“L’anta wengé”
Un apostrofo di color marrone.
Il salotto di casa mia nacque dallo <schizzo> di una decoratrice impazzita o da un attacco di anarchia di un barattolo di colore, se preferite.
I colorifici dei tempi moderni, tuttavia, sono il prodotto di <lanci> di idee, oltre che di <bordate> di colore.
Così, ecco che, dalla insoddisfazione della <domanda> nei confronti dell’<offerta> di colori tradizionali, nasce “il wengé”.
Brutta cosa abbracciare certa filosofia (questa, nello specifico: “Esiste qualcos’altro, oltre al bianco nero“)
Peraltro, la mia fede calcistica è rigorosamente viola!
Ma torniamo al wengé: è quel che, nei cataloghi dei mobilifici postmoderni - utili per incartare il pesce , oltre che per prender cognizione di ciò che non potrai MAI permetterti - viene etichettato come <variante del nero>.
Se vi recate ad un qualsiasi Ik**, constaterete come
gli spartani di Svezia scrivano lapalissianamente <nero>: <da loro>
non esiste l’anta wengé.
Nel mobilificio "serio" in cui ho acquistato la parete attrezzata del mio salotto, invece, l’anta wengé c’è.
Leggete, se vi aggrada, il resoconto cronachistico dell’accordo di acquisto.
“Come la vuole l’anta?”
La domanda della giovane commessa mi coglie impreparata.
Arrossisco alla stregua delle mie alunne, quando s’immolano spontaneamente (sé, come No…) in cattedra.
“Che s’apra…” rispondo aspirando la “C” alla maniera della prozia Vittoria.
“Non ha capito…” dice la commessa mentre solleva il ricevitore. Sembra sia sul punto di chiamare la sicurezza per cacciarmi.
“Efforse gno…” mormoro tra me e me, martoriandomi le dita.
Apre il suo catalogo e dice:
“Abbiamo il pervinca, il rovere, la terra di Siena, l’
acqua salmastra e, infine, il wengé.”
TRASECOLATA PART ONE.
“L’acqua salmastra
etiam?”
Per lo meno, ho <colto> che di colore trattasi.
“Cosa?” mi domanda la ragazza al culmine dello stupore.
“Il wng…è?” biascico.
“E’ nero, ma non è nero, perché, in realtà, è rovere moro.” spiega la giovane.
“E, mi dica,” soggiungo “è tanto diverso dal rovere <normale>?”
Non avevo idea neppure di come fosse il rovere <normale>, eh.
Mi sento, nel mentre, le orecchie in fiamme.
“Ovviamente!” sottolinea la commessa “E' moro!”
Cerco di correre ai ripari:
“Ricominciamo da zero. Faccia finta che io parli un’altra lingua. Mi spieghi, gentilmente, cos’è il wengé.”
La ragazza schiocca le dita come avesse avuto una illuminazione:
“Poteva dirmelo prima che è
una extracomunitaria…In effetti, si percepiva...”
La percezione.
Vogliamo discuterne? pensai. E' il colore rosso fiamma dei capelli a indurti in errore o pensi che una criniera come la mia sopravviva solo di là delle Alpi?
Finalmente, mi spiega che "il wengé" è un marrone scuro, striato come il rovere chiaro e tendente al nero.
A quel punto, sentenzio che no, non la voglio l’anta wengé.
“Dopo tutta questa fatica?” mi domanda a metà tra il piccato e l’ironico.
“Mi piace il modello.” replico “Ma preferisco il rovere chiaro.”
“Ooook.” digita “Corpo wengé, anta rovere chiaro…”
TRASECOLATA PART TWO.
“Come…corpo wengé?” ripeto scioccata.
“Questo modello presenta due versioni.” e fa il segno del due con le dita, nel caso in cui non avessi <colto> “Corpo wengé e anta rovere chiaro; corpo rovere chiaro e anta wengé.”
“Insomma,” sbotto “gira come ti rigira, c’ho sempre ‘sto color cacca stantìa davanti agli occhi.”
La commessa mi guarda male:
“Va molto di moda, signora.”
“Più che altro,” la correggo pedantemente “va di mota.”
Alla fine, arriva l’Andrea e mi dice:
“Prendi l’anta wengé ché il sottopensile della cucina è dello stesso colore.”
TRASECOLATA PART THREE.
“Che ne sai tu, del wengé???” ringhio “E perché non sono stata messa al corrente del fatto che la mia cucina è in parte <marrone>?”
“Ma non è marrone…” continua a dire la solerte commessa.
Mi fissano - lei e l’Andrea come fossi un essere del sottomondo.
“Vabbé, mi arrendo.” dico alzando le mani in segno di resa “C’è un po’ di marrone nella vita di tutti…”
Alla fine, le passo la mia carta di identità e la giovane provvede alla compilazione dell’ordine.
“Ah, ma lei è italiana…Perché mi ha detto di essere una extracomunitaria?”
“Chi?” chiedo.
“Lei!” risponde.
“Veramente,” replico piccata “le ho chiesto solo che accidenti è il wengé.”
