Posts written by tenshina

view post Posted: 16/9/2013, 10:49 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
La lucidità di portare avanti la sua tesi sì, ma sbaglia i presupposti!
Volente o nolente sta confondendo se stesso con i ricordi sbiaditi di Masumi e non è bene per nessuno.
view post Posted: 10/9/2013, 16:23 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Mai titolo fu più adatto ad un capitolo! Marcus è veramente inquietante: mettendomi nei panni di Chizu ed Ian non ho potuto fare a meno di avvertire un brivido freddo lungo la schiena. Sono stati molto pazienti!
Spero che avvisino Laura, anche se forse è ben consapevole di tutto.
view post Posted: 5/9/2013, 19:50 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Mamma mia bella! Fortuna che ho letto gli ultimi capitoli tutti d'un fiato, altrimenti sarei morta di crepacuore!
Tutto bellissimo! Ho l'imbarazzo della scelta tra tutte le emozioni che mi hai suscitato!
Grazie!!
view post Posted: 5/9/2013, 18:08 Incontri - Fanfictions
CAPITOLO 38

“Maya, ci sono delle cose di cui non posso parlarti, ma qualsiasi cosa accada, non temere. Risolveremo tutto.” – lo disse d’un fiato, prima che se ne potesse pentire. Glielo doveva, anche se non poteva essere più esplicito.
Il tempo sarebbe passato velocemente e tutto sarebbe finito, pensò amaramente Masumi.
Si era illuso che suo padre si sarebbe arreso con il matrimonio fallito, ma era stato cieco. Aveva voluto essere cieco. Lo aveva umiliato pubblicamente: non avrebbe rinunciato alla sua vendetta.
Fortunatamente non si era trovato solo. O non sarebbe stato tanto ottimista.
Guardò Maya negli occhi: era preoccupata, lo vedeva, ma allo stesso tempo si sforzava di essere fiduciosa. La strinse a sé. Era ancora semivestito. Nonostante tutto, l’aveva accolto come sempre. Aveva ragione la sua ragazzina: erano fatti l’uno per l’altra.

Hijiri era da poco tornato nel suo appartamento, quando il suo cellulare prese a vibrare.
Pensò fosse Saeko. Sorrise.
Rispose, ma all’altro capo della linea la voce del suo principale lo fece tornare alla realtà: il momento era critico e dovevano trovare una soluzione. Presto.
Si diedero appuntamento per la mattina successiva.
Karato si tolse la giacca, slacciò i polsini arrotolandosi la camicia appena sopra i gomiti e, preparandosi un drink, si diresse alla finestra del soggiorno.
Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, l’ora in cui avrebbe dovuto proteggere Masumi da suo padre e ne fu felice: significava che suo ‘fratello’ stava vivendo finalmente la vita che voleva, smarcandosi dal volere del genitore.
Aprì l’anta e respirò la fredda aria di fine novembre. I lampioni della città nascondevano il cielo, ma sapeva che grosse nuvole pesanti si rincorrevano oltre la cupola della metropoli.
Il pensiero corse alla donna con cui aveva passato gli ultimi due giorni. Erano stati soli, amandosi fino allo sfinimento, tremando, parlando, rabbrividendo, sussurrando, unendosi e respirandosi. Si erano salutati senza alcuna promessa di rivedersi, come si conveniva a due adulti disillusi quali erano loro. Ma Hijiri sapeva. Sapeva che l’avrebbe cercata ancora. Sapeva che non voleva dimenticarla. Non avrebbe fatto a meno della sua pelle, della sua passione, dei suoi occhi indagatori e seducenti, delle sue mani su di sé, delle sue gambe attorno ai suoi fianchi. No, non avrebbe rinunciato a lei. L’avrebbe corteggiata, se fosse stato necessario, ma l’avrebbe convinta ad accettarlo.
L’unico suo cruccio era la sua esistenza-ombra: lo era sempre stato e, per questo, non aveva mai avuto relazioni lunghe. Questa volta invece… questa volta voleva tentare.
Chiuse la finestra, si preparò per la notte e si stese nel letto. Si rilassò lasciando che il sonno gli conquistasse le membra.
Il giorno successivo si presentò puntuale all’appuntamento. Masumi non era ancora arrivato. Il parcheggio era deserto a quell’ora del mattino. Attese solo pochi minuti prima che lo sportello del passeggero si aprisse ed il suo ospite si sedette al suo fianco con sguardo truce.
“E’ tanto grave la situazione?”
“Operativamente potrebbe essere peggio: almeno sappiamo a cosa andiamo incontro.”
“Ma?” – gli chiese.
“Ma… non voglio parlarne a Maya. Non voglio che si preoccupi.” – il tono era secco, quasi lo scocciasse farsi vedere in ansia per la sua sposa.
“La signora Maya si preoccuperà comunque. Lo sai, vero?”
“Sì.” – sospirò – “Lo so. Non ha detto nulla, ma sa che c’è qualcosa che non va.”
Un lieve sorriso aleggiò sulle labbra del suo collaboratore.
“Stupefacente!”
“So che me ne pentirò, ma te lo voglio chiedere comunque. Cosa è ‘stupefacente’?”
“Che la signora Maya riesca già a leggerti dentro, quando ha dovuto attendere oltre sette anni per riuscire a romperti la maschera.”
“Una volta tolta, è difficile rimetterla al suo posto…” – ammise mestamente. Nella situazione in cui si trovavano, gli avrebbe veramente fatto comodo poter indossare ancora la sua bella maschera con sua moglie. Decise almeno di vendicarsi per la velata presa in giro dell’amico – “Sei sparito per due giorni… ti sei divertito?”
Hijiri sentì un lieve rossore traditore salirgli alle gote.
“Beh… mi sono rilassato, sì.”
“Già, anch’io mi sono ‘rilassato’!”
Se non fosse stato presente, non avrebbe mai potuto credere che Masumi stesse facendo quel tipo di allusioni. Cosa gli era successo? Era stata Maya a renderlo tanto spontaneo?
“Sai?” – continuò – “Anche la mia segretaria si è assentata dall’ufficio negli ultimi giorni. Chissà se si è ‘rilassata’?!”
“Speriamo.” – Accidenti! E credeva di essere stato attento. Saeko non gliel’avrebbe fatta passare liscia se avesse scoperto che il suo principale sospettava il loro segreto.
Masumi, dal canto suo, si godeva lo spettacolo del suo uomo-ombra imbarazzato e sospettoso. Naturalmente non aveva certezze al riguardo, ma al ricevimento del suo matrimonio aveva notato come molto spesso i due fossero intenti a parlottare. Solo ora i suoi sospetti stavano prendendo forma. Decise di soprassedere e tornare al motivo dell’incontro.
“Eisuke ha ingaggiato uno yakuza che conosce per farmi fuori. Un incidente. Qualcosa di pulito.” – sembrava parlasse dell’ultimo spettacolo teatrale della più infima casa di produzione.
“E’ più grave di quanto pensassi! Non sarà semplice contrastare uno yakuza e la sua famiglia da soli e fermare definitivamente Eisuke.”
“Ascoltami…” – ed iniziò ad esporgli quella che era stata la sua idea.
Il suo progetto era audace, avventato, ma avrebbe funzionato. Doveva funzionare.

Mancava ancora qualche giorno prima che i risultati dell’operazione al cervello fossero noti. Ayumi era ancora ricoverata nella clinica e Peter passava con lei la maggior parte del tempo. Gliene era grata o sarebbe stato impossibile controllare la tensione che le attanagliava il cuore. A volte, nella notte, si svegliava di soprassalto, in preda agli incubi. Spesso si lasciava prendere dal timore che avrebbe dovuto passare il resto della sua vita in quelle condizioni: non poteva pensare di vivere nel buio perenne. Mai come in quei giorni sperava che l’operazione fosse riuscita. Anche in quei momenti bui, però, non si pentiva della scelta fatta di attendere la competizione con Maya. Peter l’aiutava a superare le sue angosce. Non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza. Avrebbe passato la vita ad amarlo perché finalmente il suo animo l’aveva riconosciuto ed accettato.
Negli ultimi due giorni, però, una notizia l’aveva entusiasmata: il lunedì mattina sua madre si era precipitata nella sua camera ansimando: “Ieri… Masumi Hayami si è sposato!”
Ayumi, già sconvolta dall’atteggiamento della madre che aveva spalancato la porta perdendo il suo aplomb, tentò di calmarla.
“Sì, lo so mamma. Ci aveva invitato, no? Dov’è la novità?”
“Si è sposato con Maya!”
E fu come se uno spettacolo pirotecnico le esplodesse in testa.
Maya ha sposato Masumi Hayami.
“Ma cosa dici, mamma? Il signor Hayami doveva sposarsi con la signorina Takamiya!”
“No! Tokyo News ha riportato la notizia… con tanto di foto!”
Ayumi schiuse le labbra per lo stupore.
“Leggimi l’articolo, te ne prego!”
Sua madre, ancora trafelata, cercò di ricomporsi e le lesse l’ormai famoso articolo di Mikami Aki.
“Ecco perché Maya teneva tanto a che andassi al matrimonio del signor Hayami… non ci posso credere! Peter aveva ragione!”
“In che senso?” – chiese attonita Utako.
“Quando ricevemmo l’invito, mi ha detto che secondo lui non si odiassero affatto, ma che, anzi, mostrassero uno strano attaccamento.”
“Si sono danzati intorno per anni senza mai trovare un punto d’incontro. Hanno rischiato di rimanere lontani per sempre” – concluse allora sua madre.
“Già…” – da quel momento Ayumi non aveva più espresso alcuna opinione sulla sua amica. Sapeva solo che non intendeva lasciarsi scappare l’uomo che amava.
Maya le aveva dato un’altra lezione di vita.
Quando quel giorno era giunto il fotografo, l’uomo l’aveva abbracciata stretta.
“L’hai saputo?” – le aveva chiesto.
“Del matrimonio? Sì…”
“Avevo ragione, ma chérie!” – sogghignò.
“Non potevi trattenerti dal farmelo presente, nevvero?”
“Jamais! Troppo divertente…” – e l’aveva baciata come era solito fare.
Un leggero tocco di labbra prima, come ad avvisarla; le mani ad incorniciarle il volto per modellarla; la sua calda passione per incendiarla.
“Quando sarai fuori di qui, andremo a trovarla!”
“Non parlare!”

