Posts written by LauraHeller

view post Posted: 28/8/2015, 10:25 L'amore di Isshin - Fanfictions
Grazie, ScarLett e, soprattutto, grazie del "non giudizio" riguardo alle mie scelte "editoriali", se così si può dire. Non volevo scrivere il solito finale perché la vita, come spesso affermo, non ha mai finali univoci e "necessari". Per quanto, poi, possa apparire contraddittorio il fatto che parli di anime confluite nel tempo in diversi corpi e di destini coincidenti. Il punto è che sono in una fase della vita in cui provo a far ordine in ciò che "credo" e in ciò che "credo possibile". Come sai, son cose molto diverse tra loro. Questa storia mi è venuta di getto, come tutte le altre,del resto, ma ha la particolarità di presentare me e il mio spirito per come sono, perennemente oscillante fra certezze inoppugnabili e tesi possibiliste... Fa parte del retaggio dei miei studi, temo. ;) Ciao, this is the end...

Epilogo



Il sole è caldo.
Cesare Pavese scriveva:

“È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.”

Osservo questo orizzonte bianco, la sabbia fine che si perde a vista d’occhio, il mare blu, così vicino e lontano insieme. Lei è laggiù, ma anche sopra e sotto di me. È in ogni elemento terreno, ma anche nel mio spirito. Mi permea, mi oltrepassa: ancora adesso mi dà un senso.
Vivi, Maya. Vivi.


***



“Sei pronta?”
Sakurakoji, alle spalle di Maya, aveva bussato dolcemente alla porta del suo camerino.
Quella sera, erano terminate ufficialmente le otto repliche previste per il rilancio definitivo del capolavoro scomparso.
La giovane si girò piano, rivelando un tenero sorriso, che Yuu ricambiò con il consueto, timido entusiasmo.
“Sei bellissima…” soggiunse mentre lo sguardo indugiava sull’abito scarlatto con spalline sottili e corto al ginocchio. Era lo stesso abito che Masumi aveva regalato a Maya la sera del loro fortuito incontro sull’Astoria. Era stato conservato appositamente per una occasione speciale e quella era davvero una giornata particolare.
Al collo dell’attrice, figurava il piccolo delfino con la pietra azzurra. Yuu ebbe un chiaro sussulto, scorgendolo.
“Grazie.” Rispose Maya arrossendo.
Si levò in piedi e, raggiuntolo, gli porse il braccio.
“Dove andiamo di bello?” chiese la giovane condiscendente.
“Non sono molto originale, ma mi piacerebbe condurti nel posto in cui ci siamo visti la prima volta. Rammenti il ristorante sul fiume?”
Ella ebbe un tuffo al cuore: come dimenticare quel giorno che pareva lontano un secolo? Sorridevano entrambi, erano felici e brindavano ad un futuro fausto e pieno di prospettive: Rei si era preoccupata di consigliarla al meglio, ché quello era un appuntamento in piena regola e <doveva> vestirsi elegante. Poi, dopo quella parentesi solo loro, in cui né Masumi né Mai erano entrati, una rosa scarlatta era arrivata al loro tavolo. Quella rosa aveva rotto l’incanto, restituendo Maya all’unica realtà possibile.
Perché si era allontanata? Il profumo di <lui>, nascosto da qualche parte, era stato un richiamo irresistibile. Masumi la stava guardando dall’alto e lei, per quanto non ne conoscesse la collocazione, sentiva i suoi occhi sulla sua esile figura. Non aveva ancora realizzato l’amore del suo donatore, pensava che Masumi non avesse occhi che per lei, Shiori: e come non avrebbe potuto pensarlo? Con le nozze ormai prossime, con quelle parole durissime ancora nelle orecchie…?
“Spero parteciperà al matrimonio con una buona disposizione di spirito…”
Ma Maya, in quei frangenti, aveva scoperto anche la dolcezza di Sakurakoji. Una dolcezza che si manifestava nella semplicità della vita di due ragazzi appena usciti dal mondo dell’adolescenza.
Anche a distanza di mesi, Yuu riusciva a farla sentire serena, al sicuro. Maya si sentiva al suo posto e non c’era senso di inadeguatezza né timore nei confronti di un mondo tanto più grande di lei. Inoltre, lui faceva il suo stesso lavoro ed era il suo Isshin sul palcoscenico.
“Grazie di avermi aspettata.” Sussurrò Maya stringendosi al suo braccio.
Egli si fermò di scatto per guardarla negli occhi.
“Ne valeva la pena.” Disse piano, un nodo di emozioni intense che gli si fermavano all’altezza della carotide.
“Qui dentro…” soggiunse indicando il suo petto “nel mio cuore…io ho spazio solo per te, Maya. Non so se le anime gemelle siano realtà, ma per me sei tu l’unica anima gemella possibile. Puoi accettarmi?...”
Ella sorrise e fu un sorriso splendente, che non lasciava dubbio alcuno:
“Con tutto il mio cuore.”

FINE

view post Posted: 27/8/2015, 12:31 L'amore di Isshin - Fanfictions

Capitolo quindicesimo



Eysuke Hayami, il volto impietrito di chi non è in grado di ponderare ciò che vede, era fermo davanti alla grande vetrata. In fondo, aveva sostato lì tutta la vita, con Masumi seduto al grande tavolo da pranzo intento a mangiare o a scorrere con lo sguardo attento le sue carte.
Ma quel giorno Masumi non c’era.
Le sue ceneri, sul tavolino basso, segnalavano un’assenza più che dolorosa.
Mitzuki, vestita di uno yukata scuro, entrò nella sala seguita da Ryu Takamiya.
“Le mie condoglianze, Eysuke.” Disse quest’ultimo col tono grave.
L’espressione della segretaria, di solito eloquente e ironica, recava altrettanto dolore e costernazione. Il vecchio non rispose neppure e l’imperatore andò a sedersi su una poltrona: di lì a poco, giunsero alla chetichella altre dieci, venti persone, ma non <lei> né Hijiri.
Lei, Maya, era ancora ad Izu e solo alla <ragazzina senza alcuna bellezza> andava il pensiero desolato di Hayami. Che cosa stava facendo? Che ne era, adesso, del suo cuore? Stava straziandosi l’anima come già Chigusa Tsukikage aveva fatto vent’anni prima?
Per la seconda volta, la colpa era sua, di Eysuke.
Si alzò a stento dalla sedia a rotelle e, ignorando tutti gli astanti, si rivolse a Mitzuki:
“Prendi la macchina. Devi accompagnarmi in un posto. Tu sai dove, suppongo.”
La segretaria annuì pronta, ma perplessa.
“Te ne vai adesso?” chiese Takamiya quasi fosse lui stesso il padrone di casa.
“Non è affar tuo.” Sibilò il presidente della Daito “Andatevene tutti. Ci rivedremo alla cerimonia ufficiale, ammesso abbia voglia di avervi tra i piedi.”
Le persone lì convenute mormorarono malignamente e qualcuno disse che era andato fuori di testa per l’enorme perdita.
Una perdita commerciale, ai loro occhi.
Un’occasione perduta.
E si profilava <la necessità> di trovare nuovo erede da trovare a tempo di record.
Mitzuki, ignorando anch’ella ogni commento, guidò la sedia a rotelle fino all’ingresso, dove Asakura aspettava. Ma Eysuke gli ordinò di restare e di assicurarsi che gli ospiti andassero via quanto prima.
“Masumi non vorrebbe che loro stessero qui.” Pensò, ma non lo disse.
Salì sull’auto senza dire una parola.
Non parlò lui e non parlò neppure Mitzuki. Non era necessario.
Quando egli entrò nella casa di Izu, tre ore dopo, la situazione non era delle migliori e si sentiva già stremato: Maya, tra le braccia di Hijiri, pareva il fantasma di se stessa. Erano entrambi sul divano, pallidi e silenziosi.
Il collaboratore ombra della Daito fece per alzarsi, ma Eysuke, con un gesto della mano, lo trattenne.
“Signore…” disse comunque Karato “Sono dolente di non riceverla con adeguati onori, ma oggi non è una buona giornata per nessuno. E perdonerà la mia mancanza di educazione, spero.”
Anche Mitzuki, dietro a Eysuke, non credeva ai suoi occhi.
“Signorina…” disse il vecchio Hayami “No, Maya…il tuo spettacolo è prossimo. Ormai, ti sei impadronita del capolavoro scomparso. Vengo da te perché so che, se esiste una forza in grado di riportare <mio figlio> qui, sei tu ad averla. Tu e tu sola. Puoi fare il miracolo?...tu sei la dèa…”
Maya si raddrizzò un poco, mantenendo, però, la mano in quella di Hijiri.
“Il miracolo?” ripeté “Lei domanda <a me> un miracolo?”
Eysuke si mise una mano sugli occhi come chi non riesce più a trattenersi:
“Vengo da te, come ci si reca al tempio. Ho fede…ho fede…”
“Pensa che io…che io possa?...” ribadì Maya con voce tremante “Viene da me! Da me! Ma perché, Hayami-san? Non era sufficiente il potere già in mano sua? Perché ostacolare il legittimo desiderio di un cuore?”
E prese a singhiozzare, richiudendosi nel dolore che era solo suo.
“Devi tornare a Tokyo.” Disse Mitzuki con voce dolce, ma ferma “E’ tuo dovere, Maya. Anche Ayumi sta attraversando un momento molto grave, eppure non molla. Tutti noi, compresa la Tsukikage sensei, aspettiamo che tu possa far rivivere la sua anima: l’anima della dèa. Io sono certa che è a questo che il signor Eysuke si riferisce.”
Egli, come avvolto nell’oscurità, nel mentre piangeva sommessamente.
“L’anima…del maestro Oozachi è confluita in Masumi…” disse tra sé l’attrice.
Gli sovvenne la loro conversazione, prima dell’arrivo di Hijiri e si sforzò una volta di più di credervi con tutte le sue forze.
“La luce. Ha visto la luce. Nonostante abbia perpetuato il suo errore...”
E Ayumi, poi?
Che problemi poteva mai avere?
Stava soffrendo al par suo, ma diversamente.
Fu Mitzuki a svelarle il segreto, ché lo aveva carpito con astuzia a Ajime Onodera.
“Non è una semplice malattia degenerativa della retina.” Rivelò la segretaria “C’è dell’altro e la ragazza deve essere operata con molta urgenza. Vanno rimossi dei coaguli e non solo, temo.”
“Dèi…” esclamò Maya “Che cosa è mai questo?”
“Non puoi fare un torto come questo ad Ayumi.” Disse Mitzuki “Devi tornare adesso e recitare. Fino in fondo. Mettendoci tutto il tuo cuore.”


***



Masumi vive.
Fu ciò che Maya si ripeté fino a quel giorno.
E, salendo sul palcoscenico, aveva porto la mano a Sakurakoji – trasfigurato anch’egli nel suo aspetto abituale - e immaginato di dare la mano a lui, al suo amato.
Masumi viveva.
In ogni parola del capolavoro scomparso, un libro sacro portatore di speranza per ogni amante deluso, egli riemergeva con forza.
Karato Hijiri, seduto al posto S che sarebbe spettato al donatore di rose scarlatte, adempì al suo compito fino all’ultimo. Silenzioso e appassionato, aveva ordinato che a Maya venisse recapitata una corona di rose scarlatte. E un biglietto scritto di pugno da Masumi era nel mezzo del grande bouquet: quel messaggio era stato redatto a poche ore dall’incontro mai avvenuto a Izu.

“Amor mio, di vero cuore e certo del tuo trionfo, attendo di alzare il calice insieme a te. Adorata, piccola donna, in questo giorno, apro il mio cuore come non ho mai fatto. Ti amo. Sono tuo per sempre.”

