Ed eccomi.
Posto di volata, ché ho il rientro e ci si vede stasera a nove e mezza!
Capitolo quattordici
“La <soffitta> segreta”
Sayaka stava facendo ordine tra le sue cose, quando s’accorse che, sul tetto, appena a destra del lucernario, era appena visibile una piccola botola.
“Non ci posso credere…” disse, prendendo una sedia e sollevandosi per guardare oltre il vetro parzialmente coperto di ghiaccio.
Sopra di lei c’era il tetto dell’edificio, ma anche una piccola stanza, probabilmente ricavata dal vano ascensore ed era, con tutta probabilità, agibile.
Mise dei libri sulla sedia, così da sollevarsi di più e, finalmente, sfiorò con una mano, l’apertura fino a smuoverla.
Poiché parecchi strati di pittura da pareti era stata passata nel corso degli anni, quel gesto non si presentò per nulla agevole.
Nella foga, Sayaka finì per rovinare sul pavimento, lanciando un urlo che fece trasalire Tomo.
Egli entrò in camera preoccupato.
“Che è successo?” chiese, aiutandola a tirarsi su.
La maglia di Sayaka si sollevò un poco, rivelando un vistoso livido sulla schiena:
“Come…accidenti te lo sei fatto questo?" esclamò il violinista con raccapriccio "Devi farti vedere da un medico!”
“E’ stato giusto adesso.” mentì la ragazza “Volevo tirar giù quella.”
E indicò la botola sul tetto.
“Non mi rammentavo neppure della sua esistenza.” sospirò Sakurakoji “Una volta, era il mio rifugio segreto. La mamma veniva a lavorare ai suoi articoli in questo appartamento e mi portava con sé.”
Salì sulla sedia e, essendo assai più alto di Sayaka, non ebbe bisogno dell’ausilio dei libri.
Egli fece pressione piano, mostrandole che l’apertura era dotata di una scaletta leggera e retrattile.
Polvere e pezzi di intonaco si depositarono per tutta la stanzetta e Tomo si rallegrò per la prima volta del fatto che fosse decisamente angusta: non ci avrebbero messo molto a ripulirla.
“Ma questo…” disse Sayaka felice “è il paese delle meraviglie!”
Volò su per la scala, entusiasta come una ragazzina e si ritrovò in un ambiente poco più grande della sua stanzina, con finestre e un altro lucernario.
Il freddo era terribile, visto che non passava alcun riscaldamento.
“Ci potresti ricavare un vano aggiuntivo!” esclamò, invitando Tomo a salire.
Egli ubbidì, sorridendole.
“Dovremmo dotarlo di un camino o di una stufa.” disse scettico “Però, se ritieni possa servirti…”
Aveva parlato con grande spontaneità, come se la presenza della ragazza costituisse ormai un punto fermo.
Era parte della sua <famiglia>, visto che le consentiva addirittura di usufruire di spazi non necessariamente cedibili.
La ragazza si compiacque della sua spontaneità e gli rivolse un sorriso grato e gentile.
“Dovremmo comunque dare uno sguardo a quel baule laggiù. Magari, ci sono effetti personali dei tuoi.” sottolineò Sayaka, avviandosi verso l’enorme cubo di legno scarlatto.
Il violinista annuì:
“Inizia pure, mentre io vado a recuperare due maglioni.”
Egli era in maglietta a mezza manica e fumi di vapore acqueo fuoriuscivano dalla bocca di entrambi.
Sul baule erano impresse sapientemente le iniziali di Miro e Shizuka.
Al lato del coperchio, invece, la firma dell’autore del mobile, Shigeru Kaikei, si leggeva con grande chiarezza.
Sayaka estrasse subito un bouquet di rose scarlatte essiccate ad arte. C’erano quaderni, cd, floppy disk.
Le parve per un istante di ripercorrere una esistenza non sua.
Forse, si rammaricava scioccamente di non aver vissuto lei stessa quella vita.
Si immaginò una coppia di innamorati - i genitori di Tomo - vivere in quella casa, amarsi in quella casa e sentì una latente invidia.
“C’è gente che nasce destinata all’amore.” sussurrò piano.
Il violinista le mise in testa un maglione.
“Ma è il tuo.” protestò Sayaka, riconoscendo la felpa degli Iron Maiden che gli piaceva tanto.
“Non vorrai che metta le mani e il naso nel tuo armadio!” disse Tomo scandalizzato. Rivolse uno sguardo all’interno della cassapanca:
“Allora, trovato qualcosa di carino?”
Ella rispose che c’erano giocattoli, quaderni e anche una piccola chitarra.
“Non posso crederci che sia finita qui.” rise il violinista “Ti ho mai detto che mio padre suonava, da ragazzo? Lui e la mamma passavano serate intere a cantare, anche quando noi eravamo bambini. Credo di essermi innamorato degli strumenti a corda solo ascoltando le sue pietose esecuzioni. Desideravo disperatamente offrire alla mamma una performance che fosse migliore!”
Sayaka rise forte.