Nella capitale, Shiori Takamiya stava lavorando nei suoi nuovi uffici ricevendo rappresentanti commerciali di alcune delle maggiori case produttrici di articoli matrimoniali: abiti da sposa e da cerimonia, bomboniere, confetti, partecipazioni. Masumi aveva avuto ragione: nominare la sua agenzia nell’articolo del suo matrimonio aveva destato molto interesse. Già dalla prima mattina del lunedì la sua segretaria aveva ricevuto richieste d’appuntamento. Sarebbe stata impegnata per tutta la settimana, collezionando cataloghi, campionature e depliant di pittoreschi scenari. Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il suo ex-fidanzato. Quando quella mattina si era alzata dal letto e si era specchiata aveva visto una donna felice: volto riposato, sguardo brillante, sorriso sulle labbra.
L’unico neo in quei giorni era stato conoscere le mosse di Eisuke. Ormai vedeva la realtà com’era: sapeva che suo nonno in passato aveva avuto rapporti di ‘collaborazione’ con una potente famiglia yakuza. Fortunatamente non era stato niente di sanguinoso, solo uno scambio di favori finanziari. Quella stessa famiglia aveva fornito ad Eisuke favori di tutt’altro genere. Come le aveva raccontato suo nonno, però, lui era stato in grado di intessere un rapporto di reciproco rispetto con il capofamiglia. Proprio questo rapporto gli era valso il favore di essere messo al corrente dei movimenti di quello che era stato il suo migliore amico.
Non poteva fare a meno di ricordare lo sguardo crudo di Masumi mentre apprendeva ciò che suo padre aveva orchestrato.
“Perdonami, se mi sono immischiato.” – aveva concluso il vecchio imperatore – “Ma temevo che quel vecchiaccio non si sarebbe arreso ed ho allertato coloro a cui sapevo si sarebbe rivolto.”
Masumi si era inchinato profondamente.
Mai Shiori l’aveva visto fare un gesto simile davanti a qualcuno, neanche quando era stato liberato dal contratto matrimoniale.
“Le sono grato, anzi. Senza di lei, signore, sarei stato una vittima inconsapevole e Maya sarebbe stata perduta.”
“Masumi… quanto sei diverso da tuo padre!” – aveva sospirato rassegnato.
Il giovane non aveva fiatato. Cosa c’era da dire in fondo?
Shiori non si capacitava di come un padre potesse arrivare a voler morto il proprio figlio. Certo, Masumi non era biologicamente suo figlio, ma Eisuke l’aveva cresciuto ed educato come riteneva giusto. Come era possibile che non l’amasse? Che anzi l’odiasse tanto da ucciderlo solo perché aveva rincorso la propria felicità? Ogni volta che il suo pensiero correva a lui e a quello che stava subendo le venivano quasi le lacrime agli occhi ed un velo di tristezza le copriva il volto.
Guardò la donna che le sedeva di fronte: le stava presentando il catalogo di abiti da sposa di cui disponeva assicurandole che ogni capo sarebbe stato eseguito su misura ed, eventualmente, adattato alle esigenze della cliente. Era una donna curata, elegante. Stavano discutendo delle condizioni di vendita da ormai venti minuti ed avevano trovato un accordo su quasi tutto.
Erano in procinto di chiudere l’incontro quando il suo telefono squillò. Era la sua segretaria, assunta su indicazione di Masumi tra le migliori addette alla direzione della Daito.
“Sì, lo faccia passare. La signora Uehara sta uscendo.”
La signora in questione colse il messaggio e iniziò a riporre le proprie cose preparandosi a lasciare l’ufficio. Uscendo, incrociò un elegante quarantenne, alto, carnagione e capelli scuri, fisico asciutto ma muscoloso. Chiunque si sarebbe girato per ammirarlo. Lei non fece eccezione, riservandogli uno sguardo ammiccante e sfiorandolo appena con la spalla mentre si contendevano la porta d’ingresso.
Shiori, con un sorriso smagliante in volto, notò lo sguardo della Uehara e ne fu leggermente infastidita. Inarcò un sopracciglio mentre porgeva la guancia ad Aki per un bacio.

Il giornalista si era svegliato quella mattina con l’insaziabile desiderio di vederla. Erano più di tre giorni che non poteva scorgerla nemmeno da lontano ed era giunto al limite. Indossò una delle sue camicie scure ed un paio di jeans, lasciando sciolti i capelli. Era uscito in fretta ed aveva raggiunto i suoi uffici. Entrando aveva scorto la segretaria ed aveva chiesto di vederla.
“Sarebbe impegnata in questo momento.” – gli aveva risposto algida.
Non si sarebbe fatto abbattere dalla professionalità di un’impiegata troppo zelante.
Aveva sfoderato il suo miglior sorriso e le aveva chiesto di avvisare la signorina che Mikami Aki voleva vederla.
“Vedrà che non la redarguirà!” – aveva concluso.
Con sguardo scettico, la donna, sicuramente vicina ai cinquanta, aveva alzato la cornetta e composto l’interno. Poche parole e aveva riattacccato.
“Può entrare!” – l’aveva informato.
Il giornalista non era riuscito a trattenere un simpatico ghigno osservando la donna tentare di trattenere la stizza. Mani in tasca, si era avviato alla porta della donna che gli aveva tolto il sonno.
Entrò senza bussare ed incrociò un’altra esponente del genere femminile. Questa gli riservò l’accoglienza a cui era abituato: sguardo ammiccante, sorriso suadente. Aki la salutò con un cenno del capo ed uno stiramento di labbra che sperò fossero interpretati correttamente.
Si diresse verso Shiori sentendo ancora lo sguardo della donna su di sé: accidenti!
I suoi timori vennero confermati quando l’oggetto dei suoi desideri gli porse la guancia. Stette al gioco, prolungando al massimo il contatto con quella pelle fresca, ma quando la donna si accinse ad allontanarsi fu più veloce e la trattenne, afferrandole il mento con due dita e girandole il volto fino a fissarla negli occhi.
“Come mai tanta freddezza?”
“Lo sai…” – iniziò, per poi cercare di correggere il tiro – “Sono in ufficio, potrebbe entrare chiunque.”
“Risposta sbagliata. Con quel cerbero in forma umana che ti ritrovi come segretaria non potrebbe entrare nemmeno una mosca senza che tu ne sia informata. Ritenta!”
“Pensavo non volessi dare una cattiva impressione alla ‘signora’ Uehara.”
“Sei una bambina cattiva, lo sai?” – le chiese fra il serio ed il faceto – “Non ti vedo e non ti sento da giorni, non dormo la notte per la voglia di vederti, vengo da te e non mi dài neanche un bacio?”
L’uomo avvicinò leggermente le sue labbra a quelle morbide della donna che le aveva dischiuse, stupita.
“Ho visto come ti guardava!”
“E hai anche visto come guardo te e non ho guardato lei?”
“Sì…” – ammise alla fine.
“Sei bella anche quando sei gelosa!” – le labbra erano ad un soffio.
“Non sono gelosa!” – adorava perfino quello sguardo stizzito in lei.
“Certo!” – acconsentì, baciandola finalmente.
Tanti piccoli tocchi, delicati come le ali di una farfalla. La mano si spostò sulla nuca, sfiorandole i corti capelli, mentre l’altra le cinse la vita sottile. L’incontro di labbra si approfondì con l’abbraccio: i loro corpi erano uniti ora, con le braccia di lei che gli avvolgevano la schiena.
“Mi sei mancata.” – le sussurrò tra un bacio e l’altro.
“Perdonami.” – gli rispose. La voce improvvisamente velata dalla tristezza.
“Cosa c’è?” – chiese, allontanandosi senza però interrompere il contatto.
Shiori sollevò una mano per toccargli la leggera barba incolta.
“Masumi… è in pericolo.” – disse solo.
Mikami trasse un profondo respiro e le si sedette di fronte. Guardò Shiori appoggiarsi alla scrivania e guardarlo.
“Racconta.” – la sollecitò accavallando le gambe.
“Non posso dirti come faccio a saperlo. Sono cose che riguardano mio nonno.”
“Dimmi cosa sai, allora.”
“Eisuke… Eisuke Hayami ha commissionato il suo omicidio alla yakuza!”
Forse impallidì in quel momento. Rilasciò le gambe, protendendosi verso di lei.
“Come dici? Come è possibile?”
La vide scuotere la testa sconsolata.
“Ce lo stiamo chiedendo tutti. Sapevamo che era spietato… ma fino a questo punto… pensavamo avrebbe tentato qualcosa a livello finanziario. Eravamo pronti a tutto.”
D’un tratto Aki comprese il reale coraggio dimostrato dal giovane Hayami. Per amore di sua moglie, per non sacrificare se stesso ed il loro rapporto, aveva messo a repentaglio perfino la sua vita. Indurì lo sguardo: Eisuke Hayami meritava una lezione.
“Cosa facciamo?” – chiese sicuro.
La donna lo guardò grata. Aveva forse dubitato della sua partecipazione? Un sospiro, poi:
“Grazie… per ora il tuo aiuto serve a me: questa situazione mi sta mandando nel panico.” – affermò abbracciandolo. Un altro sospiro per poi continuare – “Il nonno sta mettendo in atto un piano con Masumi. Vogliono sventare l’attentato e rendere innocuo Eisuke. Non sarà facile, ma sembrano ottimisti.”
Il giornalista si alzò, accogliendola nel petto.
“E io, io cosa posso fare?”
“Ne parlerò con loro. Già la tua penna è stata un’arma potente. Sono sicura che troveremo un modo per mettere a frutto il tuo talento.” – concluse alla fine, beandosi del suo calore.
“Devi ancora lavorare?”
“Perché?”
“Non hai ancora imparato…” – evidenziò, mordicchiandole le labbra.
“Volevo solo sapere cosa avevi in mente.”
“Ti rapisco!” – senza se e senza ma.
“Avviso la segretaria!”
“Già, un vero mastino, tra parentesi.” – un sorriso birichino fece capolino sul volto della donna.
“La Daito ha sempre elementi interessanti nel suo organico.”
“Tzè… colpa mia ad aver sollevato l’argomento.”
L’uomo girò per la stanza luminosa in attesa che si liberasse, poi presala per mano la trascinò all’aperto sotto lo sguardo stupito del cane da guardia.