Sakurakoji, ritto davanti allo specchio, si sistemò lo yukata sulle spalle, quindi, sollevato un lembo delle fasce sottostanti, nascose il delfino con la pietra azzurra.
I capelli, acconciati come da copione, erano stati tirati indietro, ravviati in una coda bassa.
Lo sguardo era serio e composto, tipico di chi si gioca non solo la carriera, ma la vita stessa. E Maya rappresentava non soltanto la sua preziosa partner artistica, ma anche la donna di cui era innamorato da sempre.
Non doveva deludere né se stesso né lei.
Almeno sul palcoscenico, si ripeteva, io e lei siamo anime gemelle. Lei avrebbe visto una volta di più il suo cuore sincero. Doveva pur valere qualcosa, ai suoi occhi. Anche se non era Masumi Hayami, i suoi sentimenti <dovevano> giungere al suo cuore poiché erano altrettanto intensi e anche lui, al pensiero di perdere Maya, si sentiva assalire dall’ansia. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di sostenerla, pur di asciugare le sue lacrime. Il loro sodalizio artistico non poteva essere fine a se stesso.
Vide Genzo Otori bussare alla porta semiaperta del camerino. Anch’egli era elegantemente abbigliato, come si confà alle occasioni speciali. E quella era decisamente un’occasione speciale.
“Io, come Genzo…” balbettò.
Quelle parole giunsero alle orecchie dell’anziano, che sorrise.
“Ho molto apprezzato la sua interpretazione di Isshin, nella Valle.” Arrossì Sakurakoji “Lei e la signora Tsukikage eravate in perfetta sintonia.”
“Sul palcoscenico,” diss’egli ispirato “io e la sensei siamo un’unica cosa, la stessa voce. Esprimiamo entrambi ciò che il maestro Oozachi ha inteso lasciare al mondo.”
Yuu si mosse verso di lui, incerto:
“E, mi dica, questo le è bastato?”
Deglutì, il respiro era un poco affannoso.
“Non c’è stato onore né gioia più grande.” Rispose l’anziano, che aveva colto perfettamente il senso della domanda “Vivere giorno per giorno con lei, fare ciò che un uomo innamorato fa per la propria compagna mi ha dato più gioia di un comune matrimonio. Il mio cuore è irrimediabilmente di Chigusa Tsukikage. Lei non mi ha mai ricambiato: del resto, come avrebbe potuto? La sua unione con Ichiren era stata un fatto.”
Lasciò quelle parole in sospeso, come chi fa trapelare un barlume di speranza nel cuore di un innamorato bisognoso di conforto.
“Ora, Maya Kitajima elaborerà il suo lutto, come la sensei Tsukikage non ha avuto modo di fare. Molti pensano che quello carnale sia un legame semplicemente fisico: i giovani vivono il sesso in modo spensierato, senza riporvi significato alcuno. In realtà, però, esso è ciò che, più di ogni altra cosa, realizza l’originaria unità dell’anima.”
E fissò Sakurakoji, che era rosso sino alle orecchie: era davvero il timido Genzo a parlare? L’uomo solitario che non aveva occhi che per lei, la sua preziosa sensei?
“Cosa intende dirmi, signore?” chiese con un filo di voce il ragazzo.
“L’unione tra Maya e il signor Hayami non ha mai avuto luogo.” Disse l’altro “E nessun dio, per quanto geloso possa essere, può desiderare che una propria creatura sprechi la sua vita soffrendo. Il signor Masumi, come il maestro Oozachi, non ha avuto fede, ma Maya, quella fede, l’ha e ne verrà fuori con il sorriso della festa perché scoprirà di poter essere felice ancora una volta.”
“Che cosa significa?” chiese Yuu scioccato.
“Le anime gemelle sono destinate a reincontrarsi. Anche tu ne hai una, da qualche parte nel mondo. Ma non è detto che quell’incontro appartenga a questa vita, ragazzo. E, ad oggi, sei obbligato a vivere la vita che hai. Come lo è Maya. Io la conosco da quand’era piccina: il legame tra voi è sempre stato molto forte e, ora, siete Akoya e Isshin. Ciò, per chi venera l’arte come fosse il libro degli dèi, varrà pur qualcosa.”
“Mi sta dicendo di non perdere la speranza? …che c’è un futuro per Maya e me?”
Genzo indicò il delfino nascosto dietro al colletto.
“Aveva già fatto un passo verso di te.” Rispose criptico.
“Maya non mi ha mai rifiutato…” disse tra sé Sakurakoji.
view post Posted: 26/8/2015, 10:31 Giappone - Viaggi e vacanze... lo spazio per l'anima!
Andare in Giappone è uno dei miei sogni proibiti. Se non entro in ruolo - tra ventimila anni - temo di non potermelo permettere. Grazie, Barbara. E' veramente un bel sogno fotografico, per me.
view post Posted: 26/8/2015, 10:25 L'amore di Isshin - Fanfictions
Sì, il parallelismo che tracci è plausibile, ma io non ho inteso mettere a confronto la megera (mi duole parlare così di una donna, ma il genere non ne esce vincitore, se si pensa a tale tipologia di donna) con il nostro. Piuttosto, ho provato a tracciare il parallelismo tra Masumi e l'artista Oozachi. L'anima del maestro è confluita nel nostro - o è autosuggestione per essere vissuti per anni sulla scorta delle vicende legate al capolavoro scomparso? - ma, mentre il primo è stato indotto al suicidio dalla consapevolezza di avere portato a termine ciò che lo esprimeva appieno, il secondo rinuncia alla vita a causa del senso di colpa e dell'impossibilità di sfuggire alle regole. All'inizio della mia parentesi forumistica, sono stata molto contestata per avere tracciato spesso una società - quella nipponica - restia al cambiamento dei costumi. C'è molta apparenza, nel Sol Levante, e sovente a farne le spese è il cuore. Poco importa se i ragazzi abbiano imparato a vestire all'Occidentale. Ci sono regole che non mutano. Io non faccio alcuna analisi sociologica, per carità: mi baso su ciò che leggo qua e là sui siti dedicati, sui testi di storia giapponese che, a volte, ho consultato in biblioteca. Nulla di che.
A proposito di questa storia, siamo quasi all'epilogo. Grazie ancora.

Capitolo quattordicesimo



Maya si ridestò quasi di colpo.
Avvertì il tepore della coperta di pile che, un giorno lontano una vita, aveva regalato a Masumi. Il fuoco crepitava nel camino: una bella fiamma alta e vigorosa le diede speranza, così come la sagoma di un uomo di spalle.
“Masumi…” balbettò sperando di avere solo sognato.
Ma la persona che si girava piano verso di lei era un’altra.
Le lenti ambrate scintillavano al ritmo del fuoco.
“Signor Hijiri…”
E le parole, mentre le pronunciava, suonavano come una triste conferma.
Gli occhi dell’uomo erano bassi e portavano il suo stesso carico di tristezza. La tristezza di chi non ha fatto in tempo e, a torto, teme di non aver fatto ciò che era necessario o anche solo sufficiente fare.
“Maya.” Disse a sua volta l’uomo ombra della Daito.
Aveva tirato su le maniche della camicia: la sua mise era terribilmente informale e, a dispetto della situazione tragica, l’attrice non poté non avvedersene.
Ella si lasciò cadere per terra.
Un singhiozzo dietro l’altro si mesceva malinconicamente al crepitio del fuoco.
“Non riuscirò mai più…mai più a recitare…senza il sostegno del mio più grande fan, senza il suo sguardo sulla mia schiena…chi avrà cura di me? Io sono una ragazza inutile e priva di talento…”
Il volto di Hijiri si fece <ruvido>, arrabbiato come forse mai s’era visto:
“Così intendi onorare l’uomo che dici di amare? E credi davvero che la morte possa eliminare per sempre l’ombra scarlatta che, da sette anni, veglia su di te? Come può la prescelta per il capolavoro scomparso dire cose come questa?”
Le si era avvicinato, aveva preso a scrollarla con vigore:
“Rammento che, una volta, il signor Masumi ti ha chiesto di farlo credere nella dèa scarlatta! Guarda me, adesso: io e tutti gli altri tuoi fan aspettiamo lo stesso miracolo! Lui è qui. Ti sta ascoltando e ogni tua parola suona come un’ulteriore condanna. Guarda alla tua insegnante come ad un esempio: anche lei ha avuto il cuore straziato dal medesimo dolore, ma è tornata sulle scene e ha dato voce a quell’uomo straordinario che è stato il maestro Oozachi. Vivi, Maya. Vivi perché anche Masumi possa vivere ancora.”
“Ho ereditato l’anima e la vita stessa della sensei…” mormorò la giovane rammentandosi delle parole della signora Tsukikage.
Un lampo di collera le attraversò lo sguardo:
“E’ tutta autosuggestione, signor Hijiri. Questo non può essere vero. Per tutta la vita, non ho avuto nulla, a parte la recitazione e, ora che scopro di volere vivere in pienezza anche l’amore, mi è negato. È ingiusto! È del tutto ingiusto! Anche mia madre…è morta nel momento in cui ha accettato le mie scelte! Perché l’uomo non può essere sereno e appagato? Perché deve perdere tutto in un istante, nel momento stesso in cui è realizza di essere felice?”
Batteva con i piccoli pugni sul petto dell’uomo, che aveva un che di inerte, di smorto, come se si facesse sacco da boxe per lei, perché, dopo lo sfogo, potesse riprendersi la vita e la coriacea volontà di calcar le scene.
“Non lo so.” Disse in un soffio “Non posso rispondere alle tue domande, Maya. Io stesso, ancora oggi, non mi capacito di essere vivo pur essendo legalmente morto. Debbo tutto al signor Masumi, anche l’unica parvenza di vita che vedi.”
Le prese le mani, stringendole forte, quindi l’abbracciò con calore.
“Io stesso, ora,” pensò tra sé “non posso far altro che darti un anonimo conforto. Ho detto al signor Masumi che ti avrei voluta per me, ma solo ora percepisco la medesima disperazione che lo ha condotto a quel passo estremo: neppure io posso averti, Maya. Perché non si può pretendere di amare qualcuno essendo nessuno.”


Isshin terminò di preparare le sue cose con volto assente.
Dietro di lui, un bastone di legno di susino, alto circa un metro e mezzo, era appoggiato alla parete.
Egli si girò e, inquadrandolo, sorrise.
Era talmente preso dal pensiero di Akoya che non udì il bussare quieto alla porta del tempio.
Kusunoki avanzò, riportandolo alla realtà.
“Scusami.” Gli disse subito “Ho visto la vecchia. La cerimonia ha avuto luogo, ma io proprio non me la sentivo di lasciarti andare senza farti un saluto.”
“Ti ringrazio.” Mormorò lo scultore “Ma io sono solo un umile servitore degli dèi e non merito tanta attenzione da un generale alle dirette dipendenze dell’imperatore.”
L’altro alzò un sopracciglio, stranito.
“Adesso ti metti a parlare di dèi? Mi stranizza davvero: in fondo, ti ho conosciuto come un miscredente...e parevi convinto di ciò che dicevi. Che cosa è cambiato?”
“Ho amato una dèa.” Rispose fissandolo negli occhi. L’azzurro che emanava dai suoi era pari a certi cieli che raramente si vedono, se non in primavera “Mi è svanita davanti agli occhi. Io l’ho stretta tra le braccia, salvo poi realizzare che era puro spirito in sembianze umane.”
“Sicché…” fece il generale “Ora credi negli dèi.”
“Lo hai visto anche tu.” Svicolò Isshin “Akoya è scomparsa con il suo stesso spirito. Dove credi sia andata, se non in cielo. E, adesso, è pace. Persino la nonna, ora, mi guarda con benevolenza.”
Kusunoki osservò il bastone nodoso a ridosso della parete:
“Che cosa farai adesso?”
Il ragazzo richiuse lo zaino in juta e si girò verso di lui.
“Non ho un progetto. Ciò che intendo fare è particolare: in un certo senso, proverò a riavvolgere il mio gomitolo. Quando l’avrò fatto, Akoya sarà di nuovo qui, di fianco a me.”
“Gomitolo?” ripeté l’altro “Che intendi?”
“Quand’ero al tempio – mi pare passato un secolo – circolava una vecchia leggenda cinese: le due parti di una stessa anima sono legate l’una all’altra da un filo scarlatto. Non importa che i corpi muoiano perché quelle due parti son destinate a reincontrarsi: c’era un uomo cui fu predestinata in sorte un’anima gemella bambina. Lui era già in là con gli anni e, ovviamente, riteneva la cosa assurda e al limite dell’immorale. Così mandò un emissario a uccidere la creatura quand’era ancora in culla. L’emissario tornò e disse di avere compiuto l’efferato gesto e l’uomo visse per tanti anni convinto di essersi liberato di una imbarazzante anima gemella. Ma il sicario non aveva ucciso la fanciulla: ella, divenuta di incomparabile bellezza, aveva un unico sfregio, nel mezzo della fronte. Quando l’uomo, del tutto casualmente, reincontrò la fanciulla, se ne innamorò perdutamente. Pur essendo lui in là con gli anni, anche lei prese a ricambiarlo e, un giorno, gli narrò di quanto le era accaduto da bambina. L’uomo finalmente comprese.”
Isshin guardò il cielo come a una fonte d’ispirazione:
“Da qualche parte, Akoya sta rinascendo. Non avrò pace finché non l’avrò ritrovata. E accadrà perché è una promessa di eterno amore, la nostra, scritta nella notte dei tempi.”
view post Posted: 25/8/2015, 17:26 BUON COMPLEANNO, LAURA! - Le Streghe della Luna
Grazie mille a voi degli auguri. Un abbraccio! :wub:
view post Posted: 25/8/2015, 17:22 L'amore di Isshin - Fanfictions
Ho voluto dare un taglio diverso alla storia che tutti si aspettano. Forse, era mio desiderio mettere un po' in ridicolo una teoria - quella delle anime gemelle - che è quasi folle anche solo ipotizzare. La perfezione è irraggiungibile, per quanto, suppongo, esistano rapporti idilliaci. Io non ne ho mai avuti... :D Buona lettura e grazie.