All’origine della parete attrezzata.
Come molti sanno - e, di certo, chi non sa proverà un incontenibile gaudio nell’apprenderlo - sono nata in un indefinito (mah) anno del secolo trascorso (ma va?).
Quando Venditti sbraitava del compagno di scuola fetente, domandandosi se si fosse salvato o, invece, avesse scelto di entrare in banca “pure lui”, io c’ero.
Piccola entità vegetativa, ma c’ero.
Non parlavo ancora e già brandivo la penna con la manona sinistra.
Casa dei miei, prima dello decadenza internettiana, era un piccolo gioiello tecnologico.
Ma mancava qualcosa.
Novella sposa ventenne, mammà lamentava al babbo, già bell’e adulto, il mancato acquisto del <soggiorno>.
Possedevano una camera da pranzo e un salotto color verde militare e mia madre aveva appeso un quadro del Che col fondo rosso dietro al divano (lo stesso quadro, ora, è vicino alla mia parete attrezzata con l’anta wengé).
Perché questo nojoso preambolo?
Perché prima, signori, non esisteva la parete attrezzata.
Vediamo di analizzare questo semplice binomio linguistico:
-
parete: sostantivo femminile. Sinonimi possibili: muro, divisorio;
-
attrezzata: participio passato del verbo “attrezzare”. Sinonimo possibile: “dotata di“.
Mi scuso coi puristi se, pur nella mia pedanteria, non mi sono preoccupata di cercare autorevoli fonti. I sinonimi sono scritti di mio pugno.Questo mobile - la parete attrezzata - che prima non esisteva perché era l’epoca del <soggiorno>, è diventato, negli ultimi anni, il cuore delle case, sostituendo persino
il tinello, simbolo sempiterno del focolare domestico.
Dovunque si vada - case, uffici, financo i cessi pubblici - c’è sempre una parete attrezzata.
Se il sinonimo di “attrezzato” è “dotato di”, è lecito domandarsi di che cosa il mastodontico mobile in questione sia dotato.
Intanto, non stupirà la sua <necessaria> componibilità. Comprate il primo pezzo - il pezzo base - e vi stupirete di come, bulimicamente, andrete in cerca delle
ottocentosessantacinque varianti per allungarlo (
ad angolo, a sghimbescio, a soffitta, a stendino, a sega retrattile, per citarne alcune...).
Ma torniamo alla solerte cassiera...:pz:
“Signora, come la vuole l’anta?” :kling:
Vi ricordate ieri, n’è?E la mia risposta?“Che s’apra.”
“Ora,” ha continuato la giovane donna (parte volutamente omessa ieri) “come la vuole posizionare l’anta?” :kling:
Faccio una smorfia alla “che accidenti me ne frega”.
“Siccome sono mancina, mi faccia l’apertura a destra, così afferro gli oggetti con la sinistra.” rispondo fiera.
“Non è possibile.” afferma la ragazza con tono di rimprovero “Sarebbe una stonatura, una disfunzione, un cataclisma visivo: e mondiale poco ci manca.” :fix:
“Faccia lei, dunque.” soggiungo stancamente.
“Se prende un’anta a zigzag, può posizionarla anche trasversalmente.” mi informa con autorità. Mi chiedo, in quell’istante, se abbia fatto un master da A*azz*ne.
Getto uno sguardo sul pc ed ella mi posiziona <virtualmente> l’anta a zigzag facendola partire dallo spigolo superiore sinistro e (s)terminandola sullo spigolo inferiore destro.
“Sa,” provo di nuovo “siccome sono mancina, potrebbe invertire gli spigoli?”
“Non è possibile.” afferma di nuovo con tono di rimprovero “Sarebbe una stonatura, una disfunzione, un…”
“Va bene.” l’interrompo. E aggiungo, tra me e me: “Mettila come cazzo ti pare.”
Pensavo fosse finita, mais non:
“La vuole fumé?”
“Come fumé?” ripeto “Non abbiamo detto da due ore che è wengé?”
Mi sorride come se provasse profonda pena.
“Questa qui è l’anta della cristalliera.”
“Quella trasversale?” e inizio a ridere “Suppongo che in questi arnesi si espongano bicchieri e piatti di plastica.”
“Signora, non so se lei sia dotata di <coltura> o non capisca un acca di mobilia. L’anta
soltanto è trasversale. Il ripiano per i bicchieri e gli argenti è regolare.
“Come czz si chiude, allora?” chiedo scioccata.
Gira meglio lo schermo del piccì:
“Così. A scivolamento.”
Rido di nuovo:
“A cascamento, vorrà dire…”
Anche la commessa ride.
Faccio notare che a me non importa molto di esporre argenti e cristalli. La parete mi serve per televisore, impianto stereo e, soprattutto, libri.
“Le consiglio di andare ai magazzini generali qui accanto, allora.” mi risponde con tono offeso “C’è una vasta scelta di scaffali in ferro policromo o di legno grezzo per lavori fai da te.”
Edited by LauraHeller - 7/3/2011, 20:08