In quello stesso momento, un Eisuke Hayami estremamente soddisfatto pregustava il sapore della vendetta che sarebbe stata completa alla fine della settimana. Masumi aveva annunciato quella mattina una conferenza stampa per la domenica. Mancavano solo tre giorni, ma già immaginava che tutte le testate giornalistiche e le televisioni non si sarebbero perse per nulla al mondo un tale evento: sarebbe stata la sua prima apparizione pubblica dopo il matrimonio e la sua ribellione. Il coraggioso Masumi Fujimura che si mette contro il cattivo! Peccato non sapessero che la maledizione della Dea Scarlatta l’avrebbe punito subito dopo per quell’affronto.
Quella mattina aveva chiamato gli avvocati ed aveva definito gli ultimi dettagli per la sua estromissione dagli affari di famiglia. Alla fine era stato semplice revocargli tutti i poteri visto che non era più suo figlio: gli aveva fatto un enorme favore rinunciando al suo cognome. Avrebbe potuto fare il magnanimo e lasciarlo morire come niente fosse stato, ma non voleva rapportarsi con la vedova inconsolabile.
Chiamò il suo autista. Voleva andare alla Daito. Aveva ancora una faccenda da risolvere. Una faccenda piacevole. Si avviò con la carrozzina all’ingresso della villa e si fece aiutare dal cameriere per salire in auto. Sarebbero stati sorpresi di vederlo in azienda. Forse solo un componente della sua organizzazione poteva prevederlo, ma sperava vivamente di sorprenderlo.
Il tragitto fu breve. Arrivato di fronte all’ingresso, l’autista l’accompagnò nell’atrio. Appena le porte in cristallo scorrevoli fecero largo e le centraliniste notarono la sua presenza sentì l’aria farsi frizzante. Improvvisamente tutti i suoi dipendenti si inchinarono profondamente, lasciandosi andare ad apprezzamenti non richiesti sulla sua persona ed assicurazioni circa la loro lealtà nei suoi confronti.
L’uomo non aveva dimenticato l’ambiente stucchevole in cui aveva lavorato per tanti anni, ma rimase comunque stranito dal non trovarlo più soddisfacente come una volta. Infastidito da quella strana sensazione si diresse agli ascensori senza degnare nessuno di uno sguardo: impettito, il mento alto, gli occhi brillanti di orgoglio. Il suo portamento faceva quasi dimenticare che fosse ancora sorretto dal suo autista. Entrato nel vano rivestito di specchi salì fino alla presidenza.
Trovò ad attenderlo un atrio stranamente vuoto. Solo la scrivania della segretaria era occupata dall’immancabile Saeko Mitsuki.
Nessuno attendeva con trepidazione di incontrare il potente Masumi Hayami.
Nessuno passeggiava ansioso davanti alla sua porta.
Nessuno sedeva nervosamente incapace di rimanere immobile sui vuoti divani in pelle.
Il fiacco sole pomeridiano illuminava un ambiente desolato.
Al suo ingresso, la donna si alzò in piedi di fianco alla sua postazione ed accennò un leggero inchino: già, c’era un motivo se aveva voluto che affiancasse suo figlio nella direzione della Daito. Saeko Mitsuki era intelligente ed intuitiva, ma anche orgogliosa. Aveva dato la sua fedeltà a Masumi. L’ammirava e, per questo, non poteva permettersi di mantenerla all’interno delle sue aziende.
La guardò sostenuto mentre le ordinava di seguirlo nell’ufficio del presidente. Posizionatosi dietro la scrivania la fissò per parecchi minuti sperando di scorgere un tentennamento, un lieve tremito, un dubbio. La donna continuò a guardarlo da dietro le lenti ambrate come se davanti si trovasse l’ultimo degli impiegati. La schiena eretta, le mani giunte sul davanti.
“Nessun blocco per appunti quest’oggi, signorina Mitsuki?” – esordì.
“Ne ho ancora bisogno?” – gli chiese di rimando.
Una risata cancellò il tono cordiale che aveva fatto inizialmente trapelare.
“No, ha ragione. Sa perché sono qui, giusto?”
“Immagino non possa permettersi di lasciare la Daito senza una guida, né possa lasciare che sia io ad affiancare la persona che sostituirà il signor Masumi…”
“Il signor Masumi… già, come pensavo. Naturalmente ha ragione. Su tutta la linea. Le concedo due giorni per istruire la persona che la sostituirà circa i suoi compiti e da lunedì la voglio fuori da questo edificio.”
“Naturalmente.” – non un sussulto, non un sospiro.
“Quanta parte ha avuto lei nell’obbrobrio a cui ho assistito la scorsa domenica?”
“Obbrorio, dice? Allora non capisco di cosa stia parlando. Io sono stata ad un matrimonio e devo dire che mi sono anche divertita.” – gli rispose pacatamente.
L’ira lo colse, finalmente.
“Che divertimento c’è nel mandare a rotoli il lavoro della ‘mia’ vita per soddisfare uno stupido sentimento tanto passeggero come l’amore? Risponda!” – quasi gridò, alzandosi in piedi e sbattendo entrambe le mani sul piano lucido della scrivania.
“Se è tanto passeggero come lei dice, signor Hayami, come mai nella sua vita ha sempre rincorso Chigusa Tsukikage ed i suoi diritti?”
“Quella è sete di potere, non amore!”
“Ha ragione lei naturalmente. Non è amore. Ma sicuramente non è stata nemmeno sete di potere.”
Quella donna gli avrebbe fatto commettere un crimine se non si fosse calmato. Si riaccomodò sulla poltrona di pelle.
“Non sono qui per discutere con lei delle mie motivazioni. Non ha risposto alla mia domanda, comunque.”
“Non la ricordo più!”
“Ne dubito, signorina. Non l’ho messa a fianco di mio figlio perché dimenticasse quello che le veniva detto.”
“Non ho avuto alcun ruolo nel matrimonio di suo figlio.” – mentì.
“Certo, come no! Lo scoprirò comunque, lo sa vero?”
“Faccia come vuole” – concluse lei, avviandosi alla porta – “Mi mandi su la persona che dovrà sostituirmi, la istruirò sui suoi compiti e poi me ne andrò.”
La porta si chiuse alle sue spalle ed Eisuke sbatté un pugno sulla scrivania.
Maledizione! Cos’avevano tutti al posto del cervello? Aria?! Amore, amore, amore. Non ne poteva più. L’amore non esisteva e se esisteva non era nell’accezione salvifica e paradisiaca che tutti sembravano supporre. Chigusa Tsukikage aveva sofferto tutta la vita, per amore. Anche prima che lui si facesse avanti. Suo figlio era corso dietro ad un’illusione per sette anni ed ora? Aveva abbandonato i suoi progetti, il suo potere e lui per cosa? Entro qualche anno quell’insulsa ragazzina si sarebbe stancata e sarebbe passata a rotolarsi in un altro letto. Allora cosa sarebbe rimasto di Masumi Fujimura? Niente!
Gli sovvenne in quel momento che, in ogni caso, non sarebbe rimasto niente di quell’uomo e della sua esistenza. Solo quel pensiero riuscì a rimetterlo di buonumore. Sollevò il telefono e parlò qualche minuto con il responsabile del personale. Individuata l’impiegata che poteva essere in grado di sostituire passabilmente la Mitsuki, lo invitò nel suo ufficio. Dovevano trovare anche un sostituto temporaneo per ricoprire la sua poltrona e definire il comunicato stampa per tranquillizzare gli investitori che la Daito Art Production avrebbe continuato la strada della crescita patrimoniale come era stato fino a quel momento.
view post Posted: 27/8/2013, 14:20 Incontri - Fanfictions
Ciaooo! E' un piacere rileggerti... temevo di aver esagerato!
Già... il vecchiaccio maledetto deve essere eliminato... a dire il vero fino all'inizio doveva ritirarsi in buon ordine, ma poi ho pensato che il vero Eisuke Hayami, quello str... di questa storia, non avrebbe mai mollato l'osso. Quindi gli sto facendo meditare vendetta.
In questo capitolo già si scopre qualcosa di più, anzi, forse tutto.
Sono felice di essere riuscita ad incuterti il timore.
Ed ora ti lascio alla lettura... spero ti piaccia!
PS: Scusami per i mostruosi ritardi che sto accumulando negli ultimi mesi.
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CAPITOLO 37

Koji si avviò stancamente alla sua auto. Ricevere la chiamata di Hayami non l’aveva rallegrato, ma nemmeno stupito.
Quando aveva letto i giornali della mattina, immaginava che il vecchio non avrebbe accettato inerme la sua disfatta e i contatti dell’uomo con il suo clan l’avevano indotto a credere che non sarebbe passato molto tempo prima che si facesse vivo.
Il contenuto della conversazione, similmente, non l’aveva colto di sorpresa: eliminare il suo ex-erede. Fare in modo che sembrasse un tragico incidente. Perpetuare la maledizione della Dea Scarlatta.
L’unica maledizione, però, era quella che lui si ostinava a far proseguire. Entrato in macchina chiamò il suo responsabile.
“Era come aveva detto!”

“Sì, come avevano programmato. Non si preoccupi.”

“Una settimana. La terrò aggiornato!” – non sarebbe occorso più tempo: avrebbe solo dovuto capire i movimenti della vittima e studiare i vari scenari.

Davanti ad una tazza di caffè nero fumante, Mitsuki osservava deliziata la sua copia di Tokyo News. Avevano fatto un ottimo lavoro ed Eisuke Hayami avrebbe avuto ben poche armi ora: il pubblico si sarebbe schierato incondizionatamente dalla parte dei due innamorati. Ogni fiaba ha bisogno di un cattivo.
Era seduta al tavolo bianco della cucina. Una leggera vestaglia in seta le copriva le spalle, unico vezzo di una vita votata all’efficienza. L’appartamento era ancora avvolto nella penombra. Solo una sottile parete la separava dal letto su cui riposava l’uomo misterioso alle dipendenze del suo ex-principale. Se pensava alla sera precedente, le sembrava ancora impossibile che si fosse lasciata ammaliare dal suo portamento e dal suo fascino al punto da invitarlo a casa sua: non era mai successo. Mai, con nessun uomo.
Non aveva avuto tempo per il romanticismo: non aveva una famiglia benestante alle spalle. Anzi, non aveva una famiglia. I suoi erano morti in un incidente quando era appena maggiorenne. I risparmi di una vita le erano bastati per i primi due anni di università. Aveva venduto la casa di famiglia, comprato l’appartamento dove ancora viveva e, con la differenza, aveva concluso gli studi.
Si era laureata nei tempi con il massimo dei voti grazie alla sua tempra, alla volontà, al suo cervello. Ed al fatto che non aveva una vita sociale degna di questo nome.
Dopo la laurea era stata contattata dall’head-hunter della Daito Art Production ed era diventata la segretaria personale di Eisuke Hayami. Aveva imparato la diplomazia e l’insidia, l’astuzia e l’indifferenza, la natura umana ed i suoi limiti.
Quando aveva avuto bisogno di compagnia, di rado, era uscita alla volta di qualche locale notturno: le corte relazioni che aveva intessuto erano prive di impegno sentimentale. Aveva sempre scelto uomini interessanti e non sposati.
Fin quando non era entrata alle dipendenze di Masumi. Da quel momento lei l’aveva stuzzicato per fargli ammettere i suoi sentimenti per Maya e farlo agire; lui le aveva fatto riconoscere che mancava una parte fondamentale nella sua vita: quell’amore romantico che aveva sempre allontanato, ritenendolo causa di distrazione.
Finì il caffè.
Si alzò, appoggiando il fianco al tavolo, e rimase lì, pensierosa.
Cosa era successo la sera prima? Cosa, quella notte?
Non aveva bevuto: non poteva imputare all’alcool il suo comportamento. Era sempre stata cosciente. Solo lei aveva deciso cosa fare. Anche per questo ora la coglieva una sottile inebriante sensazione di panico.
Ricordava l’uomo elegantemente vestito che, smessi i panni di responsabile della sicurezza, si era mimetizzato alla perfezione nel ricevimento.
Ricordava che avevano parlato del più e del meno, argomenti innocui.
Ricordava le sue braccia che la cingevano quando l’aveva invitata a ballare e, vagamente, lo sguardo assorto del signor Masumi.
Ricordava il suono ammaliante dei suoi sussurri al proprio orecchio.
Ricordava meno precisamente le parole che le aveva rivolto. Sapeva solo che era arrossita. E lui l’aveva stretta a sé, osservandone la reazione. Avevano ballato a lungo, approfittando della vicinanza dei corpi per scambiarsi leggere carezze: una mano sul braccio, una sulla schiena, un fianco sfiorato, un bacio accennato sul collo, il suo profumo nelle narici.
Quando avevano smesso di ballare, era pericolosamente accaldata. Aveva bisogno d’aria.
“Ti inviterei a venire da me,” – le aveva sussurrato, piano, alle spalle – “ma il mio appartamento è più la base di un agente segreto che una casa.”
“Vieni da me!” – si era lasciata sfuggire. E ancora non riusciva a capacitarsi del perché le fossero uscite in modo tanto naturale quelle parole. Non poteva vederlo, ma sentiva che aveva trattenuto il respiro. Lo sentì avvicinarsi, una mano sulla spalla ed un bacio soffice e sicuro nell’incavo del collo.
“Grazie.” – un leggero sussurro, un altro brivido. Si era girata e si era ritrovata tra le sue braccia – “Mi piacciono i tuoi occhi, dicono molto di te!” – già, non indossava gli occhiali a mascherare lo sguardo.
“Anche i tuoi non sono male!” – sorrise spavalda.
In risposta Hijiri l’aveva tratta a sé con una mano alla vita e le aveva baciato l’angolo delle labbra.
“Spero non sarà l’unica cosa che gradirai di me!” – spietatamente ammiccante.
“Vedremo…” – aveva girato il volto e, per la prima volta, aveva assaggiato quelle labbra generose e ben disegnate. Intrecciando le mani nei suoi capelli e lasciandosi abbracciare avevano approfondito il bacio rendendolo rovente e foriero di seducenti promesse.