Capitolo tredicesimo



Maya si sedette sull’ampio divano, le gambe strette, le piccole mani l’una dentro l’altra.
Ignara.
Mentre la sua vita prendeva un corso inatteso - e lei non ne era ancora cosciente -, mentre l’ennesima rivoluzione copernicana andava a prendersi beffa delle credenze che più le stavano a cuore – gli affetti, la filosofia delle anime gemelle, l’amore – ella attendeva speranzosa.
Aveva seguito i dettami di Hijiri, che non era lì con lei: a parte il custode, sistemato in una casetta attigua alla villa, Maya era sola. Aveva trovato la porta aperta, cosa che a lei parve accostabile alla metafora di un cuore finalmente pronto all’amore.
La felicità completa era a portata di tiro e, per paradosso, si trovò a pensare che quel momento, quell’attesa avesse già un che di perfetto.
Bastava?
No, non poteva bastare, non ancora.
Era la loro serata.
Il loro rendez-vous.
Era la loro notte.
Soli, nella villa.
Con il cielo sopra di loro e il mare sotto.
Maya avvampò, quindi, levatasi in piedi, si diresse verso la vetrata. Immaginò, nel mentre, Masumi che faceva lo stesso gesto e, forse, pensava a lei come lei pensava a lui.
Stava tramontando il sole.
Guardò il quadrante al suo polso: l’orologio era un regalo dell’ammiratore delle rose scarlatte e indicava anch’esso il tempo. Il loro.
Ella si chiese perché fosse in ritardo e attribuì la cosa al lavoro in ufficio: gli uomini d’affari sono sposati due volte, ma, quando staremo insieme – si disse – tutto andrà a posto. Troveremo un modo per convivere comunque.
Maya, del resto, non era un’attrice comune e passava buona parte della sua giornata a teatro.
Si immaginò una scena di quotidiana serenità: lei che, terminate le prove, esce col passo veloce per raggiungere una berlina scura ferma ad aspettarla di fuori. Ma al volante non c’è alcun autista, ma lui, il suo amore.
“Questo momento è solo nostro.”
Il calare della sera descriveva, col suo calore, con quel <canto del cigno astronomico>, la solarità di un sentimento assoluto e forte come il sole. Il viso prese quasi a bruciarle: era una sensazione quasi tangibile, tipica di chi si sta abbronzando.
Maya ne rimase stupita.
Poi, le si chiuse la gola e, quasi spaventata, si diresse alla brocca d’acqua posta sul tavolino lì accanto.
Quando la porta si aprì, la sensazione di essersi liberata di un peso fu tale che calde lacrime le sgorgarono dagli occhi.
“C’è qualcosa che non va, mio caro.” Disse a Masumi senza muoversi di un passo.
Egli era davanti alla porta, col volto un poco in ombra.
“Sono così felice di poterti vedere che non riesco a trattenere le lacrime.” Proseguì “Sentirti lontano stava progressivamente strangolandomi.”
Si mosse, finalmente, mentre egli apriva le braccia come a chiederle di abbracciarlo.
Ella corse davvero e fu completezza.
“Torniamo ad essere uno?” chiese Maya aspirando l’odore del tabacco e della menta, quell’aroma di lui che ben conosceva. Il medesimo, dacché si erano conosciuti.
“Non siamo mai stati separati.” Rispose Masumi con la voce roca “Perpetua questo messaggio, amor mio.”
Ella assentì, quindi lo guardò negli occhi scostandosi un poco.
“E promettimi di sorridere sempre. Perché io sono con te in ogni caso.”
“Lo so.” Fece Maya titubante.
Quel discorso suonava strano. Era un commiato e lei lo sapeva.
Il suo volto, che nel mentre si era fatto asciutto, tornò a bagnarsi:
“Perché?”
“Perché l’animo dell’uomo è corrotto.” Disse l’altro “Perché anche l’uomo più forte, quando non trovi via d’uscita, è destinato a ben misera fine. Io ho ereditato l’anima di un dannato e dannato sono io stesso.”
“Dovevi trovare la forza nel nostro amore…” sussurrò Maya in un soffio, la commozione straripante che dilagava, ora, nella più cupa disperazione “Io…non mi sarei mai lasciata andare, se fossi stata in te…”
“Mi mancava poco, stavolta.” Mormorò Masumi “Ma, quando ho accompagnato quel ragazzo a vedere Shiori, tutto il mio coraggio è stato come annientato dal senso di colpa. Avevo sbagliato. Lei non sarebbe più stata la stessa ed era solo colpa mia. Naturalmente, il pensiero di essere felice con te passava del tutto in secondo piano, mentre realizzare che non avremmo coronato il nostro amore mi ha dato il colpo di grazia.”
Le prese una mano:
“Maya…chiunque realizzi di essere riamato dalla propria anima gemella non può rinunciare…Si finisce per perdere il senno, capisci?”
“Mi hai lasciato…” balbettò la ragazza, un mare di lacrime sul volto “Hai tradito la nostra promessa d’amore eterno…Noi siamo destinati a stare insieme dalla notte dei tempi e tu mi hai lasciata…Non hai avuto fede. Come hai potuto, Masumi? Gli dèi non ti perdoneranno mai…Noi non ci ricongiungeremo mai più…”
Egli le sorrise con tenerezza:
“Ho visto la luce. Ho capito di avere sbagliato quando ho chiuso gli occhi alla vita. Dillo a Chigusa Tsukikage. Questa comprensione è stata la mia salvezza, sappilo. Sto facendo un passo alla volta, vita dopo vita. Abbi fede in me una volta di più, Maya e, se puoi, perdonami per averti lasciata ancora…”


Il tronco di Mot fu tagliato in nove sezioni.
Nei giorni che seguirono la scomparsa di Akoya, Isshin si era chiuso in un totale, volontario mutismo. Si nutriva il minimo indispensabile, così da non perdere tempo. Le parole accorate della fanciulla che amava erano sempre nei suoi pensieri: più il tempo passava, più la guerra infuriava.
La nonna di Akoya lo fissava con apprensione da dietro a una quercia millenaria: ogni astio pareva sparito dai suoi occhi e sentiva la mancanza della bambina che aveva cresciuto. Non riusciva, orgogliosa com’era, ad ammettere di essere stata nel torto sin dall’inizio. Isshin non meritava di essere trattato da criminale e bastava, per questo, dar retta semplicemente alle parole della fanciulla mandata dagli dèi, che lo amava nel segreto e ne aveva conosciuto da subito l’intima essenza.
L’anziana lasciava il pane e una scodella di latte ai piedi dell’albero e si allontanava, convinta di essere non vista: Isshin, però, sapeva che ella era lì, come se vegliasse sul suo lavoro.
Intimamente, ne sorrideva: sbriciolava il pane per farne parte con gli uccelli e beveva il latte.
Lo scalpello modellava con relativa velocità, ma più il lavoro procedeva, più egli sentiva l’esigenza di perfezionare, di migliorare. Il pensiero che quel ceppo di legno potesse essere gradito agli dèi e frenare la guerra era dominante: non poteva creare un oggetto sommario o scadente. Il sacrificio di Akoya doveva essere ricordato di generazione in generazione e così anche il suo.
“L’esigenza dei pochi non vale quella dei molti”
Divenne il suo motto e se lo ripeté come un mantra fino a che, dieci albe dopo la scomparsa di Akoya, la statua della dèa vide la luce. Il marrone del legno aveva delle striature che, non si sa come, richiamavano lo scarlatto dei fiori di susino. Il volto impresso nel legno era caratteristico dell’arte giapponese, ma gli occhi della dèa erano grandi ed espressivi, come fossero quelli di un’occidentale. Pensando ad Akoya, per qualche motivo, Isshin aveva visto i suoi occhi.
“Io sarò i tuoi occhi e tu la mia voce. Noi siamo uno. Non siamo uguali, ma parti differenti di una stessa anima.”
Quel giorno – il giorno in cui lo scultore sacro doveva consegnare la statua a Kusunoki – Isshin si recò a casa di Akoya e chiese della nonna: l’anziana, prim’ancora che il suo parente la chiamasse, si affacciò all’uscio di casa col volto grave.
“Buongiorno.” Disse il giovane “Chiedo scusa per il disturbo. Non ruberò molto tempo.”
Ella si avvicinò senza aprir bocca.
“Sto per andare via.” Proseguì Isshin “Io non prenderò parte alla cerimonia. Volevo consegnare questa.”
E le porse la statua della dèa, ancora avvolta da un telo di colore scarlatto. Quel telo, invero, non era un telo. Era lo yukata che Akoya aveva indossato la sera della festa del villaggio.
L’anziana deglutì:
“Perché non la consegni tu?”
“Io non ne sono degno. Lei è la persona più autorevole di questo posto, la più pia. Le mie mani sono indegne e indegno sono ritenuto da tutta la comunità. Dico bene?”
“E’ così.” Assentì la nonna irrigidendosi “Ma il percorso disposto dagli dèi è, talvolta, stoltezza agli occhi degli uomini.”
“Grazie.” Mormorò lo scultore facendo per andarsene “Le sono grato per il cibo e le sue gentilezze. Ho apprezzato molto.”
Chinatosi in segno di saluto, se ne andò.
“Nonna…” disse l’uomo che aveva assistito a tutta la conversazione “Lo lasceremo andare, dunque?”
“Kusunoki avrà ciò che Terefusa voleva.” Rispose l’altra “Sarà di nuovo pace. Lui, Isshin, ha un altro fato. È ad altri cuori che deve insegnare ciò che ha appreso, anche se il suo, adesso, può dirsi spezzato per sempre. La mia dolce Akoya, però, sarà sempre con lui. Non lo abbandonerà mai.”
view post Posted: 21/8/2015, 19:22 L'amore di Isshin - Fanfictions

Capitolo undicesimo



“Se ti dicessi che non posso agire, penseresti male di me, Akoya?”
La domanda dello scultore sacro risuonò come un tuono nel silenzio.
Il tempio antico in cui essi avevano dimorato e consumato il loro amore di anime appariva, quel giorno, cupo e l’odore di legno marcio era tornato ad infastidire le narici sensibili di Isshin.
“Non ho il coraggio.” Rincarò quest’ultimo.
La prese per una mano e l’attirò a sé: il sorriso splendente e innamorato di Akoya gli diede un brivido. La desiderava così tanto da non volere altro: pur di averla, avrebbe rinunciato persino al cibo, all’acqua, alla vista stessa. Perché ciò che vedeva attraverso Akoya gli era sufficiente.
“La speranza, per quanto fondata, di ricongiungermi un giorno a te non rendono ciò che debbo fare meno innaturale.” Spiegò il ragazzo sulle sue labbra.
Erano gemiti disperati, invero, cui la giovane rispondeva con tenere, accorate parole.
La fede non rende gli uomini indistruttibili.
Alzare una mano contro Mot, contro lo spirito di colei che amava, porre fine a ogni alito di vita era inaccettabile, per non dire assurdo. E, più ci pensava, più il senso di inadeguatezza aumentava.
Vide l’ascia, già pronta, nell’angolo della stanza principale del tempio.
Eppure, era uno strumento come tanti altri: non era l’arma del boja, ma il mezzo con il quale gli abitanti del villaggio, da che mondo e mondo, si procuravano la legna per riscaldarsi, per cucinare il cibo, per vivere.
“Amor mio, temporeggiare reca sofferenza a noi e al popolo ogni minuto che passa.” Sussurrò Akoya distaccandosi un poco “Andiamo ora, senza perder più tempo: la luna è alta nel cielo. Ci illuminerà il cammino fino all’albero millenario.”
“Neppure un’ultima notte tra le mie braccia, Akoya?” chiese Isshin guardandola con un ardore tale da farla arrossire.
“Prendi a raccolta tutta la tua fede, amor mio.” Disse la ragazza “E, quando ti rivolgerai a Mot, io sarò lì di fianco a sorriderti.

