima volta Kuronuma “non essendoci Sakurakoji, sono costretto ad eliminare anche gli altri attori per evitare squilibri lampanti”.
Gli occhi del regista sono esaltati. Sembra che l’imprevisto sia il sale dei suoi spettacoli. E’ per questo che nell’ambiente è etichettato come un genio.
Maya annuisce.
La signora Tsukikage è stravolta. La sicurezza della sua allieva è sconcertante.
“Reciterò” afferma Maya “e sarà il mio cuore a guidarmi”.
Mi giro e intravedo lo sguardo soddisfatto di Shiori Takamiya.

The Dark Side of Rivalry.

Da grande, mi piacerebbe coltivare le rose, come quelle che osservo dalla finestra della mia stanza.
“Ma, Shiori, non puoi farlo!”
E perché, tata?
“I motivi sono tre: primo, le rose sono piene di spine e rischi di ferirti; secondo, dovresti stare in giardino; e terzo, dovresti alzarti all’alba. Troppa aria umida fa male”
Ma esistono in natura fiori rossi come il sangue, maestosi, sublimi tanto quanto le rose?
“Oh, no, cos’è questa fissazione? Stai ancora leggendo le storie dei vampiri!”
Cosa c’è di male, tata?
“Tu sei una bambina impressionabile e poi queste sono letture da maschiaccio”
Voglio un paio di jeans, come quelli che ho visto indosso a Shin.
“Il figlio del portiere?”
Sì, tata, quel ragazzino è molto grazioso e gentile.
“Ma, Shiori, è di rango tanto più basso del tuo e poi non puoi indossare un capo d’abbigliamento simile!”
E perché, tata?
“Il maestro non ti ha spiegato che i jeans furono inventati dagli americani esclusivamente per chi si dedica ai lavori manuali?”
Ho visto che a scuola si sono aperte le iscrizioni per il club di musica. Pensa, tata, nonostante si tratti di un istituto femminile, alcune ragazze tengono un corso di batteria.
“Batteria? Si suona con la batteria da cucina? Ma non è dignitoso armeggiare con mestolo e coperchi!”
Ma no, tata, cosa hai capito? La batteria è uno strumento fatto di tanti tamburi collegati fra loro. E si suona con questi attrezzi, che si chiamano bacchette. Ci si siede su una sorta di sgabello basso e si deve seguire il tempo…
“E dovresti tenere le gambe aperte a quel modo? E’ scandaloso!”
Perché è scandaloso, tata?
“Perché…perché? Smettila di fare domande, una ragazza di buona famiglia non si comporta così”
La mia stanza è l’unico posto nel quale posso dar sfogo a tutte le mie fantasie. Tiro fuori il fumetto che, di nascosto, ho acquistato nell’edicola vicino al Liceo femminile.
“Cosa stai facendo?” chiede la tata entrando senza neppure bussare. Ha portato le mie pillole di acido folico, come ogni mattina. Non ha neppure bussato e glielo faccio notare.
“Ho bussato, ma tu non hai sentito” risponde lei. I suoi occhi indugiano sulla copertina rosa del fumetto che sto leggendo.
“Shiori” impreca “cos’è questo?”
E’ un fumetto per adolescenti, non lo vedi?
“Ma ci sono due che si palpeggiano!”
Tata, non si stanno palpeggiando, si stanno solo baciando.
Me lo strappa di mano e minaccia di parlare col nonno dei miei “problemi”.
Dov’è mia madre, tata?

“La signora è scappata con un ragazzo tanto più giovane di lei, ma è meglio non dirlo alla ragazza. Potrebbe esserne scioccata”
Era stato il dottore di famiglia a parlare, venuto a visitare il nonno, colpito da infarto dopo aver ricevuto la nefasta notizia della fuga di sua figlia.
Credevano che io fossi nella mia stanza, invece stavo ascoltando tutto dal corridoio.
Accadde cinque anni fa.
Loro non lo sanno.
Non sapranno mai: è un segreto tra la mamma e me.
Io la spiavo, quando, di notte, quel Ryu si introduceva furtivamente in casa.
Lo vedevo entrare da un piccolo passaggio del giardino, noto solo al giardiniere e a me.
Neppure la tata sapeva della sua esistenza.
Ryu suonava la batteria, aveva un complesso rock e voleva andare all’Estero.
L’ultima volta chiese alla mamma dei soldi per poter andare in Europa.
“Come farò a vivere senza di te?”aveva urlato lei, apprendendo la notizia.
“Vieni con me!”era stata la sollecita risposta del ragazzo.
Fui presa da un conato di vomito.
“Non puoi!” urlai rivelandomi.
Mia madre mi guardò con occhi disperati.
“Shiori! Non posso rinunciare” provava a giustificarsi “è tutta la vita che aspetto il momento opportuno per liberarmi della schiavitù dei Takamiya!”
La schiavitù, mamma? Sono io che ti ho incatenata qui?
“Tu non puoi capire!” mi diceva ella accarezzandomi i capelli “a differenza di te,ho avuto una infanzia orribile. Il collegio e il matrimonio senza amore con tuo padre mi hanno sconvolto l’esistenza. E’ terribile fare l’amore con un uomo che ti ripugna, mettere al mondo un figlio suo!!!”
Ma io sono anche figlia tua, mamma.
La voce non usciva.
Avrei dovuto trattenerla, ma come?
Era anche colpa mia, se lei soffriva.
“Ti auguro di essere felice” mi aveva detto uscendo come una ladra dalla sua stessa casa.
Sono rimasta a contemplare la porta fino al mattino seguente, senza muovermi di un pollice.
Era una notte molto fredda, il vento spazzava le ultime foglie di autunno. La sua voce sostituiva la mia, che, costretta al silenzio, per la prima volta percepiva il significato della parola “Io”.
Quella parola – io – divenne l’imperativo della mia esistenza.
Mi svegliai con un gran febbrone e il nonno ebbe l’infarto.
Mio padre, nel frattempo, diede disposizione a che venissero celebrati i funerali della mamma.
Era un modo furbo per aggirare lo scandalo.
Fui io stessa a suggerire inconsapevolmente la causa del decesso. Il dottore che mi aveva visitato, dopo gli esami di rito, sentenziò che soffrivo di una grave forma di anemia, che mi provocava febbri violente e dolori forti alle articolazioni.
Udii mio padre chiedere se, con una simile patologia, si potesse incorrere nella morte.
“Sì” aveva risposto il dottore “se non cambia stile di vita. Shiori ha bisogno di aria aperta, di fare le cose che tutte le ragazzine della sua età fanno. Muoversi fa venire appetito e mette di buon’umore. E poi non si deve sottovalutare la componente psicologica. Chi soffre di anemia ha un nemico più pericoloso della sua stessa malattia: la depressione. La quale, a sua volta, diventa patologia cronica, se non presa in tempo”
Mio padre lo aveva fermato. Da come reagì, compresi che nulla aveva colto del messaggio del dottore.
“Allora, sul certificato di morte di mia moglie potremmo scrivere che è deceduta per anemia?”
Il luminare annuì.
“Però, tornando a sua figlia…”
Non aveva finito di parlare che già mio padre era fuori dalla stanza.
Mamma, mamma!
Portami con te!
Ryu potrebbe insegnarmi a suonare la batteria. Mi piacerebbe tanto!

“Tempus fugit”, scrivevano i latini.
Mai riferimento fu più azzeccato!
Ho compiuto venticinque anni la settimana scorsa.
E l’unica esperienza fuori dalla casa del nonno che mi hanno concesso è stata la trasferta quasi quotidiana in serra, dove ho iniziato a coltivare le orchidee.
Gli esami finali del conservatorio li ho fatti in salotto: ma non ho imparato a suonare la batteria, bensì il koto. Il mio sensei è un vecchio decrepito in kimono con la tosse isterica. Non somiglia per nulla al batterista rock che ho visto in tv di nascosto: bellissimo, a torso seminudo, i capelli biondi appiccicati alla fronte sudata.
Quello sì che manda i miei ormoni a mille!
Il nonno, dietro suggerimento della tata, ha fatto pubblicare un libro di poesie col mio nome.
All’inizio ero contenta del fatto che, finalmente, qualcuno leggesse ciò che scaturiva dal profondo del mio spirito. Equivaleva a dire che la mia voce non era insignificante.
Ma, poi, sfogliando il testo, compresi che non un verso originale era stato conservato.
Chiesi spiegazioni alla tata, ed ella, allegramente, mi rispose che le poesie erano troppo cupe e poco dignitose per essere pubblicate così com’erano.
Mi ricordo in particolare di un verso che amavo molto:
“La sera scende e copre, fittizia, ferite aperte/ sanguinante attendo, di desiderio fremente,/ la voce amica di chi/ mi disse addio/ ridendo”
Era un chiaro riferimento alla mamma.
Il correttore di bozze rettificò il mio pensiero in questo modo:
“La sera scende sui miei casti pensieri/ di fanciulla gentile/ circondata da voci amiche/ e soffici piume”
E la mamma sparì per sempre.
Il libro di poesie ebbe un grande successo.
Tutti gli amici e i parenti dei Takamiya lo acquistarono.
Alcune riviste del gruppo Chuo lo recensirono positivamente.
Ma qualcuno fece l’errore di riderne.
La figlia di mio cugino Shingo, Seyra, una adolescente ribelle e viziata col fidanzato musicista rap, un giorno che era venuta in visita a casa del nonno, aveva riso sguaiatamente dei “miei” versi.
“Shiori, la carta del tuo prezioso libro pesa più delle parole che ci hai messo dentro!”
Così aveva detto.
Non mossi ciglio.
Davanti a me, c’era la torta con le fragole di bosco e il tagliere d’argento posato accanto. Afferrai con calma l’arnese e, anziché servire una fetta di dolce, misi sul piatto un dito della sua mano destra.
Seyra non è mancina.
Immagini di cipressi scheletrici emergevano dalla nebbia che confondeva, in lontananza, l’orizzonte.
La cosa bella delle dimore giapponesi è che, alle pareti di carta, si alternano ampie vetrate che danno su giardini perfetti.
Non guardo neppure mia cugina che, pallida come un cadavere, sviene.
Solo dopo qualche minuto di estatico rapimento, torno a soffermarmi sul suo capo riverso sul tavolino basso, sui capelli che lambiscono la torta – che schifo! Non potrò più assaggiarla!
C’è sangue ovunque.
Le mie rose scarlatte sono tornate.
Quelle che il nonno aveva disposto venissero tagliate perché non mi facessi male.
Sono tornate…e sono qui, a pochi centimetri da me!
Mi ritraggo timorosa, ma poi prendo coraggio e mi avvicino. Cerco di afferrarne una.
Sono bellissime…


E’ stato chiamato il medico.
Si sente la voce della tata.
“L’ho trovata che leccava il sangue. Rideva impiastricciandosi il viso!”
“E’ peggio di quanto pensassi” sentenzia l’uomo “la sua depressione è in stato avanzato!”
Depressione?
“Maiale!” urlo mettendomi a gambe incrociate, quasi fossi un uomo “dammi i miei jeans, e le rose e la batteria e i fumetti porno per adolescenti. Li voglio, hai capito? E voglio pure il batterista! Tata, devi dire al nonno di comprarmelo! Devo assolutamente fare l’amore con lui”
Il medico guarda la tata negli occhi. Mi prendono ciascuno per una spalla e mi sdraiano sul futon.
“Lasciatemi” sibilo “siete due pervertiti”
Sento un ago penetrarmi la carne.
Mi intorpidisce subito i muscoli, ma non mi addormenta del tutto.
“Ve lo avevo detto” sbraita il dottore “dovevate farla vivere normalmente!”
“Ma” obietta la tata “non sta bene equipararsi ai costumi occidentali!”
Il battibecco noioso dura per parecchi minuti.
“Devo parlare con il signor Takamiya” chiede il medico sistemandomi alla meno peggio la coperta.
Nessuno mi aveva mai trattata così.
Non vedi che hai lasciato scoperta una spalla? Perché non mi copri meglio?
Sento freddo e non ho la forza di tirarmi su la coperta.
Aiutami, ho freddo…
Resto sola.
La scena si sposta in corridoio.
Si odono urla spaventose.
Riconosco tutte e tre le voci nitidamente.
“Lei aveva il compito di curarla!”
E’ il nonno a parlare.
“Ed io avevo detto alla governante che Shiori doveva essere preservata almeno dalla depressione!”
ribatte il medico.
La tata incalza:
“Ma Shiori non è come le altre ragazze!”
“Lo è!” tuona il dottore “vi rendete conto che ogni suo gesto, ogni sua parola indica che è sessualmente repressa?”
Il nonno e la tata rispondono all’unisono:
“Ma è una vergogna!”
Il medico impreca, ma, forse per non perdere la sostanziosa pigione, non ha il coraggio di definirli deficienti.
“Dottore” chiede il nonno “lei pensa che mia nipote debba sfogarsi in quel senso?”
L’uomo fa un attimo di pausa.
“Forse” dice titubante “se Shiori avesse un fidanzato e una prospettiva di matrimonio cui aggrapparsi potrebbe pian piano risalire la china e tornare psicologicamente stabile”
Sostiene, però, di non essere certo della cosa. Come psichiatra, pensa sia un grave errore che un depresso si appoggi ad un’altra persona per guarire. Rischia di diventarne dipendente.
Pur tuttavia, l’autostima che deriva dal sentirsi amati può essere una spinta verso il miglioramento delle condizioni esistenziali dell’ammalato.
“Proviamo, dunque!” afferma mio nonno speranzoso, dopo che il luminare termina la dotta dissertazione.
Urlo con tutta la forza che ho dentro.
“NOOOOOOOOOOOOOO!”
Irrompono allarmati nella stanza. Nonostante mi abbiano somministrato il calmante, sento dentro una rabbia furibonda.
“Non potete farmi anche questo!” impreco “io devo scegliere l’uomo da amare”
Sto pensando alla mamma e alla sofferenza di chi è costretta a concedersi ad una persona che non si ama. Sarebbe intollerabile per me. Preferirei morire, piuttosto!
Il nonno si piega sulle ginocchia per guardarmi negli occhi.
“Sta tranquilla” mormora con tono inaspettatamente dolce “sarai tu a scegliere l’uomo che sposerai. Più tardi la tata ti porterà il catalogo”
Si avvia alla porta.
“E quando avrai scelto” conclude “sarò io stesso a trasmettere la domanda di matrimonio!”
Un uomo.
E lo sceglierò io.
Il dottore abbassa il capo con sconcerto, ma io non me ne avvedo a sufficienza
Sono felice, adesso.
Mio nonno è un genio.
Sarò felice, sì, riuscirò a realizzare il mio sogno, come la mamma!

La tata mi ha servito il te alle quattro e, così come d’accordo, mi ha portato un volume di un centinaio di pagine con le foto degli uomini più ricchi del Paese.
Glielo strappo letteralmente di mano e inizio a sfogliarlo rapidamente.
“Shiori” obietta la vecchia con voce insicura “mangia i biscotti, cara…”
“E’ questa la mia medicina” affermo con convinzione senza smettere di sfogliare il “catalogo degli sposabili”.
La mia faccia si incupisce col passare dei minuti.
Il volume è davvero dettagliato. Caratteristiche fisiche, età, posizione…persino problemi fisici.
C’è un ventitreenne coi capelli rossi, figlio di un industriale alsaziano, laureato a Yale, ma con problemi di sterilità.
Poi c’è una sfilza di quarantenni, vedovi o separati.
Perdo le speranze.
Quando il nonno rientra dal lavoro, passa subito in camera mia per sapere come è andata.
“Allora?” domanda allegramente “hai scelto il tuo compagno di vita?”
Gli lancio addosso il catalogo senza neanche degnarlo di una parola.
Il vecchio guarda la tata che, a capo chino, raccoglie i cocci di una tazza rotta.
Deve aver notato che ha il labbro gonfio.
“Mi pare di dedurre” osserva “che ti siano tutti sgraditi!”
Strano che sia calmo.
“Forse c’è ancora una possibilità, nipote!” sospira mettendosi a sedere.
Lo guardo incerta.
“Stamane” racconta “ho ricevuto la visita di un vecchio amico. E’ uno a cui ho prestato dei soldi, dopo la guerra, ed è diventato un ricchissimo imprenditore. Hai mai sentito parlare di Eysuke Hayami, presidente della Daito Art Productions?”
Annuisco, ma una smorfia campeggia sul mio viso.
“Lo sapevo” sbraito “la storia che sceglievo io il marito è un bluff. Mi vuoi maritare ad un vecchio, è così?”
“Non essere prevenuta” mormora il nonno “guarda qui”
Resto senza fiato.
“Chi è?” domando con un fil di voce.
E’ l’uomo più bello che abbia mai visto.
“Si chiama Masumi ed è il figlio adottivo di Eysuke”
“E’ impotente per caso?” chiedo con morboso interesse.
Il nonno ride di gusto e mi chiede perché penso una cosa del genere.
“Non è sul catalogo” rispondo “qualche problema deve avere!”
“Nessun problema” mi tranquillizza “semplicemente non si è mai interessato al matrimonio, fino ad ora”
Guardo nuovamente il nonno con sospetto.
“E’ gay?”
Un’altra fragorosa risata.
“No” risponde il vecchio tossendo “si è dedicato con abnegazione alla società di famiglia facendola crescere a dismisura!”
Continuo a non essere del tutto convinta.
Come può un uomo così attraente non pensare al matrimonio?
Allora, sarà un maniaco del lavoro.
Non mi considererà neppure…ma è strepitoso e al solo guardarlo sento una vaga eccitazione.
“Mi ha vista in foto?” domando al nonno con occhi speranzosi “che ne pensa?”
Il vecchio Takamiya alza le spalle.
“Cosa avrebbe da obiettare?” chiede a sua volta “sei bellissima, colta e ricca sfondata!”
Annuisco.
Sono bella, sono una poetessa, sono una suonatrice sopraffina di koto ed ho tanto denaro da vomitare.
Osservo la scheda coi “dati” relativi a Masumi Hayami.
“Nome paterno: Fujimura. Origini svedesi, per parte di madre. Età: trent’anni appena compiuti (compleanno 24 agosto). Altezza: centottantasette centimetri. Peso: settantotto chilogrammi. Studi: due lauree col massimo dei voti, una in Economia, l’altra in Legge; master vari a Cambridge e Yale. Ama: leggere e gli abiti di Armani. Sport praticati: sci e nuoto. Auto personale: BMW Z8. Non si registra alcuna intemperanza dal punto di vista sentimentale”
E’ mio.
Lo voglio.
Anche i suoi denti sono perfetti. E poi quel naso piccolo, gli occhi azzurri, i capelli biondi, l’altezza imponente!
Pochi giapponesi sono così alti!
Io ho sempre avuto un complesso, a riguardo: essendo donna, superare il metro e settanta è un dramma più che una benedizione.
Avremo dei figli bellissimi, lo sento!
“Quando lo incontrerò?” chiedo ansiosa.
Il nonno sorride.
“Anche domani, se starai meglio” ammicca.
Ho il panico. Mi ravvio i capelli, chiamando a gran voce la tata.
“Sveglia il parrucchiere, voglio farmi una tinta” ordino all’anziana che, trovandomi su di giri, sorride contenta.
“Una tinta?” domanda.
Il nonno mi blocca.
“Gli Hayami sono persone all’antica” dice col tono leggermente ironico “il vestito tradizionale andrà benissimo per il primo incontro”
Annuisco.
Avrò tutta una vita per tingermi i capelli. Domani sarò come Masumi si aspetta che io sia!


Alone Goddess.

Tremo come una foglia.
Mi dondolo sulla sedia con le mani giunte quasi fossi in preghiera.
Maya, adesso, mi sta facendo paura.
Come pensa di poter riuscire nell’intento di ricreare tutta una scena da sola?
I suoi problemi di interpretazione svaniscono nel nulla davanti a difficoltà che, per me, sarebbero insormontabili.
Potrebbe rinunciare allo spettacolo: nessuno avrebbe da ridire, vista la situazione, ma non lei.
Girerà a vantaggio la cosa, con grande dispiacere di Sakurakoji e anche di tutti coloro che le vogliono male.
Anzi, nella situazione in cui si trova, sono certa che, da sola, riuscirà magnificamente.
Basterà che, nella sua testa, prenda forma l’immagine di quell’Isshin, la persona che ella ama con disperazione.
Il sipario tarda ad alzarsi e il pubblico rumoreggia seccato.
Il Presidente dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo sale sul palco per dare spiegazioni e molti, levatisi in piedi, si dirigono all’uscita.
“Il dramma avrà luogo comunque!”
Il pover’uomo cerca di prender tempo, ma gran parte degli spettatori, deluso, se ne va.
“Avreste potuto sostituire l’attore!” urla una voce femminile in mezzo alla folla.
E un altro:
“Questo cast non è all’altezza!”
Onodera ride malefico.
“Forse potrei prestar loro Akame!” azzarda con evidente soddisfazione.
Lo fulmino con gli occhi.
Mi guardo intorno e mi accorgo che Maya non c’è.
Dove sei andata?
Ho un tuffo al cuore, quando, nella confusione generale, vedo che anche Hamill è scomparso.
I fotografi armeggiano ancora nella postazione loro riservata, ma Peter non c’è.
“Sensei!” chiamo.
Ma non trovo neppure lei.
Ho un brivido di freddo lungo la schiena ed è freddo vero.
Devono aver aperto i portoni principali per far uscire il pubblico.
La struttura del piccolo teatro che ospita gli spettacoli dimostrativi delle due aspiranti dee – duecento posti a sedere in platea - è circolare, senza palchi d’onore né piccionaie. Rappresenta solo una minima parte dell’ enorme complesso Kyoshoto Mieki Atoshi, che sarà il palcoscenico ufficiale per il rilancio del dramma.
Oggi è un giorno decisivo, quello riservato alla critica e alla stampa, agli sponsor e alle persone che contano. Forse è addirittura più importante della rappresentazione integrale! Doveva essere perfetto!
“E’ tutto perduto per Maya!” penso disperata.
D’un tratto i clamori si dissolvono.
Scende un silenzio tombale sulla sala.
La folla, pur accalcandosi, è come zittita all’improvviso da una forza possente.
Odo una voce:
“Che cosa stai guardando?”
Ho un sussulto.
Come una furia, mi faccio largo tra la gente e guadagno il mio posto in prima fila.
Ciò che vedono i miei occhi, in quell’istante, ha dell’incredibile.
La neve, nella notte ancora accennata, complice forse una leggera corrente ascensionale, sembra andare su e giù senza posarsi mai per terra.
Eppure, la strada è tanto bianca da sembrare surreale.
Quel colore così assoluto è interrotto solo da due piedi nudi intirizziti, che sembrano urlare dolore tanto quanto la voce arcana che ha parlato.
E’ Maya.
Solo lei è in grado di operare simili miracoli.
I capelli che le avevo acconciato si sono disfatti incantevolmente: le onde disordinate sono cadute sulle esili spalle ed ora si muovono al ritmo del vento leggero, insieme ai fiocchi di neve.
“Guardo te, Akoya”
Una voce maschile ha parlato, ma nessuno fra coloro che assiste allo spettacolo sa chi si è improvvisato Isshin.
Io lo so.
E mi si riempiono gli occhi di lacrime all’istante.
“Ogni momento, guardi solo me?” chiede la dèa immobile nella neve.
Eppure, tutto l’universo circostante brulica di vita.
E’ come se dalla sua fissità nascesse il movimento.
E’ come se dalla sua morte scaturisse la vita.
“Ogni momento” risponde Isshin.
E’ la voce più tenera che abbia mai udito.
E’ così.
Isshin è così.
Ha il tono rauco di un uomo che non ha più forza di urlare, ingrigito dalla disperazione di non poter essere amato da colei che, invece, rappresenta tutto per lui. E’ incredulo perché non può neppure pensare che “uno come lui” possa essere ricambiato da “una come lei”.
Non saprei dire da dove proviene quella voce, ma c’è! Capisco, in quest’istante, che l’amore di anime vive sempre e comunque: quando lo si prova è ineluttabile come il fato.
“Io non ho né nome né passato” continua Isshin “le sole cose che posseggo sono questo corpo per amarti…questi occhi per guardarti”
Il pubblico mormora.
Le televisioni stanno operando la diretta come stabilito. La scena è troppo succulenta perché vi si rinunci.
Maya, nel frattempo, si è mossa piano, raggiungendo il grande susino piantato a sinistra dell’ingresso del teatro.
La neve ne copre i rami, le gemme che si trasformeranno in foglie e fiori sembrano deformate dal gran freddo, ma l’immagine è parimenti suggestiva.
Akoya sfiora con delicatezza il fusto rugoso. Dal suo viso si capisce che sta percependone il calore intenso ed estivo: sta avendo un momentaneo sollievo al freddo pungente che le chiude i piedi in una morsa.
I piedi, Maya!
I tuoi piccoli piedi sono violacei, ma sei così bella!
Non potresti interpretare Akoya meglio di adesso, se fossi nel piccolo palco circolare del teatro.
“No, Ayumi” dice una voce nota dentro di me “sai che non è così. Non conta nulla il luogo in cui ci si trova. Maya è Akoya”
Ho il volto scosso da speranza e angoscia.
Mi tiro indietro una ciocca di capelli bagnata, mentre mi martorio il labbro inferiore con le dita.
“Solo se ti penso, mi sento inebriata” dice Maya “solo se odo la tua voce mi emoziono e quando mi tocchi sono più felice che mai”
La sua voce è appena sussurrata, carica di un desiderio struggente, malinconico.
Appoggia le spalle al tronco dell’albero. Sembra sia al suo interno, come un feto che si muove piano nel ventre della madre.
Dèa scarlatta!
Quanto ti è costato questo amore?
Sei partita dal nulla dell’esistenza, hai mangiato i frutti amari della fatica, dell’oblio, dell’odio per arrivare fin qui, davanti a questo albero dai frutti estivi trapiantato nel gelo che preannuncia l’inverno.
L’unica cosa che ti ha sostenuta, nei momenti disperati, è stata la voce di quest’uomo che, pur avendoti reso la vita meravigliosa, ha finito per ucciderti e per uccidere se stesso.
Maya, tu forse non te ne rendi conto, ma la storia di Akoya è la tua storia.
Tutti gli uomini sono dèi.
Le nostre menti contemplano l’infinito e, anche se le nostre forze ci impediscono di toccarlo, ciò non ci dequalifica. Anzi, la tensione perpetua verso il meglio ci anima, ci rende più forti e, fosse possibile, perfetti.
Capisco adesso cosa intende dire la signora Tsukikage.
La storia dèa scarlatta è il percorso di ogni individuo verso la realizzazione del sé, verso l’incontro con l’altra parte del proprio sé.
E’ così sciocco che sia pervenuta alla verità solo fissando due piedi violacei, ma, ancora una volta, come poche ore fa, tra le braccia di un uomo deluso, faccio volentieri a meno della mia parte raziocinante.
Peter.
Vorrei fossi qui, adesso, a stringermi la mano.
Proprio come la mano di Isshin, che, nascosto dietro il fusto, sta intrecciando le sue dita in quelle della sua dèa.
“Io sono te, tu sei me” sussurra la voce maschile “mi basta questo…”
E’ possibile far l’amore usando le parole?
Finora, avevo pensato fosse impossibile, ma queste due voci sono davvero incredibili, insieme.
Sento un tocco leggero. Qualcuno mi toglie delicatamente la mano dal labbro.
“Peter” mormoro.
I suoi occhi grigi si fondono nei miei.
Lo strano “dialogo” fra la voce di Isshin e Akoya termina tra gli applausi scroscianti.
Mi spello le mani, felice come avessi io stessa calcato le scene. E’ la vicinanza di Hamill a farmi vedere il mondo con occhi diversi.
Maya è stata superlativa.
Ha saputo tramutare un fiasco annunciato in un successo senza precedenti.
La osservo piccola e tremante. Ora tiene un piede sull’altro per cercare di scaldarsi.
Vorrei poterla aiutare.
Mentre, insieme a Peter, cerco di raggiungerla, una alta figura di uomo in smoking scuro mi previene.
I suoi capelli biondi sono un po’ scomposti. La neve li ha abbondantemente “attraversati”.
Butta per terra il copione che stringeva nella mano sinistra.
Si toglie la giacca e la adagia sulle spalle di Maya. Poi la prende in braccio e la conduce all’interno del teatro.
La folla è in visibilio. I flash dei fotografi sembrano luci impazzite nella notte.
E’ caduto qualcos’altro, sulla neve, qualcosa di scarlatto.
E’ la stessa rosa che, fino a pochi minuti fa, era appuntata all’occhiello della giacca di Armani.
I giornalisti hanno seguito Masumi Hayami fin dentro il teatro, ma egli, velocemente, è andato a chiudersi con Maya nel camerino.
Qualcuno mormora:
“E’ stato lui a recitare, vero?”
Poi, notando che nel foyer ci sono anche io, la folla mi circonda e vengo tempestata di domande.
“Signorina Himekawa” chiede una donna col registratorino in mano “lei è molto vicina a Maya Kitajima. Cosa pensa di quel che è accaduto stasera?”
Apro e chiudo la bocca quasi simultaneamente. Peter, accanto a me, solleva le sopracciglia rassegnato.
E un altro, assai più diretto:
“Maya ha una relazione con Masumi Hayami?”
Un uomo in sedia a rotelle avanza tra i giornalisti assiepati.
“Di che diavolo parlate?” impreca “dimenticate forse che mio figlio si sposerà dopodomani con la signorina Shiori Takamiya?”
La folla tace di colpo.
“E’ una unione di facciata, si vede lontano un miglio!” azzarda qualcuno.
Ecco un temerario, penso fra me e me, che osa rispondere al vecchio Eysuke.
“Sono molto innamorati” rettifica l’uomo cercando di mantenere la calma “non vedo come la signorina Maya possa piacere a mio figlio!”
“Ma la voce dell’uomo che ha recitato Isshin…” urla un giornalista con gli occhiali “era quella del signor Masumi!”
Eysuke perde le staffe:
“Mio figlio non è un attore, non vedo come potrebbe”
Cerca di difendersi, ma la verità è sotto gli occhi di tutti. Senza contare che nessuno si è perso la scena in cui Masumi, come apparso dal nulla, è andato a prendersi Maya ostentando un senso di possesso e protezione che solo chi ama può avere.
“Basta” urla “Asakura, vai a chiamare mio figlio e chiariamo subito la faccenda”
Ha ordinato al suo servo più viscido, l’ex tutore di Masumi, di andare a cercare il presidente.
“E’ finita, Eysuke”
“Chigusa” mormora il vecchio, riconoscendo la sensei.
“Sei stato sconfitto” dice l’anziana attrice con gli occhi socchiusi da una sottile, perfida soddisfazione “ma tu, questo, lo sai, è così?”
L’uomo si alza sui braccioli con tutta la forza che ha in corpo.
“Sconfitto?” ripete “no, tu hai perso. Questo spettacolo è stato una farsa e domani Ayumi surclasserà la tua allieva prediletta, vedrai! Perderà tutto: il suo ruolo e anche…Isshin”
“Signor Hayami!”
Una voce femminile, possente, che sovrasta il tedioso mormorio, ha risuonato in tutto il teatro.
“La smetta, adesso!”
Eysuke si gira sulla sedia, pallido in volto, ed anche la sensei appare turbata.
Che cosa è stato?
Una voce dal nulla, un tono così dolce da incutere nostalgia persino in chi, come me, lo sconosce.
L’ho udita nitidamente.
E anche Eysuke e la signora Tsukikage.
Nessun altro.
Come è possibile?
La vigilanza, nel frattempo, è riuscita a dimezzare il numero dei giornalisti presenti in sala, annunciando una conferenza stampa chiarificatrice per le nove del mattino seguente.
Che casino, penso, domani sera tocca a me recitare!
Sono rimasti solo pochi collaboratori della Daito, i due registi e la sensei Tsukikage.
Asakura non è ancora tornato indietro con Masumi.
Io e Peter, assistiamo attoniti alla scena.


Meeting.