Un raggio di luce gli ferì gli occhi tanto da indurlo ad aprirli. Gli ci volle un attimo per capire dov’era: la camera di Saeko.
Uno spazio funzionale, moderno, senza inutili suppellettili, ordinato. Come la sua proprietaria. I colori erano caldi… con un sorriso ammise che anche quell’aspetto la rispecchiava. Nell’aria avvertiva ancora il loro profumo e ricordò con dolcezza la sottile arrendevolezza con cui aveva risposto ai suoi approcci.
Quando al ricevimento l’aveva avvicinata non credeva veramente che sarebbe riuscito a suscitare più di un blando interesse: quando l’aveva invitato a casa sua quasi non poteva crederci.
I momenti passati insieme erano stati magici, non aveva mai incontrato una donna tanto onesta nelle sue reazioni: pronta a chiedere come a dare, senza veli, senza ipocrisie, senza inutili maschere. Era Saeko Mitsuki la donna con cui aveva fatto l’amore quella notte, non un suo alter ego creato ad arte.
Scostò le coperte e si tirò a sedere sul letto.
Era solo e non avvertiva alcun rumore in casa. Solo un leggero aroma di caffè.
Si alzò silenziosamente e fece scorrere la porta. E lì la vide, di spalle, appoggiata al tavolo della cucina. Immaginava il suo cervello mentre cercava di convincersi che era stato un errore o che non aveva senso ciò che era successo.
Decise che doveva darle una mano a decidere perché non avrebbe lasciato che le sue paure gli impedissero di continuare a vederla: la voleva ancora, fino a quando non lo sapeva, ma di sicuro non era pronto a lasciarla andare.
L’avvicinò e, quasi senza toccarla, le respirò in un orecchio.
“Pentita?”
L’aveva spaventata: lo capì dallo scatto che fecero le sue spalle e dalla velocità con cui si girò facendo un passo indietro, ponendo quella breve distanza tra loro.
“No!” – rispose subito – “Solo… incredula.”
“Incredula…” – masticò – “… di essere stata con me?”
“No! Certo che no.”
“Bene… fa piacere avere delle conferme.” – sorrise malizioso e si avvicinò – “Di esserti lasciata andare, allora?”
Scosse la testa.
“Di cosa allora?” – chiese infine.
“Di averti invitato a casa!” – ammise. La guardò stupefatto.
“Beh... ma… voglio dire tu… insomma!” – era imbarazzato, incredibile!
“Non ho mai invitato nessuno a casa. Nessuno poteva entrarci!”
“Chiaro.” – finalmente comprendeva – “E’ la tua fortezza inviolabile, giusto?”
Non ebbe bisogno di conferme ed alzò una mano a toccarle il volto.
“Non invaderò il tuo castello. Non cercherò di domarti. Mi piaci come sei!” – le sfiorò piano le labbra, come a suggellare quella promessa.
“Ti piaccio?”
“Sì, pensavo si fosse capito questa notte…” – adorava il lampo di malizia che le accendeva lo sguardo.
“E’ reciproco!” – ed ecco che chiedeva. Incrociò i polsi dietro al collo e lo trasse a sé per un bacio più profondo e soddisfacente.
Karato la tenne per la vita, sentendo il suo corpo sotto la seta, un seducente ostacolo.
Non passò molto prima che sciogliesse la cinta che teneva legati i due lembi della vestaglia e vi inserisse le mani con un sospiro. Se la seta era morbida, la sua pelle lo era di più. Gli sembrava di sfiorare una perfetta scultura di marmo, solo tenera e soffice. Il suo calore ed il suo profumo l’inebriarono. Con un rapido gesto fece cadere l’indumento ai loro piedi.
“Meglio.” – le sospirò sul collo. Un morso. Un bacio. Le lingue iniziarono una nuova battaglia.
La cinse con un braccio, sollevandola fino a farla sedere sul tavolo, mentre con l’altra mano era salito a carezzarle il seno pieno.
Sapere che non aveva mai invitato nessun altro a casa sua l’aveva ubriacato, quasi avesse confessato che era stato il suo primo uomo.
Saeko aveva abbassato il volto e gli stava mordendo dolcemente il petto con i suoi piccoli denti, mentre l’uomo si inseriva tra le sue gambe.
Le mani sulle ginocchia corsero lungo le cosce tornite per avvicinarsi ai fianchi. Era così bello toccarla e farla fremere perché sembrava non essere mai sazia: le mani sul suo petto, sulle spalle, tra i suoi capelli, sull’addome… nei suoi boxer!
Non riuscì a contenere un gemito mentre veniva liberato da quell’ostacolo.
“Signorina Mitsuki! Quale impudenza!”
Sorrise sulle sue labbra, mentre incrociava le caviglie sulla sua schiena e lo induceva ad entrare in lei.
Pronta a chiedere e a dare.
Si inarcò sul tavolo, i capelli lucenti ne sfiorarono il piano, movendosi in leggere onde armonizzate con le loro spinte. Appoggiati sul piano, si possedettero piano, dolcemente, a lungo. I gemiti uniti, i respiri affannati, i movimenti lenti, veloci, sensuali. Si penetrarono a vicenda, sempre più profondamente, fino a godere di quell’attimo in modo tanto assoluto da doversi aggrappare l’uno all’altra per non cadere.
Ripresero fiato.
“Sarei sfacciato, se ti invitassi a cena?” – le chiese. Era stato tentato di autoinvitarsi a pranzo, ma le aveva appena promesso di non invadere i suoi spazi.
Un lampo indecifrabile le attraversò lo sguardo.
“Non vuoi rimanere ancora un po’?” – era insicurezza? Possibile?
Si sfiorarono in viso, come fosse un nuovo modo di conoscersi.
“Non chiederei di meglio.”
“Allora, resta!”

Quello stesso pomeriggio, il vecchio imperatore Takamiya rintracciò Masumi.
“Abbiamo un problema.” – gli disse schiettamente.
“Cosa succede?”
“Meglio parlarne di persona. Vieni domani da me, di buon’ora. Ne discuteremo meglio. Ah! Sta’ tranquillo, niente che non si possa risolvere!” – e riattaccò.
Masumi guardò Maya dall’altra parte della stanza che lo interrogava sul contenuto della telefonata.
“Niente di importante” – rispose – “Affari.” – rincarò.
La vide scrutarlo e comprese che non l’aveva ingannata, ma che non avrebbe neanche insistito. Lo conosceva troppo bene ormai. Non sapeva se preoccuparsene o esserne felice.
Il mattino seguente si recò a Villa Takamiya. Non erano ancora le otto quando arrivò. Tuttavia trovò Shiori e suo nonno ad attenderlo.
“Allora?” – chiese impaziente.
“Vieni nello studio.” – lo invitarono.
Ne uscì dopo un paio d’ore: uno sguardo carico d’odio e di preoccupazione.
Fortuna! Fortuna aveva trovato due potenti alleati, altrimenti sarebbe stato spacciato.
Avevano discusso a lungo su come procedere e alla fine avevano deciso.
Avrebbero fatto in modo che i fatti si svolgessero come previsto e, alla fine, avrebbero comunque vinto.

Dopo la telefonata della sera prima, Masumi aveva perso la sua serenità. Le aveva detto che si trattava di affari, ma non era possibile: si erano sposati da poco più di un giorno e non si sarebbe fatto rovinare il momento da una questione di lavoro, non suo marito.
Tuttavia, sposandolo aveva scelto di fidarsi e, se lui riteneva di non poterle dire nulla, l’avrebbe accettato.
Quella mattina era uscito prestissimo, lasciandole un bacio lieve sulle labbra, convinto che dormisse.
Maya aveva aperto gli occhi quando aveva sentito chiudersi la porta della camera.
“Cosa sta succedendo?” – chiese, ormai solo a se stessa.
Passarono più di tre ore prima che tornasse.
Nel frattempo si era rinfrescata, aveva cercato di fare un po’ d’ordine nella stanza e fatto colazione. Aveva infine telefonato a Rei, per scusarsi ancora di non averle detto nulla ed accertarsi che non ce l’avesse con lei.
Aveva da poco abbassato il ricevitore quando udì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi con uno schiocco secco.
Si voltò e lo vide.
Un sorriso aleggiava sulle labbra, ma non riusciva ad arrivare agli occhi che avevano perso il calore del giorno prima.
Un tremito la colse al cuore.
Non sono affari! Non sono affari! Cosa mi nascondi? C’entra tuo padre? Solo per lui hai quegli occhi!
Ma doveva tener fede ai suoi propositi: gli si avvicinò calorosa. Non aveva paura di quello sguardo freddo, non più.
Lo abbracciò stretto alla vita, nascondendo il volto nel suo petto. Gli stette vicina al cuore finché non sentì le sue braccia stringerla talmente forte da mozzarle il respiro. Sembrava quasi che si aggrappasse a lei.
Se aveva bisogno del suo appoggio, non gliel’avrebbe negato.
Se non poteva donargli altro, sarebbe stata il suo scoglio nella tempesta.
Si sentì sollevare tra le braccia e portare verso il letto.
Quasi si gettarono nel letto e, mentre lo guardava ammaliata, suo marito si tolse freneticamente la giacca e la cravatta, si slacciò i primi bottoni della camicia rivelando la pelle di miele del torace.
Muto, le si affiancò.
Le prese il volto tra le mani e si tuffò sulle sue labbra morbide ed accoglienti. La invase, con apprensione, con amore, con disperazione. Le mani corsero alla leggera vestaglia che indossava.
Gliela strattonò, togliendola.
Aveva bisogno di lei e del suo calore. Questo comprese Maya e si lasciò andare.