Masumi si chiuse nella camera d’albergo. Era tardi.
La luna splendeva nel cielo di mezzanotte.
La testa gli doleva: un dolore pulsante, causato dallo stress seguito alla conversazione con Sakurakoji e dalla vista di Shiori insieme.
“Sei sciocco, Masumi.” Si disse “Domani incontrerai l’amore della tua vita; ti rivelerai a lei come il donatore di rose scarlatte. Non dovresti stare nella pelle e invece…”
Si sedette stancamente sul letto, passandosi entrambe le mani tra i folti capelli biondi.
Quindi, metodicamente, prese a spogliarsi: la giacca, la cravatta, prima allentata poi sfilata, la camicia. Rimasto a torso nudo, si sdraiò, percependo il fresco della seta sulla pelle.
“Il mio amore è corrisposto.” Pensò “Maya è la mia anima gemella e prova per me ciò che io provo per lei. Eppure, non riesco ad essere felice, proprio come Isshin. La saggezza può, forse, consolare, ma non rende felici.”
Si girò su se stesso restando bocconi: il mento, ora, era poggiato alla coperta, le braccia distese come fosse in croce.
Altri pensieri, dalle matrici più disparate e disperate, affollavano la sua mente.
“Se Shiori tornasse quella di una volta – e non credo possa essere così – tutto cambierebbe. Io, di certo, penserei a questo appuntamento di domani con minor apprensione. Mi gusterei ogni attimo.”
Si alzò di scatto e raggiunse il mobile bar per prelevare l’ennesima bottiglia di cognac. Ne versò più del dovuto in un bicchiere da acqua, mentre constatava che il ghiaccio contenuto nel cestello d’argento era, ormai, completamente sciolto.
“Pago un casino per un servizio scadente.” Masticò “E’ proprio vero che, quando vai alla deriva, tutto prende a girare al contrario.”
Non c’era soluzione.
Con Shiori in quelle condizioni, non poteva neppure pensare di premiarsi con l’amore vero.
Non lo meritava.
Era colpa sua: se Maya aveva perso sua madre, era colpa sua; se Sakurakoji aveva rischiato la vita era colpa sua; se Shiori era impazzita era colpa sua.
Si dice che l’alcool apra la favella alla verità: è anche vero che impedisce di pensare con il dovuto raziocinio. Più Masumi beveva, più il mostro dentro di lui si ingigantiva.
E lui stesso entrava in simbiosi con la bestia.
Vide Oozachi e vide Genzo. Gli parve di vederli, un pensiero avvolto nella nebbia scarlatta.
“Alla fine,” si disse “chi si è preso tutto è stato proprio l’umile servitore. Lui le è rimasto accanto per tutta la vita, non il maestro. L’attore dalle potenzialità illimitate, sul palcoscenico, ha avuto ciò che all’autore stesso è stato negato. Eppure…non riesco a immaginare Maya tra le braccia di quel ragazzo. Non riesco a vederla tra le braccia di nessun altro. Il solo pensiero mi distrugge…”
Si guardò le mani: tremavano.


Capitolo dodicesimo



Hijiri bussò più volte prima di realizzare il peggio.
“Signor Masumi!” urlò dando una forte spallata alla porta.
Aveva usato tutta la forza che aveva in corpo e, riuscito nell’intento, il contraccolpo lo spinse direttamente al centro della camera da letto. Incespicò nel tappeto, ma non cadde.
Tutt’intorno era un inferno di cristalli infranti, quel tanfo di alcool cui, da mesi, era abituato.
E, poi, c’era il suo superiore: appeso al lampadario di cristallo, un fantoccio in sembianze umane..
Hijiri deglutì come se rivivesse il momento più tragico della sua vita: alla sagoma di Masumi si sovrapposero quelle di sua madre e di sua sorella.
“Per gli dèi!” esclamò correndo dall’uomo, la mano al cellulare che già inviava la chiamata al pronto soccorso.
Prese Masumi con delicatezza: respirava appena e il petto diafano era tutt’uno con il suo viso smorto.
“Che cosa ha fatto?” balbettò commosso all’inverosimile “Che cosa ha fatto?...”
Tolse con decisione il lenzuolo che aveva fatto da forca e prese a massaggiare il volto di Hayami con i due pollici:
“Si svegli, signore, si svegli…”
La sua preghiera <doveva> essere accolta.
“Si svegli, signore…oggi è il suo grande giorno. È il giorno in cui Isshin si ricongiunge ad Akoya, rammenta?”
E, mentre pensava queste cose, i suoi occhi piangevano. Le lenti ambrate si appannavano.
“Questo è un colpo basso.” Disse a bassa voce mentre una cameriera, entrata con il cambio per il letto, cacciava un urlo disumano alla vista di un uomo quasi cadavere.
“Come ha potuto?” continuò Hijiri ignorandola “Lei ha il dovere di essere felice! È la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto.”
Strinse i pugni, mentre i soccorsi giungevano e, concitatamente, caricavano in barella il suo capo.
I minuti che seguirono furono ancora più concitati: in ambulanza, ignorava le domande di un infermiere che chiedeva in che rapporti fosse con il malato. Chiamò Mitzuki e avvertì casa Hayami, ma il suo pensiero era fermo sull’unica persona che non avrebbe mai voluto o potuto avvertire: Maya Kitajima.
“Le sue condizioni sono molto gravi.” Aveva decretato il medico dell’ambulanza.
Una serie di informazioni tecniche, inutili come si sentiva inutile lo stesso Hijiri, fu sciorinata con la freddezza di una vecchia telescrivente all’opera. O di un alfabeto morse in tempo di guerra.
Quanto tempo passa tra l’impiccagione e la morte?
Per quanto tempo si può stare senza respirare?
Quali danni per il cervello?
A tutti questi quesiti il medico rispose senza che gli venisse posta la domanda, ma Karato non l’udì neppure.
“Si salverà?” balbettò semplicemente quand’egli tacque.
“Quest’uomo non vuole salvarsi.” Disse l’altro, che aveva compreso in un istante di trovarsi davanti a un caso di suicidio “Deve avvertire la famiglia.”


Isshin e Akoya incedevano per il bosco mano nella mano.
Con la sinistra, lo scultore sacro reggeva l’ascia del boja, una grezza arma col bastone nodoso e una lama arrugginita in più punti.
Non parlavano, per quanto i loro cuori fossero in costante comunicazione.
“Mi manca la tua voce.” Disse rompendo gli indugi la ragazza.
“Che succederà, domani, quando non potremo più udirci a vicenda?” chiese di rimando Isshin.
La domanda suonò come una pietra tombale su fresca erbetta.
“Aspetteremo.” Rispose l’altra stringendogli la mano ancora di più “Aspetteremo il prossimo ciclo di vite. Con pazienza e con rettitudine. La volontà degli dèi è che le anime gemelle tornino ad essere uno. Non importa quanto ci vorrà.”
Egli annuì non del tutto convinto, il cuore in pezzi di chi non vorrebbe mai giungere e, invece, già intravvede il futuro. Davanti a lui Mot, il susino millenario, attendeva il suo fato. Che, poi, era anche il fato dei due giovani lì presenti.
Akoya sedette in ginocchio poco distante, le mani l’una dentro l’altra.
Isshin si dispose a dare il primo colpo d’accetta.
“Se non lo facessi?” fece d’improvviso, guardandola con intensità “Se fuggissimo insieme, questa notte?”
Ella lo fissò con semplicità:
“E vivere per sempre nella menzogna, amor mio? Con la coscienza di non aver agito per il bene dei nostri fratelli? Tu potresti? Davvero potresti vivere così?”
Lo scultore negò, deglutendo dolorosamente.
“Vai, amor mio.”
Egli le diede le spalle e assestò il primo, possente colpo.
Non poteva vedere il volto di lei, che si incrinava di minuto in minuto, come quelle piante a cui sia tranciata d’improvviso la radice e il sostentamento della cara terra.
Se Isshin avesse visto ciò che intuiva soltanto, non avrebbe avuto la forza di continuare.
Ma il primo colpo era andato e, via dicendo, il secondo e il terzo e il quarto, fino a che di Mot non fu visibile che una spaccatura diritta – pareva un taglio cesareo! Da quel <parto> sarebbe rinato il mondo, pensò il ragazzo mentre una lacrima scendeva lungo il bel viso.
Ormai solo un pezzetto di legno reggeva il possente susino.
Isshin appoggiò la mano al fusto e, con un affondo deciso, lo indusse a cadere: si sollevò, al contatto con la terra, una nuvola di polvere e di petali di colore rosa.
Egli si girò verso Akoya.
Era scomparsa.
view post Posted: 18/8/2015, 16:54 L'amore di Isshin - Fanfictions

Capitolo decimo



“Ne è convinto davvero?”
La domanda di Yuu sorprese profondamente Masumi Hayami.
Pensava che, da ragazzo innamorato qual era, egli sperasse solo in una sua ritirata strategica: con lui fuori gioco, non avrebbe avuto nulla da temere.
Invece, il cuore generoso dell’attore lo induceva a riflettere insieme al <rivale> sul da farsi.
“Non voglio che Maya sia infelice. Né, tantomeno, desidero essere un suo ripiego. Voglio che lei sia innamori di me con la stessa profondità con la quale Akoya ama Isshin. Solo così potrò sentirmi realmente sicuro.”
Masumi arcuò le labbra con amarezza:
“E’ da giorni che il copione del capolavoro scomparso sta sul mio comodino. Ogni maledetto giorno lo apro, lo sfoglio, ne leggo qualche pagina alla ricerca di risposte. È ridicolo che un uomo razionale come me si ritrovi a <cercarsi> in una storia scritta da altri. Ho sempre avuto la legittima pretesa di crearmelo io, il futuro. Per quanto, a ben vedere, finché non ho conosciuto Maya, ho accettato di farmi manipolare dal mio patrigno, compiacendolo in ogni modo. Fino ad accettare il fidanzamento con Shiori. Ma lei, però, è innocente. Una ragazza che non sia mai uscita di casa, trovandosi di fronte un ragazzo piacevole e gentile, finisce per innamorarsene al punto che, dopo essere stata scaricata con leggerezza, perde il senno.”
Yuu vedeva in Masumi i tormenti di Isshin: li percepiva con chiarezza.
“I buddhisti non hanno torto quando pensano che ogni passione allontana dalla piena felicità.” Mormorò tra sé.
Ma Hayami l’udì bene.
“L’attaccamento” soggiunse “è qualcosa che genera il male. La gelosia è terribile, se si pensa al clima di sospetto che da essa deriva. Si può arrivare ad uccidere per amore.”
Il giovane presidente della Daito alzò la testa di scatto verso di lui per carpirne l’espressione.
“Sa che cosa penso? Se fosse nato attore, avrebbe interpretato magistralmente questo copione.” Disse Sakurakoji con una scintilla di rabbia negli occhi “Tuttavia, per quanto i buddhisti siano chiari riguardo al modo di approcciare la vita e l’amore, è altrettanto ovvio che l’uomo sia destinato alla piena felicità. Lei non è Siddharta. Non trascorrerà la sua esistenza come un eremita solitario in ricerca. Vuole sacrificarsi per stare accanto ad una donna che non è sana. Il senso di colpa che prova è del tutto infondato perché, se è vero ciò che mi ha detto, la signorina Takamiya è affetta da turbe psichiche da sempre.”
“Mi stupisce che a parlare così sia tu.” Masticò Hayami sorpreso.
“Questo copione è una scuola di vita, per me.” Spiegò Yuu “Ogni sospiro di Isshin mi indica come è giusto amare.”
Strinse i pugni con dolore:
“Maya non mi ama se non sul palcoscenico. Non è a me che pensa, in quel momento, ma a ciò che io rappresento. Questo servirà pure a qualcosa.”
Masumi strinse le labbra.
“Stai illudendoti come sto illudendomi io stesso.” Disse serio.
L’altro annuì:
“Ma, se fossi al suo posto, non avrei dubbio alcuno, lo sa? Ho abbandonato la mia ragazza nella speranza di stare con Maya. Ho procurato dolore, ma non mi pento neppure per un istante di ciò che ho fatto. In cuor mio, facendo la mia promessa d’amore, mi sentivo felice e appagato. Lei, invece, potrebbe avere Maya solo schioccando le dita. Questo mi fa imbestialire e, al tempo stesso, sperare. Un pusillanime non potrà mai battermi perché io so essere incredibilmente insistente, quando voglio. Non sarà lei a <cedermi> Maya, signor Hayami. Sarò io a prendermela. Può starne certo.”