Ho passato una notte insonne, eccitata all’inverosimile.
Ho pregustato quelle labbra, ho sentito le sue mani toccarmi insistentemente.
Sui seni, sulle cosce serrate.
E’ mio.
Finalmente, anche io ho un uomo da amare e che mi ama.
Posso dire addio a tutti i momenti di frustrante autoerotismo che hanno accompagnato la mia vita insignificante.
Da domani – che dico? – da oggi tutto cambierà.
La mattina arriva presto, col suo carico di promesse già mantenute e la speranza divenuta inaspettata, felicissima realtà.
Mangio avidamente la colazione all’occidentale, a base di uova e formaggio, spremuta d’arancia e caffè.
Mi sento un po’ gonfia e lo faccio presente, con tutte le rimostranze possibili, alla tata.
La bocca dello stomaco mi duole e provo l’impulso di vomitare.
“Non puoi” mi implora la vecchia “se rimetti quanto hai mangiato il tuo alito sarà sgradevole per tutto il giorno”
La strattono malamente.
“Ci hai messo l’aglio, dentro l’omelette!” sbraito.
“E’ per controllare la pressione” cerca di giustificarsi la tata “lo ha ordinato il dottore!”
La colpisco in volto con tutta la forza che ho.
Sento la donna che mi ha cresciuta piangere silenziosamente, ma non provo alcuna pietà.
Le ordino di alzarsi e di aiutarmi a scegliere il kimono per il grande incontro.
Improvvisamente, divento di buon’umore e le do un buffetto sulla guancia arrossata.
Sul vassoio della colazione ci sono due pillole.
Chiedo a cosa servono.
La tata risponde che quella rossa è un calmante, mentre quella blu è la solita razione di acido folico e ferro.
Le ordino di andarmi a prendere una pastiglia rossa supplementare.
Ho bisogno di arrivare calma a questo incontro.
Devo essere perfetta.
Terminata la vestizione, assunti entrambi i farmaci, mi sembra di essere in pace col mondo.
Esco fuori dalla stanza e vado verso il salone.
Masumi arriverà tra poco ed io sarò lì ad attenderlo.
Le dieci e trenta.
Ma non sarebbe dovuto arrivare un quarto d’ora fa?
Inizio ad innervosirmi.
Mi sfrego le mani gelate nel tentativo di dominare i brividi che percorrono la mia schiena.
Il nonno picchietta con le dita.
Sembra nervoso quanto me.
La testa, acconciata come tradizione vuole, mi duole: sento forcine e pettini tirarmi ogni ciocca.
In compenso, il male allo stomaco pare cessato.
Proprio mentre mi tiro su, desiderosa di sgranchirmi le gambe e di sfogare i nervi su qualcosa o qualcuno, entra la tata, che annuncia il suo arrivo.
La porta scorrevole si apre lentamente.
Vedo Masumi Hayami di persona, per la prima volta.
E’ bellissimo.
Superbo.
Meravigliosamente sensuale.
Abbozzo il mio sorriso migliore, il più tenero che ho.
Sono brava a non lasciar trasparire desiderio, ansia ed inquietudine, quando voglio, e ciò è dovuto al fatto di avere già vinto la partita.
Io sono Shiori Takamiya e niente può essermi negato, neppure una vita umana.
“Buon giorno” dice Masumi col volto un po’ teso, mentre pare studiarmi.
Ma il suo sguardo diventa subito distratto, come perso nel vuoto.
Forse è colpa del nonno, che lo sta salutando con calore.
Vorrei che morisse.
Non è lui che deve guardare, ma me!
Mi pento di avere indossato il kimono. Pensavo che il giovane Hayami arrivasse qui vestito come una specie di samurai, ma ha un semplice vestito chiaro da mattina. La sua scheda informativa dice che le sue preferenze vanno ad Armani.
Poi indugio sulle calzature in pelle scamosciata della stessa tinta del vestito.
Ha uno stile magnifico, penso, mentre il dolore si rifà vivo, come stesse torcendomi lo stomaco.
Devo andare in bagno, ma mi trattengo.
“Allora” dice il nonno, dopo averlo invitato a prendere posto accanto a lui “cosa pensi di mia nipote?”
Masumi sorride:
“Molto bella, davvero” risponde laconico.
Beve il tea che la tata gli ha prontamente versato dopo che il mio sguardo l’ha colpita come un fulmine.
“Signor Masumi” provo a domandare “come mai, nonostante la sua solida posizione, non si è ancora sposato?”
Parlando, ho cercato di mantenere un tono lento, cantilenato, proprio come mi ha suggerito la tata.
Il nonno sorride per nascondere l’imbarazzo.
“E’ qui per questo, no?” dice “non appena ti ha vista in foto è andato…in visibilio! Non è così, Masumi?”
Si ode un sospiro, seguito da un sorriso dolce, per non dire rassegnato.
“E’ così” risponde “e se, nei prossimi mesi, la signorina Shiori troverà gradevole la mia compagnia quanto io trovo gradevole la sua, auspico di arrivare alla meta di questo incontro al più presto”
Il nonno applaude quasi commosso. E la tata si porta le maniche del kimono davanti agli occhi per imitarlo.
Trovo fuori luogo il loro entusiasmo. Hanno l’aria di chi vuole affibbiare la patata bollente ad un povero disgraziato!
Ma non ho tempo per arrabbiarmi.
Cosa ha detto Masumi?
Ha detto che trova gradevole la mia compagnia!
Dèi, quant’è vero che esistete! E che mi amate!
“Vuole farmi l’onore” domanda il giovane “di accompagnarmi a teatro, questa sera?”
Abbasso la testa con grazia, tenendo bene a freno l’euforia che mi pervade.
Solo la voce mi trema un poco, quando gli rispondo che ne sono felice. Ma quel tremore pare colpire nel segno, ché nulla ha del solito tono isterico.
Brava, Shiori, continua così e, se tutto va bene, gli metterai un cappio al collo prima di quanto sperassi.
“Anzi” rettifica Masumi “venga a pranzo con me. Nel pomeriggio, se non sarà stanca, visiterà il nuovo palazzo della Daito a Shibuya e, quando avrò terminato di lavorare, potremo andare a cena e poi a teatro”
Sono stupefatta.
E’ meglio di quanto immaginassi.
“Come corri, Masumi!” afferma divertito il nonno.
“Non vedo perché perdersi in formalità” gli dice il giovane “questo nostro incontro è a scopo matrimoniale, quindi, è inutile tergiversare. Se l’unico problema è costituito dal fatto che siamo due sconosciuti, basta poco per ovviarlo!”
Asakura, il suo tutore, del quale, fino a poco fa, non mi importava un fico secco, sorride.
“Conosco il signore da quando era piccolo” constata “e non si è mai interessato alle donne. Se oggi ha cambiato idea, significa solo che la signorina lo ha favorevolmente colpito!”
E’ vero, dunque.
Gli piaccio!
Abbasso lo sguardo, temendo che possano accorgersi della mia sfacciata soddisfazione.
“Verrò” dico senza aspettare il parere del nonno.
Masumi è ancora più colpito dalla mia determinazione e annuisce.
So a cosa pensa: essere timidi non vuol dire essere sciocchi e avere le idee chiare è una cosa che un uomo ammira sempre in una donna.
Continua, Shiori, continua.
Egli si alza e mi porge la mano per aiutarmi.
“Solo” dico piano “mi permetta di andare ad indossare un abito da pomeriggio più comodo”
Esco con grazia dal salone, manco fossi la principessa Grace Kelly, ma, appena in corridoio, tiro su il kimono e corro come una forsennata verso la mia stanza.
Ho lo sguardo esaltato. Spalanco la porta e mi fiondo sulla cassettiera.
Metterò un tailleur semplice di Chanel e, sotto, la camicia col colletto ampio di Dolce e Gabbana. Mi ci vuole della biancheria intima che non mi segni i fianchi e un reggiseno che evidenzi ciò che si vede dallo scollo profondo.
Tiro fuori coulotte e balconcino di pizzo bianco.
“Forse” dico parlando ad alta voce “è meglio nero”
La tata entra nella mia stanza, come al solito senza bussare. In quel momento, stringo fra le mani tremanti un tanga leopardato.
“Non vorrai mica indossare quello!” mi chiede scandalizzata.
“Perché devi sempre rompermi i coglioni? Avanti, aiutami a togliermi di dosso questo kimono del cavolo. Se avessi dato retta al mio istinto, a quest’ora, sarei già fuori col mio amore e avrei i capelli rossi come il fuoco della passione!”
La tata mi osserva senza parlare.
Cos’ha da guardare adesso?
Mi sta forse dicendo che i miei capelli sono neri come quelli di uno scarafaggio, è così?
Sta dicendo che, per quanto faccia, io sono sempre io, la Shiori che lei detesta con tutta l’anima?
“Portami una pillola rossa” le ordino, mentre, nella foga, ho strappato la manica del kimono.
Sono rimasta completamente nuda. Mi infilo le mutandine, lasciandole a metà della coscia e già pregusto il momento in cui Masumi, di ritorno dal teatro, me le strapperà.
Mi guardo allo specchio.
“Sono una dèa e lui, da adesso in poi, è il mio dio”
Sento di nuovo le sue mani su di me, proprio come stanotte.
La sua bocca odorerà di tabacco buono e menta.
E poi…ah!
La tata, che rientra in camera con il calmante in mano, mi trova in condizioni poco dignitose.
Ma non mi importa nulla di lei e vado avanti col mio gioco meravigliosamente perverso. Inizialmente, avevo pensato di togliere le spalline dal reggiseno, ma poi, immaginando fosse molto sexy che Masumi me le tirasse giù, lungo gli avambracci, ho optato per la soluzione opposta.
“Shiori” dice la tata sistemando il tailleur sull’appendiabiti “vestiti, altrimenti prenderai un raffreddore”
Continuo a contemplarmi nello specchio, incurante del tempo che passa.
Mi dimentico che Masumi si trova fisicamente nella stanza accanto e sta aspettandomi.
Per me, è come se fossimo insieme già adesso.
Rientro nel salone dopo un’ora abbondante, impeccabile nel casto tailleur. Unico vezzo, la camicia fucsia senza maniche di Dolce e Gabbana dalla scollatura generosa, che mostrerò in trionfo quando entrerò a Palazzo Daito.


The Dark Angel.

Domani è il mio giorno.
Ho portato Peter nel mio appartamento nel centro di Tokyo, quello che sei mesi fa ho praticamente trasformato nella zona proibita della Valle dei Susini. Ad accoglierci, la fragranza di mare che mi è stata preparata su richiesta da un anziano speziale cinese.
“E’ meraviglioso” mormora il giovane guardandosi intorno. Le tende appese alle pareti oscillano piano ad ogni piccolo, umano movimento. Sembra di stare sulle nuvole.
Il fuoco arde vigoroso nel braciere al centro del salone.
La tata non c’è: si trova da sua figlia, nel Kanto, ed io penso non mi spiacerebbe vivere qui, con Peter.
“A che pensi?” mi domanda cingendomi per la vita.
Posa il mento sulla mia spalla. Avverto la pelle ruvida dovuta alla barba di uno o due giorni e ne sorrido.
“E se tu reagissi male come questo pomeriggio?” chiedo di rimando.
Si stacca un poco da me.
“Ancora Maya!”
Finge di essersene stupito, ma ora non c’è acredine in lui.
“Ayumi, sei sicura che le anime gemelle debbano per forza essere di due sessi differenti?”
Ride alla sua stessa battuta ed io lo imito, incerta.
“Credo che l’altra metà dell’anima di Maya sia Masumi Hayami” dico sospirando.
“E la tua?” domanda.
Ci penso su.
L’universo in cui viviamo è meccanico. Gli enti, così come i concetti, sono speculari.
In teoria, quella che è l’anima gemella di qualcuno non può essere, contemporaneamente, la metà dell’anima di un altro.
Ciò nonostante, è un dato di fatto che la personalità di Maya viva in simbiosi con la mia.
“Mi chiedo come andrà a finire domani” afferma Hamill sedendosi accanto al fuoco.
“Sono certo che la tua interpretazione sarà eccellente” continua “e che non sarà semplice, per la giuria, prendere una decisione”
“Non so” dico prendendo posto accanto a lui, le mie spalle poggiate sul suo petto “devo ammettere che la parte di Akoya sembra cucita addosso a Maya”
Penso sia un problema di “evoluzione”.
Il dio che è in noi, che si manifesta in quel talento che possediamo o, comunque, in quel che ci realizza, compie un percorso specifico prima di arrivare a destinazione, prima di giungere al punto di non ritorno, che è, poi, anche quello di massimo splendore.
“Io” spiego “sento di aver fatto lo stesso percorso di Maya, ma c’è come qualcosa di inconcluso, in me”
“Le anime gemelle?” mi chiede Hamill un po’ cupo.
Non credo sia questo.
Lo guardo negli occhi e gli dico che, se anche ci fosse in qualche parte del mondo la mia preziosa anima gemella, in questo momento, sto esattamente dove vorrei essere e sono felice.
Completamente.
Mi abbraccia con calore, affondando la testa fra i miei capelli lasciati liberi sul collo.
“Io ti amo” mormora “vorrei restare così per sempre”
Il mattino arriva presto.
Ci alziamo alle undici passate.
Ho lo stomaco come chiuso in una morsa di angoscia, al pensiero che, tra qualche ora, anche io sarò chiamata a vestire i panni di Akoya.
Peter mi lascia davanti al teatro, mentre egli va a recuperare i quotidiani.
Non sopporto i clamori di coloro che mi circondano: Akame è nervoso come una primadonna, per non parlare di Onodera, paranoico come non mai al pensiero di “approfittare” al meglio della mancata regia di Kuronuma.
In effetti, ieri, Maya si è diretta da sola.
E magistralmente.
Salgo sul palcoscenico solitario del piccolo teatro, come fossi in cerca di ispirazione e, soprattutto, di silenzio.
Mi accovaccio sul parquet, mentre, col dito, traccio immaginarie linee. Mi sento una bambinetta che scarabocchia la lavagna e ne sorrido.
“Buongiorno”
La voce femminile che mi ha salutata mi fa sobbalzare.
Temo quasi di girarmi.
“Sta bene?” torna a domandarmi sollecita.
Finalmente trovo il coraggio di guardare in faccia l’inguardabile.
“Che cosa vuole?” sibilo visibilmente disturbata.
Vedo la piega delle labbra della donna arcuarsi in un ghigno perfido.
Butta un giornale ai miei piedi.
“Ha letto?” mi chiede.
Il titolo dell’articolo è inequivocabile. Lo spettacolo di ieri è stato un grande successo. Nell’occhiello, si legge che la performance di Ayumi Himekawa, per quanto certamente superlativa, non potrà mai eguagliare quella di Maya Kitajima.
“E’ per questo che ha lavorato tanto?”
Il quesito di Shiori mi lascia a bocca aperta.
Non so cosa voglia, ma, di certo, le sue intenzioni non sono buone.
Sta cercando di far leva sulla mia stanchezza, oltre che sul mio orgoglio.
Oltre che sull’invidia.
“Se ne vada” mormoro a bassa voce.
“C’è ancora una speranza” dice all’improvviso.
Sembra un diavolo tentatore in vesti d’angelo. Guardo le maniche a sbuffo che simboleggerebbero le ali di uno spirito divino, ma, in realtà, sono quelle di un pipistrello.
“Chieda all’Associazione di annullare gli spettacoli dimostrativi fino a che Sakurakoji non sarà guarito” propone.
La sua fissità è impressionante.
E’ davvero un’anima maledetta, penso. Il suo sguardo è cangiante come il vento, insondabile, perverso.
Sorrido disgustata.
“Ma che cosa vuole?” chiedo “pensa davvero di poter riuscire a far leva su sentimenti meschini per portarmi dalla sua parte?”
Shiori sorride a denti stretti.
“Andiamo” dice “lo sappiamo tutte e due cosa ha provato a fare, laggiù nella Valle”
Ho un tuffo al cuore.
Lei c’era!
In mezzo alla pioggia, all’alba di quel giorno maledetto, lei c’era!
Osservava morbosa ogni movimento di Maya, credendo - e temendo - forse di cogliere Masumi sul fatto.
“Lei è completamente pazza” sbraito alzandomi.
“Forse” dice Shiori “ma, mi dica la verità, pensa davvero che il suo spettacolo avrà il meritato risalto? Maya, ieri, ha recitato alla perfezione, complice la vicinanza della sua...anima gemella”
La sua voce si è incrinata un poco, esondando su toni isterici.
Si ode un tuono violento.
“Avanti” continua la donna in veste di navigato angelo tentatore “faccia rinviare la decisione dei giudici. Sono certa che Maya si rifiuterà di recitare insieme a Sakurakoji. Sono certa che La dèa scarlatta sarà sua, Ayumi”
“Se ne vada!” urlo senza esitazione.
Shiori sorride.
“Lei non ha ancora capito chi è la sua anima gemella, vero?”
Mi lascia sola. La sua perfida domanda sembra risuonare in tutto il teatro.
Provo un brivido, pensando a quel che Peter, ieri sera, mi ha detto a proposito del fatto che le anime gemelle, se esistono, potrebbero anche essere dello stesso sesso.
“Shiori è una pazza” mi dico, cercando di riacquisire la razionalità “vuole farmi credere che sia lei la mia metà dell’anima?”
Scuoto il capo sconvolta:
“No” affermo ad alta voce “sta solo cercando di confondermi!”
Mi passo una mano davanti agli occhi.
Perché quella domanda?
Cosa può saperne lei, della mia anima gemella?
E cosa ne sa di quella notte sul ponte, quando pensai di abbandonare Maya a morte certa?
“Ayumi!”
Mi giro di scatto.
“Mamma!”
Corro ad abbracciarla, in cerca del conforto che solo chi ti mette al mondo e ti conosce nell’intimo può dare. Le racconto l’accaduto.
La mia gola è serrata, ancora preda dell’orrore.
Mia madre sorride con dolcezza.
“Tesoro” dice “quel che Shiori Takamiya dice è sciocco, oltre che senza senso. Se Maya vincesse la competizione, e sottolineo il “se”, sarebbe tenuta a recitare interamente lo spettacolo e senza prescindere da Sakurakoji. Non si può pensare che il signor Hayami, o chiunque sia stato, continui a farle da partner restando nascosto dietro un albero di susino”
Le mie mani sono gelide.
“Ma lei” ribatto debolmente “sapeva certe cose di me che nessuno, neppure tu, conosci”
Lo sguardo di Utako è fermo, mi conforta.
Sta pensando quel che penso io: i folli sono capaci di tutto e Shiori sta mostrando una grande lucidità nel perseguire il suo scopo, che è distruggere Maya e riprendersi Masumi.
“Qualcosa di inconcluso...” dico ad un tratto ricordandomi della conversazione con Peter.
“E’ questo ciò che mi impedisce di essere all’altezza di Maya e di incarnare Akoya!”
L’invidia.
Il complesso irrisolto che è in me è dettato dall’invidia.
“Se ne sei consapevole” sussurra la mamma, accarezzandomi i capelli “vai e combattilo. Non lasciare che ti vinca. Batti Maya sul palco!”
Guardo la grande attrice che ho davanti con sconcerto.
“Allora, devo ringraziare Shiori?” le domando.
“Non è lei la tua metà dell’anima, a meno che tu, per anima gemella, non intenda ogni tentazione che ti agita...”
“Converrai” dico “che quella donna è molto brava, in questo ruolo”
Utako si rabbuia.
“E’ come” afferma “se esistessero persone venute al mondo col solo scopo di fare del male. Ma non è così. Come vedi, tutto ha un fine e Shiori è stata utile anche a te, paradossalmente. Mi chiedo, però, fino a che punto si spingerà”
Vado verso il camerino, incerta.
La mamma mi segue come un angelo custode. E’ calato il silenzio.
Davanti alla porta, c’è Maya, radiosa, che mi aspetta. Ricordo della promessa che ci siamo scambiate ieri: oggi tocca a lei aiutarmi nella laboriosa vestizione.
La mamma lascia le due dèe alle loro confidenze.
Sembra turbata.
Ha cercato di rassicurarmi, ma l’idea che Shiori giri libera per il teatro non deve piacerle granché.
“Ho una sorpresa” dice Maya cedendomi il passo.
Dentro il camerino, Masumi Hayami brandisce un mazzo di rose bianche.
Lo ringrazio con gli occhi ed egli mi ricambia con un sorriso.
“Lo scarlatto non mi si addice, eh?” chiedo con una punta di bonaria ironia.
Ma, subito, mi riprendo:
“Scherzo, so che questo è il vostro colore!”
Maya mi guarda sorpresa.
“Ayumi” dice “perché ti giustifichi?”
Rieccola lì.
Coglie al volo ogni mio pensiero.
Ma come diamine fa?
Tiro un lungo sospiro e domando loro come è andata la conferenza stampa.
Masumi racconta che ha ufficialmente annunziato la rottura del fidanzamento con Shiori.
“Capisco” mormoro “un cataclisma”
Chissà come avrà reagito il Eysuke Hayami.
La reazione di Shiori, invece, l’ho vista bene.
Maya mi chiede spiegazioni ed io narro l’accaduto con orrore misto a vergogna.
“Quella donna è completamente pazza” concludo.
Masumi lascia il camerino, mentre io e Maya, rimaste sole, iniziamo l’opera di vestizione.
Manteniamo il silenzio per svariati minuti.
“Dimmi del vecchio Hayami” chiedo.
La mia amica-rivale sorride, continuando a pettinarmi i capelli. Sembra serena, ma, in realtà, è inquieta. Lo so, teme per Masumi, per il suo avvenire.
Le prendo la mano.
“Avete l’amore” dico “potete sempre ricominciare. Masumi è un uomo di talento e tu non sei da meno”
“No” afferma Maya inaspettatamente “Eysuke accetterà la decisione di Masumi, ma a patto che io vinca la sfida e dia i diritti di rappresentazione alla Daito”
E’ pazzesco.
La dèa scarlatta è, dunque, più importante persino di un vantaggioso matrimonio!
“Mi stai forse implorando di farti vincere?” scherzo.
Maya sorride debolmente e nega col capo.
“Ayumi” dice “ho deciso di rinunciare alla competizione”
La guardo quasi fosse una marziana.
“Che cosa?”
La ragazza si scosta un poco.
“Io e Masumi ci abbiamo riflettuto a lungo, ieri in camerino ed anche stanotte”
Cerco di buttarla sul ridere e ironizzo sulla loro presunta astinenza dal sesso, ma Maya non mi imita e capisco che sta parlando sul serio.


Black Goddess.

Masumi mi ha portata sulla sua auto.
Ha aperto lo sportello, come cavalleria vuole, ma, nonostante stia piovendo, non ha disteso la giacca sulla pozzanghera melmosa per evitare che mi imbrattassi le scarpe.
Chi è quell’idiota che ha scritto che un vero uomo fa di tutto perché la propria donna non abbia problemi di sorta?
Sono furibonda.
Se non do in escandescenze è solo grazie alla pillola rossa.
A questo punto, Masumi Hayami, dovrai faticare un bel po’ per farti perdonare lo smacco.
“Scusami” dico piano “sento i piedi un po’ umidi”
“Vuoi tornare a casa?” chiede egli sollecito, gettando uno sguardo preoccupato alle mie scarpette col tacco alto.
Resto indecisa per un decimo di secondo.
“No” dico convinta “davanti a una bella fiamma viva, mi sentirò subito meglio”
“Avevo prenotato in Centro, ma se per te non è un problema, posso condurti a casa mia” afferma Masumi con un lieve tono di domanda.
Annuisco subito.
Era proprio quel che volevo.
“Peraltro” continua Masumi “oggi mio padre pranza a casa e sarà molto lieto di vederti”
Incasso il colpo fingendo contentezza, ma la vista di un vecchio, in sedia a rotelle per giunta, mi deprime.
Il mio “fidanzato” fraintende il motivo:
“Scusami, forse per te sto affrettando i tempi?”
Sorrido cercando di tenere a freno l’esaltazione che mi pervade. Se è così che la mette, accetto di buon grado.
Giusto!
In fondo, verrò a vivere a casa sua quanto prima e, prima o poi, dovrò confrontarmi con Eysuke.
Ma saprò come tenerlo al suo posto. Basta che gli faccia assumere di nascosto una delle mie pillole per dormire, così non disturberà me e Masumi.
Anzi, penso di dargliene una già prima del pranzo, così, questo pomeriggio, anziché andarmene a spasso per il nuovo palazzo della Daito, me ne starò a letto col mio “fidanzato”. Eysuke dormirà sulla sedia a rotelle e noi faremo l’amore davanti al camino. Sarà ancora più eccitante, con lui che riposa accanto a noi come un uccellaccio del malaugurio.
Apro la borsetta e mi accorgo di non avere con me il carico da novanta.
“Caro” dico lentamente “ti spiace se ci fermiamo in farmacia?”
Masumi si ferma sul ciglio della strada preoccupato.
“Non stai bene?” mi chiede tastandomi la fronte.
Ho un brivido lungo la schiena. Vorrei amarlo già da ora. Gli afferro la mano. Sento che cerca di ritrarsi e corro ai ripari:
“Ho dimenticato le pillole di acido folico” mi giustifico “le assumo prima del pranzo per ordine del medico. Sai che sono anemica, vero?”
Ho posto la domanda come chi si sente in colpa per qualcosa che il destino infame gli ha affibbiato ed egli sorride con tenerezza.
“Anche mia madre ne soffriva” mi rassicura “era fragile e delicata come te, ma ha messo al mondo una roccia”
Dèi, vorrei urlare dalla contentezza!
Magari mettiamo in cantiere un figlio già nel pomeriggio!
Appena girato l’angolo, troviamo una farmacia.
Masumi si offre di scendere al mio posto, visto che diluvia.
“No” lo rassicuro “vado io”
“Sonniferi a me!!!” penso saltellando come una gazzella per schivare le pozzanghere.
Quando giungo al bancone, la dottoressa mi chiede con gentilezza di cosa ho bisogno.
Le faccio un elenco di diverse tipologie di pillole per il sonno, incerta su quale propinare ad Eysuke.
La donna mi osserva perplessa.
Cosa cazzo ha da guardare?
“Ha capito cosa le ho detto?” chiedo battendo un piede per terra.
Annuisce.
“Mi favorisca la ricetta” dice aprendo un cassetto.
Mi domino con tutte le mie forze: vorrei scavalcare il bancone e pestarla di santa ragione.
Ma, siccome tutto ha un prezzo, sono certa che ci metteremo d’accordo.
Tiro fuori il blocchetto degli assegni.
“Quanto vuole?” domando con sicurezza.
Sento tremarmi le mani, ma ce la farò.
A controllarmi e a comprare quelle fottute pillole.
“Non voglio i suoi soldi” replica la dottoressa “mi serve l’ordine del suo medico”
E’ troppo.
La prendo per il bavero del camice bianco e le ordino di darmi le pillole, se non vuole passare il quarto d’ora più brutto della sua vita.
“Bada, bella, la tata mi dà tutti i giorni l’ovetto! Sono piena di energie, io!”
La dottoressa sbianca cercando di divincolarsi.
“Se ne vada” intima “o chiamo la polizia”
Con la coda dell’occhio mi accorgo che Masumi, sceso dall’auto, sta entrando in farmacia.
Non deve vedermi in questo stato.
Decido di sbandierare le mie doti di attrice e, appena egli mi è dietro le spalle, caccio indietro gli occhi, fingendo uno svenimento.
Sento la voce ansiosa di Masumi che chiama il mio nome due o tre volte, mentre la dottoressa alza la cornetta per chiamare il pronto soccorso.
Mi prende in braccio, ma la puttana gli consiglia di sdraiarmi e di mettermi con le gambe per aria.
Accidenti! Non era così che doveva andare questo pomeriggio!
Eysuke...dormire...pillole...dammi le...
Che nervi...
Stavolta svengo davvero.


Until the end.

“Non posso credere che tu stia parlando sul serio” dico, sentendo scemare ogni forza che è in me.
Maya mi fissa attraverso lo specchio.
Che sguardo penetrante e convinto ha! Non l’ho mai vista così.
“E’ una eredità troppo pesante, in nome della quale abbiamo sofferto abbondantemente tutti” mormora col tono un po’ commosso.
“Ieri notte, come anche ieri pomeriggio, abbiamo passato in rassegna le nostre vite. Io ho pensato all’incidente della sensei, alla tragica fine Ichiren Oozachi, mentre Masumi aveva in mente solo quanto è accaduto a sua madre e, naturalmente, l’ossessione di suo padre, disposto anche ad avermi in casa pur di agguantare i diritti di rappresentazione”
Abbasso il capo non del tutto convinta, ma intuisco le sue ragioni con chiarezza.
“Finché” continua Maya “la dèa sarà mercificata, ritenuta esclusivamente oggetto di guadagno, questo dramma procurerà solo del male”
Cosa devo fare?
Far leva sulla fatica con cui ci siamo cimentate nei ruoli più svariati negli anni belli della nostra vita?
So già come mi risponderà: nulla, in vita, va perduto.
E’ come in natura, dove tutto si ricicla, muore all’apparenza e, nel momento in cui tutto sembra andato, rinasce a nuova vita.
Siamo diventate “migliori”, siamo cresciute attaccate al seno della dèa, comprendendo cosa significhi perpetuare attraverso le parole un’anima. Ichiren si è tolto la vita pur di non prostituire i suoi pensieri più belli per colei che amava, l’altra metà di se stesso, la sensei Tsukikage!
Avrebbe potuto guadagnare una quantità tale di denaro da navigare letteralmente nell’oro.
“Sì, questo lo so bene” dico “ma, adesso, che ne sarà della sua eredità?”
“Aspetterò” sussurra Maya “aspetterò che questa generazione malvagia passi e poi tornerò a competere con te”
Mi alzo dalla poltroncina girevole, accorgendomi che, dietro la porta leggermente socchiusa, qualcuno ci sta ascoltando.
Ho un moto di orrore, mentre penso che potrebbe essere Shiori. Mi acquatto sul muro e faccio segno a Maya di scostarsi.
Apro l’uscio di scatto.
“Sensei!”
Io e la mia amica abbiamo parlato all’unisono.
Chigusa Tsukikage sorride a labbra strette.
“Ragazze, avete finalmente compreso il significato del mio insegnamento?”
Percorso, vita, anima, penso sospirando.
“Ho parlato col presidente dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo” racconta la signora “ed egli si è detto d’accordo con me, rinviando la rappresentazione a data da destinarsi”
Sensei, cosa è cambiato?
La muta domanda, che si erge dalle tenebre sempre più rade dell’intelletto, arriva nitida alle orecchie dell’anziana attrice.
E’ questo il filo scarlatto che lega le nostre anime al punto da farci leggerci reciprocamente dentro.
“Non ho più paura di morire” risponde in un sussurro “o, meglio, non ho più timore che, morendo, la vita di Ichiren venga sepolta insieme a me”
Guarda me e Maya come fossimo sue creature.
“La dèa è qui”
Indica il mio cuore e poi quello di Maya.
“La dèa è in voi” prosegue “io lo sapevo già, quando avete lasciato la Valle dei Susini. Genzo mi ha chiesto se avevate capito lo spirito di Akoya. Non avevo dubbi, a riguardo”
“Ma” ribatto “i sentimenti che sono in noi, se non coltivati, evaporeranno come acqua al sole!”
La sensei mi guarda ora con rimprovero.
“E’ per questo” risponde “che tu dovrai lavorare ancora a lungo, Ayumi”
Arrossisco.
“Maya, pensi che, fra dieci anni, il tuo amore per Masumi Hayami non esisterà più?”
La mia rivale nega con sguardo dolce, ma fermo.
“E tu” dice la sensei rivolgendosi a me “pensi che, fra dieci anni, la sensazione che provasti nella Valle fondendoti con la natura verrà meno?”
Scuoto la testa con forza.
Come potrei dimenticare?
Sento con chiarezza la brezza che pare baciarmi la nuca e attraversarmi dentro.
Sento ancora il bruciore provocato dalle ustioni del fuoco, le vescicole che sembrano scoppiarmi sulle braccia.
Sento nitidamente il dolore alle gambe della sirenetta.
Sento ancora, vigorosa, l’energia che mi pervadeva mentre la fantasia degli dèi mi ispirava la forma da dare a una semplice corda.
Sento la fusione con gli elementi tutti: con l’alba, la rugiada, le farfalle, l’arcobaleno.
E, poi, mi sovviene quella notte spaventosa, quella in cui ho conosciuto l’orrore dell’istinto omicida.
La caduta della dèa.
E la dolcezza delle braccia di Peter, grazie al quale ho scoperto di poter essere una donna diversa e appagata nella semplicità della vita vissuta.
Queste non sono semplici sensazioni o emozioni transeunti.
Sono verità.
Se scemassero, significherebbe che non sono degna di vestire i panni di Akoya.
“Riproducete l’arcano e non solo” dice la sensei “Fatelo vostro. E quando non troverete risposte, fate come ogni altro elemento: cessate di farvi domande e realizzate l’unica verità. Ricordatevi: Io e le creature siamo la stessa cosa. L’intero creato ed io siamo la stessa cosa. Essere una delle tante voci che interpretano le forze nascoste e, ciò nonostante, sentirsi uno col tutto viene dagli dèi. Fatene tesoro”
“Viva, sensei” urlo sentendomi pervadere da una grande speranza “viva! Fino a quando io e Maya non torneremo a calcare questa scena! Fino a quando non vedrà con chiarezza quanto abbiamo fatto tesoro del suo insegnamento! Lei deve vivere sino ad allora”
Chigusa Tsukikage sorride con materna dolcezza.
“Voi avete già messo al sicuro la mia eredità, ragazze” mormora.
Maya mi guarda un po’ scossa.
Uscendo, la sensei ha lasciato nell’aria l’aroma intenso dell’albero di susino che cresce dentro di lei, il quale dipana i suoi rami direttamente dal cuore, creando lo sterno che lo racchiude e protegge, e arriva, con le radici, sino alle sue viscere.
Il cuore, custode dell’anima, quando soddisfatto, vuole inventare altri motivi per tornare ad esistere e perpetuarsi all’infinito.
L’unico timore che ho, adesso, è che la signora, convinta di avere raggiunto il suo fine, si lasci andare.
“Cosa faremo, dunque?” chiedo a Maya.
La risposta, semplice, si scolpisce nel mio cuore, per sempre:
“Vivremo, Ayumi, come abbiamo sempre fatto. Sfrutteremo ogni nostra potenzialità fino a sperimentare il limite dell’essere umano e, poi, quando avremo capito di non essere io, ma noi, creeremo la nostra dèa, quella che Oozachi e la signora vorrebbero”
Solo in questo istante, comprendo che, recitando stasera, avrei firmato di certo la mia condanna come attrice.
Maya sta pensando la stessa cosa di sé. L’amore di anime, pur magistralmente interpretato, non è che la punta dell’iceberg di questa filosofia dell’esistenza profonda e complessa.
Il cammino è ancora lungo.
La sapienza del cuore, per quanto nitidamente percepita, lungi dall’essere agguantata.
Siamo ancora in alto mare, dunque.
Eppure, nonostante tutto, sento che non è così.



I hate you so much!