Nel tragitto di ritorno all’albergo, Masumi si era ripromesso di non rivelare nulla a Maya, ma quando era entrato e l’aveva scorta ad attenderlo la rabbia aveva ripreso il sopravvento. L’aveva salutata con un sorriso, ma non l’aveva ingannata perché gli si era avvicinata e l’aveva abbracciato silenziosa. Era rimasto un attimo interdetto e poi aveva ricambiato la stretta, bisognoso di sentire il suo amore, la sua forza ed il suo cuore.
L’aveva presa in braccio. Si era spogliato parzialmente, guardandola sempre negli occhi. Non le aveva detto una parola, ma aveva capito. Che le stava nascondendo qualcosa, che non erano ‘affari’. E, nonostante tutto, l’aveva accolto senza domande. Si era fidata del suo giudizio. Non la meritava.
“Non ti merito.” – si lasciò sfuggire con voce rotta dai sospiri, mentre le sfilava la vestaglia con forza e toccava nuovamente la sua pelle.
Le baciò il collo, la morse, mentre le sue mani fameliche ripercorrevano quel piccolo angolo di paradiso.
“Non pensarlo mai!” – si sentì rispondere, prima che le sue tenere mani dirigessero le sue labbra sulle proprie – “Io sono te; tu sei me.”
Fu un bacio pieno di calore, ma privo di tenerezza, ansioso, timoroso, quasi struggente. Un bacio nuovo.
“Io sono solo per te.” – ribadì ancora. E ritrovarono un po’ della loro dolcezza, quella delle labbra e dei cuori.
Sentì le sue mani finire di slacciargli la camicia ed appropriarsi del suo petto e della schiena.
Masumi le morse la tenera pelle della clavicola e dei seni. Le sue mani strinsero e soggiogarono la sua carne fremente.
Maya corse alla sua cintura. Armeggiò anche con i pantaloni, prima di liberarlo.
L’uomo gemette al suo tocco delicato.
“Amami…” – gli sussurrò sulle labbra – “Ne ho bisogno.”
“Ragazzina…” – Come puoi conoscermi tanto? Sono io ad aver bisogno di te!
Insinuò un dito nel suo calore, strappandole un gemito e trovandola già pronta.
La penetrò. Senza finirsi di spogliare, desideroso solo di essere di nuovo a casa.
Si mossero velocemente, sempre di più.
Si unirono con fame e disperazione. Comprensione e generosità.
Masumi rimase aggrappato a lei, in silenzio.
view post Posted: 24/8/2013, 09:00 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
E rieccomi anch'io! Dopo tanti giorni torno a commentare con piacere. Ho letto gli ultimi tre capitoli e che dire?
Erminia e Heinz sono inquietanti: non mollano l'osso. Più che rinunciare al trono, Hector che dovrebbe fare per tenersi al sicuro da quegli opportunisti?

Spero che Marcus non si sia fatto effettivamente infinocchiare da Erminia ma che abbia ripreso i contatti magari per tenere d'occhio la situazione (speranza vana, la mia?).

Infine, sono d'accordo con Fulvia per tutta la questione triangolare di New York. Vedremo i tuoi sviluppi...

Grazie come sempre per renderci partecipi dei tuoi scritti!
view post Posted: 11/7/2013, 22:06 Incontri - Fanfictions
CAPITOLO 36
TOKYO NEWS – 25 novembre 2012
LA DEA SCARLATTA TROVA IL SUO ISSHIN
E non è del capolavoro scomparso che si sta parlando, ma della vera Dea Scarlatta, quella che lo è diventata ufficialmente la scorsa domenica.
Maya Kitajima ha trovato il suo Isshin ieri, in una piccola cappella alla periferia di Tokyo. La storia è una fiaba dei nostri giorni durata otto anni. Chi non conosce la generosa figura del donatore di rose scarlatte che ha sostenuto ed aiutato la nuova luce del teatro giapponese fin dall’adolescenza?
Ebbene, recentemente l’ammirazione dell’uomo, che non è il dolce vecchietto che abbiamo sempre pensato, si è trasformato in amore profondo e tempestoso. Talmente forte da spingere Isshin ad abbandonare la propria maschera ed il suo cognome, sfidando le ire di suo padre, pur di conquistare il cuore della sua protetta, battaglia non certo semplice vista la sua vera identità.
I loro continui scontri erano talmente famosi da rendere incredibili gli sviluppi delle ultime settimane.
Masumi Hayami ha sciolto il vincolo con cui suo padre lo aveva legato alla famiglia Takamiya, che gli ha comunque riservato comprensione e collaborazione.
Ha passato le ultime settimane a corteggiare l’attrice, scoprendo che non era odiato come temeva. Tutti hanno guardato stupefatti il ballo che hanno condiviso la sera della premiazione. Solo alla fine ha svelato la sua doppia identità e le ha chiesto di sposarlo.
Eisuke Hayami non avrebbe mai accettato la vicenda, pertanto il produttore ha rinunciato al cognome paterno, frutto dell’adozione di cui era stato oggetto, riprendendo quello della madre.
Masumi Fujimura e Maya Kitajima si sono sposati ieri, realizzando un sogno che pochi avrebbero creduto realizzabile. Shiori Takamiya e la sua agenzia hanno aiutato l’ex-fidanzato organizzando dal nulla le sue nozze.
In meno di una settimana sono state espletate le pratiche, riservata la suggestiva cappella, mandate le partecipazioni ed organizzato il ricevimento per gli invitati.
Gli sposi erano l’immagine dell’Amore e della gioia.
Significativa è stata la presenza alla cerimonia dell’imperatore Takamiya, ad ulteriore testimonianza della vicinanza della sua famiglia alla nuova coppia. D’altro lato, Eisuke Hayami ha abbandonato la funzione stizzito, lasciando che i festeggiamenti procedessero senza altri impedimenti.

Una foto dello scambio degli anelli testimoniava che l’articolo non era un ‘simpatico’ scherzo.
Masumi lasciò cadere sulla lucida scrivania della camera il giornale ripiegato. Il leggero fruscio produsse un movimento nella figura avvolta nelle lenzuola sul letto dell’elegante camera d’albergo che avevano riservato per qualche giorno.
Le spalle alla finestra, la sagoma avvolta in un leggero accappatoio di cotone, un bicchiere con un dito di whisky in mano, Masumi osservò sua moglie.
Sua.
Moglie.
Maya era sua moglie.
Il cuore gli scoppiava di felicità, gioia, appagamento.
Quando era sceso dall’auto ed aveva visto suo padre, l’ansia gli aveva afferrato le viscere. Il suo cuore indomito aveva avuto paura, aveva vacillato. Il suo piano rasentava la follia, quella volta.
Poi era arrivata Maya e tutto era scomparso. Era rimasta solo lei, il suo volto, i suoi occhi lucidi, la sua pelle tenera, le sue piccole mani, la sua figura esile eppure perfetta, l’abito bianco che avrebbe voluto sfilarle facendola gemere tra le sue braccia.
La cerimonia era stata priva di colpi di scena, a parte i sussulti che avvertiva dal posto di suo padre.
Il suo sogno. Il suo desiderio offerto alle stelle. Maya.
Un tuffo al cuore. Come sempre capitava quando la guardava, la pensava, la sfiorava.
Non avrebbe mai trovato sollievo alla sua pena.
Non voleva un cura.
Tenui raggi di sole entravano dalle vetrate ed andavano a baciarle il volto.
Sono geloso perfino del sole.
Poggiò il bicchiere sul comodino e fece scivolare a terra la veste.
Pose un ginocchio sul letto e si fermò un attimo ad osservarla: dormiva sulla pancia, il volto sereno, oscurato solo da qualche ciocca di capelli. Le lenzuola setose le coprivano parte della schiena, lasciandone intravvedere la curva sensuale.
Aveva resistito abbastanza.
Le si avvicinò piano e le posò un soffice bacio sul collo, mentre con una mano le scostava i capelli dal volto e le sfiorava la guancia. Solo le palpebre vibrarono leggermente.
Si umettò le labbra: doveva avere lo sguardo di una belva affamata vicino alla sua preda inerme.
Si portò ancora sul suo collo, posando altri baci all’attaccatura dei capelli. Fu talmente lieve che riuscì solo ad avvertire la morbidezza della sua pelle ed il suo calore.
Con una mano fece scivolare il lenzuolo lungo il suo corpo.
Ah… godette nel vedere la seta carezzarle la schiena per finire sulla morbida curva dei fianchi. Solo un leggero mormorio si alzò dalle sue labbra addormentate.
Maya non si era svegliata, ma Masumi ormai non era più in grado di trattenersi: il cuore gli batteva nel petto, facendo correre il proprio sangue, caldo come lava.
Leggero come una piuma seguì la sua spina dorsale con i polpastrelli prima e con le labbra poi. Il suo dolce sapore gli inondò la lingua, ancora. Non l’avrebbe mai dimenticato: era diventato la sua droga.
Risalì la schiena con le labbra e le baciò la curva della spalla. La sua mano era ferma sul suo fianco.
Maya si mosse appena, forse ancora addormentata, forse in attesa di altre carezze che l’uomo non tardò a fornirle.
Con un basso gemito di gola iniziò a mordicchiarle la tenera pelle dietro l’orecchio, mentre con la mano risaliva fino alla vita tenendola ferma. Con il volto passò a carezzare la morbida pelle della schiena, l’altra mano corse ad intrecciare le dita con quelle dolcemente adagiate di fianco al suo volto addormentato.
Senza rendersene conto si era ritrovato a carponi su di lei: un grande felino che ghermiva la sua compagna.
Sentì Maya cercare di ritirare la mano e muoversi leggermente.
Si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò un ‘buongiorno’ con voce roca.
Un lento sorriso si dipinse sulle sue labbra rosse, ancora segnate dai baci della notte precedente.
Masumi si allungò su di lei, attento a non gravarle addosso con tutto il suo peso, e le catturò la bocca. Il bacio divenne subito rovente: lingue che si cercavano, labbra che si incontravano, denti che mordevano teneramente.
“Che stai facendo?” – riuscì a chiedergli in un soffio.
“Ti sto dando il buongiorno!” – replicò, esplorando il suo orecchio.
“Mi piace.” – rabbrividì.
“Non ho finito… ancora!” – la mano che era stata ferma sulla sua vita si spostò tra le sue gambe, raggiungendo la sua intimità e trovandola già pronta ad accoglierlo.
Sentì il respiro di sua moglie rompersi mentre infilava un dito nella sua dolcezza. Lo mosse lentamente, esplorandola con cautela e beandosi dei gemiti che pian piano iniziarono ad invadere la penombra silenziosa della stanza. Mentre le sue piccole dita si artigliarono alle lenzuola, con un movimento deciso Masumi insinuò un ginocchio tra quelli di lei, favorendosi un ingresso più agevole. Inserì lentamente un secondo dito nel suo calore languido e continuò quella dolce tortura.
“Ti prego…” – lo implorò.
Come sordo ad ogni richiesta, l’uomo si fermò, sussurrandole solo: “Seguimi!”
Si alzò in ginocchio, invitandola a fare altrettanto.
La sua sposa appassionata non se lo fece ripetere. Fu un’agonia sentirla aderire a sé con ogni parte invitante del suo corpo: le braccia sulle proprie, la schiena delicata contro il suo torace scolpito, le cosce morbide contro le sue, contro la sua virilità fremente di desiderio.
Riprendendo il suo lento movimento ipnotico, fece scorrere l’altra mano lungo il suo braccio teso, suo collo, sulla sua bocca. La lingua gli accarezzò i polpastrelli, prima che scendessero a catturarle un capezzolo turgido. Le vezzeggiò il seno con perizia.
Maya stava di nuovo sbocciando tra le sue braccia.
Insensibile alle sue proteste infiammate, il giovane amante lasciò il suo paradiso.
“Masumi!” – lo richiamò.
“Arrivo…” – scherzò lui, con una piega soddisfatta dipinta sulle sue labbra.
Si era seduto sui talloni, osservandola indifesa, del tutto fiduciosa, accaldata come solo una donna innamorata può esserlo.
Accolse le sue piccole natiche nelle sue mani e soffiò il suo alito caldo su di lei.
“Ma... sumi!” – gemette ancora.
La sua Maya, dolce e disinibita.
Con piccoli morsi si avvicinò al suo calore. Con la lingua la carezzò e la esplorò come amava fare. I movimenti istintivi del suo bacino furono bloccati dalle sue dita. Beveva i suoi gemiti e le sue preghiere. Assorbiva l’odore del suo amore. Respirava il suo appagamento. Aiutandosi con un mano intensificò le sue attenzioni e presto Maya non fu più cosciente del suo corpo. Soffocò l’urlo di piacere nel cuscino, ultimo lampo di razionalità.
Quel suo modo di lasciarsi andare gli fece perdere il controllo. Con un movimento fluido la penetrò affamato ed iniziò a muoversi mentre ancora era scossa dai fremiti.
In ginocchio, dietro di lei, spingeva trattenendole i fianchi, fino a quando non la sentì muoversi per accompagnarlo. Allora le si stese sopra, un braccio intorno alla vita, la bocca al suo orecchio per sussurrarle quanto fosse bella. In quella danza frenetica non sarebbero durati ancora a lungo. Erano divorati. Rivoli di sudore scorrevano sui loro corpi, respiri affannati confondevano i loro gemiti.
Le spinte si fecero via via più veloci, più profonde, più esigenti, finché entrambi non crollarono esausti, l’uno sull’altra, uniti.