Akoya osservava la volta celeste con occhi ispirati. Ma il pensiero delle sommosse nei villaggi vicini le impediva di essere del tutto serena.
Il vento le accarezzò la nuca e, nitidamente, avvertì le labbra di Isshin posarsi sul suo collo sottile, le braccia cingerle la vita.
“Non dovresti dormire da un pezzo?” chiese la giovane accettando la sua stretta possente.
“Non senza di te.” Rispose lo scultore.
“Arriverò tra poco, ma, giacché sei qui, vorrei parlare con te di ciò che accade qui intorno.”
Il tono di Akoya era commosso:
“Pensi di temporeggiare a lungo, amor mio?”
Le mani di Isshin ricaddero lungo i fianchi, inerti.
“Il tempo fugge.” Riprese la giovane “Io sono l’incarnazione della dèa ed è ormai ovvio che tu sei colui il quale deve scolpire il legno sacro per impetrare la salvezza di questo Paese.”
“Ne sono consapevole.” Disse l’altro “Ma cosa ti fa pensare che, domani, non si torni al punto di partenza? Oggi, noi ci accingiamo a sacrificare la nostra felicità, a distruggerla in questa vita. Per che cosa, Akoya? Ho detto a Kusunoki, l’altro giorno, che dovunque ci porti il Fato, noi ci reincontreremo. Ho preferito queste parole con una sicurezza che mi ha sconcertato! Ci credevo davvero, in quell’istante. Poi, mentre camminavo al villaggio al fianco del generale, ho incontrato il capo in compagnia di tua nonna: avresti dovuto vedere gli sguardi sui loro occhi. C’era rabbia, odio ancestrale. Fino a che gli uomini si guarderanno così tra loro, non ci sarà pace.”
Akoya annuì:
“La tua arte commuove. La commozione genera pentimento. Inoltre, il legno di Mot è caro agli dèi perché esprime uno dei loro spiriti. Io lo so.”
Gli prese il viso tra le mani, baciando teneramente le labbra dello scultore.
“Siamo stati fortunati a incontrarci.” Sussurrò “Questo tempo è stato prezioso. Io sono felice solo per questo.”

Eysuke aprì gli occhi nel cuore della notte, il copione del capolavoro scomparso aperto sul comodino, un rituale che si ripeteva da oltre trent’anni.
Si sentì osservato e, preoccupatosi, si mise a sedere sul letto, buttando le coperte fino alla spalliera. Tentò anche di accendere la luce, ma non ci riuscì.
“Dannazione…” masticò seccato “Asakura! Asakura!”
La voce rimbombò nella stanza, ma all’anziano fu subito evidente che l’eco era stata assai più profonda.
“Sto ancora sognando…”
Si girò a destra e a sinistra: pur nella oscurità, mano a mano che il nervo ottico si adattava, la percezione aumentava, rassicurandolo un poco.
Focalizzò la scrivania, le tende tirate e un tenue raggio di luna come ad <aprirne> la chiusura.
Mise i piedi sul pavimento, percependo calore.
“E’ strano.” Disse piano.
Si avvicinò lentamente alla finestra per osservare la volta celeste e fu qui che quasi rischiò l’infarto.
Non vide il grande parco della sua villa, ma il panorama scarlatto della Valle dei susini.
Gli occhi si sgranarono letteralmente, mentre inquadrava la sagoma di Chigusa Tsukikage davanti al leggendario albero millenario.
Tutt’intorno, i petali cadevano copiosi.
“Che cosa è mai?” si chiese aprendo la stessa finestra.
La dèa scarlatta sorrideva arcanamente.
“Chigusa…” chiamò l’uomo.
Ma la donna non rispose.
Con un gran movimento delle maniche del kimono, creò una sorta di vortice di fiori e scomparve dietro al susino.
L’anziano si mosse verso di lei, tentando di scavalcare l’uscio, ma ad ogni tentativo, il panorama circostante appariva più lontano, comunicandogli un senso di <inaccessibilità>.
“Aspettami…” balbettò Eysuke.
Non si erano mai trovati da soli: stavolta, Genzo non era presente e intendeva approfittarne per parlarle a quattr’occhi.
Ma, giungendo finalmente al susino, fu un’altra sagoma a bloccarlo.
Il cuore del padre di Masumi iniziò a fremere di rabbia e paura.
“Ancora, la tua mano mi divide da lei?” chiese quest’ultimo “Vattene, Ichiren…!”
Ma il maestro non rispose, dileguandosi anch’egli.
Tutto finì così com’era iniziato e il bussare insistente alla porta lo restituì al reale.
“Ti ho chiamato almeno due volte!” sbottò il vecchio Hayami quando Asakura entrò nella sua stanza.
Ciò che Eysuke aveva visto, dacché lo aveva chiamato, era indubbiamente una corposa <visione> della valle dei susini. Ed era durata svariati minuti.
“Ma, signore,” prese a giustificarsi l’altro “è mezzanotte passata e stavo riposando. Sono venuto appena ho potuto…”
Il padre di Masumi scosse la testa con aria di sufficienza, quindi gli ordinò di andare ad avvertire Genzo. Poco importava se era il cuore della notte: il giorno dopo avrebbe fatto visita alla signora in nero.
view post Posted: 17/8/2015, 13:11 L'amore di Isshin - Fanfictions

Capitolo nono



Isshin raggiunse Kusunoki al villaggio.
Questi lo accolse nella sua stanza con volto teso.
“Farò come chiedi.” Disse subito sedendosi al tavolino basso.
Il generale annuì col capo ringraziandolo implicitamente: il suo sguardo era carico di benevolenza.
“Mi spiace…” mormorò l’uomo “E’ ovvio che tu non sia persuaso. È perché non sei ancora convinto di essere tu il prescelto o…?”
Isshin sollevò le spalle:
“E’ stata Akoya a chiedermelo.”
L’altro sorrise con rinnovata tenerezza al pensiero della fanciulla cara al cielo.
“Forse,” sospirò “è davvero l’incarnazione della dèa.”
“E avrei voluto, ho…desiderato con tutte le mie forze che si trattasse di un abbaglio.” Disse lo scultore “Akoya vive per cose più grandi. È destinata ad una esistenza superiore. Per questo dovrà sacrificare la sua felicità in questa vita. E io la mia.”
Il volto di Kusunoki si fece gravemente interrogativo.
“Quando hai parlato del legno sacro…avrai udito ciò che ella ha detto…”
“Che sai dov’è?” domandò il generale “Se lo sai, perché perder tempo?”
“Ho paura.” Confessò Isshin tutto d’un fiato “Non…credo di avere la forza per compiere questo gesto. Vedi, Mot, il susino millenario, è lo spirito stesso di Akoya…!”
“Dèi!” esclamò l’uomo “Allora…!”
Ricadde sulla spalliera come fosse spossato:
“Dimmi, Isshin, cosa ti piace di lei? Non fraintendermi: è bellissima, ma, piuttosto che attirare, incute timore e rispetto. Gli uomini che le si avvicinano percepiscono la sua inviolabilità e sacralità. Tu?”
“Lei è la mia donna.” Rispose Isshin fermo “E’ per questo che siamo nati. Ed è per questo motivo che non avverto il senso di repulsa che affermi di sentire.”
Kusunoki annuì.
“Certo, comprendo tu abbia paura di perderla. Deve essere terribile separarsi dalla persona che si ama. La morte è devastante.”
Lo scultore fece un mezzo sorriso:
“Non temo la morte.”
Lo sguardo del generale, che, sino a quel momento, si era mantenuto basso, si levò quasi di scatto.
“E’ stata lei ad insegnarmelo.” Spiegò Isshin “Io vagavo per la Valle alla ricerca di una risposta alla mia empietà. Ho visto la morte da vicino e lei, trovandomi, l’ha allontanata. Poi, ho iniziato a parlare con lei, a capire cose di cui prima non mi ero mai accorto. La mia empietà si è dissolta in un istante. In qualunque mondo o dimensione mi trovi, io rinascerò… io andrò in cerca di lei.”
“E, allora, perché indugi ancora?” chiese Kusunoki sorpreso.
“Perché sono umano.” Fu la risposta dell’altro “Sapere come sarà <domani> non mi mette al riparo dal dolore. Sapere che lo spirito vive, che si ricongiunge in un futuro prossimo o remoto non mi conforta del tutto perché vorrei sempre starle accanto. Sto bene quando percepisco la sua vicinanza. Sto bene perché c’è lei. Tuttavia, so che il mio compito, in questa vita, va adempiuto. Se, poi, servirà a placare l’ira del cielo giustamente scontento di questa umanità fedifraga, ben venga.”

Maya sedette sulla panchina metallica dietro di lei.
“Perché gli dèi mettono al mondo l’uomo?” domandò aprendo appena la bocca “Il capolavoro scomparso è stato composto da un poeta che, poi, si è tolto la vita. Eppure, non c’è riga, su quel copione, che non inneggi alla gioia, all’armonia tra gli elementi. C’è armonia persino nelle intemperie. Tutto segue il suo corso perché così è scritto.”
Eysuke si avvicinò a lei, il tono più basso:
“E’ solo una questione di fede. Ichiren non credeva a una sola parola di ciò che scriveva. La Dèa Scarlatta rappresenta il tentativo di spiegare qualcosa che desiderava come esistente. Le religioni sono nate per questo, lo sapevi?”
Maya Kitajima deglutì.
“No.” Disse pacatamente “Chiunque sia stato a Nara non può che <vedere>. Io stessa <ho visto>. E anche Masumi <ha visto>. Non esistono illusioni condivise, Hayami-san. La follia collettiva è altra cosa.”
Eysuke sospirò profondamente:
“Maya-chan, quale dio può mai volere una follia pari a quella delle anime gemelle? Una follia che condanna chi ci crede a vivere per qualcuno che non potrà mai essere suo! Ci sono religioni, qui in oriente, che parlano chiaramente della necessità di dividere gli esseri umani in caste. Un uomo ricco non si legherà mai ad un povero! È così da sempre.”
“L’uomo è destinato alla felicità.” Mormorò Maya alzandosi.
Non lo guardava neppure in viso:
“Io ne sono convinta, signore. Comunque vadano le cose, qualunque diavoleria si frapporrà tra me e la mia felicità, io ne resterò fermamente convinta. Il Buddha ha predicato la fine delle caste, il riscatto dei deboli per il tramite della reincarnazione. Io ho fede in questo. Ciò nonostante, lei si fa carico di un grave peso: privare due persone della loro giusta collocazione nel mondo, della loro parte di felicità. Fa con Masumi ciò che ha fatto con Oozachi sensei.”