Quando la BMW Z8 lascia il pronto soccorso lentamente, sento tornarmi le forze.
Cosa è successo?
Ah, sì, ora ricordo.
La farmacista si è rifiutata di darmi i sonniferi ed io ho perso le staffe.
Adesso mi sento così bene. Mi sembra di stare adagiata su enormi cuscini di piume, morbidi, dall’aroma di lavanda. Adoro questo profumo.
Mi giro piano verso Masumi, che, per farmi riposare meglio, ha reclinato un poco lo schienale della poltrona.
“Mi spiace” dice con tono dispiaciuto “la mia auto non è molto comoda”
Gli sorrido e penso che è bellissimo.
Amo il suo profilo delicato, le guance candide appena arrossate, i capelli biondi magistralmente scomposti sulla fronte.
E poi i suoi occhi blu come il cielo al tramonto. E’ un colore assoluto, privo di quelle “pagliuzze dorate” che di solito contaminano le iridi dei mezzosangue.
Mi chiedo cosa pensa di me in questo momento.
Il calmante che mi hanno somministrato deve essere molto potente, se mi impedisce di dar forma ai sogni erotici che quest’uomo, da quando ho visto la sua foto, mi ispira.
“Ti porto a casa?” mi domanda Masumi guardandomi per una frazione di secondo.
“No” mormoro “andiamo pure a Palazzo Daito, come d’accordo. Io non ho molta fame”
Il giovane Hayami annuisce dicendosi lieto di godere della mia compagnia, nonostante l’incidente.
Pensa si sia trattato di un attacco di anemia, ma io so che è stata una vera e propria crisi di nervi.
Non penso di averne mai avuta una così forte.
Mi sono talmente autocondizionata da provocarmi una effettiva perdita dei sensi. E’ come se avessi concentrato tutte le energie negative e il risentimento nella mia testa ed essa abbia obbedito all’ordine di svenire.
Se ci penso, sento dentro una grande esaltazione.
Posso fare tutto. Sono una attrice nata!
“Shiori” dice Masumi “non dovresti sottovalutare quanto accaduto oggi”
Lo guardo, un lampo di terrore mi attraversa gli occhi.
“Il dottore” continua “ha detto che il tuo è stato un tracollo nervoso”
Figlio d’un cane, penso fra me e me. Mentre giacevo svenuta, quel medico condotto da due soldi ha osato parlar male di me col mio “fidanzato”.
Piango silenziosamente, mentre prego che Masumi metta a tacere i legittimi sospetti.
“Sono rammaricata” singhiozzo piano, calma, complice ancora l’effetto della bomba somministratami “succede sempre così quando smetto di curare l’anemia”
Il giovane inchioda l’auto in una stradina laterale.
E’ sinceramente preoccupato ed io capisco di aver colpito nel segno.
“Perché?” mi domanda.
“Sono stanca” dico col tono soffocato “medicine, punture, trasfusioni”
Alzo le maniche della giacca mostrandogli dei vistosi ematomi.
“Sono i segni delle flebo e dei farmaci endovena che, quando sto particolarmente male, mi costringono ad assumere”
Mi fermo come per riprendere fiato.
“Io” continuo “voglio vivere come una ragazza normale, ma non posso. E, ogni tanto, quando penso di volerla fare finita, smetto di curarmi e mi succedono, inevitabilmente, cose come questa”
Masumi è dispiaciuto. Mi prende la mano e la porta alle sue labbra.
Sono calde, dolci.
“Devi farti coraggio” mormora solidale “la vita che vivi non è solo tua, ma anche di coloro che ti amano”
Sì.
Di coloro che mi amano!
Chi è che mi ama?
Quella baldracca della tata che va a scoparsi il nonno di notte?
Mio padre che vive praticamente nell’appartamento di una puttana di Shibuya?
Mia madre fuggita col suo batterista?
No, Masumi, la verità è che tu solo mi ami.
Si capisce.
Adesso mi stringi una mano, ma è un’altra cosa che vorresti stringere.
Ho caldo.
“Puoi abbassare il riscaldamento dell’auto?” domando con voce leggermente ansiosa, mentre mi sfilo la giacca, rivelando la camicia fucsia senza maniche di Dolce e Gabbana.
Dallo scollo generoso, si intravede il mio petto che si solleva al ritmo di un respiro troppo rapido perché egli non se ne avveda.
“Non guardarmi così preoccupato” mormoro mentre con un dito ho aperto il primo bottone della camicetta.
Adesso Masumi dovrebbe veder meglio.
Noto che è imbarazzato e decido di farmi audace.
Gli prendo la mano e me la appoggio delicatamente sul petto.
“Senti come mi batte il cuore?” chiedo “la tua vicinanza è la miglior medicina, caro”
E’ diventato un poco rigido, come se volesse allontanarsi da me.
Lo sta facendo sicuramente perché è in preda alla tensione.
Nobile cuore, forse teme un mio svenimento!
Intanto, però, il mio veleno sottile sono riuscita a iniettarglielo nelle vene.
Presto o tardi, anch’egli sarà vinto dalla passione e mi amerà come io voglio che mi ami.
Quando arriviamo davanti all’ingresso della Daito ha smesso di piovere: l’aria profumata dall’ozono mi riempie vigorosamente i polmoni.
Entro al braccio del mio fidanzato e, subito, mi vengono tributati tutti gli onori che si devono a chi ha il mio stesso rango – pochi in verità.
La segretaria di Masumi è una stangona coi capelli lunghi e lisci.
Mi guarda ossequiosa da dietro le lenti, ma la sua faccia ha qualcosa che non mi piace.
Sembra un cane da guardia, specie da quando il mio fidanzato le ha parlato all’orecchio.
Che cosa si saranno detti?
“Desidera che le porti qualcosa?” mi chiede sollecita Mitzuki.
La guardo alla stregua di una cameriera, mentre le ordino di prepararmi una cioccolata, ma bianca.
“Chiederò al bar di portarmene una immediatamente” dice sorridendo.
“Io pensavo la facesse lei, sul momento” affermo scandalizzata “arriverà fredda”
La donna sorride.
Questa sciocca non ha capito la mia battutaccia.
Cosa ci fa una persona così scarsa di mezzi mentali alle dirette dipendenze di Masumi?
E’ la sua segretaria particolare, per di più.
Sarà una super raccomandata!
Sarà la sua puttana! Nonostante gli occhiali, deve essere brava ad alzare la gonna.
“Non si preoccupi” mi rassicura “le assicuro che le verrà servita una cioccolata bollente”
Vorrei schiaffeggiarla.
Perché avrà usato l’aggettivo “bollente”?
Si riferisce al sesso!
Ha capito che ho intuito il suo vero ruolo, qui dentro!
Non devo sottovalutarla!
Appena sposati, domanderò a Masumi di licenziarla in tronco.
Dopo aver bevuto la cioccolata mi sento subito meglio e inizio il mio giro solitario per il palazzo.
Fuori dalla porta, c’è un gran trambusto.
Tre energumeni stanno strattonando una ragazza, poco più che una adolescente!
Mi avvicino accigliata e li striglio per bene:
“Non è questo il modo di trattare una donna!” dico senza mezzi termini.
Difendendo questa persona, metto in evidenza il mio aspetto migliore, non certo lei.
Le porgo il mio fazzoletto di pizzo, sebbene - venendo a sapere che è qui per vedere Masumi - me ne penta subito.
“Cosa desidera dal signor Hayami”
Mi guarda senza parole, ma è come se mi conoscesse. Che strana ragazza!
Il mio “fidanzato”, forse distratto dal rumore, fa capolino. Mi lancia uno sguardo distratto e fa entrare quella tipa nella sala d’aspetto. Ed osa dire anche a me di aspettare.
Cosa posso rispondergli?
“Prego, prosegua pure la sua riunione!”
Anche se odio che mi lasci nelle grinfie dei suoi dipendenti bifolchi. Almeno, quella Mitzuki è andata dietro alla ragazza.
Che cosa si staranno dicendo?
Mi viene un atroce sospetto, ma mi dico che non è possibile: Masumi non può portarsi a letto anche quella bambinetta! E’ troppo sciatta e insignificante. E’ merce scadente. Nessuno le ha insegnato che, quando si è piccoli di statura, bisogna evitare accuratamente le gonne sotto il ginocchio. E poi quella felpetta col cappuccio è di un colore inguardabile, stona col vestito. Forse sarà venuta a chiedere del denaro, sarà una mendicante.
Proverà anche a vendere il suo corpo? Quando uscirà dalla saletta, le darò qualcosa, così farò bella figura.
Passano svariati minuti ed io, incapace di star ferma, scendo dabbasso, alla ricerca del bar.
Ho voglia di un’altra cioccolata bianca. Anche se mi si gonfierà la pancia, non mi importa. Non posso e non voglio farne a meno!
Mi faccio servire la bevanda in un bicchiere di carta e vado a sedermi su un grazioso puff, con tanto di cuscini di seta e piante ornamentali. Dalle gigantesche vetrate, filtra la luce del sole ormai al tramonto. Mi sembra di essere una orchidea in serra.
E poi vedo arrivare di nuovo lei.
Cosa ci fa con Masumi?
Stanno chiacchierando in modo amabile, sconvolgente. Litigano, ma sembra si divertano.
Perché lui non ride così, quando è con me?
Mi rendo conto che ci conosciamo solo da poche ore, ma egli non ha fatto trasparire alcun dubbio sul fatto che gli piaccia.
Gradisce – Dio solo sa come! - la mia presenza e vuole concretizzare l’unione in breve tempo.
Conosce quella tizia da molto, da troppo tempo, per i miei gusti.
Deve venire a mendicare spesso.
E’ strano.
Masumi Hayami, così dedito al lavoro, dà importanza ad una cosetta inutile!
Oggi mi ha dimostrato di avere un cuore, era sinceramente preoccupato per la mia salute e, forse, quella ragazzina, scoperta la sua indole dolce, fa leva su di essa per ottenere dei soldi.
Che screanzata. Vorrei picchiarla a sangue!
Trattengo un conato di vomito, mentre stringo un poco il bicchiere di cioccolata nella mano tremante. Ne escono poche gocce calde, ma io non sento alcun bruciore.
C’è qualcosa che brucia di più, in questo istante.
Quando, poco tempo dopo, ci ritroviamo a cena nel ristorante qui vicino, chiedo lumi al mio fidanzato.
“Masumi” domando piano “perché non mi mostri il tuo vero volto?”
Il suo sguardo è sorpreso.
“Vero volto?” chiede di rimando.
“L’espressione che avevi oggi in compagnia di quella ragazza” chiarisco giungendo le mani.
Mi sorride.
Si sta vergognando un poco, o sbaglio? Oppure ha capito che sono gelosa e mi sta prendendo in giro.
“Stavamo solo litigando in modo puerile” dice sorseggiando il Dom Perignon di buona annata che si è fatto servire dal sommelier.
“Sono certa che tu sia una persona di cuore” affermo prendendogli la mano “anche se, in giro, la pensano diversamente”
“Dovresti credere anche a queste voci, invece, io non sono buono, Shiori”
Adesso sembra sulla difensiva. Vuol fare l’uomo vissuto e freddo, ma si sta parando la faccia per attutire gli effetti della caduta.
“Masumi” continuo “io devo ringraziarti. Da quando ti conosco, sento di stare già meglio. Mi sento felice, allegra”
Sembra stupito.
“Andiamo” sdrammatizza “non mi conosci per niente. A me, invece, piace pensare che tu sia una creatura splendida e che, pian piano, stai emergendo in tutta la tua bellezza. Per ammaliare me”
Sorrido imbarazzata.
Quel complemento è inatteso.
Non mi aspettavo che egli dimenticasse così facilmente l’episodio in farmacia e le parole del dottore del pronto soccorso, che – il diavolo se lo porti! – gli “consigliava di preoccuparsi” per le mie crisi nervose!
“Spero di non annoiarti” dico ad un tratto, martoriando il foulard di seta che ho portato con me.
“Per nulla” mi risponde schiacciando un mozzicone di sigaretta dentro il posacenere “piuttosto, sono io ad avere questo timore. Come sai, non sono uso ad appuntamenti romantici – in questo siamo molto simili – sono abituato a trattare affari e, quando le situazioni lo esigono, sono costretto anche ad incontrare gli attori che ruotano intorno all’area Daito”
Penso subito a quella ragazza, ma non è possibile che sia una attrice.
“Toglimi una curiosità” azzardo “cosa voleva oggi la giovane che, come una furia, si è precipita nel tuo ufficio?”
Masumi mi guarda sorpreso.
“Lode alla tua perspicacia” risponde compiaciuto “quella tizia è una attrice e, attorno a lei, ruota l’affare teatrale più colossale del Dopoguerra”
Mormora anche: “Sebbene lei non se ne renda conto”
Ma ha pronunciato questa frase come se non gli importasse farmela udire, come se stesse colloquiando con se stesso.
Avverto un segnale di pericolo.
L’effetto del potente calmante sta scemando piano.
E’ una minaccia. Quella ragazza è una minaccia!
Masumi si avvede del mio turbamento:
“Che cosa succede, Shiori, stai male?”
Nego col capo e lo invito ad ascoltare la canzone che risuona nel salone.
“The way you look tonight, interpretata da Frank Sinatra” risponde prontamente.
Adoro questa canzone.
Mi fa tornare in mente i cuscini di piume e le sue mani roventi.
E’ un sogno, vero?
Mi sta conducendo sulla pista da ballo ed io, docile, lo seguo. La sua mano che mi lambisce la schiena mi manda in estasi. Il sangue ribolle nelle vene, mentre incrocio i suoi occhi blu cobalto così diversi dai miei, nero corvo come i capelli.
Il profumo che emana è inebriante.
Mi sento svenire.
Tutti gli avventori del locale lanciano entusiastici commenti al nostro indirizzo. Alcuni ci hanno riconosciuto e già salutano la coppia più bella del Jet-Set nipponico.
Che dico?
Del mondo intero!
Gli dico che le parole dei signori della sala mi imbarazzano, ma egli mi invita a guardare solo lui.
Appoggio il capo al suo petto, sentendomi ad un passo dal paradiso.

Mi riaccompagna a casa a mezzanotte passata.
Vorrei che la sua BMW non ripartisse mai.
Vorrei invitarlo ad entrare e glielo dico:
“Masumi, mi piacerebbe che non te ne andassi” mormoro con tono tenero e sensuale insieme.
Egli mi guarda non del tutto sorpreso.
“Come pensi concluderebbero la serata due adulti che si son detti certe cose?” domando suadente.
Sorride.
“Due adulti, hai detto bene” risponde “non siamo ragazzini all’uscita di una karaoke ed io, con te, voglio far bene ogni cosa, a suo tempo”
Mi bacia frettolosamente sulla guancia ed entra in auto.
“STRONZO” mastico quando è ormai fuori dalla mia vista.
Mi giro e vedo la tata, basita, dietro di me.
“Cosa hai da guardare, megera?” ringhio imitando il cane del vicino.
Mi sono controllata fin troppo, dopo l’episodio dell’ospedale.
Sbatto la porta del cancelletto e vado a chiudermi nella mia stanza.
Pensando alle cose belle che mi sono accadute, rifaccio il giochetto di oggi.
Mi spoglio completamente e mi guardo allo specchio.
Possiedo un seno meravigliosamente florido, a dispetto della figura longilinea. Mi stringo i capezzoli, fino a che non sono completamente indolenziti, fino a che le mie unghie non sono lorde del mio stesso sangue, godendo dell’impagabile strazio. In testa ho solo la faccia di Masumi e immagino sia lui a giocare perfidamente col mio corpo.
Entro nel mio letto.
Il fresco contatto delle lenzuola mi invita a continuare. Le mie dita lambiscono sensualmente l’intimità ormai umida, la forzano con rabbia sempre crescente. Stringo le cosce e, senza neppure sfregarle un poco, sento il sangue caldo, intenso pervadere il clitoride; raggiungendo quel piacere solitario, ho la certezza che anch’egli, adesso, stia facendo “certe cose”, pensandomi.
Masumi Hayami deve essere un amante davvero meraviglioso, penso fra me, mentre un cielo senza stelle fa da cornice a quella che, giuro, sarà l’ultima notte solitaria della mia vita.


Marriage.

Ogni uomo crede di avere un destino, ma io, se non avessi incontrato Chigusa Tsukikage, Maya Kitajima e la dèa scarlatta, sono certa, non mi sarei trovata qui, a poche istanti da un evento che segnerà per sempre la mia esistenza.
Sto per sposare l’uomo di “quel” pomeriggio.
Un uomo dai capelli color del grano, con gli occhi grigi come il cielo in tempesta.
Dal giorno dello spettacolo dimostrativo, abbiamo avuto centinaia di altri pomeriggi, centinaia di altre notti.
Praticamente, non ci siamo mai allontanati l’uno dall’altra.
L’ho portato a casa mia per una sera e, invece, ci è rimasto per sempre.
Il salone, che avevo arredato alla giapponese, è ora invaso da macchine fotografiche, videocamere, pellicole, computer di ogni sorta. La cosa, all’inizio, mi procurava un vistoso fastidio, ché Peter avrebbe potuto fare della camera da letto della tata ormai libera il suo laboratorio privato.
Ma egli preferisce lavorare così, nel caos, e, con la scusa che sto fuori casa fino a sera, è diventato il padrone di tutti gli spazi.
La mia esistenza è cambiata. Qualche mese fa, non avrei mai sopportato simili ingerenze. Adesso, di queste ingerenze ho una ragione di vita.
La cerimonia sarà piuttosto semplice.
Peter è cattolico ed era suo desiderio sposarmi in chiesa. Così, ho optato per un abito di nozze occidentale. E’ un modello di Valentino in stile impero, con una scollatura squadrata che lascia scoperte le spalle, bianco candido come tradizione vuole.
I miei testimoni – com’era prevedibile che fosse – sono Maya e il signor Hayami, che, dalle ultime notizie, stanno ancora combattendo un’aspra battaglia contro Eysuke e i Takamiya uniti in fronte comune per dar loro filo da torcere.
Quando arrivo nella chiesa del convento francescano che io e Peter abbiamo scelto per il rito ed entro al braccio di mio padre, ho un nodo alla gola.
E’ un posto suggestivo, con un enorme arco a sesto acuto sull’abside principale. Il tetto, a capriata, è in legno dipinto d’azzurro e d’oro. Le bifore minuscole, poste in alto come lucernari, hanno vetri policromi meravigliosi. I fiori bianchi che addobbano i posti a sedere sono uguali a quelli del mio bouquet: orchidee e piccole rose bianche.
C’è solo qualcosa di scarlatto, laggiù in fondo. E’ un puntino che spezza la monotonia del colore che prediligo, l’unico “neo” cui consento di vivere in un giorno che è solo mio.
Lei.
Maya Kitajima.
E’ sempre accanto me.
Anche oggi mi è dietro le spalle, con la sua ombra scarlatta.
Tuttavia, c’è qualcosa di differente. Quell’ombra si è come “allungata” in virtù della presenza dell’altra metà della sua anima.
Leggo perfettamente dentro il suo cuore. E’ felice per me, come lo è sempre stata, ma c’è qualcosa di dolente, nel suo sguardo.
Questa prima uscita ufficiale al fianco del Presidente Hayami non è come dovrebbe essere.
Penso nuovamente e con grande fastidio a Shiori e al padre di Masumi.
Le note di Bach si spengono solennemente al mio arrivo all’altare: dopo il canonico bacio sulla fronte, Peter mi ha teso la mano per aiutarmi a prendere posto.
Sistemo il lungo strascico e mi giro verso Maya.
Ha un bell’abito di pizzo di scarlatto, lungo, che copre appena le scarpette di seta di ugual colore. “Sarà un regalo di lui” penso vedendola finalmente abbigliata come si addice ad una ragazza graziosa della nostra età.
Masumi Hayami è in tight, superbo come sempre, con l’immancabile rosa scarlatta all’occhiello.
Mi viene un’ idea e, mentre il prete fa il suo ingresso, la mormoro a Peter nell’orecchio.
Il mio futuro marito, senza farselo ripetere e con mia somma soddisfazione, si alza e va a bloccare il sacerdote.
Vedendoli rientrare in sacrestia, gli invitati iniziano a mormorare un poco.
Io non mi muovo di un pollice e fingo di ignorare le domande che insistentemente mi rivolgono sia Maya che mia madre, seduta poco distante.
Passano diversi minuti e Peter ancora non si vede.
Sento una prorompente eccitazione invadermi dentro, al pensiero che io, Ayumi Himekawa, sto assestando un colpo mortale ad un nemico che - se non fermato - continuerà a logorare a lungo e a distruggere persone a me care.
Non lo permetterò.
Maya, abbiamo fatto tutto insieme ed anche oggi il palcoscenico lo calcheremo in simultanea.
Guardami, ho sconfitto l’invidia e ti voglio con me, in questo trionfo dello spirito.
Un giovane chierico sistema altri due posti a sedere accanto a quelli che occupiamo io e Peter.
Il sacerdote, che, finalmente, è tornato sull’altare insieme al mio futuro marito, è un poco imbarazzato.
“C’è una piccola variazione” dice schiarendosi la voce “normalmente, le leggi della Chiesa sono assai rigide a riguardo, ma, trattandosi di un matrimonio misto e, vista la situazione di estrema gravità in cui si trovano queste due persone, credo si possa fare una eccezione”
Invita Maya e Masumi a prendere posto accanto a noi.
Sono imbarazzati all’inverosimile: lei non sembra neppure in grado di muoversi. Ma il signor Hayami ha qualcosa nello sguardo: è come se dentro i suoi occhi blu cobalto si fosse accesa una folle, ma non infondata, speranza.
Il mormorio in chiesa aumenta, trasformandosi in sconcerto.
Peter, accanto a me, si sistema la giacca e, nel mentre, mi osserva vittorioso.
“Chi presenta questa donna?” domanda il prete riferendosi a me.
Mio padre si alza commosso:
“Io”
E, poi, rivolgendosi a Maya:
“Chi presenta questa donna?”
Dopo pochi secondi di silenzio, un’alta figura di uomo, con voce ferma, palesa la sua presenza.
“Io”
Masumi si gira di scatto.
Vedo un giovane dalle spesse lenti scure avanzare lungo la navata e prendere posto dietro a Maya, così come papà ha fatto con me.
Non lo conosco di persona, ma credo che di averlo visto recapitare rose scarlatte alla mia amica più di una volta.
La cerimonia inizia.
Sono un crocevia di emozioni.
Ripercorro tutta la mia vita col pensiero e non soltanto la parte che riguarda Peter. La mia carriera, gli spettacoli, i successi, l’incontro con la piccola attrice di Yokohama.
Io e Peter pronunziamo le promesse nuziali per primi, seguendo il rituale della tradizione cattolica, quindi ci scambiamo le fedi.
Quando è il turno dei nostri amici, il sacerdote, vista la situazione anomala, domanda a Masumi se vuol dire qualcosa di personale.
Il Presidente ringrazia l’uomo e, con un po’ di imbarazzo, si gira verso l’assemblea.
“Sapete” comincia “non sono cattolico e, inutile a dirsi – giacché è ovvio per tutti – non pensavo neppure, entrando in questo tempio, di dover io stesso sposarmi”
La voce gli si incrina.
“Siete miei amici, ma non tutti conoscete la mia storia personale con Maya Kitajima. Una storia tenuta nascosta per tantissimo tempo” rettifica “per lunghi anni”
“Abbiamo sofferto” continua “pensando entrambi fosse qualcosa di irrealizzabile: la differenza di età, la posizione che occupo esigevano che io prendessi in moglie una donna del mio stesso rango. Ci ho provato, ma non sono riuscito a soffocare i miei sentimenti. Anzi, più li soffocavo, più sentivo di averli dentro. Ciò che accade oggi è la realizzazione di un sogno e mi vergogno di non essere arrivato da solo a questa soluzione. Mi vergogno di essere stato come imboccato da questi cari amici per trovare finalmente il coraggio di prendere il toro per le corna e agguantare la mia felicità. E’ una felicità che ogni uomo merita. E non c’è persona al mondo che può permettersi di negarla. Neppure un padre. Soprattutto un padre”
Ha sottolineato l’ultima frase con tono ancora più amaro.
Mi commuovo, vedendo Maya piangere silenziosamente. Non me ne ero accorta, non so da quanto tempo stanno tenendosi per mano.
Certo, a vederli, sembrano davvero strani: lei così piccola e fragile, introversa e complessata; lui, bellissimo e sicuro di sé. Eppure si amano.
Due persone all’apparenza tanto diverse si amano.
Chi avrebbe potuto dirlo?
“Ti prometto eterna fedeltà” dice Masumi rivolgendosi a Maya “prometto di riparare ogni giorno della mia vita al dolore che, pur non volendo, ti ho procurato”
Qualcuno, in chiesa, sta soffiandosi il naso. Ed anche io cerco disperatamente il mio fazzoletto di pizzo.
Il sacerdote si rivolge a Maya, chiedendole se, insieme alla promessa nuziale, desidera esprimere i propri pensieri davanti all’assemblea.
Arrossisce vistosamente.
“Io” dice “sono brava a recitare, almeno così dicono…ma questo non è teatro e, quando sono chiamata a vestire i miei panni, divento impacciata, mi sento sciocca”
Si stringe al braccio di Masumi.
“Mi sono accorta di provare dei sentimenti per Masumi quando ho scoperto che stava per sposarsi. Già prima di venire a sapere che, per anni, è stato l’angelo custode che ha guidato i miei passi verso il successo come attrice. Tengo a precisare questo, perché quel che sento per lui non sia scambiato per gratitudine. Io amo, intensamente, quest’uomo”
Ha parlato con una fermezza inaudita:
“E desidero passare il resto della vita al suo fianco. Anche se, appena varcata la soglia di questa chiesa tutto sarà orribile e irto di difficoltà”
Il silenzio scende sugli invitati.
Il sacerdote si schiarisce la voce.
Sembra anch’egli commosso.
“Il Dio che è nei cieli, che è Dio di tutti, indipendentemente dalla religione che si professa, vegli sul vostro cammino”
Non si scambiano le fedi – ché nessuno vi ha provveduto. La cerimonia si conclude e tutti i convenuti hanno la sensazione di avere assistito a qualcosa di straordinario, un autentico miracolo che solo l’amore di anime può produrre.
Sono felice.
Al fianco di Peter e delle persone che più amo.


Wickedness or madness?

Mi sono svegliata con un mal di capo feroce, nauseata parimenti dall’odore di uova fritte e dall’aglio che quella megera si ostina a mettermi, intero e non cotto, sul vassoio.
“Odiosa vecchiaccia” mormoro addentando una fetta di pane tostato.
Osservo le tracce di sangue sul lenzuolo e sullo stesso kimono che indosso.
Ieri sera mi sono fatta male.
Pensando all’unico uomo che voglio, pensando al suo rifiuto ingiustificato.
Sono stanca di divertirmi da sola.
Oggi si profila una giornata difficile. Dopo la mezzanotte, è arrivato un messaggio di Masumi sul cellulare: diceva che sarà fuori città per tutto il fine settimana.
La sua mancanza mi è già insopportabile, per non parlare del timore che la mia eccessiva, esplicita franchezza lo abbia “turbato”.
Ma io pensavo davvero che, avendo ormai una certa età, non ci fosse nulla di male nel terminare la serata come buona regola detta.
Siamo fidanzati, in fondo…quasi fidanzati.
La tata – quella stronza – non manca mai di rimarcarmelo, neanche se Masumi fosse entrato a casa Takamiya da un decennio.
“Shiori” sembra dire “non cantare vittoria. Non ha ancora dato la sua risposta ufficiale”
In effetti, però, è strano.
Di solito, davanti a un matrimonio vantaggioso, non si tergiversa più di tanto e si va al sodo con celerità. Se Masumi mi avesse portata a letto, niente e nessuno avrebbe potuto impedirgli di portarmi subito all’altare! Anzi, il nonno avrebbe sguinzagliato la yakuza nottetempo, pur di non vedere sua nipote disonorata!
Perché non lo ha fatto?
E questo week-end fuori puzza di bruciato.
Decido di giocare la carta del fossile e chiamo Eysuke Hayami. Penso che sia la seconda persona più felice del mondo – dopo Masumi naturalmente – all’idea che questo matrimonio si concretizzi.
Non delude le mie aspettative.
Anzi, si dice contento di sapere che andrò a trovare il suo prezioso figlio nella casa al mare degli Hayami, uno splendido cottage a strapiombo su una baia nascosta, che ricordo di aver visto una volta su una rivista di arredamento.
Noi Takamiya, penso, siamo ricchi sfondati, ma anche gli Hayami non sono da meno.
Mi piacerebbe andare a vivere laggiù e quale teatro meraviglioso sarebbe per la nostra prima volta!
Chiamo la tata e le ordino di preparare il bagaglio, quanto basta per il fine settimana.
In una borsa a parte, sistemo personalmente la biancheria che ho scelto.
Sensuale, è ovvio.
E, visto che Masumi si è rivelato un po’ timido, opto per qualcosa di sicuro impatto, ma discreto. Mollo il tanga leopardato nel primo cassetto e scelgo una diecina di semplici completini di pizzo che ho comprato lo scorso settembre a Parigi.
Mi chiedo se basteranno e, nel dubbio, metto in borsa anche l’undicesimo.
L’auto, prontamente recuperata dalla vecchia megera – sarà certo felice di liberarsi di me! – mi porta fuori città.
Apro il finestrino e respiro l’aria salmastra a pieni polmoni.
Fa un po’ freschino, ma mi sento davvero bene. Il sole risplende e non tollera la presenza di nuvole nefaste nel suo cielo.
E’ lo stesso anche per me.
Vedo persone in maniche di camicia lavorare sulle banchine del porto e provo l’impulso di imitarle.
Ma il cane-autista mi richiama:
“Signorina, la sua nutrice si è raccomandata a che lei non prendesse freddo” dice con tono fermo.
“Come si permette?” sbraito. La mia mano lo colpisce sulla testa e fa volare il berretto dal finestrino aperto.
L’automobile oscilla un poco, prima di accostare.
“Che cosa fa?” strillo scendendo.
Mi ritrovo davanti un energumeno di due metri. I muscoli sono così pronunciati che sembra siano in procinto di strappargli i bottoni della camicia.
Aspetto una qualsiasi reazione da parte dell’autista e, invece, si limita a correre in strada per recuperare il cappello.
Forse è un po’ tozzo, ma ha un bel sedere.
Torna indietro, imperturbabile.
“Possiamo andare, ora” afferma guardandomi dritto negli occhi.
Bravo, fai bene a pararti il culo per conservare il posto.
“Portami subito dal mio fidanzato, capito?” ordino con l’ansia che mi divora ogni parte del corpo. Aspetto che il bifolco accompagni la portiera dell’auto, ma inutilmente.
“Le spiace” mi chiede “farlo da sola?”
Chiudo con tutta la forza che ho in corpo.
La macchina trema un poco.
“Caspita” mormora l’uomo “è pensare che tutti dicono che lei è ammalata”
“E’ pagato per guidare” taglio corto “non per conversare con me!”
Durante il viaggio, i suoi occhi tornano a fissarmi spavaldamente attraverso lo specchietto retrovisore. Non ha neppure la decenza di nascondersi dietro gli occhiali da sole che ha adagiato sul cruscotto.
“Ma cosa vuole?” strepito infastidita.
Lo vedo sorridere.
“Sei cambiata, Shiori” mi dice ad un tratto “non sei più la bambina che veniva a rubarmi i jeans di nascosto”
Ho un sussulto.
“Shin…?” chiedo “sei proprio tu? Non avrei mai potuto riconoscerti! Sei diverso…sei…”
Lo vedo ridacchiare. E’ la stessa, inimitabile risata di vent’anni fa.
“Pensavo fossi in America a studiare” dico sorpresa.
“Mi sono laureato l’anno scorso” racconta “ed ora lavoro per tuo nonno, almeno fino a che non troverò qualcosa di meglio”
Cala il silenzio.
“So che hai fatto carriera” mi dice d’improvviso “hai pubblicato un libro di successo, suoni quello strumento orrendo e coltivi orchidee che, a quanto si dice, son così belle da essere richieste persino oltreoceano”
Arrossisco al complimento.
Shin mi conosce bene, mi conosce da sempre.
A lui raccontavo le mie traversie di figlia indesiderata, le mie speranze puntualmente disattese.
Finché siamo stati bambini, abbiamo condiviso ogni cosa.
Grazie a lui, potevo instaurare un contatto “sano” col mondo esterno, che non era solo il covo di pericoli descritto dalla tata e dal nonno.
Poi siamo diventati adolescenti e l’allontanamento è stato inevitabile.
L’orrida nutrice mi teneva sotto chiave per non farmi subire gli attacchi dell’altro sesso. E Shin, mio malgrado, si allontanò da me.
Penso di aver perduto ogni freno in quel frangente!
Fu allora che iniziai a manifestare delirii di onnipotenza.
“Te ne ricordi ancora?” mi domanda il giovane all’improvviso.
“Che cosa?” chiedo di rimando.
Ma capisco all’istante a cosa egli alluda.
Arrossisco nuovamente ed egli sorride. I suoi occhi, attraverso lo specchietto, stanno guardandomi adesso con dolcezza.
La sera prima della sua partenza per gli Stati Uniti venne a salutarmi. Io ero in camera mia e leggevo di nascosto shoujo per adolescenti. Aprì la porta senza neppure aspettare che dicessi “avanti”. Si avvicinò al mio letto e mi baciò sulle labbra.
Mi sentii sognare, complice forse la lettura romantica che stavo facendo.
Il mio primo bacio lo diedi ad un giovane di rango tanto più basso del mio.
Certo, non era bellissimo come il mio Masumi, ma la le sue labbra erano meravigliosamente morbide ed il loro ricordo è ben nitido, anche adesso.
Giunti davanti al cottage degli Hayami, dico a Shin di tornare a prendermi la mattina dopo, ché è mia intenzione passarvi la notte.
Egli mi guarda quasi incupito:
“No” dice “ti aspetto”
Si toglie il berretto e mi porge la mano per aiutarmi a scendere.
Corro su per le scale.
Ho un unico desiderio, adesso, ed è quello di vedere Masumi.
Mi sento strana, ma la mia agitazione non è eccessiva.
Shin ha sempre avuto il dono trasmettermi calma e dolcezza. Ed ora ho bisogno di avere delle conferme immediate dal mio “fidanzato”.