“Mi fai impazzire…” – fu Maya la prima ad interrompere il silenzio.
Erano stesi sul loro campo di battaglia, lui che l’accoglieva sul suo petto. La sua mano che ne accarezzava la pelle liscia.
Solo una risata di gola giunse in risposta alla sua lamentela.
“Non è male, no?” – le chiese poi, sfiorandole ammiccante la schiena.
“Vorrei solo poterti fare lo stesso effetto!” – continuò a lagnarsi. Era così.
Lo vedeva, lo sentiva. Sempre talmente controllato da aspettare che lei perdesse la testa per il troppo piacere prima di lasciarsi andare.
“Ragazzina…” – se la tirò sopra – “Non ti rendi nemmeno conto dell’effetto che mi fai. Mi ubriachi solo guardandomi!”
La sua voce che le solleticava le orecchie era sempre stata stuzzicante.
Quando era poco più che una bambina la irritava con il suo tono canzonatorio.
Dopo che l’aveva salvata alla morte di sua madre, iniziò ad irretirla.
Quell’unico sorriso che gli aveva visto in viso in quei giorni l’aveva turbata.
Dopo il suo fidanzamento con Shiori, le sue parole gentili la emozionavano e quelle beffarde la facevano sentire inadeguata.
Quando scoprì che lui, proprio lui, era il suo donatore di rose il cuore le era esploso. Tante cose avevano trovato una spiegazione; tante sue emozioni avevano trovato una ragione. E la sua voce… quella aveva assunto un nuovo tono: caldo, confortevole, consolatorio, seducente.
“Non è vero… sei sempre controllato!”
Si allungò per arrivare ad accarezzarle le labbra.
“Ragazzina testarda… con Shiori ero controllato, come dici tu. Non l’ho mai nemmeno abbracciata se non quando dovevamo ballare. Con te… neanche riesco a starti lontano. I miei occhi ti cercano sempre. Le mie mani si sentono sole senza di te. Io non sono niente da solo. Sono dipendente da te. Sei diventata la mia droga.”
Maya allungò le braccia intorno al suo collo, mentre le mani dell’uomo correvano lungo la schiena fino ad artigliarle i fianchi, accostandosela addosso.
Sentì immediatamente, di nuovo, il suo desiderio premerle contro il ventre.
“Lo stai rifacendo!”
“Non sto facendo niente…” – le mormorò sulle labbra – “Tu, piuttosto, non senti l’effetto che mi fai?” – sospirò.
Si mosse sotto di lei.
“Non è abbastanza! Sei sempre tu che comandi…”
Appoggiandosi sul suo petto si tirò a sedere sopra di lui.
“Sei mio marito?” – non riusciva ancora a crederci.
“E tu mia moglie…” – la mano di Masumi le accolse il volto, scendendo sul collo, sul piccolo seno, sulla vita, sulla sua gamba tornita.
“Mio…” – sospirò ancora lei, abbassandosi a baciargli il petto.
Lo morse, anche, lasciandogli piccoli segni sulla pelle dorata. Lo sentì gemere. Continuò imperterrita, con le dita, le mani, i capelli, la lingua, i denti e le labbra.
Masumi fremeva sotto di lei, mentre la mano era corsa ai suoi capelli, intrecciandovi le lunghe dita e pregandola di continuare.
“Lo vedi cosa mi fai?”
Lo guardò negli occhi: si erano scuriti, le palpebre appena abbassate. Erano lucidi. Le sue labbra erano tese. Ad un nuovo morso, suo marito inarcò il collo. Lo baciò sulla carotide, approfittando del momento, e di nuovo sulle labbra.
“Non è abbastanza!” – gli soffiò ancora.
Riprese a baciargli il petto, mentre le mani seguivano i contorni dei suoi muscoli: l’addome, i fianchi, gli avambracci… ed ancora, il collo, le spalle.
“Maya…”
“Non ancora!” – doveva resistere. Non poteva ancora cedere alle sue lusinghe.
Si alzò a sedere e lo osservò.
Era bello. Come sempre. Di più. Ancora arrossiva di fronte a lui, quando la coglieva con quello sguardo incantato. I capelli biondi, morbidi e sparsi sul cuscino; le sue labbra socchiuse; i suoi respiri affannati; il suo caldo petto; il cuore che batteva all’impazzata; i suoi occhi torridi, dolci.
Abbassò lo sguardo.
Non era mai riuscita ancora a toccarlo intimamente. L’aveva guardato, curiosa, ma si era sempre fermata.
Maya allungò piano una mano: la punta delle dita toccò quella pelle tesa. Un gemito strozzato gli sfuggì dalla gola.
Incoraggiata dalla sua reazione lo avvolse. Lo vide mordersi il labbro inferiore… e lo sentì muoversi ancora sotto di sé. Iniziò a muovere la sua mano, piano prima, come timorosa del suo effetto.
Iniziò poi a prendere confidenza con lui, con i suoi fremiti, con i suoi segnali.
Sentì i suoi gemiti intensificarsi, farsi profondi, rochi, felini.
“Maya…”
La ragazza resistette ancora. Mollò la presa, scorrendo su di lui fino a fargli sentire il suo calore.
Vide i suoi occhi spalancarsi e la sua mano avvolgerle il collo tirandola vicina in un bacio rovente.
“Non resisto più.” – le disse solo, mentre le legava la vita con un braccio e la girava portandola con sé.
Entrò in lei senza preavviso, strappandole un sussulto, di sorpresa, di piacere.
“E’ abbastanza, adesso?” – le chiese.
“Sì.” – sospirò, allacciandogli le braccia al collo e le gambe ai fianchi.
Ricominciarono la loro danza, conosciuta eppure sempre nuova.
Lenta e tenera; furiosa e selvaggia; dolce e calda; torrida e ferina.
Baci roventi, carezze graffianti, movimenti suadenti.

Shiori guardò soddisfatta il lavoro di Aki.
Nonostante non fosse il genere di articoli che era abituato a scrivere, trovava che avesse centrato tutti gli obiettivi: l’attaccamento di Masumi e la sua evoluzione; la trasformazione di Maya ed il loro amore contrastato; il ruolo negativo di Eisuke e, infine, l’immagine pulita della sua famiglia.
Sapeva che le sue parole non rispecchiavano tutta la realtà, omettendo la sua iniziale isteria, e quasi se ne dispiaceva, ma gliene era grata. Gli aveva rivelato tutta la sua storia ed Aki si era dimostrato un custode fedele.
Avevano ballato insieme per tutta la durata del ricevimento. Ormai libera dalle incombenze della cerimonia aveva potuto godere della sua vicinanza, ritrovando la loro atmosfera, quell’aura di serenità e trepidazione.

Rei, Sayaka e Mina ancora non potevano crederci.
Avevano davanti la copia giornaliera di Tokyo News con l’articolo sul matrimonio della loro amica, matrimonio a cui loro avevano partecipato, eppure ancora stentavano ad accettare la realtà.
Maya Kitajima, la loro Maya, quella imbranata, piccolina, insignificante, priva di ogni qualità che non fosse la recitazione, aveva sposato l’odiato Masumi Hayami, colui che l’aveva ostacolata, apparentemente, il ricco Masumi Hayami, il potente Masumi Hayami, il donatore di rose.
Per lei aveva rinunciato al suo nome, al suo passato, al suo potere ed alle sue ricchezze. Per lei era diventato un moderno Isshin che si ribellava al volere dell’imperatore.
Erano nel piccolo soggiorno di Rei, intorno al kotatsu, si guardavano in silenzio, sorseggiando ognuna il proprio tè.
“E’ successo davvero?” – chiese Mina.
Rei assentì silenziosa e Sayaka la seguì.
“Non riesco ancora a crederci…”
Eppure il giorno prima l’avevano vista, salutata, si erano congratulate con lei e le avevano augurato tanta felicità.
Ora… invece… come svegliatesi da un sogno, solo quell’articolo rimaneva a testimoniare che era tutto vero.