In quel momento, il giovane Presidente Hayami e Sakurakoji erano ancora sulla collinetta antistante la villa del magnate Takamiya.
“E’ assurdo.” Stava dicendo il giovane attore “Continuo a ribadire che si tratta di una assurdità, sì.”
Masumi si accese una sigaretta.
“E’ assurdo che sia andato così <avanti> con Maya, l’abbia sedotta e che ora la lasci a se stessa col cuore infranto. Ho l’impressione sgradevole che sapesse fin dall’inizio di non poter stare con lei! Perché, signor Hayami?”
“Perché l’ho fatto, mi chiedi?” fece l’uomo dando una boccata al fumo ed emettendo una nuvola dimessa come il suo aspetto “Perché la stupidità dell’uomo si annida ovunque. Perché l’uomo, talvolta, osa spingersi dove non è concesso. Ho avuto una visione, quand’ero nella Valle e da lì è mutato tutto. Però, nonostante questo, sono andato avanti per la mia strada: ho fatto un fidanzamento ufficiale. Ho iniziato a prepararmi alle nozze. E, poi, quando sono arrivato al dunque, mi sono tirato indietro.”
Sakurakoji scosse la testa:
“Non ho mai visto tanta indecisione, ma la comprendo, per certi versi: la posizione è importante, in Giappone. Quando ero ragazzino, mia madre mi diceva di allontanarmi da Maya perché non era alla mia altezza. Suppongo che per lei sia anche peggio, vista la poltrona che occupa.”
“Maya è infinitamente superiore a me.” Disse Masumi ispirato “Lei vive nel mondo dell’arte, che io ho percepito attraverso ogni sua rappresentazione. Come avrei potuto non innamorarmi di un sogno ad occhi aperti? Io vivevo nelle tenebre, teso solo a distruggere qualunque ostacolo si frapponesse tra me e un buon affare. Ero un uomo di scarse pretese, un derelitto. Solo il suo sacrificio, durante la prima rappresentazione di Little Women mi persuase che esisteva altro: considerare il teatro come qualcosa di sacro perché è il ponte per un ailleur migliore è un pensiero fisso che ha iniziato a dominare la mia esistenza da allora. Sono passati sette anni ed io non sono cambiato. E il mio amore, il mio trasporto, il mio <grazie> perenne a questa creatura così speciale sono andati amplificandosi. Debbo lasciarla e nel contempo non posso fare a meno di lei. Tu mi chiedi delle risposte, Sakurakoji, ma non so dartele perché ogni parola da te udita corrisponde al vero.”
view post Posted: 16/8/2015, 19:50 Giappone - Viaggi e vacanze... lo spazio per l'anima!
Barbara, che reportage superbo...Ho imparato un po' di cose: le geishe, quindi, non amano farsi fotografare e in Giappone si mangia presto! In un'altra vita devo essere stata giapponese, allora, visto che a casa mia si mangia alle diciotto e trenta (impegni di lavoro permettendo). Il padiglione d'oro è fantastico, così come l'uomo nascosto dal cappello: chissà perché mi son figurata Isshin o, comunque, un personaggio de Il Grande Sogno di Maya... :lol: E, ora, aspetto Naraaaaaaaaaaaaaaa! :wub:
view post Posted: 16/8/2015, 19:38 L'amore di Isshin - Fanfictions
No, non manca molto. E' una short fic. A domani! :D
view post Posted: 14/8/2015, 11:13 Giappone - Viaggi e vacanze... lo spazio per l'anima!
Sei andata a Naraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa! Ossequi, ossequissimi!!! Che belle foto, Barbara. Aspetto con ansia il seguito!
view post Posted: 14/8/2015, 11:08 L'amore di Isshin - Fanfictions

Capitolo ottavo



Passarono i giorni: la guarnigione al comando di Kusunoki cominciava a interrogarsi con apprensione sul perché non decidesse di lasciare Nara con lo scultore sacro.
Non c’erano dubbi, ormai, sul fatto che si trattasse proprio del ricercato.
Invero, il generale era roso dai dubbi, ché le parole accorate di quel giovane per nulla pusillanime gli avevano toccato il cuore, invitandolo, tra l’altro, a riflettere sulla vita e sul suo senso più profondo.
Tuttavia, mentre vagabondava per la Valle incerto, fu raggiunto da una notizia che ebbe il potere di rasserenarlo e sconvolgerlo insieme.
Il messaggero parlava di un conflitto devastante tra Terefusa e un clan di samurai ribellatosi all’autorità costituita: gli dèi, quindi, stavano decidendo per la guerra totale e il caos.
Qualunque carta, a questo punto, andava giocata: Isshin <doveva> ad ogni costo tornare per compiere il suo dovere e mettere pace attraverso l’opera sua.
Se gli dèi avevano scelto lui un motivo doveva pur esserci: era nebuloso, agli occhi del generale, ma pur sempre un modo per concedersi un briciolo di speranza.
Mentre si muoveva per radunare l’intera guarnigione, il messaggero gli si avvicinò passandogli un messaggio riservato.
Si scusò per averlo fatto nel momento in cui i suoi diretti subalterni si erano allontanati, ma la questione era della massima urgenza.
Rimasto solo, Kusunoki lesse con avidità il contenuto della pergamena.
“La missione è cambiata. Gli dèi si sono espressi.” Riconobbe la grafia dello scriba di corte “I capi della comunità buddhista e di quella shintoista hanno interrogato separatamente i loro oracoli ed hanno dato unanime parere. Non è più necessario ricondurre qui lo scultore: è a Nara che serve, dove si trova la sua materia prima.”
Il rotolo ricadde sulle gambe del generale:
“Colui che possiede una verità è il prescelto. Chi possiede questo nome è l’unto. E non dovrà usare un legno qualsiasi, ma quello più sacro agli dèi: il legno che racchiude lo spirito della madre terra.”
Il generale uscì dalla casa che lo ospitava come un pazzo: si guardò a destra e a sinistra in cerca di Isshin o di Akoya, ma non vide nessuno. Pensò che fossero al tempio nella Valle sacra e scappò in quella direzione.
Non aveva capito una sola parola di quel messaggio, ma era persuaso che, leggendolo, Isshin ne avrebbe colto il senso.
D’altro canto, pensava di rendergli un favore, dal momento che non sarebbe stato costretto a seguirlo fino alla Capitale.
E davvero i due innamorati sedevano sotto le fronde di un salice, al tiepido sole di un mattino di tardo inverno: discorrevano a bassissima voce e, da lontano, pareva di cogliere, tra essi, armonia e tenerezza.
Kusunoki sospirò:
“Siete qui, grazie al cielo. Non c’è più tempo da perdere. È giunto un dispaccio reale: ci sono notizie buone e meno buone.”
Il viso dei due ragazzi si fece interrogativo.
“Lo scriba dice che il monaco si è espresso: Isshin, dovrài scolpire una statua della dèa madre. Non sarà necessario ricondurti a casa.”
“Se una statua servisse a placare l’ira degli dèi, avrei scolpito non uno, ma ben due portali del tempio shintoista. E avrei modellato l’oro e il granito, non il legno! Come pensi che gli dèi possano anche solo apprezzare la mia opera? Io sono un miscredente! Non saprei neppure che forma dargli!”
Akoya stava un poco distante, il cuore stretto dall’angoscia.
“No, no! Il tuo nome è scritto negli oracoli: sei tu il portatore di una verità. Dell’unica verità!”
Isshin appose entrambe le mani sulle sue spalle:
“Ascolta bene, generale: mi sono ricordato una cosa. L’ultima cosa che ho fatto, uscendo dalla casa del mio maestro, è stata negare l’esistenza degli dèi! Io non credo in essi! Non posso essere io, quello scultore.”
“Sei stato scelto perché la tua arte induce a commozione!” sbottò il generale “Se per te non ha valore, ne ha per chi apprende la fede per tuo tramite! L’arte è da sempre un potente mezzo nelle mani di chi istruisce! Ho…studiato approfonditamente il tuo <caso> e, dacché ti ho conosciuto, più ti parlo più mi persuado che sei l’unica persona a poter dare una svolta a tutto questo caos!”
“Ma te l’ho detto! Non saprei come fare!”
Kusunoki, allora, preda dell’esasperazione più atavica, gettò il rotolo col dispaccio ai suoi piedi.
“Leggilo, per gli dèi!” urlò “E prendi atto che nessun uomo al mondo, neppure il più pio, rappresenta qualcosa di superiore, agli occhi degli dèi. Se sei il prescelto, prendine atto e basta. Anche se ritieni te stesso l’ultimo uomo sulla terra!”
Si portò indietro i capelli con entrambe le mani:
“Dovresti essere felice! Non ti porto neppure lontano dalla tua donna! Potrai restare a Nara, purché porti a termine la statua richiesta dal bonzo! Dovrai solo trovare l’albero sacro agli dèi: c’è un solo legno in grado di soddisfare la loro richiesta.”
Vide Akoya impallidire, quindi si rivolse a lei:
“Dolce fanciulla, te ne prego, persuadilo ad essere ragionevole. Non c’è uomo più degno di colui che è chiamato a soddisfare la volontà degli dèi.”
“Quel legno di cui parli…” cominciò la ragazza con voce tremante “io so dov’è e anche Isshin lo conosce bene.”
Lo scultore si girò di scatto per guardarla in viso.
“Mot…” sussurrò quasi tra sé “Ma…”
Prese per la mano la ragazza e la condusse dietro al tempio, dove non potevano essere uditi:
“Dimmi che si tratta di un incubo! E che le parole che mi hai detto l’altro giorno erano solo delle metafore! Dimmelo, Akoya!”
Ella sorrise stancamente:
“Ti ho già detto che non è così, mio caro: Mot è il mio spirito. Io e lui siamo la stessa cosa e lo hai intuito anche tu: a lui debbo la mia saggezza. A lui debbo la mia aura colorata di scarlatto che tu, per primo, hai saputo cogliere. Perché sei la mia anima gemella e l’altra metà della mia anima.”
Gli prese la mano baciandola con passione:
“Non temporeggiare, amor mio! In questa e in tutte le vite che verranno, io e te saremo destinati all’amore e alla completezza. Siamo nati per questo e, se anche dovessimo venire al mondo ai due poli della terra, ci incontreremo ugualmente. È il nostro fato!”
“Quando ti ho conosciuta,” Fece Isshin con occhi commossi “per la prima volta, ho sentito amore e calore. Protezione. Le tue cure mi hanno restituito fiducia negli uomini. Non posso pensare, ora, di fare qualcosa che possa nuocerti!”

Sakurakoji contemplava ancora, scioccato, l’immagine di Shiori Takamiya, che, seduta su una poltrona a rotelle, faceva a pezzi un bouquet di rose scarlatte.
Il suo viso pareva trasfigurato. Sedeva con gli occhi semichiusi sotto un salice piangente che gettava la sua lunga ombra su un parte del viso emaciato; le mani erano entrambe fasciate, le gambe coperte da un kimono floreale scuro. Pareva un fantoccio in posa, una di quelle statue che, sovente, si vedono nei diversi musei delle cere sparsi per il mondo.
“Signor Hayami…” balbettò.
“Volevi avere certezze?” chiese Masumi con sguardo feroce “Eccotela. La tua certezza l’hai davanti. Adesso puoi realizzare finalmente che Maya è tua!”
Si girò di scatto e tremava visibilmente: Sakurakoji percepì in lui tutta la bramosia repressa che aveva animato sé medesimo il giorno dell’incidente in moto.
“Non capisco cosa sia successo a Maya…” disse “Sembra che gli dèi stiano cospirando per ribaltare il mondo e il normale ordine delle cose: la sua fidanzata che impazzisce, io che mi spezzo le gambe, Maya che passa dall’odio all’amore per lei e lei…lei, signor Hayami, che prova qualcosa per una ragazza che non ha neppure la metà del suo rango.”
Masumi lo fissò ancor più ferocemente:
“Reciti da mesi il capolavoro scomparso e ancora non ne hai cognizione? È tutta una beffa degli dèi o, forse, la dimostrazione che le convenzioni sociali in cui amiamo strangolarci non contano nulla. Davanti all’amore vero, non c’è età, aspetto, rango!”
Lo prese per il colletto della camicia, gli occhi azzurri iniettati di sangue e lacrime:
“Ma, quando lo capisci, realizzi che non serve più a nulla, che il tuo tempo è passato.”
Yuu abbassò lo sguardo.
“So cosa significa. Lo so fin troppo bene.” Mormorò affranto “Io stesso ho provato quanto afferma.”
“E, allora, smetti una volta per tutte di fare domande sciocche e vivi il tuo amore, tu che puoi. Io ti invidio maledettamente e non sono neppure sicuro di sopravvivere a tutto questo dolore. Chi non realizza l’amore vero non può essere felice ed è causa anche dell’altrui soffrire. Fanne tesoro, ragazzo e non commettere certi sbagli.”
view post Posted: 13/8/2015, 10:35 L'amore di Isshin - Fanfictions
Grazie, cara. Ma la vita non va quasi mai in direzione del "necessario" lieto fine. Ne parlavo giusto ier sera con un'amica: chi ha avuto la fortuna di sposare o anche solo di iniziare una relazione per la vita con il proprio grande amore? In pochi ce l'hanno fatta, temo.
Buona lettura.