La governante mi ha detto che è in corso una riunione d’affari e che Masumi mi prega di aspettarlo in salotto. Do un’occhiata al panorama e vedo che Shin sta fumando placidamente appoggiato alla berlina.
“Testardo” mormoro a denti stretti.
Davanti a me c’è una libreria d’epoca bellissima, grande quanto tutta la parete. Immagino che il mio amato non legga shoujo, ma libri classici e impegnati. Sorrido un poco.
I miei occhi cadono poi su una copertina particolare. Deve essere un album di fotografie ed è inserito strettamente, quasi fosse nascosto, tra alcuni romanzi di Tolstoj e i libri di poesie di Prévert.
Per tirar fuori l’album devo far forza sui dorsi dei volumi attigui e, involontariamente, ne strappo uno.
“Accidenti”
Ho raggiunto il mio scopo, ma ho rovinato un libro pregiato.
Apro l’album e quel che vedo mi sconvolge.
E’ la libreria del salotto privato di Masumi, questa.
Non è una delle stanze riservate ad Eysuke, questa.
E allora perché tiene un volume con le foto di scena di quella ragazza - l’attrice mendicante - nella sua preziosa libreria?
Quando la governante viene a comunicarmi che Masumi ha terminato la riunione, mi trova per terra, in ginocchio, con in grembo l’album.
“Sta bene?” mi domanda preoccupata.
Lei mie mani tremano vistosamente. Mi alzo e corro dal mio “fidanzato”.
Lo trovo immobile davanti alla vetrata, con lo sguardo perso nel vuoto. Il mare, immenso e lontano qualche metro, non è distante quanto i suoi pensieri.
Dove sei, Masumi?
Si gira piano verso di me, sorridendo con tenerezza. Mi invita ad uscire sul terrazzo che dà direttamente sulla baia.
E’ uno spettacolo sconvolgente. I gabbiani danzano nell’aria come creature ultraterrene e penso per un istante che sarebbe bellissimo, per non dire esaltante, librarsi nel vuoto assieme a loro.
“Masumi, sei in maniche di camicia” osservo “prenderai un raffreddore!”
Dentro, nel camino in pietra, arde una fiamma magnifica e lo invito a rientrare.
Nella mia testa c’è spazio solo per le domande e molte vertono sull’album di foto.
Comincio, però, da quello che mi viene più semplice, che è fare la vittima.
“Sei sempre così gentile con me” dico mentre egli, licenziata la cameriera, mi serve del caffè caldo.
“Vuoi del cioccolato fondente?”
Annuisco, mentre il mio sguardo si fionda sulla sua camicia aperta.
Il suo petto è così bianco, sembra quasi diafano. Mi ricordo che è svedese per parte di madre.
Anche se giapponese nell’animo, il tuo corpo è uno splendido strumento di piacere, Masumi Hayami. Come fai a non rendertene conto?
“Come mai sei qui?” domanda sorseggiando il caffè.
Sono sorpresa della domanda.
“Pensavo ti avrebbe fatto piacere”
Masumi sorride.
“E’ così” risponde “sono lieto di vederti”
“Lieto” rettifico io “ma non troppo”
Mi alzo e mi avvicino a lui con una sicurezza che lo sconvolge. Ha gli occhi quasi impauriti, mentre gli appoggio una mano sul petto nudo.
“Non hai mai mostrato fastidio” dico “e allora dimostrami quel che provi davvero per me!”
Lo accarezzo piano lungo tutto l’addome, mentre cerco le sue labbra.
Sono fredde come il ghiaccio, ma, tra poco, sono certa, riprenderanno calore.
Mi siedo sopra di lui alzando la gonna, mentre gli prendo ambo le mani e gliele appoggio sulle cosce.
Sta lasciandomi fare, ma c’è qualcosa che non quadra.
Non ricevendo inviti a smettere, mi tolgo la blusa e il reggiseno.
Per fortuna, sembra non accorgersi delle ferite che mi sono procurata con le unghie sui capezzoli.
Comincio ad armeggiare coi suoi pantaloni.
Continua a lasciarmi fare.
Forse è un gioco che gli piace, forse è un contemplativo.
Avvicino i miei seni alla sua bocca ed egli ne cattura uno, finalmente.
Le sue mani, prima inerti sulle cosce, risalgono sui fianchi.
Lo sento respirare velocemente.
Sento la pelle nuda del suo sesso con le dita.
E’ teso, ma non come mi aspettavo.
Cerco di eccitarlo come posso, ma senza risultato. E’ inerte. Come è possibile?
“Baciami, Masumi” dico cercando la sua bocca.
Mi sdraia sul tappeto. Sembra che stia per cedere.
La sua bocca.
Odora di cognac e caffè.
“Maya” sussurra piano.
E poi ancora: “Maya…”
Mi allontana con tutta la forza che ha in corpo.
“Maya?!” chiedo sconvolta “è a lei che pensavi toccandomi?”
Masumi scuote il capo.
“No” si giustifica “è che non sono ancora pronto. Tu mi piaci molto, ma è troppo presto…”
Mi rivesto in fretta. Sono in preda ad un senso di umiliazione inaudito.
“E’ questa Maya la donna di cui saresti innamorato, è così?” chiedo mettendomi cappotto e sciarpa.
Masumi mi prende per un braccio.
“Non c’è nessun’altra, te lo giuro!” afferma rosso in viso.
“Chiedilo ai tuoi sogni erotici! Mi pare che lì Maya viva abbondantemente!”
Gli pongo un ultimatum.
Gli dico che, se non avrò nottetempo un comunicato ufficiale da parte degli Hayami in merito al fidanzamento, non vorrò più vederlo.
Lascio il cottage a pomeriggio inoltrato.
Solo dopo aver incrociato lo sguardo teso di Shin, che, testardo, ha continuato ad attendermi, realizzo di aver lasciato a casa il bagaglio con la biancheria intima accuratamente preparata.
 
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fufu1973
view post Posted on 13/8/2011, 15:26




Laura già lo scritto in Tag,sono contenta che hai postato una nuova storia! la leggerò con calma e poi ti dirò! come ti ho spiegato, ora Sarah sta facendomi scoppiare timpani e cabeza!
 
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view post Posted on 13/8/2011, 15:38
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Grazie! ti chiederò di postare un altro messaggio per evitare che succeda la stessa cosa di poco fa. Grazie del tuo aiuto!


Projects.
Io e Maya sediamo sul terrazzo della mia casa nel centro di Tokyo godendoci il sole.
Una distesa di grattacieli intervallata da macchie di verde fa da scenario alla nostra conversazione.
La mia eterna rivale sta visionando con cura alcuni depliant.
“Allora?” le chiedo.
Annuisce.
“Penso che opterò per l’Egitto.” mi dice mostrandomi un catalogo di viaggi.
“Ottima scelta.” le faccio eco “Anche il periodo è adatto. Ad aprile le temperature sono ancora miti.”
Maya e Masumi andranno in viaggio di nozze.
Dieci giorni e poi, al ritorno a Tokyo, riprenderemo a studiare per La dèa scarlatta.
“Hai poi pensato all’università?” chiedo, cambiando volontariamente discorso.
Nega.
“Drammaturgia ha un programma troppo complesso per le mie limitate potenzialità.” dice scettica.
La guardo con rimprovero.
“Maya, se vuoi essere una attrice completa, devi avere una istruzione.” affermo con un tono leggermente alterato “E poi pensa a Masumi. Sei la sposa di un uomo importante e, che ti piaccia o no, avrai occasione di andare in società e di confrontarti con persone tronfie, ma istruite. Come pensi di controbattere ad eventuali, inevitabili cattiverie nei tuoi riguardi?”
“Col talento.” mi risponde semplicemente “Non posso negare le mie origini, ma io valgo qualcosa in virtù della recitazione. Essa parlerà per me.”
Nego col capo.
“Maya, se non vuoi farlo per te, fallo per Masumi. Egli te lo propose, anni addietro, quando si nascondeva dietro le mentite spoglie del donatore di rose.”
“Potrei studiare regia...” dice dopo un attimo di pausa.
Mi guarda negli occhi e capisco che parla seriamente.
“Allora,” ironizzo “non farmi nessuna offerta. Non potrei tollerare una direzione tanto disordinata.”
Sorride.
“Parlo sul serio, Ayumi. Mi piace pensare al pubblico come a qualcosa di vivo, che non si reca a teatro solo per sorbire tediosi copioni. Desidererei creare degli spettacoli coinvolgenti, che catapultino lo spettatore al centro della scena, lo facciano vivere dentro il teatro!”
“Perché non creare un palcoscenico girevole intorno alla platea, dunque?” chiedo imperterrita.
“Perché no?” ribatte Maya.
Guardo l’orizzonte.
“Se pensi sia la tua strada, fallo, ma spero non dimentichi che, prima di tutto, sei una attrice ed hai degli ammiratori che ti seguono da anni.”
Entra Masumi, lupus in fabula.
“Ecco qualcuno che avrebbe da ridire…” rido.
“Scusate l'irruzione,” dice “la governante mi ha detto che eravate quassù.”
“Vieni.” lo invito “Maya ha appena deciso la meta del vostro viaggio di nozze.”
Lo vedo sorridere come un ragazzino.
“Finalmente.” afferma.

Eysuke Hayami è morto per infarto.

E’ successo la sera successiva alla divulgazione della notizia delle nozze di suo figlio con Maya Kitajima.
E’ successo prima che potesse nuocere alla carriera di Masumi.
La signora Tsukikage era talmente euforica da esprimere il folle desiderio di ballare sulla tomba del vecchio patriarca.
Dopo aver avuto la notizia, sembra ringiovanita di vent’anni.
Si dedica alacremente al proprio lavoro ed intende, con l’aiuto di Genzo, rimettere in piedi la vecchia compagnia teatrale. Sostiene che, prima di andarsene, deve ancora istruire il cast per La dèa scarlatta, un cast d’eccezione per le sue allieve predilette.
Non so ancora come finirà.
Non posso prevedere chi, fra me e Maya, vestirà i panni di Akoya.
Ma, per quanto sia amaro dirlo, penso che, alla resa dei conti, sarà Maya ad avere la meglio.
Il mio lavoro, comunque, non andrà perduto.
In un certo senso, sono anche io Akoya.
E lo sarò per sempre.

First Love.
Sono in lacrime. Con le unghie delle dita ho strappato la pelle della poltrona dell’auto che mi sta riportando a casa.
Masumi è innamorato di Maya!
C’è lei, nei suoi sogni nascosti, nei suoi pensieri profondi e insondabili come l’oceano.
E’ lei a provocargli la vertigine del gabbiano.
Vorrei, in questo momento, porre fine alla mia vita.
Tutto. Tutto mi appare sbagliato.
“Stai bene?” mi domanda Shin, preoccupato, fissandomi attraverso lo specchietto retrovisore.
“Voglio solo andare a casa...” rispondo debolmente.
Cala il silenzio, interrotto solo dal picchiettio della pioggia sul tetto dell’automobile.
Sembrava che il “sole assoluto” di questa mattina non avesse pietà di eventuali nuvole e, invece, eccomi qui, a fare eco al cielo dolente.
L’unico uomo per il quale sento di poter fare follie non sarà mai mio.
Mi mordo il labbro inferiore.
Non sarà mai con me.
Mi strappo la pelle delle dita con le unghie.
Ama un’altra.
Macchio l’abito di sangue.
Una squallida, insignificante bambinetta che vuol fare l’attrice.
“Che cos’ho che non va?” chiedo d’improvviso a Shin.
Il tergicristalli si muove ritmicamente sul parabrezza.
“Nulla, all’apparenza.” risponde il ragazzo con un tono che mi disarma.
“Non ho sofferto abbastanza per te?” gli chiedo allora.
Shin conosce bene i miei drammi esistenziali: non dovrebbe parlarmi con tanta freddezza, non ne ha il diritto.
Dovrebbe comprendermi nel profondo, consolarmi come faceva quando eravamo bambini e, invece, no.
Ironizza, persino!
“Hai sofferto tanto, è vero,” continua imperturbabile “ma hai sofferto male.”
“Sei un sempliciotto.” lo schernisco “Non esiste una filosofia del saper soffrire”
Ferma l’auto sul ciglio della strada.
“Possiamo variare il percorso, Shiori?” mi domanda.
Sbraito di non voler restare un minuto di più con lui a fianco. Ma non è vero.
“Equivale a un sì?” ironizza.
Mi scappa una risata.
“Dove andiamo?” chiedo lasciandomi confortare da quel tono di voce così familiare, che - me ne stupisco! - non mi comunica alcun fastidio. Shin non disprezza la mia compagnia e, forse, è l’unico uomo al mondo, che, al contrario, la gradisce!
Ci fermiamo davanti a una palazzina bassa di periferia, uno dei tanti complessi multifamiliari che ospitano appartamenti di una o due stanze al massimo con ingressi indipendenti.
Scendo piano. Shin mi porge l’ombrello ed io mi aggrappo al suo braccio quasi fosse un’ancora di salvezza.
Saliamo le scale e, finalmente, dopo aver armeggiato con la chiave, entro all’asciutto.
“E’ un appartamento piccolo,” si giustifica “ma il riscaldamento funziona.”
In effetti, c’è un tepore delizioso.
Non è che una stanza, ma è perfettamente pulita ed in ordine.
Ci sono libri, tantissime foto appese alle pareti e una batteria, sistemata in uno dei quattro angoli liberi della camera.
“Non posso crederci! Ce l’hai ancora!” dico riconoscendola.
Shin annuisce.
Mette su un fornelletto a spirito una caffettiera da due tazze e dice:
“Ti ricordi, quando ti insegnavo a suonarla?”
Improvvisamente sono invasa da un potente senso di nostalgia.
Tutto mi torna in mente, nitido.
Le piccole cose che riempivano le mie giornate di bambina: Shin, che mi consolava allungandomi jeans e bacchette; i dolci rubati in cucina; i manga, e poi mia madre, che si allontana in auto col suo batterista heavymetal.
Piango piano.
“Stai pensando al tuo fidanzato?” mi chiede il ragazzo all’improvviso.
E’ cupo come stamani.
“Come sei finito qui?” gli domando, desiderosa di cambiare discorso. Se penso a Masumi sto male. Quell’uomo fa nascere in me istinti omicidi e, per la prima volta in vita mia, la cosa mi fa ribrezzo.
Shin si avvicina alla finestra.
“Ho perso i miei in un incidente stradale. Ero appena tornato da New York. Dopo aver fallito un importante colloquio di lavoro, ho attraversato un momento di grave crisi interiore. Ho iniziato a bere e sono finito in strada. Un giorno, per puro caso, mentre vagabondavo ubriaco per i quartieri alti, ho incrociato tuo nonno. Si è subito prodigato per trovarmi una sistemazione provvisoria, in nome della vecchia amicizia che lo legava a mio padre. Sono sei mesi che lavoro per voi, ma tu non mi hai mai riconosciuto. Ed io, del resto, avevo troppa vergogna per palesarmi.”
Guardo alcuni disegni appesi alle pareti.
“Sei architetto?” gli chiedo.
Annuisce fiero.
“Un giorno riuscirò ad avere successo.”
Sorseggiamo il caffè in silenzio.
Questa piccola casa ha un che di confortante. Mi sento al sicuro.
Torno a osservare le foto. Riconosco una istantanea e non riesco a nascondere una compiaciuta sorpresa.
E’ ridotta un po’male, ma il volto è ben visibile.
All’epoca portavo i capelli corti.
“La scattammo poco prima del mio viaggio di studi, ricordi?” dice Shin staccandola dalla parete per mostrarmela “Io avevo diciott’anni, tu tre di meno.”
“Non è che, all’epoca, ci frequentassimo molto.” mormoro col tono leggermente amaro “tu mi avevi abbandonata, così come avevano fatto tutti gli altri”
Mi guarda rabbuiato.
“Ricordi solo quello che ti fa comodo, è così?” chiede dandomi le spalle.
Lo raggiungo.
“Shin, mi imbottisco di psicofarmaci da quando avevo tredici anni. Cosa vuoi che ricordi di quel periodo? Sensazioni, velati ricordi. Tutto è ovattato, lontano. Ed è già tanto che oggi mi rammenti di qualcosa, che stia ammettendo con me stessa di essere vissuta come in una sorta di limbo a causa delle cure cui mi sottopongo da sempre.”
Mi stupisco di me stessa.
Ho parlato tutto d’un fiato, come probabilmente mai avevo fatto in vita mia.
“Io ti amavo...” rivela lui, rosso in viso “Perché credi che ti abbia baciata prima di andarmene?”
Appoggio la testa alle sue spalle.
“Ti sei allontanato da me molto prima del viaggio in America. Avevo bisogno di te. Se tu mi fossi stato accanto, non sarei ridotta così, adesso.”
“Shiori,” dice lui scostandosi leggermente “sei stata tu a cacciarmi.”
Mi guarda negli occhi neri.
Sorrido come chi, pur facendo uno sforzo immane, non riesce a ricordarsi di nulla.
“Io non…” balbetto.
Era estate.
Ed eravamo adolescenti in rivolta perpetua con le rispettive famiglie.
Scappavamo dal doposcuola (anche a me fu imposto, prima che mi rinchiudessero nell’istituto femminile), cui eravamo costretti per essere sempre “i migliori” fra tutti e ci si ritrovava nella spiaggia fuori città, a due km dalla Tokyo inquinata e surreale che tutti conoscono e amano.
Si costruivano castelli in aria con la stessa velocità con cui edificavamo dimore di sabbia.
Il cuore di Shin era pieno di amore.
Il cuore di Shin ardeva al pensiero che, un giorno, realizzandosi, avrebbe chiesto la mano della ragazza più bella e corteggiata della capitale.
Ma Shiori Takamiya era ubriaca di tranquillanti e disperazione.
Era troppo presa da se stessa per vedere oltre la soglia della propria stanza.
E così dileggiò l’unica persona che poteva regalarle un futuro sereno, l’unica persona che la stimava per quel che è.
Mi commuovo pensando ai vestiti di Chanel, che mi consolarono della perdita dei jeans.
Mi commuovo rammentandomi della batteria di Shin, che sostituii col koto.
Mi commuovo all’idea di aver accettato di barattare i miei versi con frasi piene di patetico buon senso, ma che non rispecchiavano il mio cuore ferito.
Mi commuovo pensando a tutto il male che mi sono inflitta, quando, invece, avrei potuto trovare calore e passione tra due braccia forti che odorano di casa.
Una casa vera di cui sarei potuta diventare incontrastata regina.
“Tu sei un morto di fame, Shin...” racconta il ragazzo “...è così che mi dicesti.”
Continua:
“Forse, se mi avessi detto queste cose oggi, ci avrei riso su. Ma, quando si hanno diciott’ anni e la testa è piena di speranze, una frase del genere uccide.”
“Shin,” cerco di giustificarmi “non ero in me.”
Mi guarda con una dolcezza tale che sento sciogliermi dentro.
Dove si trova Masumi Hayami - e il suo amore insicuro - in questo momento?


Shades.

“Non avevo mai viaggiato in aereo prima di adesso.
Mi sento un po’ tesa, mentre, col velivolo già in movimento, l’assistente di volo illustra come usufruire dei dispositivi di salvataggio.
Atterreremo a Luxor e, da lì, risaliremo lungo il Nilo con una nave da crociera. Ci sentiamo al mio arrivo. P. S. Masumi in sahariana è bellissimo...”

Leggo il messaggio che Maya mi ha inviato sul cellulare con una punta di nostalgia.
Mi ripropongo di fare un viaggio con lei, non appena gli impegni ce lo consentiranno. Due ragazze in giro per il selvaggio mondo è una possibilità che mi ha sempre incuriosita, ma che, purtroppo, non ho mai potuto realizzare.
Peter entra nell’ampio salone, pallido in volto.
“Che cosa è successo?” domando preoccupata.
Mi mostra una busta, quindi ne estrae il contenuto sinistro.
“Una lettera minatoria!” dico osservando i bizzarri caratteri ritagliati dal giornale.
Reprimo le risate, perché Peter, di solito ilare come ogni francese che si rispetti, non sembra aver voglia di scherzare.
“Leggi...”
Lancia il foglio sul tavolino basso.
“Le dèe peccatrici morranno...” leggo ad alta voce.
“Credevo che queste porcate le facessero solo in Occidente.” sbraita mio marito.
Gli prendo la mano.
“E’ solo la lettera di un mitomane.” sussurro.
La sua ansia non accenna a placarsi. Gira per la stanza come un gatto che si morde la coda.
“Ayumi,” sbotta all’improvviso “credimi, ho sempre cercato di capire le tue ragioni, ma, francamente, questo continuo mescolare la tua vita a quella di Maya Kitajima mi disturba!”
“Cosa c’entra Maya?”
Peter mi guarda con occhi pieni di angoscia e rancore.
“Fai finta di non capire?” mi chiede battendo il pugno sulla parete.
Ho un sussulto.
“Calmati...” balbetto “...non capisco cosa tu intenda.”
“Io credo di sapere da chi è stata inviata questa lettera e, se rifletti, arriverai a quel nome anche tu.”
Rifletto un attimo.
“No,” ribatto “non è possibile. Stai pensando alla signorina Takamiya?”
Provo a riderne, ma lo sguardo di mio marito è così tagliente da sopprimere qualunque mio tentativo di sdrammatizzare l’accaduto.
“Takamiya” scandisce Peter “è sinonimo di potere, denaro, corruzione, yakuza! E’ dentro questo inferno che ci hanno portato i nostri amici.”
Forza l’ultima parola al punto da farmi andare in collera.
“Non ti riconosco!” urlo “E' solo una stupidissima lettera e ti ricordo che sono anche amici tuoi!”
Mi accascio sulla poltrona con le lacrime che bruciano dentro quasi fossero carboni ardenti.
Non voglio che mi veda piangere.
Decido di andare a fare un giro in centro.
“Dove vai?” mi domanda Peter col volto teso.
“Torno dopo, quando mio marito si deciderà a tornare sulla terra.” rispondo afferrando le chiavi dell’automobile.
Mi blocca per un braccio.
“Non voglio!” dice con tono perentorio “E' pericoloso!”
Decido di non dargli retta e, imperterrita, mi dirigo alla porta.
Mi blocca ancora.
Con una mano tiene fermo l’uscio di casa, con l’altra armeggia col mio vestito di seta.
Si scusa e, nel mentre, mi bacia sul collo.
L’ira di qualche secondo fa si trasforma in passione.
Mi stringe i seni con entrambe le mani, mentre le sue labbra indugiano dolci sulla nuca.
Sento sciogliermi dentro.
Appoggio la testa alla sua spalla, mentre egli mi tira su la gonna.
Adoro il tocco di quelle mani grandi e calde sulle mie gambe tese. E Peter è l’unico uomo al quale ho permesso, in tutta la mia vita, di dire che è a lui che appartengo.
Mi giro, cerco le sue labbra, mentre lo privo della camicia e sento la sua pelle accapponarsi come fosse quella di un adolescente alle prime armi.
Sento le sue dita risalire lungo i fianchi: mi solleva con vigore e cattura uno dei miei seni con la bocca. Mi fa male. Per un attimo, nella foga del momento, ho l’impressione tangibile che egli desideri letteralmente divorarmi.
Assaggia ogni parte del mio corpo come se non mi conoscesse. Le sue mani, per quanto esperte, mi percorrono da capo a piedi come fosse la nostra prima volta, strappandomi gemiti e sospiri.
Mi prende in piedi. Appoggiati alla porta di casa, coinvolta in questa danza nella quale ira e passione si fondono meravigliosamente, raggiungiamo il piacere.
Non riesco quasi a muovermi.
Stremati, io e Peter ci accasciamo sulla moquette. Egli è ancora dentro di me, pago ma ansimante. La sua testa è abbandonata sui miei seni eccitati.
Gli accarezzo piano i capelli.
Contemplo i nostri corpi uniti attraverso lo specchio dell’ingresso e mi accorgo che mio marito ha gli occhi aperti: il suo sguardo è perso nel vuoto.
Ci rido su.
“Ehi...” lo richiamo “Su quale pianeta ti trovi?”
Si solleva sui gomiti. Scruto il suo viso, il collo diafano arrossato.
“Pianeta Himekawa, fuor di dubbio.” risponde staccandosi da me.
Cala il silenzio.
C’è qualcosa che non va. Non mi spiego ancora come una persona generosa, gioviale e ironica quale è mio marito si sia lasciata turbare da una stupida lettera minatoria. Se penso alla sua preoccupazione, però, mi sento invadere da una grande tenerezza.
“Peter,” dico “voglio un figlio da te.”
Mi guarda pallido in volto.
“Io ti amo davvero. E tanto anche.” confesso accoccolandomi a lui “Amo tutto di te e il desiderio che provo solo guardandoti mi sconvolge.”
La mia razionalità, la mia ansia di perfezione, il senso del pudore stesso, davanti a mio marito, non esistono più.
“Ayumi,” risponde “io provo quel che provi tu. Ma, adesso, con La dèa scarlatta da preparare, non credo sia il caso pensare all’allargamento della famiglia.”
Che tono formale ha!
Mi scosto da lui. Ho bisogno di guardarlo dritto negli occhi per capire se sta parlando sul serio.
Avverto una morsa lancinante all’altezza dello stomaco: sta dicendo quel che pensa.
Veramente!
Sento una pregnante delusione scorrere vigorosa nelle vene.
Penso a Maya e a Masumi.
Sono certa che essi non si preoccupano dell’eventualità di mettere al mondo un figlio.
La mia amica è fortunata. Anche in questo, mi sta sempre davanti.
Mi alzo per andare a controllare il telefono, anche se so che non possono ancora essere arrivati a Luxor.
“Cosa fai?” domanda mio marito.
“Mando un messaggio a Maya.” rispondo col tono freddo, ben sapendo che tornerò ad irritarlo.
Peter non ribatte.
Si riveste piano.
Strano che non faccia la doccia, penso fra me e me, mentre digito nervosamente sulla tastiera le parole destinate alla mia amica.
“Se tu” afferma Peter “avessi recitato, quella dannata sera, e ti fossi presa quei diritti di rappresentazione facendo leva sull’irregolarità della competizione, adesso non ci troveremmo in questa situazione. Puoi ringraziare Maya Kitajima anche da parte mia, per favore?”
Sbatte l’uscio di casa.
“Peter!!!” chiamo inutilmente.


Lights in the darkness.

“Forse <non eri tu>,” mi risponde Shin avvicinandosi a me “ma la ferita è rimasta aperta a lungo. Ero solo un ragazzo, ma conosci bene la mia indole orgogliosa.”
“Perché mi hai portato qui?” domando realmente dispiaciuta.
“Forse ho sbagliato.” risponde amaro “Sarei dovuto restare in incognito fino a che non avessi raggiunto il successo. Ma non sarebbe stato vero come adesso.”
Mi guarda incerto.
“E’ più facile cedere nell’amore quando nessuna difficoltà si intravede all’orizzonte.”
“Ma di che parli?” gli chiedo rossa in viso. Uso l’ironia per evitare che egli mi legga dentro come ha sempre fatto.
Non posso crederci: è ancora innamorato di me.
Fingo con me stessa di stupirmene, benché tutto quel che dice sia una continua conferma.
“Dimmi, Shiorim” insiste “se Masumi Hayami fosse stato un morto di fame, tu lo avresti accettato?”
Rido sommessamente.
“Certo che sì, ma, forse, non avrei mai avuto modo di incontrarlo.”
Shin alza le mani in segno di resa, incassando il colpo.
“Cambio la domanda:” continua “se Masumi Hayami andasse in fallimento, si coprisse di infamia per qualche motivo, tu lo vorresti ancora?”
Guardo il mio amico d’infanzia dritto negli occhi.
“Io lo amo.” affermo senza paura.
Shin sorride.
“E’ un buon inizio.” sospira “Cosa ti piace di lui? Quali sono i suoi interessi?”
Ci penso su.
“Beh,” dico “è un bellissimo uomo, ha un modo di vestire divino ed è un maniaco del lavoro.”
Se avessi risposto – cosa che sottintendevo – “sesso e denaro”, Shin lo avrebbe trovato meno divertente.
“E’ bello” ripete “e non ha interessi a parte il lavoro...”
Si gratta il capo:
“E’ tutto quel che sai di lui?”
“Andiamo!” ribatto “Lo conosco da due giorni, ma mi piace. Lo sposerei anche subito!”
Adesso mi fissa in un modo che non mi piace.
“Se hai bisogno di un uomo per sfogare i tuoi istinti non devi per forza sposarlo.” dice spavaldo.
Il suo sguardo è eloquente, sembra stia spogliandomi con gli occhi.
Metto le tazzine dentro il lavabo con l’intenzione di lavarle.
L’orologio appeso alla parete segna le undici. Apro l’acqua calda, spruzzo un po’ di detersivo sulle stoviglie.
Odora di limone.
Osservo come rapita la schiuma soffice che, piano piano, sta riempiendo il piccolo lavello.
“Lascia,” dice Shin raggiungendomi “faccio io...”
“No,” rispondo imbronciata “non ho mai lavato nulla in vita mia. Lasciami fare.”
Con la coda dell’occhio noto che il mio amico sta sorridendo soddisfatto.
E’ questo che mi piaceva di Shin.
Quando eravamo bambini, se gli ordinavo di far qualcosa era l’unico a ribellarsi. Ma, davanti ai miei aspetti “creativi”, quasi fanciulleschi, ha sempre abbassato il capo, convinto che lasciarmi essere me stessa fosse la cosa giusta.
Sono solo due tazzine, due piattini e due cucchiai, ma il mio “istinto” è riuscito a creare una montagna di schiuma.
Giochiamo con le mani nell’acqua calda che profuma di limone.
“Ti amo ancora, Shiori.” mi dice stringendomene una.
Guardo il suo profilo.
Ha il volto affilato, nonostante il fisico imponente. Da piccola, gli chiudevo il naso in una molletta sostenendo, come Ami in Piccole Donne, che ogni viso sottile deve necessariamente avere un naso altrettanto piccolo.
Sorrido.
Le nostre mani si stringono a lungo.
La schiuma, il tepore dell’acqua risvegliano in me il ricordo di due labbra morbide e calde che, dieci anni fa, mi regalarono un inatteso primo bacio.
“Ci sei sempre tu, ad attutire le cadute.” mormoro piano, poggiando il capo sulla sua spalla.
Poi, inaspettatamente, mi abbraccia.
Sento il suo alito sulle labbra, sulle orecchie, sul collo.
Lo lascio fare: sedotta da una dolcezza che non è più solo malinconico ricordo, decido di abbandonarmi alla passione.
Masumi è lontano mille miglia. Starà facendo l’amore con Maya o, forse, solo col pensiero di lei.
Shin si ferma di colpo, molla la presa improvvisamente cupo.
“Cosa hai fatto?” domanda scioccato.
Mi prende le mani, mostrandomi le dita bianchissime, scorticate, con le unghie lorde di sangue.
Mi prende i polsi: ci sono i segni di tagli ed ematomi.
Mi invita a guardarmi nello specchio: so già che vuol mostrarmi le ferite che mi sono provocata da sola.
Mi vergogno come un ladro, mentre provo a coprire una nudità che, per la prima volta, mi mette in imbarazzo.
Shin mi blocca con le mani dietro la schiena e mi costringe a guardare l’immagine riflessa.
Ho paura.
“Lasciami, per favore!” sbraito isterica.
“Tu sei malata…è peggio di come pensavo!” mormora con gli occhi stravolti.
Smetto di dimenarmi.
Resto immobile come chi è stato colpito da un fulmine.

Tu sei malata…
Sua nipote è malata…
Sua figlia è malata…
Bisogna che faccia una vita normale…
Leccava il sangue di sua cugina e si impiastricciava il viso…
Ve l’avevo detto che era malata…
Le poesie erano troppo cupe e poco dignitose per essere pubblicate così com’erano…

“Ti faccio schifo, è così?” chiedo a Shin dopo un momento interminabile di silenzio.
Mi metto la giacca con calma, mi dirigo verso la porta.
“Dove vai? E’ notte fonda!” dice il ragazzo venendomi dietro.
Sorrido debolmente.
“Sai,” sospiro “sarebbe stato meglio continuare a fare la pazza isterica che sogna il suo improbabile amore svedese, piuttosto che vedere il disgusto dipinto nei tuoi occhi.”
Mi incammino per i vicoli bui di un quartiere che non conosco.
C’è la carogna di un cucciolo di cane a ridosso dei bidoni della spazzatura.
Il fetore, che giunge nitido alle mie narici, mi provoca un senso di nausea irrefrenabile. Mi appoggio ad un muretto basso e vomito il caffè amaro che, per un attimo, mi aveva regalato l’illusione di una vita normale.
“Sono una persona inutile.” mormoro asciugandomi la bocca col palmo della mano.
Mi tornano in mente i versi dedicati alla mamma e le sue rare carezze mi diventano, d’improvviso, più preziose dell’oro.