Lo stesso articolo che aveva riempito di soddisfazione Masumi Fujimura, di orgoglio Shiori Takamiya e di incredulità le tre ragazze, rese furibondo Eisuke Hayami.
Con ira lo lanciò nel focolare acceso: le fiamme lambirono le pagine, le avvolsero, divamparono pericolosamente come la sua rabbia.
Ridicolo. Lo aveva ridicolizzato.
Non solo suo figlio aveva mandato a monte i suoi piani e buttato al vento i suoi sacrifici, ma l’aveva fatto diventare lo zimbello di tutta l’alta società. Non l’avrebbe mai perdonato. L’avrebbe pagata cara per un simile affronto!
Percorse in lungo ed in largo l’ampio studio, scivolando con la sua sedia a rotelle sul lucido pavimento di legno. Il ronzio del motore e lo scoppiettio del fuoco erano gli unici rumori che lo accompagnavano nelle sue riflessioni.
Con un pericoloso lampo di follia negli occhi, si fermò di fronte alla sua scrivania e compose un numero telefonico.
Non dovette attendere molto prima che rispondessero.
“Ho bisogno di incontrarti. Ti voglio qui tra un’ora!” – ordinò e riagganciò senza attendere risposta.
view post Posted: 11/7/2013, 21:21 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Oh non preoccuparti del commento. Mi piace sempre la tua schiettezza. Quello che intendevo per confusione erano i suoi atteggiamenti con gli altri: nel senso che lui sa quello che vuole fare (giustamente dici che abbandona tutto x Elisabeth) ma forse non lo vuole ammettere con sé o con gli altri (e quindi non mette in chiaro le cose con bianca e con la stessa Elisabeth). Insomma non mi piace la sua mancanza di coraggio nell'affrontare la situazione.
view post Posted: 11/7/2013, 20:55 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
'Confuso' nel senso che segue Elisabeth, ma non lascia libera Bianca. Non mi sono mai piaciuti i piedi in due staffe...
view post Posted: 11/7/2013, 14:55 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
È confuso sì! E sta tenendo in sospeso Bianca come ha fatto con Lily, in linea di massima: era sposato con Lily e dopo tanti dubbi l'ha lasciata per Elisabeth quando è tornata dall'oblio con le conseguenze che tutti sappiamo; sta con Bianca (e ha sofferto molto a riaprirsi dopo la morte di sua moglie) ma ancora tentenna per Elisabeth e mente a Bianca. Bianca non è Lily, ha una figlia da crescere, ma sarebbe giusto che Masashi si decidesse invece di fare il bambinone eterno.
A parte questo, è sempre un piacere leggerti!
view post Posted: 30/6/2013, 16:36 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Masashi ha dimenticato quanto bene Alicia comprenda gli adulti e i loro pensieri, anche senza parole e confessioni... E ancora, si comporta da 'bambino', non volendo scrutare il suo cuore prima di agire e non pensando alle conseguenze.

Hector è veramente mutato e ne sono felice.
view post Posted: 25/6/2013, 12:09 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Allora a presto Fulvia! Ti aspettiamo!
view post Posted: 25/6/2013, 11:32 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Ah! Quanti ricordi per quelle stradine...
E quanti dubbi allora come ora.
Sembra tuttavia che si stiano avvicinando al termine del percorso e che stiano superando gli ultimi ostacoli che si sono imposti.
view post Posted: 14/6/2013, 11:05 Ritorno nella Valle II - Fanfictions
Confermo Fulvia e Barbara: nostalgia e malinconia struggenti.
Una stretta al cuore con la speranza che qualcosa di bello accada e la paura per un abbandono imminente.
view post Posted: 6/6/2013, 14:28 Incontri - Fanfictions
CAPITOLO 35
Mentre la berlina si avvicinava, dal finestrino Masumi iniziò a scrutare i convenuti. Ah, sì! C’erano tutti. Gli amici, i complici, suo padre.
Un ghigno segnò il suo volto. Tristezza, delusione.
Nel giorno del proprio matrimonio, un figlio dovrebbe essere felice della presenza dei propri genitori. Lui invece aveva scelto quel giorno per vendicarsi dell’unico genitore che gli era rimasto, un padre posticcio, fasullo, che non si era mai comportato come tale, non l’aveva mai trattato veramente come un ‘figlio’, se non imponendogli le proprie scelte.
Quel giorno, come non mai, sentì la mancanza di sua madre: la ricordava dolce, tenera, calorosa. Avrebbe voluto che conoscesse Maya. Si sarebbero piaciute, amate forse.
L’auto si fermò di fronte al sagrato.
Ne scese, vestito del suo completo nero. Anche la lucida camicia in seta lo era. Sarebbe potuto sembrare il figlio del demonio. Pochi si sarebbero arrischiati a negarlo. Le uniche note colorate e brillanti erano una rosa scarlatta appuntata al petto e un elegante fermacravatta in oro bianco.
Con passo deciso si diresse verso il signor Takamiya, lo salutò cordialmente per poi rivolgersi a suo padre. Lo guardava compiaciuto, tronfio di quella che supponeva sarebbe stata la sua ennesima vittoria.
Masumi guardò l’orologio e scambiò un’occhiata con la sua segretaria.
“Signori,” – disse, assicurandosi di avere l’attenzione degli invitati – “Vi ringrazio di aver accettato il mio invito. Credo che la sposa stia ormai per arrivare. Vi prego di accomodarvi.”
Rispondendo alla sua richiesta, tutti si diressero ai propri posti. Perfino suo padre non si soffermò a domandarsi il perché non si poteva accogliere Shiori fuori: non poteva sospettare nulla. Tutto era stato progettato perché così fosse.
Sul sagrato rimasero solo il regista Kuronuma, la signora Tsukikage e la sua collaboratrice. Masumi li ringraziò per aver esaudito i suoi desideri.
“Masumi, hai detto che avresti protetto la dea: così hai fatto e stai facendo. Non potevo rifiutarti nulla…” – mai una volta Masumi aveva visto la signora guardarlo con occhi quasi colmi d’affetto. Le sorrise grato. Era austera, ben lontana dalla dolcezza con cui ricordava sua madre, eppure Chigusa Tsukikage aveva amato con tutto il cuore come lei. Aveva solo perso la capacità di dimostrare dolcezza e tenerezza per le ferite che la vita le aveva inferto, che suo padre aveva contribuito ad infliggerle.
“Signor Hayami,” – lo interpellò invece il regista – “considero Maya quasi come la figlia che non ho mai avuto. Sono io a ringraziarla!” – si strinsero la mano, senza altre parole.
Passarono alcuni minuti ed una seconda berlina si fermò nella piazza.
Mitsuki si avvicinò sollecita allo sportello aperto galantemente dall’autista.
A Masumi si mozzò il fiato vedendo scendere la sottile figura di Maya, avvolta in un lungo abito in seta color avorio. Era bellissima, una visione. Il corpetto tagliato appena sotto il seno metteva in evidenza le sue forme aggraziate. La gonna si dispiegava in morbide volute fino a terra. Leggeri ricami e piccole perle rilucevano sotto il pallido sole. Maya aveva raccolto i capelli e nell’acconciatura spiccava un’altra rosa scarlatta.
La guardò fremente. Gli si stava avvicinando con passo sicuro ed un timido sorriso sul volto.
Le piccole mani erano nascoste dietro il bouquet di rose, bianche e scarlatte.
Masumi scese alcuni gradini, incapace di starle ancora lontano.
Con la coda dell’occhio vide Mikami sul lato della chiesa fare alcune foto.
Porse la mano alla sua giovane sposa, l’avvicinò a Kuronuma e la lasciò alle sue cure.
Mentre accennava a Mitsuki di far partire la marcia, si avvicinò alla signora Tsukikage.
“Sono onorato, signora!”
“Lo sono io, Masumi.” – guardò Maya con affetto – “La farai felice!”
“E’ mia intenzione, sì.”
Le prime note della marcia nuziale arrivarono fino a loro e l’uomo iniziò a camminare lungo la navata centrale verso l’altare accompagnato dalla presenza solenne della donna. Niente sembrava in grado di scalfirla: non la curiosità delle sue allieve, non il dubbio dei pochi esponenti del loro mondo, non lo sguardo odioso del generale millepiedi.
Arrivati a destinazione, Masumi si chinò sulla sua mano e vi depose un leggero bacio di ringraziamento. Aiutata da Genzo, l’attrice si accomodò in uno dei primi banchi per godersi la disfatta del suo nemico e, soprattutto, il trionfo della sua allieva.
Lo sposo si voltò, vide le due figure prendere corpo nella luce del portale. Lentamente iniziò a distinguerle. Non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi di cioccolato che gli erano cari. Le labbra lucide e tese in un dolce sorriso. La pelle sembrava vellutata come quando l’aveva accarezzata l’ultima volta quella stessa mattina nel loro letto.
Tutto svanì: i mormorii che iniziarono a serpeggiare tra gli invitati; i primi dubbi sul volto di suo padre; i volti degli amici e dei conoscenti.
Rimase lei.
Solo lei.
Sempre lei.
Piccola e delicata, ma tanto forte da averlo attratto dal loro primo incontro, tanto forte da avergli ridato un cuore, forte abbastanza da averlo scoperto dietro le sue innumerevoli maschere.
Prese la mano della giovane donna da quella grande e robusta dell’orso gentile. La strinse e si voltarono verso il sacerdote, indifferenti a tutto, tranne a loro due.