Capitolo settimo



Eysuke si mosse sulla sedia a rotelle visibilmente preoccupato.
Ancora una volta, aveva fatto in modo che l’incontro con la giovane attrice avvenisse in maniera casuale per non metterla in allarme.
Quasi se ne pentì.
Non solo Maya era mutata d’aspetto all’improvviso: persino il tono della sua voce, la saggezza amara che traspariva dagli occhi languenti la rendevano più brillante del solito.
Il Presidente emerito della Daito pensò che, finalmente, il temuto salto di qualità aveva avuto luogo.
Da sempre estimatore del suo talento, non aveva idea che esso potesse scoppiare prepotentemente in un lasso di tempo così breve.
Inoltre, Maya Kitajima non soltanto stava per ereditare lo spirito di Chigusa Tsukikage, ma, per certi versi, pareva incarnarlo già.
“Non credevo…” fece tra sé “potesse accadere, ma così è stato. Ora, sei del tutto simile a lei e questo mi fa guardare con occhi diversi tutto il contesto. Se, prima, temevo il futuro, oggi mi terrorizza rendermi conto che esso è già presente. E una banale propensione può essersi mutata in un fuoco inestinguibile.”
“Signore…?” chiese Maya del tutto ignara “Sono contenta di incontrarla. Ho qui con me dei biglietti per la rappresentazione che avrà luogo…”
“Le stelle lontane, per quanto fioche, non sono meno lucenti delle vicine. Basta avvicinarsi ad esse per restarne parimenti abbagliati.” Disse Eysuke pensando a Masumi.
“Non capisco.”
“L’amore genera l’odio e l’odio genera amore.” Spiegò l’anziano “Qualche filosofo di strada dice che, in fondo, sono la stessa cosa ed io <anche> ne sono persuaso. Maya-chan, il giovane Hayami le ha mai raccontato di suo padre?”
Ella arrossì:
“Non ne so molto. Ma, di certo, non dev’essere stato un uomo gentile neppure da giovane. Ha distrutto la carriera della mia adorata insegnante; ha provato a sottrarle i diritti di rappresentazione de La Dèa Scarlatta. Quando non ne ha più avuto la forza, ha istruito suo figlio, rovinando la di lui esistenza.”
Eysuke rise fragorosamente:
“Il generale millepiedi è un’anima dannata. Dall’amore atavico è passato all’odio ancestrale. Non potendo avere il susino millenario, ne ha divorato le radici sino a farlo avvizzire…”
“Conosco questa storia.” Confessò Maya inquieta “Me ne ha parlato proprio il signor Hayami. Ma credevo si trattasse di una metafora, non di una leggenda vera.”
“Eppure, come in tutte le storie, anche le più improbabili recano un fondo di verità.” Disse quietamente l’anziano, un’inflessione perfida nella voce “Lei è davvero una ragazza sincera e piena di buone qualità: il suo talento è così evidente da impressionare. Ma vive così presa dal teatro e dall’amore per i personaggi che interpreta da disinteressarsi del tutto al mondo che la circonda. Solo un vero amante dell’arte può ricambiarla pienamente, ché un uomo <normale>, al suo fianco, sarebbe condannato all’infelicità.”
“Che intende…” balbettò Maya “quando dice che mi disinteresso del mondo?…”
Eysuke sospirò:
“Da quanto tempo ci conosciamo, signorina?”
L’attrice fece mente locale e calcolò circa otto mesi dall’ultima rappresentazione di Lande Dimenticate.
“E,” proseguì il vecchio “pur vedendomi salire su auto di gran lusso, pur accompagnandola in locali d’alto livello, non le è mai venuto in mente di chiedermi chi fossi e…quale lavoro svolgessi…?”
“Ho solo pensato che non fosse un indigente. Che frequentasse i teatri e ne conoscesse i grandi interpreti del passato.” Rispose Maya con semplicità “Cos’altro?...”
Hayami strinse le labbra:
“Lei è una ragazza sincera. Non conosce menzogna. Ciò rende le cose più gravose di quanto non pensassi.”
Alla giovane si strinse il cuore.
“Neppure che io conoscessi l’interpretazione del fuoco di Chigusa Tsukikage le suggerisce qualcosa?”
“Non capisco dove intenda arrivare.” Disse la sua interlocutrice, il volto imperscrutabile come il ghiaccio.
Un varco si era finalmente aperto: Maya Kitajima iniziava a intuire chi avesse davanti.
“Signorina, vorrei che sapesse che, in qualche modo, sono stato molto colpito dalla sua schiettezza. E, checché si racconti di me, so apprezzare certe doti. Tuttavia, ciò che conta, ad oggi, è concludere un buon affare. Cercare in ogni modo di preservare un’attività costruita lungo tutta una vita. Nel mercato del mondo dello spettacolo, non basta rappresentare una piccola ditta: molti anni fa, cercai di far capire questo concetto ad Oozachi, ma lui si infuriò, dicendomi che non era giusto <mercificare> il suo capolavoro. Non è che io volessi <mercificarlo>: ritenevo, come lo ritengo oggi, necessario <sfruttare> il talento di Chigusa per assicurare un futuro a lei, al Maestro e a tutte le famiglie che ruotano intorno alla vecchia e alla nuova Daito.”
Una lacrima solitaria solcò il viso di Maya.
“Lei ha condizionato la vita di molte persone. Ha cercato di rendere suo figlio la sua esatta copia.” Mormorò sconcertata “Per non parlare della sensei Tsukikage, costretta a chiudere la propria scuola di teatro, a cercare finanziamenti per la propria attività quasi fosse una mendicante…”
“Non mi pento di niente.” Disse perentorio Eysuke “Il lato umano degli affari è che essi sostentano migliaia di famiglie. Se, domani, il gruppo Takamiya fallisse, ha idea di quanta gente finirebbe sulla strada?”
Maya strinse gli occhi, provando in tutti i modi a non piangere, ma era impresa ardua: la commozione si fondeva, ora, con la rabbia.
Sentiva come profondamente ingiusto e sbagliato ciò che le sue orecchie udivano:
“E, così, in nome degli affari, ha dato un erede a Takamiya perché la Daito Art Productions fosse protetta e s’ingrandisse.”
“Masumi non è stato messo con le spalle al muro: Shiori è una donna piacente e colta. Inoltre, a differenza di molte ragazze, non pretende tante attenzioni. Era così anche la madre di Masumi, sa? Sapeva stare al suo posto. Del resto, ha accettato di stare con me per amore di suo figlio…”
“Ma a che prezzo?” sbottò finalmente Maya “Che cosa c’è di sbagliato nel seguire il cuore?!”
“Provi per un istante a vederlo rifiutato, quel <cuore>.” L’interruppe Eysuke inviperito “Provi a mettersi nei panni di Shiori, così innamorata e fragile! Lei ha il teatro e una carriera radiosa davanti. Se si mettesse tra la signorina Takamiya e mio figlio, la poverina ne morirebbe perché non ha altri che lui.”



“Che cosa ti ha detto il generale?”
Akoya ed Isshin camminavano lungo il fiume, immersi in un tramonto che pareva infinito mano nella mano.
Tutt’intorno, come sempre, era armonia, ma nel cuore di entrambi un che di malinconico campeggiava, ché il destino dello scultore era tutt’altro che deciso: la guarnigione, ancora al Villaggio, sarebbe potuta rientrare in un momento qualsiasi, portandosi dietro il giovane Isshin.
“Non abbiamo conversato un granché.” Rispose quest’ultimo “Mi ha detto come mi chiamo, che cosa facevo prima di perdere la memoria. Pare non ci siano dubbi: sono colui che cercano. Uno…scultore buddhista miscredente che si è rifiutato di scolpire per una comunità shintoista.”
Akoya strinse le labbra:
“E te ne ha dato spiegazione?”
“Non ci vuole molto per arrivarci e credo ci sia arrivata anche tu, amor mio.” Replicò Isshin con semplicità “In fondo, di che cosa mai si è discusso, tra noi, se non del mio strano rapporto con…la fede e la religione in genere? Quando ci siamo conosciuti, mi hai rimbrottato più volte. Sono un empio.”
“Non la penso così da molto tempo, ormai.” Mugugnò la ragazza “Tu sei la persona più onesta che conosca, la più sincera. Sono virtù care agli dèi.”
“Sai anche questo?” si stupì Isshin “Per favore, domanda loro cosa pensano di me, allora.”
Akoya scosse la testa:
“Pensano ciò che penso io, ovvero tutto il bene possibile.”
Lo scultore le prese entrambe le mani, portandole alla bocca.
“Non devi confortarmi per forza. Qui non si parla di piante medicinali o di animali da salvare. Si discute di creature che non hanno nulla a che vedere con questo mondo corrotto e pieno di pregiudizi…Tua nonna mi odia…Tutti mi odiano. Solo tu hai iniziato a volermi bene…”
“Lei non è mia nonna!” replicò pronta la giovane “Non so di chi sia figlia. Nessuno lo sa. Dicono tutti che sono mandata dalla dèa perché so fare cose al limite del miracoloso.”
Isshin la guardò con affetto:
“Non mi stupirebbe se fossi la dèa in persona: la tua bellezza, la tua saggezza sono talmente evidenti da balzare all’occhio al primo sguardo. Una tua parola genera armonia, pacata serenità. Questo, per lo meno, è accaduto a me: assieme al mio corpo, pian piano, hai guarito anche il mio spirito.”
Akoya lo abbracciò con foga.
“Sai,” mormorò lo scultore trattenendo a stento l’impeto di baciarla “la prima volta che ci siamo incontrati, ho avuto la sensazione di trovarmi davanti ad uno di quegli splendidi alberi di susino che circondano il tempio. Indossavi un chimono scarlatto, i tuoi capelli avevano lo stesso riflesso e, quando mi sorreggevi col tuo braccio, mi ispiravi solidità.”
“Davvero?” chiese la ragazza con voce accorata “Sì, amo profondamente questi alberi. Il loro profumo mi inebria, il loro colore genera in me armonia, la loro possanza mi protegge. Da tutte queste cose io mi sento…intessuta. Vieni, amor mio, c’è una cosa che voglio farti vedere.”
Strinse la sua mano e, con una lieve spinta, lo invitò a seguirla.
Nel folto degli alberi di susino che popolavano il fondovalle, i due amanti, come sospinti da una forza sconosciuta, correvano come se abitassero quei luoghi da lungo tempo.
La neve sotto i piedi, un ghiaccio scarlatto e bianco insieme, strideva sotto le suole delle scarpe di juta.
Finalmente, i passi di Akoya si fermarono.
Isshin rimase senza fiato per un istante. Dopo aver lasciato la sua mano, la giovane si era approssimata ad un enorme e maestoso albero di susino.
“Ecco Mot, il susino millenario.” Disse accarezzandone il fusto rugoso “Esso è lo spirito più antico di questo Paese. Era qui ai tempi delle antiche armonie.”
“Mot? Che storia è mai questa?” chiese lo scultore interessatissimo “Non ne ho mai saputo nulla.”
Qualsiasi cosa uscisse dalla bocca della sua compagna, per quanto finissero per scherzarci su, rivestiva una importanza straordinaria: costituiva una finestra sull’universo intero.
“Gli uomini raccontano poco questa leggenda e, in un certo senso, hai ragione quando affermi che essi rammentano solo ciò che più gli fa comodo.”
Di nuovo, prese ad accarezzare l’albero:
“Gli alberi celano la vita, raccontano la storia di centinaia di uomini che sono stati testimoni di tempi più fausti. Quando gli dèi vivevano sulla terra e le creature erano loro grate per gli infiniti doni elargiti, tutto era armonia. Non esistevano discordie.”
“Questo te lo ha raccontato Mot?” domandò di nuovo lo scultore, profondamente colpito dalla sincera convinzione di Akoya.
“Ascoltare una storia, credere in essa è come riviverla. Il ciclo di vite si ripete e l’universo è un perenne, eterno ritorno. Gli dèi non sono mai <spariti> dal mondo. Non del tutto, almeno: hanno lasciato i loro guardiani. E questi, qualunque fattezza abbiano, non cessano mai di interrogare gli spiriti…”
Lo abbracciò con calore:
“Mot e io siamo la stessa cosa. I tuoi occhi ti hanno guidato bene: ciò che ti ha colpito di me è corretto, adorato Isshin.”
“La…stessa cosa?” ripeté scioccato quest’ultimo.
Udì un sospiro profondo:
“Siamo composti di cellule, di atomi. Ogni cosa è intessuta nella materia dell’universo, dall’uomo al più infimo granello di sabbia.”
“Che sollievo…” sorrise lo scultore “Temevo parlassi seriamente.”
“Ma io parlo <seriamente>.”
view post Posted: 12/8/2015, 10:33 L'amore di Isshin - Fanfictions

