Incontri, FF ispirata a GnK

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view post Posted on 8/1/2013, 12:34
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Stregone/Strega quasi professionista

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Eccomi di nuovo... Fulvia mi spiace aver ritardato tanto nel postare questo capitolo... purtroppo sono un po' "rallentata" e assente in questo periodo... ma vi penso sempre.
Siamo quasi giunti alla conclusione... non penso che manchi molto ormai.

Vi lascio alla lettura.

_______________________________________

CAPITOLO 31
Quel martedì mattina, Shiori se ne stava in giardino a prendere un po' di sole autunnale ed osservava le foglie cadere al suolo volteggiando. Si era sempre chiesta se fossero veramente morte: con i loro colori infuocati davano più l'impressione di essere piccole fiamme danzanti che foglie ormai giunte alla fine del loro ciclo vitale.
Era persa in quei pensieri quando la cameriera la chiamò annunciandole che c'era il signor Masumi in linea che desiderava parlare con lei. Solo un motivo poteva esserci per distrarre la sua attenzione da Maya. Si ravviò una corta ciocca di capelli neri dietro l’orecchio e si incamminò verso la villa.
“Spero tu mi porti buone notizie!” – esordì allegramente.
“Ottime!” – fece Masumi dall’altra parte – “Puoi iniziare ad organizzare tutto per domenica. Sarà un lavoraccio, ma dopo questo avrai l’attività assicurata per parecchi anni!”
“Non ti preoccupare” – rise – “Il nome ‘Takamiya’ apre molte porte!”
“Lo so bene… non sai che testa mi fece mio padre…” – sputò fuori.
“A tal proposito, come mi devo regolare?” – gli chiese.
“Gli manderai una partecipazione con i nostri nomi, in modo che non sospetti nulla, ma venga semplicemente a conoscenza del cambiamento della location.”
“Invece le altre? A chi le devo mandare?”
Masumi le dettò il testo e le indicò a chi inviarle: prevalentemente amici di Maya, la sua compagnia, la sua maestra, qualche rappresentante del mondo dello spettacolo e nessun addetto stampa, tranne ovviamente Mikami.
“Per gli abiti?” – chiese ancora la donna.
“Farò venire Mitsuki con alcuni sarti della Daito. Per gli addobbi…”
“Rose scarlatte.”
“… e bianche.”
“Nel pomeriggio fisserò un appuntamento con Aki. E’ troppo curioso per poterlo tenere ancora sulle spine…”
Sentì Masumi ridere con sufficienza.
“E’ solo per questo, naturalmente.”
“Naturalmente!”
Si salutarono, dandosi appuntamento telefonico per il giovedì.
Shiori chiamò subito il giornalista.
“Buongiorno…” – la salutò con voce vellutata.
“Ciao, è giunta l’ora.” – gli disse, sottintendendo che capisse.
“Di farti mia?” – le chiese spudoratamente.
“Noo! Dello scoop che ti avevo promesso giorni addietro!” – accidenti a lui ed al suo modo strambo di corteggiarla. Arrossì d’imbarazzo e di piacere – “Quando ci vediamo?”
“Quando vuoi, Shiori. Dimmelo tu!” – e insisteva pure! No… forse era lei che avvertiva la seduzione anche dove non ve n’era traccia.
“Stasera?” – propose.
“Va benissimo. A casa tua?” – ebbe la conferma: era proprio sfacciato! Ma le piaceva, da morire.
“Vieni a cena?”
“Siamo già alla presentazione ufficiale? Perché no!” – Shiori sorvolò e confermò la cena.

Saeko Mitsuki stava lavorando alacremente cercando di sopperire all’assenza del Presidente quando ricevette una chiamata proprio dal suo superiore.
“Venga alla villa di Izu con il miglior sarto della Daito!” – le ordinò solo.
“Quando?” – chiese, per una volta a corto di idee.
“Immediatamente! Si inventi qualsiasi cosa e venga. Faccia in modo di essere qui il prima possibile!”
“Ma signore… è successo qualcosa di grave?”
“Grave? No, non direi. Mi sposo domenica, semplicemente. E non posso sposarmi senza un abito, come anche la mia promessa qui di fianco!” – a quelle parole Mitsuki riattaccò, salto dalla sedia e chiamò il signor Matsuo convocandolo nel suo ufficio. Partirono subito dopo avergli spiegato la situazione.
Sarebbero stati giorni impegnativi.

