One Soul Two Destiny.
E così il sipario è calato.
Il sipario <doveva> calare.
Non c’è più spazio per nulla, non c’è più spazio per niente.
Ed ora che questo grandioso capolavoro dei sentimenti ha trovato realizzazione, non resta che farlo decantare negli animi commossi.
E dirgli addio per sempre.
Ci sono delle motivazioni essenziali che mi spingono a farlo ed entrambe hanno per soggetto “altro da me”.
E ben poco di me.
Se dovessi parlarti dal punto di vista dei sentimenti - ovviamente, follemente - tutto deporrebbe a tuo favore.
Perché, a dispetto del normale raziocinio, benché nulla io “conosca” di te, provo un trasporto tale che mi sconcerta.
Tu non sei che un niente.
Guardarti, scoprirti fisicamente insignificante è la dimostrazione che qualcosa, in me, non sta funzionando a dovere.
Io sono una persona concreta: la vita mi ha chiamato ad esserlo e sono convinto, a dispetto della realtà in cui mi trovo conficcato, che la mia natura sia questa.
Perché sia cambiato tutto d’improvviso non so o forse sì.
Ero solo.
Non avevo speranza di riscatto.
Ed ero al punto di non ritorno.
Troppa, l’indifferenza attorno a me. Talmente tanta da arrivare a dichiarare l’inesistenza di chi, invece, mi aveva promesso - se non felicità - per lo meno “certezze”.
Un padre che non ho mai avuto.
Una madre che sperava tanto - troppo - per me.
Ed è riuscita ad ottenerlo a prezzo di umiliazioni.
Si è sacrificata sposando un uomo che, in verità, non l’amava solo per permettermi di vivere una vita brillante.
Quando il suo affetto è venuto a mancare, mi son sentito perso.
Dovevo trovare, a tredici anni, una motivazione per tirare avanti.
E così ho sposato un sogno che non era mio.
Salvo poi incontrarti.
La vita presenta sempre il conto: la vita non è un percorso rettilineo, ma una serie di sfere temporali differenti che, ad un certo punto, tornano a intersecarsi.
Io, che avevo giurato di non più amare per non subire le delusioni del Fato, ho trovato l’amore in te.
Non era un sentimento semplice.
E non soltanto per una questione essenzialmente anagrafica: la non semplicità derivava dal fatto che in te, ragazzina, vedevo quel me speranzoso perduto negli anfratti del tempo. Quando ho deciso di prendermi cura di te, l’immagine di me che avevo nella testa non era certo quella dell’amante che aspetta il momento propizio per dichiararsi alla sua protetta. In me vedevo quella madre che ti aveva rifiutato il progresso; in me vedevo quel padre che non avevi mai avuto.
Per lo meno, questo era quel che ritenevo <verità>.
Poi, però, è subentrato altro e, quanto più ti allontanavi, tanto più io scoprivo quel nerbo doloroso mai curato. Non volevo che tu mi abbandonassi e così ho preso a manovrare in qualche modo la tua vita per restare a te legato.
Volevo di più.
Non ero più né madre né padre, ma un semplice uomo che cerca di conquistare colei che più conta.
Ho capito in un secondo che, fino a quel momento, non avevo fatto altro che raccontarmi bugie.
A chi volevo darla a bere?
A me, in primis; poi, a tutto il resto, a quel mondo perfetto che esige per me la compagna perfetta, il lavoro perfetto, la ricchezza totale…
Non volevo nascere in questa terra dove lo spirito “pratico” dei padri ha finito per governare i destini dei cuori. Questo formalismo esasperante, questa educazione mirata, nascondono, invero, gli stessi sentimenti devastanti che ogni uomo di questo mondo può nutrire.
E non c’è possibilità di ovviare a nulla, se non rinunciandovi.
Fare a pezzi il proprio cuore per poter godere della rispettabilità del mondo che conta!
Domani, amore mio, io salirò all’altare con quella donna che non ho scelto.
Tu mi osserverai da lontano, con gli occhi pieni di lacrime, ed io morirò insieme a te, mentre pronunzierò il nome di una sposa che, agli orecchi degli dèi sarà una menzogna.
La mia imperdonabile menzogna.
Così insegnerò anche ai miei figli, quando saranno adulti.
Ammesso ne abbia la possibilità.
Ammesso ne abbia la forza.