Capitolo Sesto



Yuu Sakurakoji corse fuori dal teatro a passo spedito.
Nella sua testa, il proposito di fare ciò che non aveva mai osato. Era a conoscenza dei <rischi>: non aveva ancora abbastanza potere; attraverso l’interpretazione di Isshin passava la sua <promozione> ad attore di razza; ma era anche convinto del fatto che solo in quel modo avrebbe potuto dimostrare a Maya quanto tenesse a lei.
Doveva ancora una volta vedere Masumi Hayami e capire quali fossero le sue reali intenzioni.
A Villa Hayami non c’era: dietro la scusa di dovergli comunicare importanti notizie su La Dèa Scarlatta, era riuscito ad estorcere alla cameriera la location del Presidente della Daito Art Productions.
Trasecolò apprendendo che non viveva più con l’anziano padre, ma in un albergo a pochi passi dalla sede della società.
Un’altra corsa in taxi e giunse al Ritz.
Ripassò il <copione> sentendosi uno scolaretto: ma, stavolta, avrebbe saputo la verità e, soprattutto, avrebbe avuto in cambio la promessa che più gli premeva.
“Chi ti ha detto che stavo qui?” l’accolse Masumi senza troppa grazia.
Non si scostò dall’uscio, per nulla intenzionato a discutere o a farlo entrare.
“Sono stato a casa sua.” Rispose sinceramente l’attore “Mi premeva parlare con lei ancora una volta.”
“A che proposito?” chiese l’altro infastidito all’inverosimile. Questo perché aveva intuito che l’argomento era proprio Maya Kitajima.
Se già il pensiero di doverla incontrare il sabato seguente nella Villa di Izu lo rendeva nervoso parossisticamente, l’ennesimo dialogo con Sakurakoji riempiva di dubbi la sua testa.
“Dobbiamo restare qui e rischiare di essere intercettati da qualcuno?” fece Sakurakoji acido “E’ del tutto ovvio che noi si ha un unico argomento in comune.”
Masumi lo spinse dentro quasi rudemente, quindi richiuse la porta.
Un tanfo potente di alcool e fumo raggiunse le narici del giovane attore: c’erano bottiglie di superalcolici sparse un po’ dovunque.
“E’ così che si occupa di affari?” disse Yuu portando una mano alla bocca come a trattenere un conato di vomito.
“Pago l’equivalente di settecento dollari a notte, in questo buco.” Fu la risposta del giovane Presidente della Daito “Potrò farne pure ciò che voglio, no? Allora, di’ ciò che devi e vattene.”
“Lei è ancora fidanzato con la signorina Takamiya.” Iniziò Sakurakoji “Perché ha provato a sedurre Maya?”
“Non ho fatto nulla.” Tagliò Masumi spossato “Qualcuno non ti ha spiegato che, nel mondo degli affari, ci si accapiglia come dannati per assicurarsi il <miglior prodotto> sulla piazza?”
“Già.” Sottoscrisse Yuu “Maya è una delle tante uova d’oro della Daito. Ha già l’altra dèa. Averne due sarebbe il top. Ma io ho visto altro. Ho entrambe le gambe fratturate perché sono certo di quanto ho compreso, vedendovi.”
“E che cosa avresti visto?” chiese spazientito Hayami.
“Lei l’abbracciava con passione. E Maya la ricambiava. Si percepiva dal vostro sguardo.”
“Maya Kitajima è solo una bambina. Cedere alle lusinghe di un uomo più vecchio, più potente e …piacente fa parte del copione.” Ridacchiò il figlio di Eysuke con un tono roco che pareva non lasciare dubbi.
“Allora, sarei contento se glielo dicesse in faccia.” Replicò Sakurakoji convinto.
Il cuore di Masumi si fermò un istante.
“Dirglielo sul serio. Definitivamente.” Ribadì il giovane.
“Mi pareva di avertela …caldamente consegnata. È tutta tua, ti ho detto…” sbuffò il Presidente della Daito come se la cosa non lo toccasse.
“Non mi basta.” Disse Yuu “Debbo vedere la sua faccia mentre glielo dice e voglio vedere quella di Maya.”
“Sei pazzo…?” chiese Masumi “Io ho un sacco di cose da fare! Figuriamoci incontrare <la ragazzina>, che, poi, è l’ultima cosa che mi preme fare al momento! E per che cosa? Per contentare il tuo egoismo e il suo? Te lo dico io cosa mi urlerà vedendomi: <io la odio!>. E’ quanto prova per me, stanne certo.”
Ma Sakurakoji non se ne andava e Hayami, esasperato, tentò l’ultima carta: ciò che lo avrebbe definitivamente convinto della sua buona fede.
“Vieni con me.”
Dopo due minuti erano in strada. L’auto aziendale della Daito attendeva di fianco alla fila dei taxi ed accolse entrambi.
L’attore non comprese dove stavano andando fino a che non si lasciarono la città alle spalle.
La Villa del magnate Takamiya, appena fuori Tokyo, era un gioiello dell’epoca dei samurai sprofondato in un mare di verde.
Non arrivarono al portone d’ingresso perché Masumi ordinò al suo autista di fermarsi a distanza di sicurezza, nel punto in cui egli stesso, inosservato, sostava spesso. Da lì era perfettamente visibile la stanza di Shiori.
“Questa casa è un bunker.” Disse – e Yuu non si spiegava il senso di quelle parole “Solo io conosco questa postazione e il Presidente Takamiya sa che solo io vengo qui.”
“Che senso ha?” chiese Sakurakoji sconcertato “Come fidanzato ufficiale della signorina, lei ha pieno diritto di farle visita in modo canonico.”
“E’ così.” Sottoscrisse il giovane figlio di Eysuke “Tuttavia, da qualche tempo, sono costretto a starmene qui.”
Attese qualche istante prima di confessargli la verità:
“Non sei l’unico ad essere andato fuori di testa quel giorno…”
“Cos…?” fece Sakurakoji sconcertato.


Kusunoki ed Isshin si addentrarono insieme per la Valle.
Il generale ora fissava il giovane scultore come a carpirne le intenzioni ora cercava di imprimersi nella memoria il tragitto per la zona sacra.
“Hai detto che non sai come ti chiami.” Disse quando furono sul ponte.
“E’ qui che sono caduto.” Svicolò il giovane e, nel mentre, indicava la fune penzolante.
Kusunoki si sporse, provando autentici brividi: c’era l’equivalente di cinquanta metri di strapiombo, sotto di loro.
“Non so come sono sopravvissuto.” Spiegò Isshin “O, forse, sì: è stato grazie a lei, ad Akoya.”
“Capisco.” Fece il generale sconcertato “Ho sentito voci strane su quella ragazza. In tutto il villaggio non si fa che parlare delle sue doti di guaritrice: animali, piante. Tutto <rinasce> in virtù del suo magico intervento.”
“Ne sono persuaso anche io.” sottoscrisse “Del resto, il fatto che io sia vivo, dopo un simile volo, ne è la dimostrazione. Ma non la chiamerei <magia>. I maghi sono dei filibustieri venditori d’almanacchi. Lei non predice nulla: ama e basta.”
Kusunoki annuì sempre più perplesso:
“Certo, mi pare di capire che sia una ragazza di un certo fascino. Un’altra voce piuttosto insistente vuole che siate…intimi.”
Isshin lo guardò torvo.
“E’ qui da poche ore e già sa così tante cose?” chiese “E’ vero: Akoya è la mia compagna. Non è un segreto: noi ci amiamo.”
“Non mi interessa il tuo privato.” Disse l’uomo “Ma io so chi sei ed è mio compito richiamarti all’ordine.”
“E perché avrebbe finto di non conoscermi?”
“Perché volevo capire se eri in buona fede.” Fu la risposta del generale “Sono contento che tu non sia un pusillanime.”
Isshin si accostò per un istante all’albero di susino che aveva innanzi.
“Che c’è?” fece Kusunoki “Ti sei ricordato di qualcosa?”
Lo scultore negò col capo, ma non era del tutto vero.
Un flusso di forti emozioni, scaturito all’udire la parola <pusillanime>, prese a devastare l’equilibrio faticosamente raggiunto.
“Ha detto che è qui per condurmi via. Di quale onta mi sono macchiato?” domandò scettico.
“Sei lo scultore più esperto del Kanto. Nonostante la tua giovane età e le tue oscure origini, eri stato scelto per scolpire il portale di un tempio shintoista. Un grande onore per un cultore del Buddha.”
Isshin si stupì:
“Sicché…sarei buddhista. Qual è il mio nome completo?”
Kusunoki glielo disse, così come gli comunicò che il suo rifiuto stava causando non pochi disordini e scontri anche cruenti tra fazioni opposte.
“La religione è una beffa.” Disse il giovane scultore “Se gli uomini credessero davvero non si scontrerebbero per simili futilità. È tutta una questione di potere e lei lo sa bene, generale.”
Si sedettero sotto il susino.
“Probabilmente,” proseguì Isshin “gli dèi esistono davvero. Ci sono, a questo mondo, persone straordinarie, che ne sono il riflesso: Akoya ne è un esempio. L’amore degli dèi è gratuito, genuino, procura felicità. Quello degli uomini è egoista.”
Kusunoki alzò le spalle:
“Cosa ti piace di Akoya? E, se ti piace, non provi per lei gelosia all’idea che qualcuno possa avvicinarla?”
“Adoro tutto di lei.” Fu la risposta del ragazzo “Solo al vederla, sento mancare la terra sotto i piedi. Ma non sono geloso perché lei ama me. Ha scelto me, uno sbandato, un uomo senza passato né futuro e mi ha dato tutto, a partire dalla vita. Perché dovrei esserne geloso?”
“Si è gelosi dei tesori e tu stai descrivendo un tesoro.” Disse Kusunoki ridendo della sua ingenuità.
“Akoya non è <una cosa>. Lei è l’altra metà della mia anima. Se lo ricordi bene.”

Il venerdì precedente l’incontro con il donatore di rose scarlatte le prove terminarono ad un orario accettabile.
Maya pensò di andare al centro commerciale per acquistare qualcosa di consono, magari sistemarsi i capelli.
Rei non c’era e, per la prima volta, avrebbe fatto tutto da sola.
Pregò gli dèi di non trovarsi inadeguata alla circostanza: Masumi era un uomo di classe, vestiva bene e senza fronzoli, mentre lei, sul piano del look, si considerava un autentico disastro.
Per tutta la vita aveva indossato felpe informi e gonne variopinte. Ma il tempo dei calzettoni, avendo ormai compiuto diciannove anni, poteva considerarsi archiviato, motivo per cui la prima cosa che fece fu comperare delle calze di nylon.
Quindi, anziché procedere all’acquisto dell’abito, pensò di affidarsi ad una estetista e al parrucchiere. Ripensò alla serata sulla nave, quand’era stato lo stesso Masumi a dare precise istruzioni perché ella apparisse splendente.
Ora era sola: avrebbe agito d’istinto pensando in modo autonomo a ciò che sarebbe potuto risultare apprezzabile agli occhi del donatore di rose.
Guardandosi allo specchio, non si trovava poi così inadeguata e spenta come le era capitato di pensare spesso da quando Masumi si era fidanzato con la signorina Takamiya.
“E’ lei?” fece una voce alle sue spalle.
Maya si girò di scatto, quindi la sua bocca si schiuse al sorriso:
“Signore! È bello rivederla!”
“Grazie.” Rispose Eysuke benevolo.
“L’ultima volta, abbiamo mangiato quel delizioso gelato, rammenta?” continuò l’attrice entusiasta.
Hayami, nel mentre, la squadrava da capo a piedi: era la stessa simpatica ragazza, ma qualcosa di diverso, di vibrante, ne sosteneva lo sguardo chiaro.
“Verrò a vederla.” Le disse subito “Spero mi riservi un buon posto, allo Shuttle X.”
Maya annuì entusiasta, prendendo a raccontargli delle prove, dell’incidente di Yuu, di Kuronuma.
Eysuke era piacevolmente frastornato, ma, più la guardava più la sensazione iniziale s’accresceva.
“Non mi sta dicendo tutto.” fece sornione “I suoi occhi nascondono qualcosa: e credo sia riconducibile al ragazzo che, da più parti, si indica come suo prossimo fidanzato…”
L’attrice arrossì violentemente:
“Che dice?...”
“Ogni appassionato di teatro lo sa.” Riprese il vecchio “E, del resto, non è ovvio, visto che interpretate i due amanti sacri?”
Maya era sbocciata all’improvviso anche ai suoi occhi.
Una sorta di inquietudine, al pensiero che Masumi fosse fuori casa e, quindi, incontrollabile, prese a tormentarlo.
“Non è forse vero ciò che dico?” incalzò curioso.
“No.” Rispose ferma Maya “Non sono innamorata di Sakurakoji.”
Eysuke arcuò le labbra:
“I suoi occhi, però, parlano chiaro.”
“Dicono anche il nome di chi amo?” chiese la giovane attrice con una punta di rammarico “Per tutta la vita, ho avuto l’aiuto di una persona che non si è mai manifestata. E, piano piano, ho scoperto di tenere a lui più di quanto non ammettessi.”
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