Il sacerdote guardava la scena commosso.
Era cresciuto seguendo i dettami della religione scintoista fin quando non aveva conosciuto, a trent’anni, un illuminato sacerdote europeo che divenne il suo mentore e gli svelò il fuoco della fede.
Da quel momento erano passati quasi cinquant’anni, periodo in cui non aveva mai rimpianto la sua scelta. Nella sua piccola parrocchia, i fedeli gli erano vicini: sembravano veramente una grande famiglia. Di tanto in tanto giungevano visitatori solitari. Tanti erano gli uomini e le donne che erano passati sotto il suo sguardo. Alcuni in cerca di un senso, altri, semplicemente, volevano la serenità dell’anima. Alcuni, infine, erano solo affascinati da quella religione monoteista tanto diversa dalla filosofia orientale.
Durante la sua vita aveva visto tante stranezze, ma mai gli era capitato di officiare un matrimonio simile. Aveva iniziato a dubitare che si trattasse di una cerimonia normale quando notò le reazioni degli invitati all’ingresso della sposa. Alcuni erano normali: lo sposo estasiato, l’accompagnatore della sposa orgoglioso, quella dello sposo commossa.
Gli altri… i giovani spalancarono gli occhi e la bocca, come se non avessero mai assistito ad un matrimonio; i conoscenti, li riconobbe perché pur se elegantemente vestiti si erano posizionati in fondo alla navata, iniziarono a mormorare con toni sempre più accesi. Quelli che però attrassero maggiormente la sua attenzione erano i vecchi che occupavano la panca più vicina. Sicuramente i genitori. Uno sembrava stesse per esplodere dall’ira, l’altro gli aveva poggiato una mano sopra la spalla nel tentativo di trattenerlo. Vide quello magro sussurrargli qualcosa all’orecchio e l’altro spalancare gli occhi. L’ultima espressione del suo volto, perché si sedette senza muoversi più.
Il sacerdote guardò tutti da sotto le sopracciglia cespugliose e, con un lieve colpo di tosse, alla fine della marcia nuziale attrasse l’attenzione di tutti i distratti.
Iniziò il cerimoniale.
Certo, gli invitati erano strani, ma li avrebbe sopportati volentieri se in cambio poteva osservare gli sguardi innamorati dei giovani sposi. Non lasciarono gli occhi l’uno dell’altra se non per scambiarsi gli anelli. Le dita rimasero sempre allacciate.
Se ci pensava bene, anche loro erano una coppia rara. Erano molto più comuni coloro che giungevano al matrimonio preoccupati della riuscita della cerimonia, senza pensare al suo significato. Allora anche le sue emozioni ne risentivano: non commozione, ma apatia; non speranza, ma disillusione; non tenerezza, ma cinismo. Quelli erano matrimoni debilitanti.
Giunse il momento dei pronunciamento dei voti e quando nominò lo sposo, Masumi Fujimura, i commenti ed i sussulti ripresero più accesi che mai.
Guardò gli sposi, i loro genitori. Lo sposo fece cenno di continuare, come anche il signore con i candidi baffi. Quello seduto, invece, aveva ormai uno sguardo vacuo, del tutto insensibile.
Arrivarono alla fine, li proclamò marito e moglie, gli applausi esplosero. Calorosi, vivaci, lunghi.

Lo aveva fregato! Suo figlio lo aveva fregato, senza possibilità di appello!
Aveva finalmente iniziato a comprendere che qualcosa non andava quando aveva visto la figura della sposa stagliarsi nella luce del portone: troppo lontana per essere riconoscibile, abbastanza vicina da vedere che era molto meno alta della nipote di Takamiya.
Si era irrigidito quando aveva riconosciuto quel regista, Kuronuma, accompagnarla all’altare. La mano dell’imperatore, tempestivamente poggiato sulle sue spalle, l’aveva trattenuto dal fare commenti.
Quando però aveva infine inquadrato la sposa, aveva rischiato di esplodere.
Quell’insulsa ragazzina! Insieme a suo figlio! Come si era permessa?! Come si era azzardato Masumi a contravvenire ai suoi ordini?!
Era stato un momento: un attimo in cui gli occhi erano divenuti furenti, i denti si erano serrati rabbiosi, le mani si erano strette sul suo bastone da passeggio come se avessero dovuto stritolarlo.
Avrebbe interrotto tutto! Sì, non poteva permettere quello scempio! La distruzione di tutti i suoi progetti! Nessuno poteva permettersi di rovinare i suoi piani impunemente! Soprattutto suo figlio. L’aveva cresciuto solo per eseguire i suoi ordini: come si era permesso di disobbedirgli?
Fece per aprire bocca quando un sussurro oltrepassò i fumi della sua rabbia.
“Non farlo! Te ne farò pentire… sai che potrei. Il fatto che non mi sia ancora vendicato del tuo ignobile comportamento lo devi solo a Masumi.”
Come aveva fatto a dimenticare l’imperatore?
Un altro, enorme, errore di valutazione: pensava non fosse più quello di un tempo perché aveva ceduto su tutto per amore di sua nipote. Ora, invece, lo trovava determinato come nel passato, ma dalla parte di Masumi. Veramente non gli restava altro che arrendersi?
Si sedette, riflettendo.
Certo, Masumi si stava sposando con Maya Kitajima che era pur sempre la Dea Scarlatta, ora. Non più solo un’insulsa ragazzina. Avrebbe comunque potuto mettere le mani sui suoi diritti. Era pur sempre suo figlio: dopo una tale disobbedienza si sarebbe sentito certamente in colpa nei suoi confronti.
Con quella convinzione, riprese ad ascoltare il sacerdote.
Erano arrivati ai voti.
Quando finalmente comprese tutto, lo sguardo gli divenne privo di qualsiasi emozione.
Suo figlio… non era più tale. Aveva usato il nome di sua madre per sposarsi. Poteva significare solo che aveva rinunciato al cognome degli Hayami, alle loro ricchezze ed al loro potere.
E lui, Eisuke, non avrebbe avuto più alcuna voce in capitolo, perdendo perfino il suo erede diretto. Tutto il suo patrimonio sarebbe stato diviso tra quegli scellerati dei suoi nipoti. Sarebbe successa l’unica cosa per evitare la quale aveva adottato Masumi e sposato quella cameriera.
Finita la cerimonia, attese qualche minuto e si defilò fuori. Giunto sul sagrato, chiamò il suo autista. Mentre l’attendeva un’ombra sottile si affiancò alla propria.
“Ti ho sempre detto che l’amore vince sempre. Con me, i tuoi raggiri hanno funzionato solo perché Ichiren aveva il cuore spezzato tra me e la sua famiglia. Con Maya e Masumi non succederà!”
“L’amore dici? Masumi ha appena messo le mani sui tuoi diritti e parli d’amore?” – chiese schernendola.
“Anche di fronte all’evidenza continui a negare? Non vorrai farmi credere che non sapessi nulla delle rose scarlatte?”
“E’ stato previdente…”
“Vecchio stupido!” – sbottò la signora Tsukikage alla fine – “Masumi ha iniziato a sostenerla che non era nemmeno un’attrice degna di questo nome… e tu dici che l’abbia fatto solo perché ha scommesso che sarebbe divenuta la Dea Scarlatta? Beh, lasciati dire una cosa: sarebbe stata una scommessa troppo rischiosa e costosa se fosse stato solo per quello. Masumi invece ha vinto, perché alla fine si è tolto la maschera e Maya l’ha riconosciuto come parte della sua anima.”
“Ancora con queste filosofie campate per aria, Chigusa?” – continuò a sostenere l’uomo, avviandosi verso l’auto.
“Non posso fare più nulla per te… ricordati solo di non importunarli mai più!”
Eisuke vide l’alta figura desiderata oltrepassare l’ingresso della chiesa, rientrando.
Presto gli invitati sarebbero usciti. Non poteva più rimanere. Doveva tornare a casa. Aveva bisogno di pensare.
Aveva perso il suo erede.
Aveva perso i suoi diritti.
Aveva perso il patrimonio dei Takamiya.
Tutto per uno stupido capriccio. Masumi si sarebbe pentito di quanto aveva fatto. Non poteva lasciar correre. Era stato umiliato. Tutti gli avrebbero riso dietro!

Pian piano tutti gli ospiti scemarono nella piccola piazza. Mentre gli sposi si attardavano per le foto e la firma dei documenti, tutti si guardavano stupiti, ancora increduli. Come era stato possibile che Maya avesse sposato l’odiato Masumi Hayami e che lo guardasse con quegli occhi innamorati e lucenti.
Solo chi già sapeva aveva le risposte.
Sakurakoji teneva un braccio intorno alla vita di Sayuri. Le stava sussurrando qualcosa all’orecchio, beandosi dei brividi che le scorrevano lungo la schiena.
La signora Tsukikage era ferma, sorretta da Genzo, finalmente tranquilla. Eisuke poteva anche tramare qualcosa, ma Masumi avrebbe fatto in modo da fronteggiarlo adeguatamente.
Shiori osservava soddisfatta tutti gli invitati che uscivano dalla cappella. Era rimasta sull’ingresso della sagrestia, monitorando tutta la cerimonia, lanciando sguardi ammiccanti ad Aki e osservando preoccupata il vecchio Hayami: fortunatamente era venuto anche suo nonno che l’aveva tenuto a bada.
Era orgogliosa di se stessa. In meno di una settimana era riuscita ad organizzare quasi dal nulla un matrimonio che doveva rimanere segreto. La cerimonia era stata magica: la chiesa, con le sue vetrate istoriate, faceva penetrare una luce soffusa; Maya e Masumi erano magnifici, i loro occhi non si erano distolti un attimo, come anche le loro mani non si erano slacciate; gli invitati dopo il primo attimo di stupore si erano zittiti.
Aveva tremato osservando Eisuke rosso di rabbia ed aveva tirato un sospiro di sollievo vedendo intervenire suo nonno.
Quando gli sposi conclusero le formalità, si avviarono all’uscita ed ella li seguì ad una certa distanza. Una nuvola di riso propiziatorio li accolse facendo emettere a Maya gridolini entusiasti.
Seguì un altro lungo applauso.

Erano marito e moglie.
Non poteva crederci. Dopo tanto dolore, tanta incertezza, tante prove superate, finalmente erano insieme anche per il mondo.
Quando era scesa dall’automobile, Maya aveva visto subito Masumi attenderla sui gradini della chiesa.
Un brivido le era corso lungo la spina dorsale ed un sorriso si era aperto sul suo volto: insieme, come sempre, contro tutti.
Non vide altro che Masumi, il suo sposo.
Bello. I biondi capelli, illuminati dal sole invernale, davano un assaggio dell’estate; il completo nero era talmente sensuale da farle tremare le ginocchia e i suoi occhi… oh, gli occhi che non la lasciavano mai, nemmeno nei suoi sogni.
Aveva distolto lo sguardo solo quando Masumi aveva posto la sua mano in quella del regista.
Immobile, aveva atteso che raggiungesse l’altare accompagnato della sua maestra.
“Sii felice.” – le aveva sussurrato Kuronuma, iniziando a camminare.
Erano entrati nella chiesa e la luce variopinta delle vetrate l’aveva incantata. Le note dell’organo si alzavano solenni, forti, dominanti, sovrastando ogni commento, ogni sussurro.
Il cuore le era scoppiato osservando la figura del suo futuro marito fermo di fronte a sé: solo pochi passi ancora li separavano. Le loro mani si erano unite ancora per non separarsi più.
Il vecchio sacerdote aveva officiato il rito con commozione, ma Maya non vi aveva prestato troppa attenzione, presa ad osservare lo sguardo felice del suo compagno, la sua posa orgogliosa, la piega soddisfatta delle sue labbra.
Si erano scambiati i voti e gli anelli. Aveva dovuto fare un enorme sforzo per trattenere le lacrime.
Avevano firmato i documenti, fatto qualche foto ed ora erano lì, di fronte a tutti i loro ospiti: finalmente le lacrime a lungo trattenute iniziarono a scorrere lente sul suo viso.
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