Le pareva quasi di immaginarli.
Tomo estrasse un album di fotografie.
“Nel giorno del mio secondo compleanno,” raccontò “io brandivo già questa chitarra, che è stata costruita da un liutaio e, pertanto, non è un giocattolo.”
“Maddai…” fece la ragazza sorpresa “è una storia bellissima. Dovevi essere innamorato della tua mamma.”
Il suo viso parve addolorarsi un attimo:
“Ma, poi, quando ti sei avvicinato al violino?”
“Uno o due anni dopo, credo.” rispose Tomo passandosi una mano dietro al collo.
Ridacchiò, inquadrando un pino natalizio lungo non più di cinquanta centimetri.
Seguendo la traiettoria del suo sguardo, Sayaka si girò di nuovo verso il baule.
“E questo?” chiese titubante.
“Una delle fisse occidentali di mia madre.” rispose Tomo estraendo la conifera in plastica verde con cura per evitare che si rovinasse.
“L’ha comprato Shizuka, tra i mille mugugni del babbo.” continuò il violinista ridendo.
“Un albero di natale…” sussurrò Sayaka accarezzando con una mano le palline di vetro attaccate e i semplici decori.
“I tuoi” chiese Tomo “non amano queste cose?”
“Me ne ricordo uno solo, di albero.” disse la ragazza perdendosi nei ricordi “Allora, mio padre era ancora vivo.”
Sakurakoji fu stupito di sentirla parlare così:
“Non mi avevi detto che tuo padre è morto.”
“Per me è come se lo fosse.” confessò con rammarico la giovane donna.
Tomo le mise una mano sulla spalla.
“Vuoi parlarne?” chiese debolmente.
“Non serve a nulla, ma ti ringrazio.” disse Sayaka alzandosi dal pavimento “Lui è…un violento.”
La voce le uscì a stento.
Sollevò la manica del maglione, mostrandogli il braccio, che si piegava quasi all’indietro, in modo del tutto innaturale:
“E’ stato lui a procurarmi questo.”
Tomo tacque senza fiato.
“La nostra è una famiglia benestante. Specifico questo particolare per sfatare del tutto il mito dell’uomo povero che si dà all’alcool. All’inizio, egli si limitava ad urlare. Poi è passato alle botte. Sono dieci anni che io e mia madre viviamo nell’angoscia. Lui è a capo del corpo di polizia della Capitale, una persona stimata, che ha catturato pericolosi criminali. Sembra incredibile, vero?”
“Non lo avete mai denunciato?” chiese il violinista con un fil di voce, osservando ancora il braccio della ragazza.
“Se ti raccontassi di tutti i nostri tentativi,” sorrise amare Sayaka “non crederesti alle tue orecchie.”
Si girò verso l’uscita.
“Ma lasciamo correre! Ormai, sono fuori da quella casa. Grazie a te, sono al sicuro, Tomo.”
Scese in camera sua, lasciandolo nella soffitta.
Sakurakoji gettò uno sguardo sull’albero di natale, pensando che, ormai, mancava poco a natale.
***
Masumi seguì con la coda dell’occhio l’arrivo di Miro attraverso la porta a vetri.
Deglutì preoccupato, ché la sua faccia non ispirava nulla di buono.
“Entra.” disse Sakurakoji senior senza mezzi termini.
Il giovane Hayami ubbidì, salutandolo nel mentre con un lieve cenno del capo.
“E, così,” proseguì l'attore “il tour è stato un successo. Suppongo debba complimentarmi.”
“Sissignore.” rispose Masumi, scrutandolo negli occhi azzurri così simili ai suoi.
“E, ora, te ne vai a festeggiare con mia figlia.” soggiunse Miro con aria sempre più torva.
“Nossignore.” disse prontamente il figlio di Elizabeth.
Sakurakoji aggrottò le sopracciglia:
“Ed io dovrei crederti?”
Finalmente, schiuse la bocca al sorriso e Masumi poté tirare un sospiro di sollievo.
“Andiamo a vedere un concerto e, poi, a cena.” spiegò sedendosi in salotto.
“Non farete tardi, spero.” si lagnò il padre di Laura “Gli Arc En Ciel, di solito, bissano parecchio. Hyde non è contento finché non perde del tutto la voce.”
“Se dovessero tardare, rinuncerò alla cena.” disse il ragazzo stringendo un poco le labbra.
Miro sospirò, pensando che non poteva avercela in alcun modo con un giovane così educato e compito. Inoltre, sua moglie non aveva torto, quando affermava che la loro vita era stata assai più pericolosa di quella condotta dai loro ragazzi.
“Beh,” disse piano “non importa. Voglio fidarmi di te. Fa’ quel che devi: cioè, quel che le hai promesso.”
“Grazie, signore.” sorrise Masumi alzando lo sguardo per fissarlo di nuovo negli occhi.
“So che ti comporterai da gentleman.” soggiunse Miro “Tuttavia, mi preme domandarti come pensi di atteggiarti: da uomo o da ragazzo?”
