La filosofia dello sfigato.
Sono cresciuta negli anni in cui i cartoni giapponesi si affacciavano ancora timidamente nel mondo della televisione.
Geena - mia madre - leggeva Tex e Diabolik.; io tenevo per Candy Candy; mio fratello, di poco più grande, aveva una grande passione per Sturmtruppen.
La sua stanza era un ricettacolo di gadget “a tema”: letto coi cingoli di legno, alla maniera dei panzer tedeschi, fabbricato dal mi babbo appositamente per il figlio fotocopia di Geena; paralumi con biplanini dipinti a mano, manifesti tedeschi, elmetti, ossa, crani, stivaloni da pesca e anfibi alla Commando, nasi adunchi finti e, forse, qualcuno vero.
Incredibile che, col passare del tempo, V. sia diventato comunista.
Fino a che fu in età scolare, mio fratello ebbe uno e un solo diario: quello di Sturmtruppen, ovviamente.
Non fu il solo ad averlo.
Anche io l’ebbi.
Per specifico volere del fratello.
E così, mentre le mie compagne di scuola con le treccine scure giocavano a impersonare la biondissima Candy Candy, io, pur coi capelli piuttosto chiari, mi ritrovavo a impersonare <il colonnello>, quello a cui una volta, a causa del freddo siberiano, crollò il naso.
Mentre le coetanee undicenni si godevano le pagine di un diario coi cuoricini, con le poesiole dedicate al primo amorino e le fotine adesive di
Simòn Le Bòn, io godevo di una galleria di immagini di mezzi da guerra particolareggiatissima.
Sapevo a stento chi fosse Simòn, ma conoscevo ogni variante di
machete.
Loro - le fanciulline - indossavano stivalini P******, io scarponi da montagna col doppio battistrada - ché la nonna diceva mi sarebbero stati più utili per raggiungere la malga in caso di attacco alieno nella Valle.
Le mie compagne di scuola avevano i capelli tirati ad arte, fiocchini colorati tra le morbide onde.
Io avevo riccioloni incolti, necessario tributo allo stato selvaggio di cui godevano le mie antenate: donne con attributi di ferro e stivaloni di gomma ai piedi persino nel giorno del loro matrimonio.
Donne le cui foto di spose sembrano immortalare criminali evase da Alcatraz.
Come, da questo contesto per nulla femminile, sia nata Geena è
un dato oscuro della storia della mia famiglia. Geena, tuttavia, serbò la femminilità tutta per sé, dando la propria figlia in pasto a nonne concrete e poco attente ai particolari.
Non che me ne lamenti, eh...
:pz:
Ma torniamo al tema del post: la filosofia dello sfigato.
Quando i cartoni giapponesi invasero il mercato televisivo italico, mi rifugiai in una dimensione parallela impensabile fino a qualche anno prima.
Perché gli alieni non costituivano più un lontano pericolo per la Valle, come diceva la mia fantasiosa nonna - amante, peraltro, dei grapin alla frutta - ma una tangibile realtà.
Mi innamorai all’istante. :lov:
Capitan Harlock - mi ci vollero tre mesi per capire che non era “Allocck”, ma “Harlock” - fu il mio primo amore di carta.
Con un occhio solo, tre cicatrici in faccia, gamba di legno, cuore di ferro e mantellone nero. Di una bellezza mortale, che, al confronto, il colonnello di Sturmtruppen - quello che perse il naso - era Mister Mondo.
Il miglior amico di Capitan Harlock era un computer
: in origine, si trattava di uno sfigato alto un metro e mezzo. Aveva avuto il tempo di fare una figlia con la sorella gemella di Harlock (pur ella con un occhio solo, cicatrici in faccia e lignea gamba) e, infine, era stato fatto fuori dall’esercito delle donne di Mazone (rivisitazione post moderna del mito delle (A)mazzoni).
L’anima di questo poveretto, prima che se ne svolazzasse all’altro mondo, era stata imprigionata all’interno del gigantesco cuore elettronico dell’astronave Alkadia.
Con la L e la K.