“La sera scende e copre, fittizia, ferite aperte/ sanguinante attendo, di desiderio fremente,/ la voce amica di chi/ mi disse addio/ ridendo…”

Canticchio i miei versi, sdraiandomi accanto al cane morto.
“Povero...” mormoro con le lacrime agli occhi, mentre gli accarezzo il pelo nero ormai opaco “...avrà pianto la tua mamma?”
I miei singhiozzi, ormai inarrestabili, si confondono tra i latrati dei cani randagi.
“Persino una cagna piange per il proprio cucciolo.” dico tirando fuori dalla borsetta il mio fazzoletto perfettamente stirato “Questo ti ricorderà un po’ il suo calore”
Dispiego il lino candido e lo adagio con cura sul cagnolino.
Sento freddo.
Batto i denti, mentre incrocio le braccia sul petto nel tentativo di sedare i brividi.
Mi ricordo di avere i tranquillanti in borsetta.
La apro, ma il tremore è così forte, che mi cade per terra.
Mi piego per recuperare il blister contenente i farmaci.
Ho un capogiro. Vero, stavolta.
Batto con le ginocchia sull’asfalto e, per la prima volta in vita mia, provo un dolore violento. Le mani, spontaneamente, hanno coperto le ginocchia, imbrattandosi di sangue.
Provo raccapriccio e orrore di me stessa ancora una volta.
“Signorina, sta bene?”
Una voce, gentile e preoccupata, mi ha fatta sobbalzare.
“Chi è lei?” chiedo in preda al panico prima che la vista mi si offuschi completamente.
Mi risveglio in un posto sconosciuto.
Sono sdraiata su un divano. Qualcuno ha adagiato un fazzoletto bagnato sulla mia fronte.
Vedo un uomo coi capelli castani, girato di spalle, armeggiare davanti al camino.
“Dove sono?” chiedo debolmente “Cosa vuole da me?”
Si siede in poltrona con in mano una tazza di caffè. Mi porge un bicchiere panciuto.
“Beva questo, la scalderà, oltre che rialzarle la pressione.”
Mi siedo, tirando su la coperta.
“Grazie.” dico sorseggiando il brandy.
L’uomo, che sta fissando il pavimento senza parlare, deve avere l’età di Masumi ed è avvenente d’aspetto, sebbene porti degli occhiali piuttosto spessi e scuri.
“Se ha intenzione di farmi del male,” affermo “faccia presto. Sono così stanca.”
Chiude gli occhi, sospirando.
“Non voglio nuocerle in alcun modo, stia tranquilla, la riaccompagnerò a casa non appena si sentirà meglio.”
Mi domanda se voglio dell’altro brandy, ma io nego.
“Una ragazza piacente e altolocata come lei non dovrebbe frequentare il quartiere di Shinjuku.” dice sorseggiando il caffè.
Quanto ho camminato!
Provo a giustificarmi senza neppure sapere perché.
“Avevo seguito un conoscente...” racconto “...pensavo volesse fare l’amore, ma poi è rimasto inorridito.”
Il giovane scoppia in una fragorosa risata.
Resto senza fiato.
Devo essere un caso irrecuperabile. Gli uomini belli mi fanno perdere la testa.
“E perché si sarebbe spaventato?” incalza togliendosi le lenti.
Ha le lacrime agli occhi.
“Perché sono un mostro.” rispondo.
Ridiventa serio di colpo.
Appoggia la tazza sul tavolino accanto al divano.
“Lei è una donna particolare.” afferma.
“Ci risiamo...” lo interrompo io “Adesso dirà che sono malata.”
“No,” mi corregge spietatamente lui “è viziata all’eccesso. La consapevolezza di poter avere sempre tutto le dà alla testa. Penso che, con una buona dose di sculacciate, riesca a rimettersi in sesto.”
Stavolta sono io a sorridere.
“Lei non sa niente di me.” affermo avvicinandomi al fuoco. Prendo il ferro e fingo di brandirlo come per minacciarlo.
“Ne so abbastanza.” dice lui “La smetta di recitare la parte della scema del villaggio solo per indurre a pietà.”
“Bastardo!” impreco facendo cadere l’arnese.
“Venga, l’accompagno a casa.”


Mistake.

Ho visto l’auto di Peter sfrecciare lungo la via principale, con la sensazione tangibile nella testa che non lo avrei più rivisto.
L’uomo, quando in preda al panico, perde del tutto il contatto con la realtà. I fantasmi, paure sadicamente vestite, prendono forma d’improvviso, di notte, quando le difese della razionalità sono abbassate, come di giorno, il momento – teorico – della massima all’erta.
Neppure lo yoga e le arti marziali che ho appreso nell’infanzia, stavolta, riescono a tener testa a questo inconscio ingrato.
Molti dicono che una persona razionale, quale sono sempre stata io, non percepisce le sensazioni più sottili, non riesce a “prevedere” al di là di quel che fa al momento, essendo concentrata su se stessa o sul mondo per un istante alla volta.
Io credo che questo non corrisponda a verità, perché i segnali negativi che mi giungono adesso dall’indirizzo di Peter sono sottili e, se non lo avessi inquadrato in uno schema preciso, non riuscirei a percepirne nessuno.
C’è qualcosa che non mi torna, nella storia recente. E dall’analisi di questa deduco con chiarezza che sono all’oscuro di qualcosa.
Invero, non posso dire che tra Peter e i miei cari amici si sia mai creato un rapporto di amicizia. Certo, quel che mio marito ha fatto in occasione del nostro matrimonio è stato magnifico: ha soddisfatto il mio desiderio di vedere, finalmente, Maya all’altare insieme a Masumi.
Quel giorno non c’erano nuvole basse, all’orizzonte. Gli occhi di Peter si tingevano di azzurro, mentre ora quel grigio nebbioso è tornato a far capolino, inquietante.
Non vorrei davvero compiere nulla di quel che sto facendo, ma, di fatto, ho già le mani in pasta e frugo tra il suo disordine, che pur ho imparato ad amare, con un tormento sempre crescente.
Il pensiero che mi venga nascosto qualcosa da parte della persona cui ho permesso di entrare con prepotenza nel mio esistere perfetto e privo di passioni devastanti mi sconvolge.
Continuo a dirmi che troverò la conferma alle mie atroci previsioni e che sono stata davvero sciocca a farmi coinvolgere tanto da un uomo.
Apro il computer portatile di Peter e do una scorsa alle cartelle.
Ognuna ha un nome bizzarro: telescopio, Rousseau, Shalom.
Poi ce n’è una che si chiama semplicemente DS.
Non ci vuole genialità per dedurre che si tratta di un documento che raccoglie le foto fatte alla Valle dei Susini.
La apro.
Ho ragione.
Poi ci sono tanti, troppi scatti che hanno un soggetto soltanto.
Shiori Takamiya.
Profili, tre quarti, figure intere.
“Cos’è questo?” mormoro a labbra strette.
Mi alzo dal divano.
Frugo nelle tasche dei pantaloni, nelle camicie ammassate nel cesto della biancheria sporca, persino tra i rifiuti.
“Perché mio marito avrebbe fatto delle foto a Shiori?” mi domando insistentemente.
Ho caldo.
Spalanco la finestra e respiro a pieni polmoni l’aria che sa di primavera inoltrata, sentendomi un po’ meglio.
Devo essere razionale. Peter è un fotografo, lavora per diverse testate ed è naturale che scatti delle foto a personaggi importanti. All’epoca, in fondo, il signor Hayami era fidanzato ufficialmente con Shiori.
Sospiro.
Non paga, torno a frugare tra le cose di mio marito.
Ha lasciato l’agenda elettronica sul tavolino dell’ingresso: ne controllo gli appuntamenti e scopro che ne ha uno a mezzogiorno e un quarto all’Hilton.
Guardo l’ora: dieci alle dodici.
Mi infilo la tuta e chiamo un taxi.
Il cuore mi batte all’impazzata, come se a correre fossero i miei stessi piedi.
L’albergo è un crocevia di uomini d’affari e gente famosa del jet set nipponico ed internazionale. Prego con tutta l’anima che Peter sia lì per un servizio fotografico.
Entro nella hall e chiedo subito se, nella giornata di oggi, si svolge un evento.
L’addetto alla reception, che mi conosce bene, risponde gentilmente che di nessun illustre personaggio è previsto l’arrivo.
“Però,” puntualizza “è arrivato suo marito. Ha preso la solita camera al dodicesimo piano. Se vuol fargli una sorpresa, posso darle il passi che usano i pulitori. Il signor Hamill è ancora laggiù.”
Mi indica il bar e, nel mentre, mi porge la copia della tessera magnetica di Peter.
Guardo il giovane negli occhi e, spudoratamente, gli dico che si meriterebbe un bacio sulla bocca.
“Lo accetto volentieri.” risponde per nulla imbarazzato “Sono sempre stato uno dei suoi fan più accaniti”
Corro all’ascensore.
Entro nella camera che mio marito ha riservato a sé per chissà quale oscuro motivo: le tende sono tirate. Nulla lascia supporre qualcosa di losco.
Poi, udendo delle voci, corro a nascondermi nell’armadio a muro vicino alla porta.
“Non avresti dovuto litigare con lei!”
E’ una voce di donna.
“Ha una vera fissa per quella ragazza...” risponde mio marito “...mi infastidisce.”
Sorrido tranquillizzandomi per un attimo.
“Se continui così,” dice la sua interlocutrice “otterrai l’effetto contrario.”
“Siamo in alto mare, non ne vuol sapere.”
“Allora,” propone la donna abbassando il tono di voce “le soluzioni sono due.”
Peter resta in silenzio.
“Sai che preferisco epiloghi meno cruenti.” dice dopo un poco.
Si ode una risata perfida e sensuale.
“Non la detesti come la detesto io, è questa la verità!”
“No, no, la odio,” le fa eco Peter “ma devo ammettere che un omicidio mi fa una certa impressione.”
Ho un tuffo al cuore. Sento mancare l’aria.
“Pensaci, tesoro, io avrei i diritti e tu soldi a palate, senza contare che manterresti il tuo grazioso trastullo sessuale.”
Sento Peter sorridere piano.
Ora stanno armeggiando con dei bicchieri.
“Non vuoi” riprende mio marito “neppure considerare la possibilità di corrompere il presidente dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo?”
Lei sospira forte.
“Creare uno scandalo è semplice, ma ormai non mi esalta più di tanto. E poi lui è così vecchio…” risponde “No, voglio eliminare per sempre quella baldracca...”
“E sia” afferma Peter facendo risuonare il bicchiere “partirò subito.”
“Ed io sarò lì con te a godere dello spettacolo.”
Le risate soffocate ad arte dalla voce seduttiva di lei si confondono coi sospiri di lui.
Apro appena l’anta.
“Devo dire” mormora mio marito “che anche tu sei un grazioso trastullo.”

In preda alla nausea, devo fare uno sforzo immane per non palesare la mia presenza.
Non potevo.
Non potevo mai immaginare che quella donna fosse <lei>.
Mi sento come se qualcuno stesse divertendosi ad affondare le unghie sul mio cuore.
Non posso credere sia accaduto a me.
L’uomo che amavo, il primo uomo cui, volontariamente e con tutti i sensi, ho aperto l’anima, permettendogli di rompere gli argini che da sempre mi proteggono, ora è tra le braccia di un’altra.
E progetta un omicidio ai danni di una persona che mi è cara come fosse il mio stesso sangue!
Sono sgattaiolata via mentre i due squallidi individui avevano spostato la scena del loro volgare amplesso nella camera da bagno.
Cerco di riacquisire la calma necessaria, mentre, ancora in taxi, telefono all’agenzia di viaggi per prenotare il primo volo del pomeriggio per Il Cairo.
Provo anche a rintracciare Maya, ma inutilmente.
Decido così di inviarle un messaggio per metterli in guardia.
So che si spaventeranno o penseranno ad uno scherzo di cattivo gusto, ma non posso far altro che scrivere:

“Fidatevi. Se vedete Peter prima del mio arrivo, datevela a gambe. E’ pericoloso. Vi spiegherò appena giunta in Egitto.”

E’ un incubo, penso stringendo il piccolo cellulare fra le dita.
Arrivo a casa alle due. Ho l’acqua alla gola, dato che il mio aereo parte tra un’ora circa.
Nonostante il tempo stringa, “mi preoccupo” di raccogliere le cose che quell’animale traditore ha sparso per casa e li butto nel braciere – sapevo che, prima o poi, mi sarebbe servito.
Godo nel vedere quello spettacolo nella piena luce del giorno; sembra che l’effetto sia ancora più arcano e potente.
Faccio la stessa cosa con le pellicole e le macchine fotografiche. Il piccolo portatile, invece, lo metto in borsa e decido di portarlo con me.
Dopo questo rituale, che celebra per sempre la patetica fine di un amore, temendo che Peter possa tornare all’improvviso, mi affretto a scendere dabbasso, dove un altro taxi, diretto all’aeroporto internazionale di Tokyo, è già in attesa.
Lasciandomi dietro la mia casa, teatro di scene meravigliose che, al solo ricordo, mi tolgono ancora il fiato, piango silenziosamente e, per la prima volta dopo il mio matrimonio, torno a martoriarmi il labbro inferiore con le dita.
Peter non è accanto a me. La sua mano sicura non mi fermerà, stavolta.
Mentre sto scendendo dalla vettura, squilla il cellulare.
E’ lui.
“Cosa diavolo hai fatto?!” mi investe “Hai arso le mie macchine fotografiche e persino i vestiti…”
Non lo lascio terminare.
“Sono certa che saprai dove e come trovare i soldi per ricomprare i tuoi stracci!” affermo acre come un limone.
“Ma sei impazzita?” dice “Dove sei? dobbiamo parlare!”
Riattacco soddisfatta.
Il taxi è giunto a destinazione, finalmente.
Dopo aver adempiuto la prassi aeroportuale, entro nella zona riservata ai passeggeri che stanno per imbarcarsi.
Passando sotto il metal detector mi chiedono di togliere la fede. La sfilo come se stessi liberandomi di un peso e, dopo averla consegnata alla guardia, dico:
“Può tenerla lei, se vuole, o buttarla via.”
L’altoparlante, poi, manda un annuncio che mi pietrifica:
“La signora Hamill, ripeto, la signora Hamill, in partenza col volo 516 delle 15.30 per Il Cairo, è attesa con la massima urgenza dal marito in area check-in.”
Chiudo la bocca con le mani giunte in preghiera, implorando gli dèi che il supplizio abbia presto fine.
So bene che Peter, senza biglietto, non può entrare nell’area viaggiatori, ma sento l’angoscia attanagliarmi. Giro il capo in direzione della parete di vetro e lo vedo: vedo i suoi occhi grigi, le mani alzate come se volesse rompere quella barriera.
Non puoi, cane traditore.
“E’ finita.” mormoro a labbra strette. Ma so che egli ha compreso bene.
Ti meriti una cagna, un essere della tua stessa specie, penso, mentre salgo finalmente sulla navetta che mi porterà sull’aereo.
Mi giro ancora una volta per guardarlo. Le sue braccia sono ricadute pesanti lungo i fianchi.
Tu sei morto, Peter.
Per Ayumi Himekawa, tu sei morto.
Prima di spegnere il cellulare chiamo mia madre.
“Cosa succede?” chiede allarmata “Ha telefonato tuo marito! Sembrava impazzito, diceva che sei ossessionata da Maya!”
“Fidati, mamma” dico sospirando “e non ricevere quell’individuo in casa nostra. Ascoltami bene, devi contattare l’ambasciatore giapponese al Cairo.”
Spiego tutto in pochi secondi.
Quando tronco la chiamata non ho quasi fiato nei polmoni.
Chiudo gli occhi, nel tentativo di prendere sonno.
Il viaggio durerà parecchie ore ed io non ho mai sopportato le correnti ascensionali, le vibrazioni dei velivoli e tutti quei piccoli disagi cui va incontro chi si arrischia ad intraprendere una lunga traversata.
Per consolarmi, penso a Maya.
Spero con tutto il cuore stia divertendosi, assieme al suo amore in sahariana.
Mi metto la mascherina sugli occhi, mentre la mente vaga a ritroso.
Ossessione Kitajima.
E’ davvero così?
No, è tutta colpa dell’arte.
E’ come restare folgorati davanti ad un Michelangelo, davanti a un Picasso.
Maya è quello che ogni attrice dovrebbe essere: istinto, passione folle per il proprio lavoro, dimenticanza di sé. Fa tutto questo perché considera la maschera che indossa più importante della sua stessa persona.
Non si può non “adorare” una persona così.
Non si può detestare una persona che ti guarda con occhi quasi innamorati solo perché, secondo il suo punto di vista, stai recitando in maniera meravigliosa.
Lei ama tutto quel che riguarda il teatro e ama anche me.
Io comprendo tutto di lei semplicemente perché Maya è, alla fin fine, tutto quel che io aspiro ad essere.
Per me è un esempio di vita, oltre che una confidente preziosa, l’unica che possa davvero capire la mia passione per il teatro.
Sono certa che, se avesse perso Masumi, ella sarebbe risorta meravigliosamente. Dopo aver patito le pene dell’inferno per essere stata separata dall’altra metà della sua anima, avrebbe rialzato il capo, fiera, in direzione del suo regno dell’arcobaleno, conforto unico di chi vive di sentimenti assoluti.
La sua genialità traspare anche dal suo modo semplice di condurre l’esistenza.
Una semplicità imposta dalla volontà di dar spazio a ciò che la realizza più di ogni altra cosa.
Io sono come lei.
Voglio essere come lei.
Perché non ho dato retta al mio istinto?
Perché mi sono abbandonata all’amore?
Odio che Peter susciti ancora desiderio in me.
Nonostante gli ultimi eventi, mi sovvengono nostalgici pensieri

Vorrei disperatamente cancellare il ricordo dei suoi occhi grigi.
Vorrei non rivedere mai più la sua espressione di estatico rapimento, mentre mi tocca.
Vorrei non avergli mai detto che lo amo.

Come può un uomo fingere nel modo in cui egli ha fatto?
Sembrava così vero!
Sento la mascherina che mi copre gli occhi bagnarsi.
Io, la razionale – o, come dicono le mie fan, “algida” - Ayumi Himekawa, ho dato il mio cuore ad una persona che cuore non ha.
“Tutto bene?” chiede un uomo di razza mista seduto a due posti da me.
Sollevo di più la mascherina per guardarlo meglio in viso.
Piuttosto carino, coi capelli neri come gli occhi, la pelle abbronzata, ma è un tantino trasandato, oltre che overquaranta.
“Sì.” rispondo debolmente “I viaggi lunghi mi mettono ansia.”
Mi sorride.
“Anche a me,” afferma “sebbene ci sia abituato. Mi chiamo Marc Weider e faccio l’archeologo.”
“Sono…”
“Ayumi Himekawa...” mi previene “La conosco di fama. E’ una meravigliosa interprete.”
Gli domando se ha avuto modo di assistere a uno dei miei spettacoli, mentre si trovava a Tokyo.
Egli nega col capo:
“L’ho vista nelle campagne di Nara, alla Valle dei Susini,” spiega “mentre si cimentava nel ruolo di Ariel.”
“Era l’interpretazione del tema dell’acqua.” lo correggo “Cosa faceva laggiù?”
“Sono appassionato di arte giapponese e, ogni tanto, quando il lavoro consente, torno al tempio della dèa scarlatta.”
“Come lo conosce?” chiedo esterrefatta “Non è certo una meta turistica!”
Marc Weider sorride.
“E’ per via della donna che mi ha messo al mondo.” dice sospirando “Era giapponese. Quando avevo sedici anni, i miei genitori mi rivelarono che ero stato adottato e, così, sono andato in cerca delle mie origini. Mio padre era un uomo facoltoso, mise a disposizione ogni mezzo per aiutarmi a realizzare il sogno di incontrare la mia vera madre.”
“Ci riuscì?” domando un po’ scioccata.
L’uomo nega, chiudendo leggermente gli occhi. Le labbra prendono una piega amara, sebbene non sofferente.
“Le indagini si fermarono alla Valle.” sospira “Per qualche oscuro motivo, la dèa scarlatta sembra proteggere con caparbietà l’anonimato di quella donna.”
“Ha rinunciato?” gli chiedo con sguardo dispiaciuto.
“Sono passati vent’anni” afferma “da quando sono venuto in Giappone per la prima volta e, in tutta onestà, sono molto stanco.”
Caspita, penso fra me, a quanto dice deve avere non più di trentacinque-trentasei anni, ma li porta malissimo.
“E ora” l’incalzo curiosa “ha uno scavo in Egitto?”
Annuisce.
“A Giza.” dice tirando fuori dallo zaino un enorme blocco con l’intento di mostrarmelo “...il ritrovamento del secolo!”
“Affascinante.” mormoro mentre armeggio senza speranza con l’elastico della mascherina che si è attorcigliato fra i miei capelli.
“Permette?”
L’archeologo si alza, rivelando una struttura massiccia ed imponente.
Odora di tabacco.
Toglie la mascherina senza farmi alcun male ed io lo ringrazio vergognandomi un poco.
“E lei?” mi chiede “L’Egitto è una meta troppo romantica per avventurarsi da soli.”
Marc Weider appoggia il mento alla sua mano, curioso.
Abbasso lo sguardo.
“Non è un viaggio di piacere. Devo trovare degli amici. Sono in pericolo.”
“Caspita...” dice l’uomo fischiando piano “...sembra una spy-story!”
“E’ un complotto a fini squallidamente economici.” racconto giocherellando con l’elastico.
L’archeologo mi sorride.
“Devono essere persone a lei molto vicine.”
Annuisco:
“E’ così e la cosa che mi uccide è che tutto questo è stato architettato dall’uomo più caro che abbia al mondo.”
Chiudo gli occhi, reprimendo con forza le lacrime.
Sento una mano calda poggiarsi sulla mia.
“Se vuole piangere,” dice Marc sinceramente dispiaciuto “faccia pure.”
“No.” protesto ritraendomi “Per favore, smetta di parlarmi. Voglio che questo incubo finisca atterrando al Cairo. Voglio solo tornare al teatro. Voglio morire sul palcoscenico, mentre sto recitando. Non mi fiderò mai più di un uomo, foss’anche per consolarmi!”
Mi porto le mani alle tempie, nell’illusione di chiudere davvero le orecchie al mondo che mi circonda.
Marc chiede all’assistente di volo di portare dell’acqua.
“Signora Himekawa,” dice porgendomi un bicchiere “non si chiuda nel suo dolore. Lei è troppo intelligente per pensare davvero che tutti gli uomini son fatti allo stesso modo. E poi è così giovane! Sono certo saprà ricominciare da zero, grazie al teatro che la esalta in quanto persona, e grazie a coloro che le vogliono bene senza alcun interesse.”
Singhiozzo piano.
Il cuore mi si squassa dentro, mentre il calore di una mano sconosciuta picchietta confortante sulla mia spalla curva.
Non ho più la forza di reagire.

“Mentre raccomandiamo ai gentili passeggeri di tenere spenti i dispositivi elettronici fino a che il velivolo non si sarà fermato, vi ringraziamo per aver volato con NipponFly”.

L’annuncio, prima in inglese, poi in giapponese, mi riporta alla realtà.
Il tempo è volato in maniera quasi surreale.
Mentre mi sfilavo la cintura di sicurezza, Marc Weider, vicino a me, mi ha aiutato a prendere il bagaglio a mano.
“Dove alloggerà?” mi domanda.
“Andrò all’ambasciata” affermo “per rintracciare subito Maya e Masumi. Devono essere arrivati al Cairo questa mattina. Poi mi infilerò nel primo albergo che trovo, credo…”
“Venga da me.” mi propone l’archeologo “Usi pure il mio alloggio come base, mentre cerca i suoi amici. Io starò fuori tutto il giorno, non la disturberò.”
“Non posso accettare.” provo a dire. Ma egli, nel frattempo, ha già chiamato un taxi, mi ha privato del borsone ed ha addentato un toast farcito.
Si toglie dal naso i Ray-ban con le lenti scure e me li porge.
“Gli occhi azzurri soffrono, quando la luce del sole è troppo forte.”
Osservo divertita le mandibole che si muovono ritmicamente.
Col panino ancora in bocca, Marc prende il taccuino e scrive qualcosa.
“Quando avrà finito in ambasciata, chiami un taxi e si faccia portare a questo indirizzo. Eviti i posti solitari, è troppo bella. E non dimentichi di cambiare gli yen in lire egiziane.”
Ha parlato masticando.
“Grazie.” mormoro stordita. Apro il borsone e ne prelevo un foulard, con cui accuratamente mi copro la testa.
Marc Weider sembra restare senza fiato. Le sue mandibole hanno preso a muoversi piano, come se, d’improvviso, il toast avesse perso il suo sapore.
“Il borsone...” dice schiarendosi la voce “...lo porto a casa mia subito, così non le sarà di ingombro. Addio.”
Mi ha salutata chiudendomi la portiera del taxi.
“A stasera.” sussurro con gratitudine.
Devo essere impazzita, fidarmi così di uno sconosciuto! Se lo sapesse mia madre, le verrebbe un colpo.
Arrivo in ambasciata, oppressa dal caldo e dal tanfo di capra che pare avvolgere ogni cosa.
Ci sono centinaia di ruminanti magrissimi per strada. Alcuni, per sfuggire al calore allucinante, hanno trovato riparo sotto le automobili parcheggiate.
Sul braccio di canale che costeggia l’edificio che ospita l’ambasciata galleggia la carcassa di un bovino morto e, poco distante, dei bambini pescano con dei semplici bastoncini.
“Blond miss,” chiama uno “are yu inglisc?”
E un altro:
“Ets-vus fransés?”
“Io dare te pesce in cambio di un euro.” propone uno brandendo la bizzarra canna.
Sento una pena infinita crescermi dentro. Frugo in tasca e lancio loro una moneta da due euro. Immagino che la lira egiziana sia fortemente svalutata e che ogni moneta estera sia considerata una piccola fortuna, in questa terra baciata dalla bellezza, ma non, purtroppo, dal denaro.
Entro nel cancello, dopo aver spiegato la situazione alla guardia.
Una piccola mano mi tira la camicia.
E’ il bambino di poco fa e mi porge il pesce.
“Prendi.” dice rivelando una bocca sdentata.
“Mangialo tu, caro.” rispondo io.
Sento un rumore metallico; poi vedo la moneta scivolare davanti ai miei piedi.
“Mamma dice di non prendere elemosina. Io vendere, tu paghi, o no accetto tuo denaro.”
Se ne va via.
La guardia, di chiara origine egiziana, mi guarda quasi schernendomi.
Vorrei sprofondare.
L’ambasciatrice giapponese al Cairo mi riceve con estrema gentilezza.
La fortuna inizia a girare, penso, sentendo che Maya e Masumi sono stati prontamente rintracciati. Parlare alla mamma, prima della partenza, è stato provvidenziale.
“Sono in spedizione alle piramidi di Giza.”
Guardo l’orologio.
Si sta facendo tardi.
“Si fermeranno certamente per assistere allo spettacolo Lights and Sounds...” dice l’ambasciatrice versandomi da bere “Di solito inizia appena dopo il tramonto del sole. Lo spettacolo delle piramidi è davvero suggestivo a quell’ora-”
Penso a Marc.
Mi chiedo se sarà a casa o, di ritorno dallo scavo, si fermerà ad osservare un evento cui avrà assistito chissà quante volte.
“Posso chiamare un taxi?” domando all’ambasciatrice “Voglio andare a Giza.”
Di nuovo in strada.
Questa città è sorprendente. E’ un po’ come Tokyo, nel senso che anche Il Cairo è un crocevia di culture diverse. Ma qui c’è qualcosa di diverso: è come se la tradizione, il passato stesso non fossero né tradizione né passato. E’ una città che pare vivere “dentro” il ricordo di antichi fasti, con gente orgogliosa di quel che è e per nulla desiderosa di cambiare.
L’auto si ferma in una radura poco distante dal sito archeologico.
Sono pervasa da un sentimento di meraviglia e il cuore mi batte convulsamente, mentre osservo le piramidi imponenti e la sfinge col volto del faraone Kefren, che, per quanto più piccola in dimensioni, non è meno maestosa.
“Pensa” dice una voce dietro di me “che, se offrissi a suo padre i miei cammelli più vigorosi e tutte le gemme preziose che posseggo, egli mi concederebbe la sua mano?”
Mi volto di scatto.
“Benvenuta a Giza.” dice Marc, sorridente “Lei è una donna fortunata. Trovarci qui, in mezzo a cinquemila turisti, è un segno del cielo”
Sospiro.
“Grazie a Dio, un volto conosciuto. I miei amici devono essere tra queste persone.”
Lo osservo di nascosto. Indossa pantaloni militari e anfibi; la canottiera bianca scolpisce i notevoli pettorali dell’uomo; ha annodato intorno alla vita una felpa di colore verde.
“Come è arrivata?” chiede l’archeologo, aiutandomi a salire su un enorme mattone.
“In taxi...” rispondo.
Mi guarda scioccato.
“E come pensava di tornare a casa? Dopo una certa ora circolano solo gli autobus per turisti. Lei è una incosciente.”
“Però ho trovato lei!” dico semplicemente “Mi aiuterà a cercare Maya?”
Nel mentre, è iniziato lo spettacolo di luci e suoni.
Sembra che il cielo si fonda con la terra.
Il connubio tra il colore della sabbia, reso luminoso dalle luci artificiali, e quello del cielo notturno, ancora striato dai raggi del sole ormai tramontato, crea una dissonanza cromatica che toglie il fiato.
Comincio a sentire freddo.
Ho un sussulto.
Sembra che mi stiano mettendo la testa dentro a un sacco e, invece, è Marc, che mi infila la felpa verde al collo.
“Lei è davvero insensata.” mi rimbrotta con tono paterno “L’escursione termica è fortissima, da queste parti. La sera la temperatura scende e di molto anche. Le pare il caso di indossare abiti così succinti?”
“Succinti? Ma di che parla?”
Marc indica i pantaloncini beige.
“Sembra sia venuta a cacciare leoni...” ride “Vuole anche un cappello da domatore?”
Arrossisco.
Mi chiedo come posso rintracciare Maya in mezzo ad una marea di turisti.
“Come faccio?” chiedo a Marc “Non riuscirò mai a trovare Maya così!”
L’uomo mi prende per mano.
“Si fidi di me.” ammicca.
“E’ questo che temo!” gli urlo, mentre la mia voce si confonde nei suoni potenti che accompagnano lo spettacolo di luci.
Mi ritrovo a scalare una piramide.
“E’ impazzito!” dico“ci stanno guardando tutti!”
“MAYA KITAJIMA! MASUMI HAYAMI!” urla Marc a gran voce dopo essere giunti a metà del monumento.
In quel momento, provvidenzialmente, un faretto ci illumina e gli spettatori finiscono per notarci.
“MAYA KITAJIMA! MASUMI HAYAMI!” continua Weider senza pudore alcuno.
Ho un attacco di risate talmente forte da sembrare isterica.
Ma il mio entusiasmo scema quando vedo venir su per la piramide uomini in divisa che brandiscono manganelli.
“Down! Down!” ordina una guardia minacciando l’archeologo.
“Andiamo, Rajid,” dice Marc “siamo vicini di scavo, non prendertela così.”
“Stage storm, you stage storm!!!” impreca.
Incredibile, penso fra me e me, la mia amica e quest’uomo affascinante sono due rovinaspettacoli.
Dopo essere scesa intravedo due figure in sahariana avanzare verso di noi.
Quella più alta ha i capelli biondi che ricadono scomposti sulla fronte. Gli occhi azzurri sono resi ancora più brillanti dall’abbronzatura selvaggia.
La figura più piccola non è che una testolina mora con due grandi occhi espressivi e un sorriso largo come il sole.
Sento una grande gioia dentro. La tensione si scioglie d’improvviso, mentre, ancora mano nella mano con Marc, abbraccio lei, la mia eterna rivale ed eterna amica.
Maya Kitajima.


Nowhere man.