“Lei cosa dice?” fece l’altro aggrottando le sopracciglia “Io sono più grande di Laura, ma sono pur sempre giovane, signore.”
“Hai ventiquattro anni.” rimarcò Miro “Alla tua età, mi ero già sposato due volte ed anche tuo padre. Quindi, vedi di comportarti da uomo.”
Masumi stava per replicare, quando fece il suo ingresso Laura, subito seguita da sua madre.
I due uomini rimasero senza fiato.
Ella indossava un tubino bianco, corto al ginocchio, scarpe col tacco alto e borsetta abbinata. I capelli, raccolti in una semplice coda di cavallo, erano perfettamente lisci e lucidi, gli occhi tracciati appena da un filo di eye-liner.
Il cuore del giovane Hayami perse colpi.
“Allora,” balbettò “noi andiamo.”
Salutò Shizuka, rosso fino alle orecchie e prese involontariamente per mano Laura.
La faccia di Miro, in quell’istante, era un vero spasso e la signora Sakurakoji non poté trattenere una bonaria battuta:
“Dunque, non è per pagare pegno che stai portandola fuori. È un appuntamento ufficiale.”
Masumi si sganciò immediatamente, evitando di guardare il padre di Laura negli occhi.
I ragazzi uscirono con una certa fretta da casa, lasciando Miro in totale confusione.
“Dov’è la mia bambina?” chiese perso a Shizuka.
“Credo…” rispose sua moglie “che tu le abbia detto addio poco fa.”
E gli accarezzò il viso con tenerezza.
***
Masumi e Laura camminavano silenziosamente sul marciapiede.
Giunsero fino alla macchina del ragazzo, ma ella frenò i suoi passi all’improvviso, chiedendogli se aveva voglia di arrivare sino in Centro a piedi.
“Ci perderemo i posti migliori…” obiettò debolmente Hayami.
“Ma io ho dei biglietti S.” disse tranquilla Laura “I nostri sono assegnati.”
“Avrai speso un capitale.” deglutì Masumi fissandola di sottecchi.
“Non proprio.” rise la ragazza “Ho avuto un colpo di fortuna, tutto qui.”
Si piazzò davanti a lui:
“Mi sembri latentemente imbarazzato, giovane Hayami.”
“Stavo solo chiedendomi dove fossi finita.” confessò il ragazzo, il capo leggermente chinato a sinistra.
Ridacchiò per stemperare la tensione:
“Sei del tutto diversa, Laura. Non c’è traccia della bambina antipatica che mi ostinavo a ricordare.”
“…che ti ostinavi a ricordare?” ripeté la Sakurakoji sorpresa, il viso parimenti interrogativo.
“Ci sono realtà da cui ci si stacca con estrema difficoltà.” spiegò Masumi “Suppongo sia perché è come una coperta di Linus, che fa comodo, insomma.”
Laura finse di non cogliere:
“E che cosa ci sarebbe di inaccettabile nel fatto che sono una donna?”
Il figlio di Elizabeth si grattò la testa.
“Nulla.” rispose “Ma, crescendo, si perde di spontaneità. Se ti tirassi un gancio, sarei un violento. Se ti accarezzassi, sarei uno che ci prova.”
Laura socchiuse gli occhi.
“Non mi piacciono gli atteggiamenti studiati.” dichiarò “Se non vuoi che io torni a casa all’istante, ti ordino di essere te stesso.”
Egli abbassò lo sguardo:
“Non posso, Laura. È troppo presto.”
Le prese di nuovo la mano.
“Andiamo a vedere Hyde.” propose “Parleremo ancora a cena, se ti Va.”
Ella assentì, ricambiando la sua stretta con estrema naturalezza.
Quel gesto colpì favorevolmente Masumi: per la seconda volta, nella stessa sera, ella non aveva respinto il suo blando tentativo di approccio.
Si divertirono parecchio e cantarono a squarciagola per due ore buone.
Il frontman dei Borderline non aveva mai riso tanto in tutta la sua vita e Laura ne fu oltremodo sconcertata, visto che non ricordava neppure che forma avesse la bocca del suo vecchio amico.
Quando il concerto terminò, ella gli fece una richiesta inaspettata:
“Senti, Masumi, se preferisci, possiamo andare in un posto meno impegnativo di un ristorante. Fat Burger chiude alle due.”
Era da poco passata la mezzanotte.
Egli la fissò nei grandi occhi azzurri, sorpreso.
“So che sono una bambina, ai tuoi occhi.” spiegò ella vergognandosi “Tra l’altro, è la mia prima uscita con un ragazzo e suppongo tu sia in imbarazzo anche per questo.”
Egli la prese dolcemente per la vita, inducendola a specchiarsi in una delle tante vetrine.
“Quello che riflette questo specchio” sussurrò dietro di lei “è ciò che io vedo.”
Si sganciò subito, convinto di avere esagerato, ma Laura, visibilmente contenta del suo dire, lo pregò di accompagnarla al ristorante, come pattuito sin dall‘inizio.
CONTINUA!...