L’auto si ferma piano davanti a casa Takamiya.
“La ringrazio” dico stizzita scendendo.
Il giovane mi guarda negli occhi.
“Stia bene” sussurra “e si ricordi che nessun essere umano è inutile”
Avanzo attraverso il vialetto, tra il disgusto per quanto accaduto e il rammarico di non aver chiesto neppure il nome al mio misterioso soccorritore.
La tata, vedendomi rientrare, mi chiama a gran voce:
“Shiori! Shiori! Vieni a vedere chi è venuto a trovarci!”
Tiro la porta scorrevole che separa l’ingresso dal salone principale.
Seduto al tavolino basso c’è Shin, impeccabile nel suo vestito blu. Il nonno, che fuma placidamente la pipa, è in piedi accanto a lui.
“Che carino” dico perfida “cos’è quella? La divisa da autista o il tuo vestito migliore?”
Abbassa il capo, ma non mi preoccupo di capire cosa stia provando dopo un insulto di tale portata.
“Il tuo vecchio amico d’infanzia” mi interrompe il nonno “è un promettente architetto ed io gli ho affidato un incarico, la ristrutturazione dell’interporto della zona nord”
“Auguri” sbuffo sedendomi “hai fatto carriera nottetempo!”
Incrocio le braccia al petto. Credo di avere una espressione disgustata sul volto.
“C’è dell’altro?” domando “vorrei lavarmi e andare a riposare, vista la nottataccia”
“Che cosa è accaduto?” mi chiede il nonno preoccupato.
Sorrido come chi ha il coltello dalla parte del manico, mentre i miei occhi neri si posano su Shin.
“Hai la strizza, eh?”
Il ragazzo si alza.
“Dovrei aver paura di te?” chiede di rimando. La sua voce è ferma, ma leggermente angosciata.
Sospiro.
“Hai ragione, Shin” affermo “non hai motivo di aver paura di una pazza. Sono certo che mio nonno non manderebbe mai a monte un affare solo perché il suo nuovo, promettente architetto mi ha lasciata in mezzo alla strada in piena notte”
“Che cosa hai fatto, ragazzo?” domanda il nonno adirato.
“Andiamo, nonno” lo interrompo io “non far finta di arrabbiarti. Lo so che non ti importa un benemerito cazzo di me”
Ho i nervi a fior di pelle.
“Sei stata tu ad andartene” prova a giustificarsi Shin.
“Certo” gli faccio eco “era difficile per un energumeno alto due metri prendere di peso una povera mentecatta e costringerla a non fuggire nella notte”
Mi alzo.
“Mando una e-mail al nokodo per informarlo della rottura del fidanzamento con Masumi Hayami” dico con il tono di chi non ammette repliche “e chiamo le testate del gruppo Chuo per diramare la notizia”
“Che cosa?” sbraita mio nonno “sei forse impazzita?”
Lo guardo con semplicità:
“E te ne accorgi solo ora?”
Corro nella mia stanza, soddisfatta di me.
Mentre accendo il computer, la tata, forse per la prima volta in vita sua, bussa alla mia porta.
“Stai bene?” chiede accondiscendente.
“Mai stata meglio” rispondo “e ti prego di chiamare quel dottore tedesco, quello che per scherzo chiamavo Freud. Fissa un appuntamento urgente”
Vorrei mi guardassi, mamma, penso fra me e me, vorrei che tu vedessi che non sei riuscita a distruggermi e che la mia vita, oggi, la prendo in mano davvero!
Ripenso al cagnolino morto davanti al cassonetto e alla mia figura di donna, priva di dignità e imbottita di rabbia e tranquillanti, stesa accanto a lui.
Persino le cagne piangono i loro cuccioli.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime, ma, adesso, non è il momento di piangere.
Devo porre fine alla mia patetica “storia” col giovane Hayami e ricominciare da zero.
Dopo aver mandato una dettagliata, ma succinta e-mail al nokodo, nella quale specificavo che, in giornata, il mio avvocato sarebbe prontamente andato a trovarlo per discutere la parte legale della faccenda, sento bussare di nuovo alla porta.
“Sono Shin”
Gli dico di andarsene, ma egli tira la porta.
“Sei già così potente da irrompere in camera mia anche senza permesso?” gli domando fingendo di armeggiare col computer.
Faccio scoccare il tasto dell’invio.
“Mi dispiace” dice il ragazzo “non avrei voluto reagire in quel modo, ma…”
“…facevo una tale impressione da rasentare lo schifo” concludo io chiudendo lo schermo del portatile “le croste iniettate di sangue intorno ai capezzoli, specialmente. Vi piacciono un sacco le tette, a voi maschietti, è così? Vi ricordano la mamma che vi allattò. Siete più perversi di quanto non vogliate ammettere”
Shin si inginocchia davanti a me.
“Dico sul serio” mormora “non avrei dovuto lasciarti andare”
“E perché?” lo interrompo “sei rimasto sconvolto esattamente come avrebbe fatto qualsiasi altro uomo. La tua dolcezza, i ricordi melensi dell’adolescenza erano tutti nella mia testa”
Batto il palmo della mano destra sulla fronte.
Perché la mia fantasia è così potente? Come sono arrivata a questo punto?
So che sono vissuta praticamente rinchiusa fra le mura della casa del nonno, ma non posso essere diventata così ingenua da non capire l’indole di chi ho davanti.
Chiunque, al posto mio, avrebbe intuito l’atteggiamento interessato di Shin.
La mia mente è disordinata, popolata di immagini sensuali che mi impediscono di vedere la mostruosità del mondo. Complice la storia di mia madre, ho idealizzato tutto quel che c’è fuori da questa porta. L’ho desiderato potentemente e al punto da non accorgermi per nulla che, oltre alla bellezza, esiste anche la menzogna, il tornaconto personale.
Shin mi prende la mano:
“Provavo un sentimento vero per te” si giustifica “ma adesso tu hai bisogno di cure e, quando sarai guarita, sarò qui ad attenderti, se vorrai darmi un’altra possibilità”
Provo l’istinto feroce di scaraventargli addosso il computer, ma so che devo trattenermi per non segnare negativamente la giornata epocale che è oggi.
“Io non voglio che tu stia qui ad aspettarmi, a meno che non voglia perdere tempo inutilmente” sibilo con l’aria di chi vuol tagliare corto.
Shin mi guarda.
“Adesso ho una posizione, sono certo che la vedrai diversamente, quando…”
Stavolta ne ho abbastanza.
Gli lancio il portatile addosso.
“Vattene!” sbraito “e non dire ancora che sono malata. Lo sono, ma non sopporto che uno come te venga a pontificare”
“Sai” concludo “c’è una sola cosa che rimpiangerò di Masumi Hayami: era un vero signore. Non ha provato ribrezzo guardandomi, ma pensava al suo piccolo, insignificante amore. Pensando all’inutilità di quella ragazza, ho capito che tutti gli uomini hanno un valore, se c’è qualcuno che li apprezza per quel che sono. Ed io troverò qualcuno che mi ami davvero, puoi scommetterci!”


Footsteps.

“Ayumi,” mi dice Maya “cosa ci fai qui?”
“Non hai ricevuto il mio messaggio?” domando allarmatissima.
La mia amica nega col capo.
Dopo le presentazioni di rito, racconto gli ultimi avvenimenti, sotto lo sguardo sgomento di Masumi.
“Tutto questo è pazzesco!” mormora il giovane Hayami “Peter è stato il nostro testimone di nozze. Ero davvero convinto ci volesse bene!”
Non rispondo.
Non so cosa rispondere.
Provo un senso di mortificazione misto ad angoscia.
Succede sempre così quando non riesco a spiegarmi qualcosa e, soprattutto, quando, senza volere, coinvolgo nelle mie beghe le persone che amo.

Si leva il vento.
“Sarà meglio trovare un posto tranquillo per parlare. Prendiamo la jeep.” propone Marc.
E’ sera inoltrata. Le strade del centro del Cairo, a dodici km da Giza, sono surrealmente silenziose. Sebbene il traffico sia sostenuto, la confusione diurna è completamente svanita.
“Dove andiamo?” domanda Masumi coprendosi le spalle con una felpa bianca.
“Midan El-Tahir.” risponde Marc “Un mio amico ha un caffè in gestione, laggiù, ed è anche il posto nel quale soggiorno d’abitudine.”
“Ma è in pieno centro!” obietta Hayami “Hamill ci rintraccerà!”
L’archeologo sorride:
“Lei ha visto solo la punta dell’iceberg di questa magica metropoli, signore.”
Maya ed io abbiamo preso posto sui sedili posteriori della jeep.
“Mi spiace così tanto per te.” mormora la mia amica stringendomi la mano.
“Già ti dissi, una volta, di non compatirmi...” la rimbrotto dolcemente “Io sono Ayumi Himekawa e di uomini ne trovo a decine, sebbene, adesso, provi un atavico rigetto per la totalità della categoria.”
Marc mi osserva attraverso lo specchietto retrovisore.
Ha una espressione insondabile, che non capisco davvero.
Scopro - e tocco l'assurdo - che non mi spiacerebbe suscitare la sua attenzione.
Certo, è un uomo bizzarro, prossimo più ai quaranta che ai trenta; veste fuorimoda, ma la sua voce e i suoi modi sono “perfetti”. Sono quelli che, in sogno o in un’altra vita, sento di aver già apprezzato.
Cosa penserà lui di me?
Ci conosciamo da trentasei ore, ma si è prodigato per aiutarmi come una cara conoscenza di vecchia data.
Vorrei tanto sapere se, al pari di me, prova questo turbamento sottile.
Vorrei tanto sapere se i suoi occhi scuri indugiano sulla mia persona in virtù di questo mio medesimo turbamento.
Non vorrei davvero si innamorasse, anche se ammetto che guardarlo, talvolta, mi dà i brividi.
Come un’ora fa, a Giza, quando mi è piombato alle spalle senza preavviso.
Era davvero bellissimo, pareva immerso nella luce magica della città sacra agli dèi.
Un’auto elegante invade la nostra carreggiata in senso opposto.
Cacciamo un urlo agghiacciante all’unisono, mentre Marc, sterzando, schiva il mezzo.
“Non abbiate paura!” dice divertito “So perfettamente come guidano al Cairo ed io ho imparato a guidare come ogni altro egiziano!”
Parcheggiamo vicino ad una moschea.
“E’ laggiù.” indica l’archeologo.
Sono stupefatta.
Turisti a parte, la piazzetta è stracolma di uomini che chiacchierano placidamente seduti ai tavolini dei diversi bar.
Entriamo in uno di questi.
“Che strano odore...” dice Maya guardandosi intorno spaesata.
“Incenso...” mormoro io, mentre tiro su col naso “...misto ad una spezia non bene identificata”
“Fumano il narghilè.” si intromette Marc, tirando la sedia verso di sé per aiutarmi a prendere posto.
Un uomo di mezza età si avvicina al nostro tavolo, taccuino in mano.
E’ il gestore o, forse, un semplice cameriere.
“Porta la tua birra speciale, beda e pane in abbondanza e, naturalmente, non dimenticare le salse!” ordina l’archeologo “Qui ce ne staremo tranquilli per un po’ e ci rifocilleremo.”
Masumi sorride non del tutto convinto.
“Dobbiamo avvertire la polizia.” mormora dopo aver riflettuto un poco.
“Non servirebbe.” lo interrompe Marc “Creerebbe solo panico in quei delinquenti e, comunque, non le garantisco che al Cairo sarebbero disposti ad aiutarla.”
"Forse, potremmo rivolgerci all'Ambasciata..." azzarda Maya, ma nessuno di noi commenta.
“Non avrei mai pensato che Shiori potesse arrivare a questo punto!” afferma Masumi sbattendo il palmo della mano sul tavolino.
I bicchieri d’acqua che il cameriere aveva servito al nostro arrivo oscillano vistosamente.
“E’ davvero molto triste” soggiunge l’archeologo “che la storia della dèa sia stata mercificata sino a questo punto. Forse è per questo che non si palesa più agli uomini.”
Masumi lo guarda stranito:
“Conosce La dèa scarlatta?”
Marc annuisce, chiudendosi in un silenzio quasi doloroso che pare quasi una preghiera agli dèi.
“Ciao, tesoro.”
Una voce femminile, dolce come solo quella di una araba sa essere, ha parlato alle mie spalle.
“Ranya…” dice Marc.
Si gira verso di lei e, nel mentre, si alza: “Vi presento una collega dell’Università di Berlino, nonché mia personale assistente, Ranya Habermas.”
Mi ricordo, in quel frangente, che Weider è stato adottato da una coppia tedesca pochi mesi dopo la sua nascita.
Resto senza fiato.
E’ una donna bellissima, scura di pelle e con magnifici occhi verdi.
“Collega?” ripete “Da quando la donna con cui sei stato sposato è una semplice collega?”
Non riesco a reprimere il rossore che mi è salito alle guance.
Sono stata una stupida.
Tutte quelle fantasie su Marc e, latentemente, sulle anime gemelle erano solo delle stupidaggini romantiche. Più che normali, quando si vive in un clima di pericolo.
Ma come ho potuto credervi?
“Non c’è mai stato legame matrimoniale, tra noi.” ride Marc un po’ in imbarazzo.
Sembra divertito.
Ma mi guarda dritto negli occhi.
Non me li toglie di dosso.
Vorrei alzarmi e urlargli il mio disprezzo.
“Bada, uomo,” continua la sua <collega> “secondo una antica legge ebraica, basta consumare almeno una volta per essere legalmente sposati.”
“Peccato” ribatte l’uomo “che io non sia ebreo e neppure tu...”
Il cameriere, nel frattempo, ha servito le pietanze.
Maya e Masumi toccano appena cibo ed anche io ho perduto l’appetito di colpo.
Ranya Habermas ha preso posto tra me e Marc.
“Sa di aglio...” dico intingendo senza troppa enfasi del pane in una delle ciotole.
“Si chiama dakka ed è un condimento che accompagna questo formaggio molle.” spiega Marc, che, invece, mangia tutto con appetito.
“Siete amici di Marc?” ci domanda Ranya curiosa “Semplice turismo o scavi per conto del vostro Governo?”
“Non credo che il Giappone abbia interessi artistici, qui in Egitto.” rispondo col tono un po’acido “Siamo in viaggio di piacere. Voi occidentali siete decisamente più bravi nel coniugare l’utile al dilettevole.”
Marc solleva impercettibilmente il sopracciglio.
“Se dovessi vedere qualcosa di sospetto, dimmelo subito.” dice alla donna, mentre sorseggia la sua birra scura “Potrebbe succedere che un uomo dall’accento francese cerchi questi miei amici. Non devi dirgli nulla, mi raccomando.”
Ranya annuisce:
“Ma certo, fidati di me.”
Non fa altre domande.
Weider la guarda con ammirazione, mentre a me riserva due occhi di bragia.
Non è difficile capire perché.
Dopo cena, Maya e Masumi affittano una camera nell’edificio attiguo al bar, mentre io resto al tavolino a godere del fresco frizzante, ma delizioso.
Marc mi raggiunge dopo aver accompagnato Ranya alla sua automobile.
“Si può sapere che le è preso?” domanda prendendo posto accanto a me.
Non mi guarda in viso.
Giocherella con l’accendino: la fiamma alternata illumina il suo viso ritmicamente.
Faccio finta di nulla.
“A che riguardo?” chiedo dopo un po’.
“Ha trattato malissimo la mia assistente.” mi rimprovera Marc.
“Le ho semplicemente detto che il nostro non è un viaggio di piacere.” cerco di giustificarmi.
Weider si lascia sfuggire una esclamazione di ironia.
“Perché non le piace?” chiede facendo scattare più forte l’accendino. Le sue dita sembrano tremare un poco.
“Penso sia più che sufficiente il fatto che piaccia a lei!” rispondo con furia immotivata.
Marc mi prende per un polso, impedendomi di andare via.
“Non siamo stati sposati, stava solo scherzando.” dice.
Ha il tono alterato, la voce gli trema di ansia.
“La sua vita privata non mi interessa e mi lasci il polso, per favore.” sibilo senza guardarlo negli occhi.
“Io credo di sì, invece!”
La sua frase piomba su di me come un macigno.
Perché mi legge così bene nella mente e nel cuore?
Non sono più in me, non sono più in grado di reprimere i miei sentimenti!
Gli occhi neri di Marc scintillano di collera, ma vedo dell’altro.
Desiderio e passione.
Come è possibile?
Si alza in piedi e, sollevandomi un poco, mi cattura le labbra.
Provo un senso di vertigine: la sua bocca aderisce perfettamente alla mia.
Mi forza a subire quell’intimo assalto, ma solo per un istante, ché anche io mi ritrovo a rispondere a quel bacio con uguale trasporto.

Mi ricordo, allora, di Peter.
Rimembro certe espressioni di finto rapimento.
Mi sovviene la promessa fatta di non permettere più a nessun uomo di disarmarmi.

Mollo un gran ceffone a Marc.
Il suo viso si è girato un poco, rivelando una guancia lievemente arrossata.
Chiude gli occhi, mentre si stacca da me.
“Ayumi,” dice “tu mi piaci più di quanto non sembri, più di quanto tu – e forse anche io – non riesca ad immaginare. Non massacrarmi, te ne prego. Non indossare la maschera dell’indifesa, se sai che, dopo, non saprò più controllarmi.”
“Io non indosso nessuna maschera!” sibilo in preda ad un tremore incontrollabile.
Mi sono appoggiata al tavolo vicino per paura di perdere l’equilibrio.
“Però mi hai trattato come se io ti appartenessi. E ti confesso che, da quando ti ho vista per la prima volta nella Valle, non ho desiderato altro.”
Stringe i pugni e rientra.
La schiena curva, il capo chino di chi si è piegato ad una volontà dominante, ma non per questo superiore alla sua.
Ho sentito davvero il suo calore.
“Ma che bella scena!” mormora una voce femminile dietro di me.

E’ Ranya.
Pensavo fosse andata via e glielo dico.
“Sì,” afferma “la mia intenzione era questa. Senonché, una vocina mi ha consigliato di tornare indietro.Qualcuno potrebbe aver bisogno di me.”
Si avvia dentro la pensione con aria trionfante.
“Vuole un consiglio?” chiede dandomi le spalle “Lei è troppo giovane per stare con Marc Weider. Ammetto che possiede tutte le caratteristiche della donna che può fargli perdere la testa, ma non è sufficiente. Faccia un favore al suo cuore, visto che è già stata sposata una volta: lasci perdere. La lista d’attesa è lunga.”
“Se lo tenga.” mastico. E aggiungo perfidamente: “Ammesso ne sia capace. Lei non sa con chi ha a che fare.”
Mi riferivo a Marc, ma ella, complice il mio inglese, ha frainteso.
Si gira per guardarmi: i suoi occhi percorrono la mia figura dall’alto in basso.
“Ayumi Himekawa, giusto? Internet è piena di siti a lei dedicati. Una grande attrice teatrale, a quanto si legge. Torni a recitare, se è quello che sa fare meglio. La vita reale è un’altra cosa.”
Sorrido ironicamente.
“Vada ad agguantare il suo primo posto, signorina, io non la rincorrerò di certo.”
“E’ per questo che non conoscerà mai il vero amore.” mi risponde Ranya alzando una mano come in segno di saluto, ma, in verità, sta mandandomi al diavolo.

Salgo le scale che portano all’alloggio e realizzo, dandomi della sciocca, di non aver preso una camera per me sola.
Non posso andare in quella di Weider né chiedere a Maya e Masumi di ospitarmi.
Mi guardo intorno: il bar è chiuso, segno che il gestore è andato a dormire.
Decido di visitare l’edificio che ci ospita.
Le pareti sono unte, ma nascondono dei fregi incantevoli, blu e dorati, come se questo posto fosse stato inizialmente destinato ad altro.
Mentre salgo i gradini di legno, una leggera brezza mi attraversa i capelli.
Come calamitata da una forza sconosciuta, raggiungo il terrazzo.
Esco e lo spettacolo cui mi ritrovo ad assistere mi toglie il fiato.
Il centro storico, davanti a me, sembra un tappeto di gemme preziose che fa eco alle stelle del cielo.
Lascio che l’aria rigenerante mi penetri i polmoni.
Per un attimo, mi dimentico chi sono, dei miei affanni, di Peter e di Marc, della dèa scarlatta e del teatro.
Vorrei prolungare questa sensazione di appagamento all’infinito, ma Maya mi ha raggiunta, forse evocata da questa stessa, magica forza.
“Non pensavo che la vista di questa città fosse così seducente.” mormoro invitandola con un cenno della mano a venirmi vicino.
La mia amica ha il volto sereno. Si appoggia alla balaustra coi gomiti e chiede:
“Stai pensando a La dèa scarlatta anche tu?”
Abbasso un po’ il capo.
“Veramente,” confesso “cercavo di dimenticarmene.”
“Equivale a un sì.” sorride Maya “In qualunque posto ci troviamo, lei è sempre con noi, come fosse nascosta in qualche parte del nostro spirito.”
“Sarà per via della terra magica che ci ospita.” provo a razionalizzare come mio solito, ma sento che la <verità> sta dalla parte della ragazza: rifiuto per carattere tutto quello che non capisco.
Ora che ci penso, è per questo motivo che sono diventata atea.
“Io credo” afferma Maya senza distogliere lo sguardo dal paesaggio immerso nella notte “che gli dèi esistano e che incessantemente si prodighino per gli uomini.”
“Dici questo proprio tu?” chiedo “che hai assaggiato la polvere più di una volta?”
La mia domanda, come uno sfregio, ha attraversato il silenzio.
“E’ proprio per questo” risponde Maya “che io <vedo> gli dèi. Ayumi, mi sembra di essere parte del tutto da sempre. Quello che non capivo fino a poco tempo fa adesso mi è chiaro di colpo. Ho assaggiato il sapore amaro della terra, mi sono crogiolata nella disperazione tante volte. Ma quante volte ho avuto la forza di rialzarmi? Io non riesco a contarle.”
“Hai trovato la forza in te” spiego “e grazie al teatro.”
Maya mi guarda poco convinta. Fa quasi paura, perché so che la sua semplice verità spazzerà i miei soppalchi intellettuali come una violenta pioggia monsonica.
“Forse, ma il mio riscatto è una possibilità che mi è stata concessa da qualcosa di superiore che con me non ha nulla a che fare.”
Sospiro:
“Per me è diverso. Ho sempre contato sulle mie forze, senza aspettarmi nulla dal resto del mondo o dagli dèi…gli dèi…ammesso esistano, cos’hanno preparato per me, a parte delusioni e sconcerto?”
“Ti riferisci a Peter o…?” domanda Maya guardandomi di sottecchi.
Mi giro verso di lei.
“E tu? Come la mettiamo con te?” chiedo di rimando “Mi sei alle costole da quando avevamo tredici anni. Ho conosciuto il mio limite per colpa tua!”
Ho provato a scherzarci su, ma quanto ho appena affermato è verità.
Lo so io e lo sa anche Maya.
“Anche adesso” continuo “sei davanti a me. Sotto il cielo di una terra ancora più pagana della nostra dichiari il tuo credo universale, mentre io sono ancora alla triste accettazione della mia insufficienza.”
Maya sorride.
“La signora Tsukikage dice sempre che conta il percorso e non la mèta e io sono sempre indietro.” affermo amara.
“Sarebbe così,” soggiunge “se fosse una gara, ma non lo è, Ayumi.”
Il mio cuore sembra aver perduto il ritmo.
“Ho scoperto delle cose, di me, solo grazie a te.” mormora Maya “Smetti di pensare alla vita come fosse il provino per uno spettacolo importante. E’ importante, ma non c’è allievo senza maestro, non c’è protagonista senza deuteragonista, non c’è dramma senza farsa.”
Mi ha presa per un braccio.
Avverto la pressione delle sue dita sottili attraverso la stoffa della felpa verde di Marc.
“Solo guardando te ho capito cosa significa essere una rovina spettacoli. Assistendo alle rappresentazioni di Ayumi Himekawa, ho compreso che il mio istinto, se non disciplinato, mi porterà a recitare un perpetuo monologo. Se lo assecondo come ho fatto finora, non potrò mai essere la dèa che convoglia l’uno nel tutto.”
“Capisco...” mormoro un po’ commossa “Stai dicendomi che anche tu hai le tue pecche, i tuoi scheletri nell’armadio. Dovrei sentirmi meglio, ora?”
Maya mi abbraccia.
Mi sento un pezzo di legno.
Non sono abituata a questi attestati di stima e che partano da lei è una cosa che mi emoziona non poco.
“Piangi, Ayumi,” mi incita “di rabbia, di tristezza, di commozione. Apri il tuo cuore e diventa Akoya con me.”
Appoggio la testa alla sua spalla, assecondando la debolezza.

Akoya: una dèa potente ridotta al silenzio dagli uomini ingrati.

Ed io – senza saperlo - ero nel coro dei blasfemi.
Le darò voce coi sentimenti che, pian piano, dopo l’inutile tentativo di soffocarli, ho iniziato a coltivare. Dimostrerò a me stessa che anche da una dichiarazione di umiltà viene il riscatto.
Senza dimenticare che ogni esistenza è un eterno ricominciare, un perpetuo aprire e chiudere un libro prezioso.
“Posso disturbare?”
E’ la voce di Marc, calda e suadente, a riportarmi alla realtà vissuta.
Maya si stacca da me senza smettere di fissarmi.
Sembra la signora Tsukikage tornata giovane. Ogni parte del suo piccolo corpo urla al mondo la coriacea volontà di vivere.
Non esistono, in natura, elementi inutili.
Ogni porta, per quanto angusta, apre altre porte.
Ogni sconfitta è il preludio di qualcosa.
Il divenire, il progresso continuo sono dono degli dèi della terra e del cielo.
Ci arrivarono i pagani, millenni fa, e adesso, finalmente, ci sono arrivata anche io.
“Akoya,” penso fra me e me “ti proteggerò a costo della vita.”
Io e Marc siamo rimasti soli.
“E’ davvero incredibile.” dice rompendo il silenzio.
“Che cosa?” chiedo.
“Il tuo legame con quella ragazza.” risponde Marc.
Ha estratto una sigaretta, mi domanda il permesso di fumarla, ma, per quanto lo conceda, non lo fa.
“Tu credi nell’amore di anime?” gli chiedo di soppiatto.
L’archeologo si gratta il collo un poco perplesso, ma apprezzo la sua totale mancanza di ironia in questo frangente:
“E’ quel che provi per lei?”
“No,” mormoro “se fosse così, non nutrirei questo trasporto così potente per te.” confesso senza paura.
“Capisco, Maya Kitajima è il tuo mèntore.” afferma sorridendo a labbra strette.
Gli chiedo spiegazioni.
“Penso” dice Weider “che trovare una persona che ci apra alla scoperta di noi stessi sia raro quanto scovare l’anima gemella in mezzo a nove miliardi e mezzo di individui. E quando la incontri, parafrasando quel che dicesti sull’aereo, ti diventa più cara dell’oro.”
Si appoggia alla balaustra del terrazzo respirando profondamente.
“Una volta superato il complesso di inferiorità nei confronti del saggio” afferma “non ti resta che amarlo come fosse parte indispensabile di te.”
“Hai mai provato nulla del genere?” domando avvicinandomi di più a lui.
Sento il suo buon odore penetrare attraverso le mie narici come un dolce veleno.
“Ho avuto questa fortuna” mi risponde giocando con la sigaretta spenta tra le labbra.
“Ranya?”
Gli occhi neri di Marc si spalancano come avessi appena pronunziato la bojata del secolo.
Non mi risponde, ma cattura la mia mano sinistra.
“L’abbronzatura selvaggia del Cairo l’ha fatta sparire.” osserva.
“Cosa?”
“Il segno della vera” sussurra “Quando ci siamo incontrati per la prima volta, in questo punto, c’era un contorno più chiaro rispetto alla tuo colore naturale.”
Bacia il palmo della mia mano con tenerezza.
“La persona che mi ha fatto da mèntore, che mi fa da mèntore tutt’ora, sebbene sia passato a miglior vita e lo abbia conosciuto solo attraverso la letteratura teatrale, è Ichiren Oozachi.” confessa, turbato, scostandosi.
Fa per andarsene.
“Marc!” lo chiamo.
Si ferma, continuando a darmi le spalle.
“Sei stato con lei, stasera?”
“Non potrei mai umiliare una donna che stimo.” afferma.
“Siete stati insieme fino a poco prima del mio arrivo al Cairo, però...” dico non del tutto convinta.
“E chi non lo avrebbe fatto?” mi risponde Marc con una semplicità che mi disarma “Ranya è bella come un gioiello prezioso, passionale, intelligente, colta. Si trascorre gran parte della propria vita alla ricerca del grande amore, passando da un letto all’altro o da una biblioteca all’altra, come nel mio caso. Poi, quando ormai disperi di incontrarlo, quando te ne sei fatto una ragione, arriva qualcuno che non ti aspetti. E il tuo sangue, irresistibilmente, ti porta a compiere l’impensabile. D’improvviso, scopri che la tua vita vagabonda ha cessato d’essere e le radici che pensavi di non avere si rivelano profonde e inestirpabili.”
“Tu” balbetto “sei innamorato di me?”
Finalmente si gira e mi guarda negli occhi:
“Sono pazzo. D’amore, almeno. Queste cose le ho provate nitidamente alla Valle dei Susini e, quando ti ho incontrata sull’aereo, ho avuto la conferma che il mio destino era cambiato per sempre. Lo trovi sconcertante, vero? Ci conosciamo da così poco, eppure...”
Tace, mentre volo tra le sue braccia.
“Pensi anche tu che io possa essere, come Maya, fortunata al punto di incontrare l’altra metà della mia anima?”
“Se provi anche solo la metà di quel che provo io,” mormora Marc “puoi scommetterci.”
Ci baciamo con trasporto sotto il cielo cairota. La città addormentata davanti a noi sigilla il ripetersi di un evento raro e prezioso.
Sono qui, ho incontrato il mio mentore e poi, di seguito, il mio amore.
Ho attraversato deserti sconosciuti, lasciando che la sabbia rovente mi penetrasse dentro fino a corrodermi lo spirito, ma gli dèi, anziché punirmi, mi hanno insegnato a trasformare l’errore in preghiera.
La saggezza del Buddha.
Oh, cos’è mai questo?
Un uomo nato nella Valle dei Susini sta risvegliando in me una tensione emotiva mai provata.
Sta cancellando per sempre il ricordo di due braccia odiose che mi hanno avvinghiata fino a stritolarmi.

La signora Tsukikage, un giorno, raccontò che, non appena mise la sua mano in quella di Ichiren Oozachi, comprese che quella stessa mano l’avrebbe condotta per tutta la vita e oltre.
Non aveva che sette anni!
E adesso, inspiegabilmente, sta accadendo a me.
A me che avevo giurato di non posare mai più i miei occhi su un uomo.
E’ questo l’amore di anime?
E’ questo il trasporto che provò Masumi Hayami quando, per la prima volta, incontrò lo sguardo di una ragazza sconosciuta di appena tredici anni?

E’ volontà degli dèi, non può che essere così.
Il sottile filo scarlatto, che ha tessuto la tela della nostra esistenza, si è trasformato in un complesso mosaico, che coinvolge tutti noi nell’intimo: la signora Tsukikage, Ichiren e Genzo; Maya, Masumi e me; io, Marc e Maya.
La piccola attrice di Yokohama ed io siamo legate con un doppio filo.
L’abbraccio che scambio con Weider è senza fine come l’amore di anime che abbiamo scoperto di provare.
“Ayumi,” mormora sfiorandomi la nuca con le labbra “permettimi di amarti, ti scongiuro.”
Lo prendo per mano.
Scendiamo fino al nostro alloggio.
Le tende leggerissime che coprono le persiane in legno consunto ondeggiano piano alla brezza notturna.
Non ho mai visto uno sguardo così rapito in nessun altro uomo.
O, meglio, l’ho visto in un solo uomo: nel giorno della rappresentazione di prova de La dèa scarlatta, Masumi Hayami, lasciando cadere sulla neve il copione della sua vita, andò a riprendersi ciò che gli apparteneva più di ogni altra cosa.
Quegli occhi azzurri, pieni di amore e determinazione, di desiderio represso e folle speranza non li dimenticherò mai.
Sono identici a questi due occhi neri, che, adesso, indugiano su di me come se fossi davvero qualcosa di abbagliante.

Ha chiuso la porta del suo alloggio quasi sbattendola, come se volesse allontanare tutto il resto del mondo da noi. Le mani di Marc tremano un poco, mentre mi sfila la sua felpa verde. Le sento posarsi gelate sulle mie spalle, quando mi tira giù le spalline del reggiseno e poi scende, lambendo i capezzoli tesi come non mai, l’addome e quella parte di me che,solo ora me ne accorgo, sembra stata creata apposta per il giorno in cui mi sarei ricongiunta all’altra metà di me stessa.
Tutto, tutto ci richiama all’amore di anime. La forma dei nostri corpi, questa ansiosa volontà di assaggiarci reciprocamente, questo volersi che pare infinito e mai si strema.
Percorro con le mie labbra le spalle di Marc, mentre le mie mani gli accarezzano i pettorali scolpiti e glabri.Premo coi seni su di essi e seduta sopra di lui, mi muovo piano “tormentando” quel sesso che, penetrandomi soltanto, troverà giusto, ineluttabile compiacimento.
Sembra una roccia forte, ma è, nel contempo, morbido e privo di asperità, ed io lo sento sotto la mia intimità bagnata. Le dita di Marc, che accompagnano quel combaciare di corpi sinuoso, mi stringono dolcemente il clitoride, strappandomi brividi di piacere inattesi, forse mai provati.
Mi allontana da sé per sdraiarmi sulle lenzuola umide e in disordine.
Apro le mie braccia per accoglierlo, mentre egli sopra di me, mi fissa sconvolto dalla sua stessa passione.
La sua fronte,imperlata di sudore, mi bagna il viso.
I capelli lisci e scomposti lo rendono meravigliosamente bello.
Sorrido e, non appena dischiudo le labbra, Marc me la ricottura. La sua lingua scivola dentro la mia bocca con la stessa facilità con cui mi penetra.Il piacere che provo è come una marea che ritmicamente mi travolge e mi abbandona per poi riprendermi con vigore sempre maggiore.
La sua delicatezza mi inebria come nessun altro è mai stato capace di fare.
Raggiungiamo il piacere all’unisono, sopra un letto di legno scricchiolante, accompagnati dalla brezza del vento del deserto.

E’ sparito tutto.
Il disgusto per Peter e per le sue mani insulse non è dimenticato, ma cancellato.
Avevo paura di quest’uomo.
E’ arrivato quando avevo ormai dato più mandate al chiavistello.
Ne avevo il terrore perché sapevo che, accogliendolo, avrei demolito non solo le mie difese, ma la mia stessa vita.
Ho sperimento la dolcezza e, dopo esplicita richiesta, il totale possesso.
Ho goduto di quel tocco che pareva evocarmi dalla notte dei tempi e che ciò sia accaduto nella terra più magica e sacra che esista al mondo mi ha sconvolta doppiamente.
“Ti amo.” mormora che, quasi fosse un bambino timido e del tutto dimentico della passione che lo ha animato fino a due secondi fa, si accovaccia accanto a me.
Sorrido piano.
“Allora,” dico “dovrò ancora aspettare che la graduatoria delle spasimanti del seducente archeologo si esaurisca per poter chiedere un nuovo incontro?”
Ha gli occhi luccicanti Marc.
“Come puoi nutrire ancora dubbi?” chiede.
“Sono nata sotto il segno del raziocinio e devo dire che, fino ad ora, non mi ha mai disattesa. Vedi come tutto torna? La nostra vita è un teorema: Maya e Masumi, io e te. Le scelte sbagliate e l’inevitabile riavvicinamento.”
“E allora? Non avrai mica paura che questo vecchio che ha deposto il suo destino nelle tue splendide mani vada fuori di testa? Ho una notizia per te. Anche se non sembra, il tuo uomo è un sentimentale e a certe cose tiene particolarmente.”
Sta cercando di capire se sto parlando sul serio.
Il mio volto felice lo rasserena all’istante.
Torna ad abbracciarmi.
“Però,” dico mentre sta baciandomi “ci sono ben sedici anni di differenza tra noi, anche se la cosa non è importante.”
“Non esistono età, aspetto, rango...” fa eco Marc “Ricordo di aver letto il manoscritto di Oozachi tutto d’un fiato e quelle parole mi si impressero nella mente e nel cuore.”
“Con questi sentimenti, salirò sul palcoscenico e diventerò Akoya!” dichiaro commossa.

Sì, sarò Akoya.

Non appena tornati in Giappone, Masumi allestirà gli spettacoli di prova e tutto si svolgerà come programmato.
La giuria dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo sceglierà la dèa e quel bastardo di Hamill non potrà farci nulla.
Temo solo la sua vendetta, che, complici i soldi della sua protettrice, potrebbe rivelarsi spietata.
Cala il silenzio.
“Come faremo adesso a gestire i nostri impegni e a vivere insieme?” oso chiedergli avvertendo già nostalgia al pensiero di separarmi da lui.
“Non temere.” mi rassicura Marc “in qualche modo si risolverà. In qualunque parte del mondo ci ritroveremo, non saremo mai più soli.”
Mentre mi accoccolo a lui, sento il desiderio fluirmi nuovamente nelle vene.
E, tuttavia, la triste realtà torna a far capolino in tutto il suo travaglio.
Guardo l’orologio: sono già le sette.
Poi sento la voce cristallina di Masumi in corridoio.
“Marc!” chiama.
L’archeologo scende dal letto in un lampo per andargli incontro.
“Ci ha trovati!” gli dice il presidente Hayami col volto teso.
“Come è possibile?
Masumi scuote il capo:
“Ieri pomeriggio ha pagato una consumazione con la carta di credito. Me lo ha appena detto il gestore.”
Già ieri!
Mentre ero sulle tracce di Maya e Masumi, quel diavolo di uomo era già venuto a sapere che avrei alloggiato qui. E’ stato per puro caso che, attardandomi in ambasciata e poi a Giza, non sono caduta nelle sue grinfie.
Un brivido di orrore mi percorre la schiena.
“Questo posto lo uso da anni, specie quando vengo a scavare in incognito per conto dello Stato tedesco. Nessuno è mai riuscito a rintracciarmi!” dice Marc scosso.
“E il tuo staff?” chiede Masumi “Ti fidi di loro?”
Marc sorride debolmente, ma è ovvio che i dubbi hanno assalito anche lui.
“E’ più facile pensare che Hamill abbia carpito informazioni agli egiziani curiosi che si assiepano nei luoghi pubblici.”
“Ma tu stesso” ribatte Masumi “hai detto che in questo posto sei sempre stato al sicuro”
“C'è una talpa!” mi intrometto "Non vedo altra spiegazione!"
“Dobbiamo andarcene” mormora Marc “e che Dio ci aiuti...”
Lo prendo per un braccio.
“Il Cairo” mi dice quando Masumi è uscito “è un posto che permette di annullare un’esistenza e, nel contempo, di sbatterla sotto gli occhi di tutto il mondo. Se Hamill è furbo, ci braccherà...”
Mi preparo rapidamente, con l’angoscia incalzante e una domanda perenne nella testa: quando finirà tutto questo?
Non riesco a dominare il tremore che mi pervade.
Ho paura.
Shiori Takamiya e Peter sono due folli. Venendo a sapere delle nostre intenzioni, non potendo più mettere le mani sui diritti di rappresentazione, non rinunceranno alla vendetta di consolazione!
Mentre Marc è di sotto a preparare la jeep, sento Masumi chiamare a gran voce il nome di Maya.
Mi precipito nella loro stanza.
Trovo l’uomo, immobile, davanti al letto ancora sfatto.
“Me l’ha fatta sotto il naso...” mormora “...se l’è portata via…”
Weider entra in camera dopo qualche secondo, col respiro mozzo e zoppicante.
“Ho visto Maya” racconta “caricata a forza su un auto. Ho cercato di fermarla, ma mi è venuta addosso.”
Masumi si accascia sulla poltrona.
Il mio cellulare squilla.
Non è difficile capire da chi provenga la chiamata.
“Come pensi di farla franca?” lo aggredisco rispondendo al telefono.
“Ne uscirò meglio di quanto tu non creda, vogliosa puttanella.” mi dileggia.
Masumi mi ha strappato il cellulare per inserirne il vivavoce.
“E’ finita, Peter,” affermo freddamente “i diritti sono in mano alla signora Tsukikage ed io non sarò lo strumento per mezzo del quale ne entrerai in possesso.”
“Davvero?” domanda Hamill “Non mi importa come convincerai la vecchia, anche se io una ideuzza ce l’avrei. Voglio quei diritti o Maya morrà.”
“Sei un animale” sibilo “e sei anche un falso. So che la tua amante vuole ammazzare Maya in ogni caso, vi ho sentiti…”
Peter ride sarcastico.
“Posso sempre farle cambiare idea…so sempre come convincere le donne a piegarsi ai miei voleri. Lo sai anche tu. Non puoi negare che ti piacesse, anche.”
Incrocio lo sguardo di Marc. Le sue mascelle sono serrate.
“Va bene,” dico arrendendomi all’evidenza “contatterò subito la sensei.”
Faccio per chiudere, ma Hamill non è dello stesso avviso.
“Non ho ancora finito. Non mi servono a nulla i diritti, se non c’è una dèa. Sappi che non ti concederò mai il divorzio. Se vuoi Maya viva, dovrai tornare a casa. Farai la brava mogliettina fino a che non mi sarò annoiato. Ma le cavalle di razza come te non mi tediano mai, fattene una ragione.”
Weider impugna il telefono.
“BASTARDO!” urla disgustato“So che il diritto di ammazzarti spetta a Masumi, ma sappi che gli darò volentieri una mano!”
La voce di Peter, roca e sensuale mentre mi rivolgeva pesanti apprezzamenti, si fa sinistra e tagliente.
“Prendi nota dell’indirizzo. Chiama la vecchia!” ribadisce “E saluta per sempre il tuo amichetto tedesco.”
“Marcirai in galera” dice Masumi come se lo avesse davanti “e, se succede qualcosa a mia moglie, non farai in tempo ad entrarci.”
Hamill riattacca.
Dopo qualche secondo giunge un SMS:
“Presentati alla Fortezza Romana alle 10 di stasera. Da sola.”
Marc mi guarda affranto.
“E’ accanto al museo copto, nella Città Vecchia.” spiega con una mano davanti agli occhi. E’ come se stesse per morire da un momento all’altro.
“Dobbiamo fare quanto dice.” sussurro col cuore stretto dall’ansia.
“Tu non vai da nessuna parte, non da sola, almeno.” mi dice l’archeologo.
“Marc ha ragione.” soggiunge Masumi “Non possiamo permettere che quei criminali di Shiori ed Hamill abbiano entrambe voi.”
Apre la sua borsa da viaggio e ne estrae una pistola:
“L’ho presa dopo che i predoni ci hanno derubato alla Diga di Assuan.”
Marc va verso la sua scrivania ed apre un cassetto.
“Ne ho una anch’io.” dice “Andremo insieme!”
“Smettetela!” li richiamo coprendomi le orecchie con le mani “Vi rendete conto che quelle sono armi?”
“E che cosa dovremmo fare?” chiede Masumi sarcastico.
“Ayumi,” sussurra Marc “non ti lascerò andare da sola. Neppure Maya lo vorrebbe. Ricordati quanto vi siete dette.”
Il giovane Hayami recupera gli anfibi dalla valigia.
“Siamo in due,” dice “mentre Hamill è solo. E, per di più, ha un pesante bagaglio a mano. Questo è un enorme vantaggio.”
“Ti riferisci a Shiori?” domanda Marc scettico.
Masumi annuisce nascondendo l’arma nella tasca interna del giubbetto beige.
“Peccato abbia anche il carico da novanta...” mormoro amara pensando a Maya.
I due uomini escono dalla stanza.
Ancora in parte svestita, mi rannicchio sul letto in posizione fetale.
Sono priva di forze.
Una nausea incontrollabile mi ha assalita subito dopo aver visto Marc andar dietro a Masumi.
Sì, Ayumi, forse tutto questo finirà, ma allora perché hai dentro questa amarezza terribile?
Sembra quasi che tu abbia assistito a questa scena.
Sembra che tu sia certa del finale e quel finale lo vedi malconcio come un vecchio vestito da sposa.
Prendo il cellulare e chiamo mia madre.
“Tutto bene?” mi domanda “Ho cercato invano di rintracciarti, ero così in ansia.”
“Sto bene.” rispondo con voce ferma – troppo perché ella non se ne accorga.
“E...tuo marito?”
“Siamo sulle sue tracce.”
Cala il silenzio.
“Sai, tesoro, ieri ho tirato fuori il baule azzurro, quello che hai lasciato nella soffitta di Villa Himekawa.” racconta con tono nostalgico.
“Che idea balzana!” rido pensando alla mia enorme scatola dei ricordi.
“Non so perché l’ho fatto.” continua la mamma “Sentivo il bisogno di averti vicina, in qualche modo, e, nel frattempo, pregavo affinché la tua felicità fosse completa.”
“Ti ringrazio...” mormoro commossa “Gli dèi hanno accolto la tua invocazione, regalandomi momenti meravigliosi e indimenticabili.”
Di nuovo senza parole.
“Mamma,” dico mentre le lacrime solcano, silenziose, le mie guance “tornerò presto. Sono certa che, in qualunque posto mi trovi, in qualsiasi situazione io versi, alla fine di tutto mi ricongiungerò con te e con tutti quelli che amo.”
Tronco la chiamata prima che ella possa replicare, incapace di sentirla piangere e disperarsi per causa mia.
Cerco nella rubrica del cellulare il numero di casa della Tsukikage.
“Le domando scusa per l’ora, Genzo-san,” dico riconoscendone la voce “ho urgente bisogno di parlare con la sensei.”
“Che cosa è successo?” chiede angosciata la donna, rispondendo al telefono.
“E’ successo un fatto assai grave. Delle persone hanno rapito Maya per mettere illecitamente le mani sui diritti di rappresentazione.”
“Che cosa?” domanda l’anziana quasi senza fiato.
“Minacciano di ucciderla, se non ci pieghiamo alla loro volontà. Mi ascolti, in giornata dovrebbe ricevere una chiamata da parte di Peter Hamill. Usi le sue doti di attrice, perché, quando riattaccherà, quel bastardo dovrà essere convinto di aver centrato il bersaglio.”
Odo un grande trambusto, come se, all’altro capo del filo, avessero ridotto in pezzi delle stoviglie.
“Pensavo” mormora la sensei “che, con Eysuke Hayami sotterra, tutto fosse finito. E, invece, questa scia che perpetua la morte è ancora qui, tangibile, urlante…”
Saluto velocemente, adducendo la scusa di dover tenere libera la linea.
Marc è rientrato in silenzio, col volto teso e pallido.
Viene a sedersi sul letto, accanto a me.
“La sensei sa tutto.” gli comunico. Tento di alzarmi, ma egli mi trattiene per un polso.
Poi, prima che potessi chiedergli spiegazioni in merito, armeggia con la mia mano sinistra, infilandomi un anello all’anulare.
E’ arrossito, incrociando i miei occhi sorpresi.
“E’ tutto ciò che ho della mia vera madre.” spiega schiarendosi la voce “Quando i Weider mi adottarono, uscii dall’istituto con una catenina al collo. Al posto di un normale pendente, c’era questo anello. La suora disse ai miei che era appartenuto alla donna che mi ha messo al mondo.”
Osservo la semplice fascetta in oro bianco commossa.
“L’ho sempre portata con me,” continua Marc “ma, adesso, è giusto l’abbia tu, che sei l’altra metà della mia anima.”
Lo abbraccio con calore, esprimendo incontenibile gioia.
“Ti amo così tanto!” sussurro baciandolo.
“Andrà tutto bene...” dice lui “...deve andare tutto bene!”
L’ultimo contatto col reale, prima di abbandonarmi al piacere disperato che mi pervade, è dato da questo anello, che, in un secondo, pare aver convogliato su di sé il calore dei nostri corpi.

Il tempo galoppa impietoso, quando la mèta è amara come il fiele.
Alle nove di sera salgo su un vecchio taxi - una Mercedes del ‘78 forse - e, col cuore stretto dall’angoscia, mi faccio portare alla Città Vecchia.
Marc e Masumi sono già nei pressi della Fortezza Romana e la cosa mi rassicura un poco.
Ma, proprio mentre l’auto sta svoltando a destra dell’edificio che ospita il Museo Copto, una persona in abiti locali, col viso coperto, ferma il mio autista.
Gli porge dei soldi.
“Lei scende qui, signora” mi dice sorridendo.
Ho un tuffo al cuore.
L’uomo che mi apre la portiera, dopo aver allungato al tassista una banconota da cinquanta dollari, è Peter Hamill.
Si toglie il cappuccio.
“Non era questo il luogo convenuto...” protesto debolmente.
Ride sarcastico.
“Cambia qualcosa, forse?”
Mi spinge dentro la sua automobile.
“Manda un messaggino al tuo amante, Ayumi,” ordina Peter “digli che stiamo andando a Giza…”
“Non ho nessun amante!” sibilo sconcertata.
“Sei un pezzo di ghiaccio,” ribatte lui passandomi un dito sulle labbra umide “ma, quando ti innamori, non capisci più nulla. Io ti conosco bene…”
Giro la testa di scatto per sfuggire a quel tocco insulso.
Indugia sulle mie braccia, mentre copro spaventata la mano sinistra.
“Accidenti, sei proprio abbronzata.” mormora dopo un poco “La tua pelle di seta rischia di seccarsi. Ho una crema speciale, sarò lieto di impiastricciarti un poco, più tardi…”
Lascia la frase in sospeso ben sapendo di fomentare l’orrore che è in me.
“Dov’è Maya?”
Hamill mi guarda di sottecchi.
“Ti sto portando da lei.” risponde.
“Sarà meglio per te che stia bene.” dico con tutto il rancore che ho in corpo.
“Stai tranquilla,” afferma “non nutro alcuna attrazione per quelle come lei. Spero solo che Shiori non si stia divertendo troppo. E’ insaziabile, quella donna. Commette un orrore dopo l’altro senza batter ciglio.”
Giungo entrambe le mani per placarne i tremori.
“Forza,” ordina Hamill “manda quel messaggio, così sarà più divertente. Immagino che la strizza abbia messo KO i tuoi amichetti, laggiù alla Fortezza…”
Siamo stati degli sciocchi.
Non abbiamo minimamente pensato all’eventualità che Peter potesse cambiare idea all’ultimo minuto.
Mentre digito il messaggio, sento dentro la stessa incertezza di stamattina.
Mi tornano in mente il vestito da sposa ormai consunto in più punti, la mia scatola blu, la mamma, la dèa scarlatta e poi Maya e Marc.
“Vedrai come ti piacerà tornare alla vita normale.” dice Hamill mettendomi una mano sul ginocchio “Avremo soldi a palate e successo. Sono convinto che certi scrupoli, dopo che avrai fatto fuori la tua rivale, passeranno.”
Adesso sembra di sentire parlare Shiori Takamiya: usa persino le sue stesse parole, i suoi toni affettati.
“Non era questo il patto!” urlo “Maya deve tornare libera!”
Peter ride fintamente dispiaciuto:
“Ho cercato di convincere Shiori, ma non ne vuol sapere. Magari, possiamo provarci insieme. In fondo, è una povera mentecatta, ammalata per giunta. Si lamenta come un vitello, sotto il sole cocente d’Egitto. Basterebbe un niente per spezzarle il collo...”
“Sei un balordo!” mastico disgustata.
Mi colpisce violentemente sulla testa col calcio della pistola.
Perdo i sensi, ma non del tutto.
Mentre percepisco il rumore del motore, i pensieri tornano ad affollare la mia mente in veste di sogni ingrati.


“Mi chiamo Maya Kitajima…”
“Ti va un parfait al cioccolato?…”
“Scambiamoci le nostre vite…”
“Era così bella la tua sirenetta…”
“Tu mi conosci più di chiunque altro…”
“Smetti di pensare alla vita come fosse il provino per uno spettacolo importante…”

E poi vedo Marc.
E’ seduto su una seggiola accanto a un letto d’ospedale: il suo sguardo è perso nel vuoto.
C’è qualcuno steso sul letto ed è coperto, come fosse morto.
C’è qualcosa che penzola: è una mano.
Riconosco l’anello che mi ha dato.
“Non posso perderti adesso, anche se so che ti riincontrerò di certo, non posso sopportarlo. Perciò, ti prego, svegliati o portami con te…”
“MARC!!!” urlo ridestandomi.
“Siamo arrivati.” dice Hamill scendendo.
Fino a due giorni fa questo posto mi sembrava meraviglioso, magico, pieno di speranza.
Ah, mi duole la testa.
Osservo con nostalgia la piramide maggiore, quella di Cheope e poi la cuspide di quella di Chefren, ancora miracolosamente coperta di marmo pregiato.
Il Parco Archeologico è illuminato da lampade a risparmio energetico così fioche da sembrare meno luminose delle stesse stelle del cielo.
Cammino un po’ incerta per le rovine, pensando a Marc e a Masumi, che si saranno precipitati in strada per venire sin qui.
Quando mi attardo per via dell’ansia e della stanchezza, Peter mi spinge usando la pistola.
Il freddo del metallo sulla schiena mi pare di non avvertirlo neanche.
Fino a che non vedo lei.
Quando vedo lei, i miei occhi si riempiono di lacrime.
“Che cosa le avete fatto?” dico con un fil di voce.
Maya ha gambe e mani legate dietro la schiena con una stessa corda. E’ bendata, ha un pezzo di scotch sulla bocca e i suoi capelli sono rasati o, forse, bruciati.
Shiori Takamiya, in vesti di improbabile muezzin, è accanto a lei con un accendino in mano.
“Carina, vero?” domanda sarcastica “Per completare l’opera aspetto che arrivi il mio futuro marito...”
“Tu sei pazza…” mormoro “Non sei neppure un demonio, sei solo una pazza!!!”
Mi avvento contro di lei, ma Peter, prontamente, mi ferma.
“La scena è completa.” dice indicando la figura imponente di Masumi che avanza per il corridoio sterrato.
Ha il cipiglio freddo e seccato dei tempi peggiori.
Marc non è con lui!
Mi lancia uno sguardo fugace, poi porge ad Hamill un fax.
“La signora Tsukikage ha disposto a che i diritti di rappresentazione de La dèa scarlatta vengano intestati congiuntamente a te e a Shiori.” dice col tono sordo “Adesso, non ti resta che lasciare andare Maya.”
Peter afferra il foglio, lasciando che Masumi si avvicini a sua moglie: le toglie delicatamente la benda e il cerotto, scioglie con difficoltà i nodi possenti che le legavano gli arti - manco avesse una stazza da lottatore di sumo! - le adagia sulle spalle il suo giubbetto.
Mentre Hamill sta per dire qualcosa, Marc, con un guizzo felino, blocca Shiori per i polsi.
“Stavolta le regole le dettiamo noi!” urla inferocito.
Peter ride di gusto.
“Puoi anche tenertela!” dice “Ho tutto quello che mi serve!”
E' pazzo quanto e più di Shiori, ora non ho dubbi.
Come può pensare anche solo per un istante di farla franca? A meno che non ci uccida tutti, trascorrerà il resto dei suoi giorni in galera.
Peter mi prende per mano e mi trascina su per la piramide.
“La dèa scarlatta è mia!!!” urla in preda ad un delirio di onnipotenza senza precedenti.
Poi si ferma di scatto sul secondo gradone.
“Bel giocattolino, vero?” chiede a Marc.
Mi accarezza le spalle con la canna della pistola.
Raggiunge la mia bocca socchiusa: sento il sapore dolciastro del metallo sulle labbra.
Sigillo gli occhi.
E allora, che, tenendomi ferma, si accorge che porto un anello.
Un anello che non è il suo.
Sembra impazzire ancora di più, mentre armeggia con la pistola in mano nel tentativo di sfilarmelo.
“Toglitelo!” urla isterico.
E’ talmente violento che temo possa strapparmi l’anulare.
Sento l’osso spezzarsi e la pelle lacerarsi quando, con le unghie, ha la meglio sul monile e sulle mie inutili resistenze.
L’anello cade in terra, emettendo suoni cristallini.
Marc lascia andare Shiori con un violento strattone e corre verso di noi, incapace di assistere ancora a quello scempio.
“Marc, che cosa fai? penso assurdamente “Non si può fare free climbing a Giza! Rajid ti rimprovererebbe...”
La lucidità mi abbandona: forse sto per morire, è questo il motivo.
Cerco con lo sguardo Maya: Masumi se la stringe al petto, impotente, mentre Shiori, con gli occhi sbarrati, è riversa per terra.
“Fai ancora un passo e l’ammazzo...” sibila Hamill.
“Non farai niente del genere!” gli dice Marc “L’hai detto tu…senza Ayumi dei diritti di rappresentazione non te ne fai nulla.”
Il fotografo sogghigna:
“Hai ragione, quello di troppo sei tu!”
Preme il grilletto.
Il rumore dello sparo echeggia fra i monumenti millenari, mentre il corpo di Marc precipita innaturale giù per i gradoni.
Poi si ode un’altra detonazione.
Il sangue mi schizza sul viso, mentre sento la presa di Hamill venir meno.
Mi giro verso di lui e constato con raccapriccio che ha un buco in fronte.
I suoi occhi aperti, più grigi che mai, sembra si rifiutino di accettare la fine inattesa.
Mi precipito dabbasso per soccorrere Marc.
Masumi col braccio ancora teso, brandisce la pistola.



“E’ tutto scuro.”
“Dove sei, Marc?”
“Non avere paura, quando la vita ricomincia è sempre buio.”


Il dolore pungente all’anulare sinistro mi risveglia. Ho una vistosa fasciatura e un ferro che pare ingabbiarlo.
Mi alzo dal letto piano, cercando di dominare il profondo senso di vertigine che mi attanaglia.
In corridoio, scorgo Masumi che dorme stancamente su una seggiola.
Mi avvicino a lui per ridestarlo, mentre sento le labbra tremare.
“Dove sono?” domando debolmente.
Non avendo risposta immediata, chiedo più forte: “Dove sono Maya…e Marc?”
Sbatto con violenza i pugni sulle sue spalle, quando incontro quei suoi occhi azzurri come il cielo sfocati a causa della commozione.
“Tu non puoi piangere...” dico “Tu sei Masumi Hayami, non devi piangere, tu sei una roccia…”
Le infermiere si precipitano in corridoio per fermarmi.
“Lasciatemi!” singhiozzo.
La puntura di un ago mi penetra il braccio, mentre una delle due donne mi riporta a letto.
“Masumi…” chiamo di nuovo “...devo vedere…”
L’infermiera mi sorride.
“Stia calma ora,” dice “potrà vedere la sua amica più tardi.”
Il giovane Hayami entra in camera. Si passa una mano fra i capelli.
“E’ morto, vero?” domando annientata.
“No,” dice Masumi “non ancora. La pallottola gli è come esplosa all’interno del polmone sinistro.
Poi aggiunge con voce sempre più incerta:
"Io non sono un dottore, non so cosa significhi questo, dal punto di vista medico, ma mi hanno detto che non soffrirà a lungo.”
Deglutisco.
“E Maya?”
L’uomo sospira:
“Shiori e Peter l'hanno imbottita di droga e psicofarmaci. Spero riesca a superare lo shock e che torni ad essere quella di sempre.”
“Voglio vedere Marc.” dico sollevandomi “Voglio tenergli la mano ancora una volta.”
Masumi annuisce.
Mi sostiene per la vita, portandomi fino all’ingresso della terapia intensiva.
“Non posso entrare con te” dice “e devi indossare il camice sterile.”
Mentre la porta automatica si chiude alle mie spalle, avanzo piano lungo il corridoio privo di finestre, pregando che sia un sogno.
Presto, mi risveglierò a casa mia, a Tokyo.
“Dèi, ve ne prego. Preferisco rinunciare all’altra metà della mia anima piuttosto che sopravvivergli...” mormoro giungendo le mani.
Nella stanza di Marc c’è un uomo.
Inizialmente, ho pensato fosse un medico, ma non indossa il camice sterile.
Apro piano la porta, ma la rabbia che mi monta dentro è incontrollabile.
“Come osa entrare qui senza accorgimenti?” chiedo.
L’uomo sorride e mi mostra l’anello di Marc.
“Sono venuto a restituirlo.” mi spiega “Ero laggiù quando è accaduta la tragedia.”
Non capisco quasi nulla di quel che dice.
Parla uno strano dialetto giapponese e non è un egiziano di certo.
“Chi è lei? Non credo nell'aldilà né nella morte che prende sembianze umane...” domando allontanandolo dal letto su cui giace Marc.
Ride di gusto.
“Lei sarà una splendida Akoya.” mi dice “Senza volerlo, ha reso perfettamente l’espressione della donna nel momento in cui gli abitanti del villaggio cercano di cacciare Isshin morente.”
“Ma che cosa ne sa?”
“Sono l’angelo della morte!” scherza “Lo ha detto lei!”
Ritorna serio in un istante.
“Non è giusto.” dice “Non è possibile che Marc muoia adesso.”
L’elettrocardiogramma scandisce il trascorrere del tempo impietosamente.
“Hanno detto che è questione di ore.” singhiozzo piano, accasciandomi davanti al suo letto.
L’uomo si inginocchia vicino a me.
“No,” mormora “lui vivrà perché non è come suo padre. La sua volontà di vivere è ferrea, soprattutto dopo aver incontrato lei e dopo avere compiuto la scoperta archeologica del secolo. Vive del suo lavoro e di amore generoso, non teme le convenzioni sociali. Lei non sa cosa ha detto a Ranja la sera in cui è andata da lui: Se anche ti avessi sposata, ti lascerei all’istante perché è un’altra la donna che amo. La aspettavo da sempre ed ora è qui…non posso rinunciarvi.”
Piango silenziosamente.
“Suo padre" continua l'uomo "non aveva un briciolo di coraggio. Marc ha il carattere di ferro di colei che lo ha messo al mondo, una donna che ha attraversato a piedi un Paese bombardato per andare a riprendere l’uomo che amava.”
“Ma i genitori di Marc lo hanno abbandonato.”
Mi guarda con rimprovero.
“E pensa che quella stessa donna che andò a cercare il suo uomo avrebbe mai potuto abbandonare la sua creatura?” chiede.
“No,” continua sconvolgendomi “le fu barbaramente strappato. Le fecero credere che Marc era morto! Il male in persona, quella volta, si mobilitò scatenando l’essere più abbietto che era alle sue dipendenze!”

L’uomo conclude l’assurdo discorso con un sospiro.
“Abbia fede,” dice mettendomi una mano solidale sulla spalla “sono sicuro che lei e Marc vivrete a lungo e felicemente insieme.”
Fa per andarsene.
“Chi diavolo è lei?” domando cercando di prenderlo per il braccio, ma inutilmente.
Mi guarda con occhi intensi.
“Sono il mèntore di Marc Weider. Credo che gliene abbia parlato.”

Le giornata sono piuttosto nuvolose, da quando siamo stati portati in ospedale.
I dottori non hanno voluto ancora dimettermi, reputando le mie condizioni psicologiche instabili.
Io ci rido su, perché, a differenza di me, che ne uscirò presto, una certa persona non lascerà mai più l’ospedale psichiatrico.
Quanto accaduto nell’arco di un mese, in effetti, ha dell’incredibile.
La mia amica - o come dice Marc, il <mio mèntore> - si è ripresa rapidamente.
Lo scherzetto di Shiori – bruciarle i capelli – le ha come “aperto” la mente e, adesso, sfoggia un caschetto ancora cortissimo ma delizioso: io la prendo in giro, dicendole che sarà molto più semplice indossare parrucche di scena.
Maya finge di dolersene, perché, secondo lei, Akoya ha i capelli del suo colore e, volentieri, avrebbe fatto a meno di artifici da coiffeur.
La stanza di Maya trabocca di rose scarlatte di dubbia provenienza.
Masumi ha detto che arrivano da Sharm, la località marittima sul Mar Rosso più “occidentale” che esista. Non so perché, ma io non ne sono convinta.
Marc è migliorato a vista d’occhio: appena ripreso conoscenza, per prima cosa, ha avuto da ridire sul mio pigiama con le sfingi.
Ha subìto altri interventi, ma, a giudicare dalla sua voglia di scherzare, il miracolo può dirsi compiuto.
Anzi, sono propensa a pensare che egli stesso sia un miracolo.
E così, siamo arrivati alla fine della nostra permanenza in territorio egiziano.

Abbiamo deciso di ripartire per il Giappone tutti e quattro insieme non appena le condizioni di Marc lo hanno consentito.
Il mio fidanzato, rompendo la promessa fatta ai medici di starsene tranquillo per almeno un altro mese, è andato allo scavo di Giza per definire delle questioni con Ranja. E ha promesso allo staff di ritornare dopo dieci giorni al massimo per riprendere a scavare.
Io non ho obiettato, anche perché, essendo una maniaca del mio lavoro, posso capire perfettamente la sua passione per l’archeologia.
“Si ama il proprio simile”, dicevano i saggi ed io credo che ciò corrisponda a verità.

“A cosa pensi?” mi domanda Marc, slacciandosi le cinture di sicurezza.
L’aereo per Tokyo è decollato senza alcuna difficoltà, complice l’aria secca del Nord Africa.
Sono indecisa se dirglielo.
“Al mèntore.” dico vaga dopo qualche istante.
“E’ seduta qui dietro.” mi prende in giro lui.
“No,” rettifico “non al mio, ma al tuo.”
Weider mi guarda stupefatto.
“Come può essere il tuo mentore una persona che non hai mai conosciuto?” domando.
Fa un gesto vago con le mani:
“Non lo so. E’ come leggere Shakespeare o Goethe e decidere che i sentimenti da loro espressi ti rappresentano a 360 gradi.”
“Autosuggestione, direbbero i medici,” affermo indugiando sull’anello d’oro bianco “ma io l’ho visto, ci ho parlato.”
“Con chi?” chiede Marc non del tutto convinto.
“Con Oozachi” rispondo con tono di voce flebile.
Gli scappa una sonora risata.
“Andiamo!” dice lui “Io credo che ci siano persone destinate ad essere legate per la vita e anche dopo, in qualche modo, ma non crederò mai nell’esistenza di fantasmi che vivono accanto a noi.”
Mi scompiglia i capelli, mentre lo fisso con vergognoso rimprovero.
“Ti sembra che una come me,” obietto “razionale e logica all’eccesso possa mettersi a dire bojate?”
Marc alza le sopracciglia.
“Magari,” risponde “la mia frequentazione ha fatto sì che emergesse la tua vena goliardica…”
Non posso fare a meno di sorridere, dandogli dello sciocco.
Mi prende la mano.
“Cosa ti ha detto il fantasma?” chiede dopo un po’.
Sospiro rispondendo alla sua stretta.
“Ha parlato dei tuoi genitori naturali,” racconto “descrivendo tuo padre come un debole e tua madre come una donna forte e capace di grande generosità in nome dell’amore. Proprio il fatto che tu somigli a lei è la causa della tua pressoché miracolosa guarigione.”
Marc sorride a labbra strette:
“Forse Ichiren conosceva i miei. Io sono nato a Nara, in fondo.”
Lo guardo sconcertata:
“Fino a due secondi fa, hai detto di non credere nei fantasmi ed ora ragioni per assurdo?”
Lo vedo incrociare le mani dietro il collo, titubante.
“Ho fatto un sogno, mentre ero incosciente.” confessa “C’era un bambino in fasce in braccio ad una donna bellissima: quel piccino ero io. D’improvviso, mi son ritrovato adulto, immerso nel buio. Tu eri accanto a me ed io ti rassicuravo dicendoti che, al principio, tutto è sempre buio. Poi, dalle tenebre, è emersa la figura di Oozachi e mi ha detto le stesse cose che hai appena raccontato.”
“Incredibile...” mormoro.
“E’ solo un sogno, Ayumi, e l’uomo che hai visto tu potrebbe essere chiunque. Magari ci ha sentiti parlare quando eravamo ospiti alla pensione Rabal.”
Annuisco.
“Sì, sarà così. Infatti mi ha anche raccontato della tua conversazione con Ranja, la sera in cui ella è tornata a cercarti.”
Appoggia il capo al sedile.
“Sapeva anche questo? Ha smascherato il mio tradimento, per caso?”
Ride di gusto.
Mi appoggio a lui, deliziata dalla sua espressione limpida e sincera. Il suo sorriso è l’unica cosa che desidero coltivare per tutto il resto della mia vita. Non potrei mai perdonarmi, se egli cambiasse la sua indole per causa mia.



Appena giunti a Tokyo, ho portato Marc a Villa Himekawa e, di seguito, al Kid’s Studio.
Gli ho presentato la signora Tsukikage ed egli ne è rimasto incantato.
Ha sfogliato per un intero pomeriggio le foto di scena degli spettacoli che hanno segnato un’epoca, facendosi raccontare di Ichiren e della Valle dei Susini.
“Prima di rientrare in Egitto,” dice “vorrei tanto tornare laggiù.”
“Come conosce la Valle?” gli ha chiesto sorpresa l’attrice.
“Ci sono nato,” spiega Marc “trentasette anni fa, ma i miei genitori mi hanno abbandonato.”
Si alza.
La sua faccia è triste ed io sento l’impulso di dirgli che non è così, che sua madre lo amava, ma è stata ingannata.
“Tutto quel che ho della donna che mi ha messo al mondo è questo anello, che ho regalato ad Ayumi. L’ho tenuto al collo per tutti questi anni, come fossi in attesa di qualcosa, che, però non ha trovato realizzazione.”
“Signora Tsukikage,” mi intrometto “Marc è un grande estimatore delle opere del maestro Oozachi. Lo ritiene addirittura il suo mèntore.”
“Che cosa curiosa,” risponde l’anziana “Tu gli somigli molto, fisicamente, anche se hai i capelli neri.”

Sono uguali ai suoi, non lo vedi?

Marc scuote la testa come qualcosa gli fosse entrato nelle orecchie.
“Che succede?” domando spaventata.
Si siede sulla poltrona, portando una mano alla testa.
“Nulla,” mormora “forse mi sono stancato un po’ troppo.”
“Come conosce Oozachi?” chiede la Tsukikage versandogli del tea “Lei è praticamente un tedesco e la letteratura teatrale delle nostre parti non è molto nota in Occidente.”
Marc sospira sorseggiando la bevanda:
“E’ stato quando ho saputo di essere stato adottato. Sono andato alla Valle, perché è lì che la mia presunta madre è stata avvistata l’ultima volta, e, visitando il Tempio, ho trovato i quaderni autografi del maestro. Fu una vera rivelazione. L’amore di anime, gli spiriti affini, la saggezza delle creature, uniche nel loro genere e, pur tuttavia, facenti parte dell’uno. La sua filosofia mi aprì la mente e il cuore. Mi diede speranza, mi fece riscoprire che non ero solo un ragazzino rifiutato o venuto al mondo per sbaglio. A sedici anni, idee come queste provocano un certo sconcerto, converrà con me.”
La signora Tsukikage annuisce un po’ commossa.
“Lei” continua Marc “è l’altra metà dell’anima del mio mèntore. Sono onorato di essere qui.”
“Hai capito molto bene lo spirito di Ichiren” soggiunge la donna “e sei un Isshin perfetto per Ayumi.”
Sorridiamo entrambi, guardandoci negli occhi.

Epilogo I.

La mia razionalità ad oltranza contro la sua “scienza” ricca di sentimenti.
Siamo proprio fatti per stare insieme, io e Marc.
Al Kid’s Studio, io e Akame stiamo provando la scena del ritrovamento di Isshin nel cuore della Valle, poco distante dalla zona proibita. Akoya è turbata dall’uomo ammalato che tiene tra le braccia. Capisce in un lampo che è vivo, ma versa in condizioni disperate.
Il suo sguardo è rapito dalla bellezza del giovane, che, con le labbra schiuse, pronuncia una preghiera sconosciuta alla dèa.
Marc sta guardandomi con intensità: mi sta ammirando, ma non è solo questo.
Mi dice qualcosa ed è una domanda cui, mio malgrado, non posso rispondere.

Dimmi, Akoya, se io fossi morto, come avresti reagito?
Alla luce di quanto abbiamo vissuto, con che stato d’animo avresti accusato il colpo?
Avresti gioito del mio ritorno fra gli elementi?
Le anime dei morti non vivono fisicamente con noi - ne sono certo - ma il loro esempio, il loro calore è sempre presente.
Non è solo mero ricordo: è pura essenza.
Se fosse così, non ci ricorderemmo di loro che per un breve istante e quando si presentano certe condizioni esistenziali che stimolano la rimembranza.

Non lo so,Isshin.
Razionalmente, sono consapevole del fatto che la mia anima è destinata a te per altre dieci, cento, mille altre vite.
E, tuttavia, quando ho battuto i pugni sulle spalle del capo villaggio, che non osava confessarmi in quali condizioni versavi, ho sentito il cuore dividersi in due.
E’ stato come se stessi morendo insieme a te.
Se ti avessi perso così presto, non me ne sarei fatta una ragione tanto facilmente e, comunque, nessuna gioia del certo, futuro rincontro, mi avrebbe consolata.
Forse non sono ancora abbastanza saggia.
La consapevolezza di quel che sono stata tarda ad arrivare e questo sentimento inatteso mi blocca in questa dimensione con forza inaspettata.

No, Akoya, siamo dèi e figli di dèi, ma anche uomini di carne e sangue.
E vorremmo sempre che il nostro amore stesse davanti a noi, in perpetuo.

Mi giro verso Marc per guardarlo negli occhi.
Ora è distratto dalla lettura del copione e sembra talmente assorto da fare paura.
Sto recitando la nostra storia.
Adesso, non mi impressiona più di tanto il fatto che a vestire i panni di Isshin sia un attore di talento, ma gretto nello spirito. Ciò che conta è che Kei Akame faccia vivere degnamente Isshin e, come mi ha insegnato Maya da brava rovina spettacoli, il mio cuore supplirà le sue pecche emotive.
“Sai cosa pensavo?” domanda Marc, quando, terminata la scena, lo raggiungo per dissetarmi.
“Cosa?”
“Che sarebbe carino se tu recitassi ne La dèa scarlatta a Giza.” risponde.
Lo guardo come stesse dicendo qualcosa di assurdo.
“Perché?” torna a chiedermi lui leggendomi nel pensiero “Perché ti sembra pazzesco? È un luogo meraviglioso, arcano quanto la Valle.”
“Ma non ha nulla a che vedere con la tradizione giapponese. E’ un politeismo completamente diverso.”
Marc sorride.
“Voi giapponesi siete conservatori ad oltranza. Ragionate per compartimenti stagni. E’ un modo di fare che può andar bene per la ricerca scientifica, in cui siete i primi al mondo, ma non fa bene all’arte.”
Giocherella con la penna.
“Pensa al teatro.” continua “Pensi che Oozachi sia da meno di Shakespeare?”
Nego col capo, ma non sono convinta del tutto.
La nostra cultura non può facilmente mescolarsi con elementi estranei.
Ho sempre pensato che la contaminazione sia sinonimo di perdita di significato.
Onodera si avvicina per udire la conversazione.
“Ma io e te <siamo diversi>” sta dicendo Marc “io sono un tedesco, tu sei giapponese. Io sono luterano e tu scintoista. Stiamo forse venendo meno alle nostre origini, stando insieme?”
“E’ un discorso interessante, vada avanti.” si intromette il regista.
Eccolo lì, pronto a tramare, a rubare le idee altrui come sempre: sono preda del disgusto.
Per superare Ryuzo Kuronuma venderebbe l’anima al diavolo.
“Ricordi” dice Marc fingendo di non vederlo “la versione ottocentesca dell’Amleto di Kenneth Branagh? O la rivisitazione dell’Aida alla Scala di due anni fa? Avresti mai pensato a un tale rivolgimento di scena su un classico?”
“Così” si riintromette Onodera “pensa che l’ambientazione egiziana possa dare ancora più rilievo ad Ayumi?”
Marc lo guarda con semplicità:
“Perché no? In fondo, è laggiù che ha compreso l’anima di Akoya.”
Il regista inarca le labbra soddisfatto.
“E’ un vero peccato che lei non possa calcare le scene con la signorina Himekawa.” dice.
“No,” risponde Marc “io sono un visionario, pessimo nel mettere in pratica le mie fantasie. Ma lei, signor Onodera, ha una bella gatta da pelare, adesso. Perché se le mie idee saranno realizzate in modo insoddisfacente, non ci sarà nessuna dèa sul palco.”
Lascio i due uomini discutere animatamente e raggiungo lo studio accanto.
Maya e Sakurakoji stanno provando la scena in cui Isshin chiede ad Akoya di rivelargli il suo nome.

“La mia testa è piena di cose, le riassume, ma non riesco a dar loro un nome. Come posso darne uno a te?” sta dicendo Maya con profonda angoscia nella voce.
Yuu insiste, trattenendola per un polso.
“Io sono venuto qui per adempiere ad una missione.” si ribella “Se non me ne ricorderò, accadrà l’irreparabile...”

Eccolo qui, il genio di Kuronuma.
Il palco vuoto, immerso nell’oscurità più profonda, sembra una galassia dentro l’infinito: un unico faro illumina i due protagonisti e sempre nello stesso istante.
E’ il simbolo della loro comune essenza.
“Sono bravissimi.” mormoro stringendo un poco i pugni.
Solo dopo qualche istante, mi accorgo che Masumi è dietro di me, appoggiato alla parete.
“Ciao.” gli dico.
Fa un cenno di saluto.
Indossa un vestito scuro e l’immancabile impermeabile beige che gli conferisce un’aria da dandy.
Si gratta la fronte un po’ perplesso.
“Che cos’hai?” gli chiedo accostandomi.
“Non mi abituerò mai a vederli insieme...” risponde, mentre prende il pacchetto di sigarette in mano. Lo fisso con rimprovero ed egli se lo rimette in tasca.
“E’ uno spettacolo teatrale.” gli faccio notare.
“No,” mi blocca “è molto di più e tu lo sai.”
Sospiro.
Masumi è molto possessivo, quando si tratta di Maya. Ha lottato talmente tanto per averla con sé che adesso non può impedirsi di seguirla come un’ombra.

A Giza, brandendo la pistola contro Hamill, avevo visto i suoi occhi azzurri diventare rossi di collera atavica, come se il bene e il male in lotta fra loro si confondessero.
Quel che più mi ha scioccata è stato constatare che avrebbe ucciso chiunque avesse fatto del male a Maya: se non fosse stata Ranya ad impugnare il fucile di precisione e ad ammazzare Hamill, lo avrebbe fatto lui e senza rimpianti.

Mai Aso entra nello studio con un pacco enorme in mano.
“Sarà una torta a tre piani...” penso reprimendo le risa.
“Guarda,” dico a Masumi mentre indico la ragazza col dito “ecco ciò che ti serve per scacciare collera e gelosia!”
Il giovane Hayami mi guarda ironico.
“Non vorrai mica paragonarla a Maya?” domanda “E' insignificante e, se mia moglie schioccasse le dita, Sakurakoji la mollerebbe all’istante.”
Mugugno.
“Davvero?” dico “Anche noi, tempo fa, pensavamo la stessa cosa di te e Maya. Come può, ci si chiedeva, il giovane presidente della Daito, bello come il sole, intelligente, scaltro negli affari, posare gli occhi su una creatura tanto insignificante quale è Maya?”
Mi guarda sconvolto:
“Parli sul serio?”
Rido di gusto:
“Certo che no! Maya è un essere speciale ed io la adoro. Ma anche Mai lo è, anche se noi non lo vediamo. Non esistono esseri inutili e, forse, la giovane cuocattrice rappresenta per Sakurakoji più di quanto egli stesso non voglia ammettere.”
Taccio, rapita dalla scena dell’innamoramento, che stanno recitando in modo magistrale.


Isshin, Isshin,
siamo nati fuori dal tempo, ma viviamo assoggettati ad esso, fino a che non torniamo in seno alla natura.
Amami fino a che splenderà il nostro giorno, poiché io, oggi, ho capito per qual fine sono venuta al mondo…

Akoya, Akoya…
Tu sei nata per me. Sei la fonte unica del mio riposo e sollievo alla fame in tempo di carestia.
Vorrei per sempre essere unito a te, come in questo istante.
Vorrei poter respirare il fragranza dei fiori di susino che scaturisce dal tuo petto.
Toccarti come sto facendo, per sempre.

Sì, Yuu è ancora innamorato di lei, ma gli amori dell’adolescenza sopravvivono per sempre.
Sono miraggi infiniti, che racchiudono la fuggevolezza ansiosa del tempo.
E, con l’andare delle cose, finisci per fartene una ragione e, come nel mio caso, scopri che gli dèi hanno preparato qualcosa di meglio per te.
Masumi mi prende sottobraccio.
“Stai pensando a Peter?” mi chiede con rammarico.
“Sto pensando a quel che credevo fosse,” rispondo “ma cercherò di pensare a lui come ad un amore d’infanzia per non ricordare solo il disgusto.”
Mi torna in mente Shiori Takamiya e domando a Masumi che ne è stato.
“Non potevo credere alle mie orecchie,” racconta “quando Mitzuki mi ha portato le testate del gruppo Chuo in cui veniva annunziato a suon di fanfara il suo fidanzamento con uno sceicco arabo quarantenne.”
Rimango scioccata.
E’ andata a chiudersi in un castello in mezzo al deserto, proprio lei che, con tutta l’anima, desiderava sfuggire alla noia della sua casa.
“Pare” continua Masumi “che, dopo esser stata dimessa dalla clinica psichiatrica in cui suo nonno l’aveva fatta ricoverare, sia andata in vacanza nella Penisola del Sinai, sul Mar Rosso, e che lì abbia fatto amicizia col figlio di un ricchissimo magnate del petrolio. Neanche una settimana e si sono fidanzati.”
“Durerà?” chiedo ironicamente.
Masumi solleva le sopracciglia:
“Ci sono donne che sembrano nate per subire. Ma Shiori ha scelto da sola il suo destino. Comunque vada, è se stessa che deve ringraziare.”
Mi appoggio al braccio del mio amico, sentendomi d’improvviso spossata.
“Stai bene?
Masumi mi osserva preoccupato.
Lo tranquillizzo.
Manca poco alla prima ed io sto poco bene già da qualche giorno.
Sono la persona più felice del mondo, ora che ho Marc con me, ma, al tempo stesso, una malinconia latente mi attanaglia. A volte, è così forte da provocarmi nausee e capogiri.
Mi chiedo quando finirà tutto questo e potrò godermi la felicità in pieno.
Quando egli mi raggiunge, brandendo il suo biglietto aereo, mi sento ancora peggio.
“Tornerò in tempo per lo spettacolo dimostrativo.” dice baciandomi teneramente sulla fronte “Ho promesso ad Onodera di mandargli per tempo l’immagine della piramide esagonale che ho riportato alla luce perché venga presa a modello dai suoi scenografi.”
E’ entusiasta come un ragazzino, mentre corre verso l’uscita degli studi.
La mamma, che nel frattempo mi ha raggiunta, ha appoggiato la sua mano sulla mia spalla.
“Ayumi,” dice “credo sia ora di andare da un medico. Non mi piace per nulla questo carico di stress che ti porti dietro da qualche tempo.”
Mi si riempiono gli occhi di lacrime:
“Ho solo bisogno di Marc e lui sta andandosene!”
Mi porto una mano alla testa, cercando di riappropriarmi della mia razionalità.
“Andiamo,” ordina la mamma “ho fissato una visita di controllo col dottor Fukuoka per le due del pomeriggio.”
La seguo docilmente, incapace di opporre resistenza.
Onodera non muove obiezioni, certo del suo trionfo ormai prossimo.
"Che uomo sciocco!", penso con fastidio, mentre fa il baciamano a mia madre.
Ha avuto successo solo grazie agli Hayami, ma non c’è alcuna bravura, in lui.
Potrebbe esserci, ma è tenuta a freno dal suo spirito arrogante e irrispettoso del prossimo.
Ha carpito una idea a Marc e, adesso, dice in giro che la genialata è sua…lo prenderei a pugni!

E’ la sera della prima.
La “fine” di tutto o il fine della nostra vita: devo ancora scoprirlo.
Maya è andata in scena prima di me.
Il pubblico è rimasto entusiasta di entrambe le rappresentazioni.
Il silenzio di tomba alberga ancora nelle mie orecchie tanto quanto il clamore degli applausi.
Quante volte ci hanno chiamato alla ribalta?
Hanno scandito entrambi i nostri nomi come se fossimo la stessa persona.

Gli dèi sono sempre gli stessi, qualunque sia il nome che attribuiamo loro.
Uguali nell’essenza, diversi a seconda del cuore che li ospita.
Ricordatevi di essere stati amati con tenerezza!

Decido di raggiungere Maya, desiderosa di condividere con lei i sentimenti che ha suscitato in me e per sapere anche cosa ella ha pensato della mia interpretazione.
La trovo sul palcoscenico, a tendone calato, seduta sul nudo parquet.
La dèa è ancora in lei.
La maestosità contro l’essenziale.
Il tutto contro l’uno.
Lo scenario di sapore egiziano che ha fatto da sfondo al mio spettacolo non aveva nulla di “estraneo” all’atmosfera della Valle dei Susini.
E’ proprio come ha detto Marc: nell’arte, le contaminazioni danno luogo a capolavori, se sapientemente gestite.
Una piramide a base esagonale, immersa nella sabbia arancio del deserto e un albero di susino maestoso lì accanto, quasi fosse il simbolo della vita che nasce dall’aridità e si perpetua nel tempo.
Immortale come un monumento che ha cinquemila anni di storia.
Ho trovato la mia dèa.
Ero io l’acqua, il vento, il fuoco e la terra, in mezzo alla desolazione.

Non mi importa un accidente di quale sarà il responso della giuria.
Come dissi a Maya mesi addietro, io sarò Akoya per sempre, anche interpretandola una sola volta nella vita.
Prendo posto accanto a lei, sospirando profondamente.
“Sei stata grande...” dico col tono un po’ ironico.
“Anche tu non sei stata male...” risponde lei senza distogliere lo sguardo da un punto indefinito del palco.
Cerco di buttarla sul ridere:
“I nostri uomini ci staranno cercando.”
“Questo momento è solo nostro.” dice Maya cercando la mia mano.
“Abbiamo raggiunto lo scopo.” continua “Quanto ti dissi il giorno in cui venni a trovarti a casa, prima di partire per il viaggio di nozze in Egitto, si è avverato.”
Ci penso su.
“Non siamo io, ma noi?” le chiedo pur sapendo quale sarà la sua risposta.
“Io” dice Maya “credo di sapere quale sarà il responso della Giuria e, in ultima istanza, della sensei.”
Sbuffo leggermente e, mentre congiungo le mani attorno alle ginocchia, mi accorgo di non indossare l’anello di Marc. Lo tiro fuori da una tasca interna del kimono e me lo metto al dito.
“Vi sposerete?” mi domanda il mio mèntore indugiando sulla fascetta in oro bianco.
“Sì” rispondo “e fisseremo la dimora comune a Berlino. Anche se, di fatto, io continuerò a vivere qui ed egli a girare il mondo per riportarne alla luce i tesori nascosti!”
“Sei felice?”
La domanda di Maya mi coglie alla sprovvista, ma non è inattesa.
Annuisco.
“Lo sono” affermo “anche perché aspetto un figlio.”
Maya si alza in piedi come una molla, inizia a battere le mani entusiasta. Poi si commuove e mi abbraccia.
“Anche io!” confessa.
“Non dirmi che nascerà a giugno o ti picchio.” la minaccio sconcertata “Sono stufa di geometrie esistenziali, mi sei sempre tra i piedi!”
Scoppiamo a ridere e, in quell’istante, ci accorgiamo di non essere sole.
“Cosa dovremmo fare, Masumi?” chiede Marc.
“Io” risponde l’altro “se fossi in te, sarei geloso.”
Masumi solleva piano Maya, sotto il mio sguardo.
“Signora Hayami,” le dice “la sua opera di seduzione ai miei danni ha avuto completo successo. Sono completamente in suo potere, adesso.”
Marc, dietro di me, mi cinge la vita.
“Non assomiglierà mica a Maya?” domanda il mio futuro marito comicamente “Se dovesse accadere, ti lascerò all’istante!”

L’assistente di produzione viene a chiamarci.
La Giuria dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo ha raggiunto il verdetto.
Mano nella mano, raggiungiamo la sala conferenze.
La tensione è palpabile, quando la signora Tsukikage, in abito da sera nero e bella come non mai, prende la parola.
Marc si lascia andare ad un entusiastico commento.
“Signore e signori qui presenti,” dice solennemente l’attrice “spettatori televisivi che, con devozione, avete seguito in diretta la rinascita del capolavoro scomparso di Ichiren Oozachi, è con profonda commozione che, questa sera, vi annuncio che i diritti di rappresentazione de La dèa scarlatta passano dalle mie mani a quelle di Maya Kitajima, perfetta interprete dello spirito del maestro.”

Un brusio insistente percorre la sala.
Io e Marc facciamo partire un applauso caloroso.
“Ma,” continua l’attrice “farei un torto imperdonabile all’arte se l’interpretazione geniale di Ayumi Himekawa dovesse restare irripetuta.”
Maya mi prende per mano: siamo entrambe gelate.
“Pertanto, fermo restando il fatto che i diritti appartengano a Maya, dispongo che, annualmente, la stessa signorina Himekawa metta in scena la sua dèa scarlatta. Auspicando che, con il suo talento versatile, possa regalarci ogni volta qualcosa di nuovo e meraviglioso!”
Poi conclude. Sembra abbia un nodo alla gola:
“Grazie di cuore a tutte e due per avere anche voi, come me, dedicato ad Ichiren gli anni più belli della vostra vita.”
Un applauso scrosciante e cori da stadio risuonano nella sala conferenze e in tutto il teatro. Le persone che, non potendo entrare, hanno assistito alla rappresentazione e all’annuncio dalla strada grazie ai maxi schermi sembrano demolire le pareti del teatro a suon di battimani.
La signora Tsukikage, fra le lacrime, indica con un ampio gesto il pubblico reale e virtuale.
“Grazie a tutti.”
Solleva ad entrambe noi le braccia:
“La dèa scarlatta è rinata!!!” annunzia, completamente sopraffatta.
“La triade perfetta.” mormora Masumi applaudendo.

Ci ritiriamo tutte e tre nei camerini, spossate come non mai.
La signora Tsukikage ci tiene per mano come fossimo le sue figlie. E noi non abbiamo la forza di lasciar andare quella mano che, solo ora lo comprendiamo, ci ha allevato nello spirito con le parole dello spirito.
“Cos’hai al dito, Ayumi?” mi domanda.
Sta toccando il mio anello, ma non lo guarda neanche.
“Non lo aveva visto?” chiedo di rimando “Il giorno in cui le ho presentato Marc lo avevo con me ed egli le spiegò che era il ricordo di sua madre.”
“Solo ora mi accorgo” risponde “che quanto porti all’anulare, prima di appartenere a te, è appartenuto a me.”
Sento una scossa elettrica sulla schiena.
Marc ci viene incontro col sorriso radioso.
Bacia la mano della sensei, rinnovandole i complimenti per la mise.

La signora Tsukikage lo prende sottobraccio e si allontana con lui.

Epilogo II.

“Nonno, ho deciso di farmi suora.” annuncio col tono solenne “Dopo aver parlato col dottor <freud>, sono arrivata alla conclusione che non esistono uomini degni, a questo mondo.”
Alzo il collo altezzosamente, mentre il vecchio mi fissa come se avesse davanti un’aliena.
“Non mi chiamo Freud” mi corregge il luminare, sconcertato.
“Sei fuori di testa!” mormora il nonno “Tu sei l’unica erede del mio vasto impero commerciale! Devi darmi un nipote!”
“Vuoi firmare il mio certificato di morte, è così?” chiedo sprezzante “Sai benissimo che non potrei mai portare avanti una gravidanza...”
“Sua nipote ha ragione.” mi fa eco il medico “L’anemia la debilita fortemente, anche se il problema più grave è un altro…”
Si riferisce alla mia follia, il cane. Ma io non sottoscriverò né mi ribellero, figlio di puttana!
Il nonno incrocia le braccia come fosse in pensiero.
“Proprio ora” mastica nervoso “che qualcuno ti aveva adocchiata.”
Drizzo le antenne.
“Chi?” chiedo curiosa.
So già tutto dei suoi intrallazzi, ma fingo di fare la povera pazzoide inconsapevole fino in fondo.
Il dottore scuote il capo:
“Non è così che si risolve la faccenda. Shiori non può avere una vita normale. Ha dei problemi seri!” dice irritato.
Lo guardo con stizza:
“Vada a fare l’elettroshock ai suoi sorci.” dico strattonandolo un poco.
Guardo il nonno di nuovo, come in cerca di risposte.
“Dopo Shin, un altro uomo ha chiesto di frequentarti a scopo matrimoniale,” racconta “ma credo che non se ne farà nulla.”
“E perché?” chiedo agitandomi.
“E’ straniero e non mi va che tu lasci il Paese.”
“Questi sono cazzi miei!” obietto sempre più eccitata.
“Shiori,” mi riprende il nonno “stiamo parlando di uno sceicco. Dovresti lasciare questa casa e andare a chiuderti per sempre nel palazzo dorato di un uomo ricco e, certamente…molto esigente. Certo, lui ha già dei figli e delle mogli, il che risolverebbe una parte del problema esposto dal dottore. Pare non gli interessi che tu abbia bambini, ma solo la tua bellezza e i tuoi soldi, naturalmente.”
Si schiarisce la voce.
“Signorina,” si intromette il medico “le sue condizioni psichiche, in un contesto sconosciuto, potrebbero peggiorare.”
“Stia zitto, idiota.” blatero “Adesso le decisioni le prendo io, ok? Quanti anni ha, nonno?"
“Quarantuno.”
“Colore dei capelli?”
“Che colore vuoi che abbiano i capelli di un originario dell’Arabia Saudita?”
“Se ha gli occhi azzurri, lo sposo.”
“Li ha marroni.”
“Va bene lo stesso.”
Il dottore segue con lo sguardo allibito il botta e risposta tra me e il nonno.
“Signori, vi prego,” dice con tono di esortazione “siamo realisti!”
“Patrimonio?” incalzo.
“Centocinquanta miliardi di dollari.”
“Case?”
“Un castello medievale in Scozia, due palazzi liberty a Londra, tre appartamenti a Parigi, cinque a Roma, diciassette attici tra New York e Tokyo, un ranch in California e uno nel Texas, otto grattacieli a Toronto, tre ville del primo Novecento a Washington, di cui una accanto alla Casabianca, due fattorie che coprono quasi tutto il Queensland e…”
La lista è ancora lunga.
“Basta così!” dico alzando le mani “Hai detto che altre mogli?”
"E' così.” risponde il nonno.
Inarco le labbra soddisfatta.
“Vedrai, nonno, non gli darò tregua e resterò vedova prima di quanto non pensi! Lo stremerò ogni notte e, al momento opportuno, me ne libererò...”
Il dottor Freud si è messo le mani sulle orecchie:
“Non posso più sentire!” mormora preda del disgusto “Lei andrebbe rinchiusa nel carcere di Guantanamo. La parola diritti umani non potrebbe trovare applicazione davanti a un simile scempio…”
Il nonno si schiarisce la voce.
“Te la senti?” mi chiede.
“Voi siete tutti matti!” protesta il medico alzandosi.
Appena se ne va, mi lascio andare ad una fragorosa risata.
“Prepara le carte, nonno, voglio partire domani stesso.”

Sono nella mia stanza.
Come ogni sera, completamente svestita, mi guardo nello specchio che rimanda la mia immagine integrale.
I segni delle ferite sono scomparsi completamente. La mia pelle odora di miele e latte.
Suona il telefonino.
“Ciao, tesoro,” mormoro sdraiandomi sul letto “ho risolto ogni cosa. Domani partiamo per l’Arabia Saudita. Ho appena prenotato i biglietti...”
“Brava,” mi dice “sei davvero incredibile.”
“Vorrei solo” mormoro con infantile rammarico “che tu fossi qui già adesso. Sai, sono sicura troveresti lo spettacolo di tuo gradimento.”
“Posso immaginarlo…stai facendo il tuo giochetto preferito pensando a me? Non sciuparti troppo, cocca, voglio essere io a strapazzarti un poco, magari facendo il bagno in centocinquanta miliardi di banconote da un dollaro…”
“Ne valeva la pena, allora?” chiedo, pur sapendo come mi risponderà.
“Che cosa?”
“Lasciar perdere quella donna insulsa travestita da corvo e i suoi diritti di rappresentazione…” rispondo beffarda.
“Oh, sì,” sussurra lui “è stato un bene che il mio collaboratore ombra ti abbia trovato, quella sera…è un sentimentale, lo hai commosso al punto che mi ha chiamato dicendomi di provare a consolarti della perdita di quel deficiente di mio figlio…e devo dire che mai richiesta fu più azzeccata.”
Sorrido a labbra strette.
“Vedrai,” mormoro sensuale “il clima dell’Arabia Saudita ti rimetterà in piedi ed io penserò a tutto il resto, a tutto quello che ti piace di più…”
“E senza incomodi futuri, vista la mia imbarazzante situazione.” fa eco l’uomo.
“Hai contattato quel tizio della yakuza?” domando dopo un poco.
L’uomo annuisce.
“Sì, tuo nonno lascerà questo mondo quanto prima. Pensa, è il figlio di quel tale che andò a distruggere il Teatro Gekko…la storia si ripete...”
“Bene,” rispondo “tutto va come deve andare. Metteremo insieme un patrimonio enorme e poi schiacceremo anche tuo figlio, tua nuora e tutti quelli che detestiamo.”
Stringo le palpebre in preda ad una euforia incontenibile.
Chiudo la chiamata.

FINE!

 
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fufu1973
view post Posted on 13/8/2011, 15:42




scusa Laura ci mette una vita questo pc! ho problemi di connessione e devo sempre aggiornare a mano!
 
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view post Posted on 13/8/2011, 19:48
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Grazie del tuo aiuto. Sono riuscita a postare tutto il racconto in due soli post! :neuro:
E non è per nulla breve...

Anche questo non ebbe molto successo, viste le tinte...forti. Solo Fiordi, all'epoca, mi considerò un pelino di più rispetto al...nulla! :lol:
 
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fufu1973
view post Posted on 14/8/2011, 18:16




Laura l'ho letta tutta questa storia, mi ha proprio catturato! mi è piaciuto molto questo passaggio di mano da Ayumi a Shiori!era veramente un'immergersi nella mente dei personaggi, originale l'idea e veramente ben realizzata, mi sembra di essere uscita da un tunnel! uaooo!
il punto di vista di Shiori era veramente inquietante, come guardare il mondo da una lente distorta!farti i complimenti per dirti quanto sei brava è ripetitivo, ma è così
 
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view post Posted on 14/8/2011, 18:57
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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E' stato uno dei primi "punti di vista" distorti di Garasu cui ho dato vita.
Erano proprio gli inizi e già ne avevo fin sopra i capelli di stereotipi da seguire ad ogni costo.

Mai ambito ad essere una ideale prosecutrice della Miuchi, anche se le sono grata per aver creato un'opera priva di finale, dandomi così la possibilità di sbizzarrire la fantasia.

Delle mie fanfictions, a parte il primo di A Scarlet Rose, e qualcun altro breve, scritto sulla scorta degli spoiler dal Giappone, amo dire - ed è vero - che sono assolutamente originali.
Del resto, Miro e Masashi li ho inventati io. Non sono certo personaggi di derivazione miuchiana.

Grazie, adorabile Fulvia, di avermi letta anche in una veste un po' più acerba.
In questo scritto la punteggiatura nel discorso diretto non era ancora al top.
Sei sempre troppo buona, con me! :worthy.gif: :worthy.gif: :worthy.gif:
 
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fufu1973
view post Posted on 14/8/2011, 19:12




Sai Laura io non sono tecnica nei miei giudizi perchè non sono preparata pre questo, il mio commento si basa esclusivamente sulle sensazioni che mi scaturiscono dalla lettura, da quanto mi risulta scorrevole, dall'interesse che mi scaturisce dalla trama! i tuoi personaggi sono sempre molto intensi, i loro pensieri sono quello da cui è atratta l'attenzione, in questo caso mi sono immersa ancora di più nel loro spirito!
 
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view post Posted on 14/8/2011, 19:18
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Certo, però, che questa Shiori è mezza matta! Ed è per questo che mi piace.
Spregiudicata, visto che si masturba senza problemi e il suo "difetto", semmai, è quello di andare un po' oltre (perché è fuori come un balcone).
Mi ha divertito un sacco scrivere questa vicenda.
Tranquilla, ho detto anche io addio al tecnicismo, quando mi sono accorta che ci stavo rimettendo il cuore.

 
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view post Posted on 16/8/2011, 12:56
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Bara Wa Utsukushiku Chiru = Le rose appassiscono in bellezza (opening Lady Oscar)

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Vedo ora che hai postato questa storia.
L'avevo letta sul sito dei libri e poi anche su Murasaki perchè non è che me la ricordavo molto.
In effetti Shiori è moolto fuori.
Comunque quello che mi ricordavo era soprattutto il rapporto di amicizia tra Maya e Ayumi nella storia parallela.
Ed inoltre non mi dimenticherò di Marc, troppo affascinante.
Quando ho un attimo la rileggo.
 
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view post Posted on 16/8/2011, 19:36
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Per la cronaca, quando scrissi di Marc Weider, mi ispirai a ...questo qui...

220px-KeanuReevesLakehouse



Ma ero convinta di averla pubblicata solo su murasakione e, guarda caso, l'unica mia lettrice fu Fiordi! :lol: Shiori è troppo fuori e...scandalosa! :lol:
 
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view post Posted on 17/8/2011, 09:06
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Bara Wa Utsukushiku Chiru = Le rose appassiscono in bellezza (opening Lady Oscar)

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Io sono sicura di averla letta prima sul sito dei libri (all'epoca però non ero iscritta a nessun forum) con tra l'altro quella di Eysuke, di Sak, etc...
Tempo dopo mi iscrissi su Murasaki e tu li avevi iniziato a ripostare il tutto ed io logicamente ero indietro rispetto alle altre lettrici e non mi ricordavo bene la storia. Infatti ti dissi che a memoria ricordavo un po' le due storie Shiori-Ayumi ma pensavo fossero contemporanee. Tu mi spiegasti invece che si trattava di storie parallele nel senso che dimostravano i due differenti punti di vista sul concetto di rivalità.

Bella la foto di Marc! :neuro: Certo che me lo ricordo, come sarebbe possibile dimenticarlo? :wub:
 
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view post Posted on 17/8/2011, 19:23
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Fu un "rischio". E, in quella occasione, toccai con mano la possibilità di perdere parecchi dei miei lettori, visto che Shiori era davvero alternativa. Ma lo feci comunque.
Mai tradire la propria ispirazione. E questa è una delle vicende cui sono più legata.
Non rammento se ho postato il pdv di Mizuki, sul mio forum.
Nel caso, lo rimetto...:lol: Anche con quello mi divertii molto. Anche se non c'era una Shiori folle...:lol:
 
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view post Posted on 18/8/2011, 08:54
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Bara Wa Utsukushiku Chiru = Le rose appassiscono in bellezza (opening Lady Oscar)

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Quello di Mizuki, mi è piaciuto molto.
Mi ricordo ancora il paragone che lei fece tra Masumi e 'Le prigioni' di Michelangelo.
 
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view post Posted on 18/8/2011, 20:16
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Ho scritto talmente tanto, in questi anni, che non rammento più neanche cosa. Ma il raffronto con Le Prigioni lo usai anche altrove, sebbene in termini differenti.
Se non lo riposto, al momento, è perché son più di trecento pagine e c'è da rivedere la punteggiatura (allora, scrivevo in modo leggermente diverso).
 
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19 replies since 13/8/2011, 15:02   1107 views
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