Masumi si stava divertendo un mondo. Non avrebbe mai pensato che sposarsi potesse essere tanto divertente, soprattutto se considerava la depressione che lo aveva còlto ogni volta che aveva pensato ai preparativi dell’altro suo matrimonio.
Maya l’osservava stupita: vederlo tanto entusiasta la rendeva felice ed era difficile conciliare quel Masumi con l’affarista che conosceva.
“Vieni qui! Tocca a te, ora!”
“A me? E cosa dovrei fare?” – chiese curiosa.
“Chiamerai i tuoi invitati, pregandoli di partecipare al mio matrimonio. Nella partecipazione che riceveranno non ci sarà il nome della sposa, quindi pensaranno che mi sposi ancora con Shiori e potrebbero fregarsene. Tu li chiamerai assicurandoti che siano presenti!”
“Sei… sei… il solito!”
“Amore?”
“Dittatore!” – ma prese comunque il telefono facendo il suo giro di chiamate.
Chiaramente gli unici che non fu difficile convincere furono Kuronuma, Sakurakoji e la signora Tsukikage. Sakurakoji addirittura le chiese se poteva portare Sayuri. Maya assentì contenta. Gli altri sembrarono stupiti: cosa mai poteva c’entrare Maya con il matrimonio dell’odiato Masumi Hayami?! L’unica a non mostrarsi contrariata fu Rei, che le chiese solo come stava.

Nel pomeriggio giunse una signorina Mitsuki evidentemente molto soddisfatta del compito che le era stato assegnato. Finalmente avrebbe potuto occuparsi del matrimonio del suo capo: quello giusto. Confabulò con Masumi sotto lo sguardo sospettoso di Maya che, nel frattempo, stava discutendo con il sarto a proposito delle fattezze e del tessuto dell’abito.
Come da tradizione, lo sposo non l’avrebbe visto fino al giorno fissato, ma nessuna superstizione gli avrebbe impedito di assistere alla presa delle misure.
Aveva dato disposizioni a Mitsuki di acquistare le fedi e l’anello di fidanzamento. Inoltre l’aveva avvisata di rendersi disponibile ad un’eventuale intervista con Aki Mikami che sarebbe stato l’unico giornalista ammesso alla cerimonia. Le spiegò che la sua funzione sarebbe stata presentare l’evento nella giusta prospettiva, ponendo l’accento sulla romantica storia del donatore di rose che ama la bella da lontano temendone il rifiuto, sul matrimonio combinato cui Eisuke Hayami stava costringendo lui e Shiori, sulla ribellione dei due (salvando quindi l’orgoglio della famiglia Takamiya) e sul finale coronamento del sogno d’amore tra Maya e Masumi.
“Shiori potrebbe aver bisogno di informazioni: per questo potrebbe mandarlo da lei!”
“La signorina Takamiya è molto cambiata, non è così?”
“Sì, signorina. Shiori è maturata. Ha preso in mano la sua vita e… se non erro… sta avendo il premio per il suo coraggio.”
Mitsuki lo guardò interrogativamente, ma con una risata ironica l’uomo evitò di rispondere. Per una volta sapeva qualcosa in anticipo rispetto alla sua segretaria e si sarebbe tenuto ben stretto la notizia.

Eisuke Hayami ricevette soddisfatto la partecipazione del matrimonio di suo figlio. Il vecchio Takamiya gli aveva spiegato che Shiori aveva voluto modificare il luogo della cerimonia e del ricevimento all’ultimo istante, pertanto quel nuovo invito serviva ad aggiornarlo.
Certo del suo successo, considerando anche il clima disteso che si respirava tra i due fidanzati durante la rappresentazione dimostrativa, non si fece venire nemmeno il dubbio che qualcosa potesse non tornare.
Era entusiasta per tutto: tutto si stava realizzando. Perfino quella ragazzina che aveva vinto la competizione non sembrava più tanto ostile nei confronti di Masumi e ciò avrebbe potuto facilitare il tanto sospirato possesso dei diritti di rappresentazione della Dea Scarlatta.
Quanto poteva essere lontano dalla realtà?!
Chiuso nel suo autocompiacimento, non si rendeva conto che tutto gli si stava sfaldando intorno.
Suo figlio non era più tale.
La fusione con l’impero dei Takamiya non sarebbe mai avvenuta.
I diritti di rappresentazione della Dea Scarlatta non sarebbero mai stati suoi.
I suoi ultimi anni sarebbero trascorsi malamente nel rancore verso il prossimo perché non avrebbe mai ammesso i suoi errori né si sarebbe mai reso conto di averne commessi.

Chi invece si preparava a vivere una vita priva di rimorsi e di rimpianti era proprio la sua mancata nuora.
Stava attendendo l’arrivo di Aki con trepidazione, sapendo che quella sera sarebbe stata fondamentale: avere l’approvazione di suo nonno non era prioritario, certo, ma avrebbe sicuramente aiutato.
Il vecchio Takamiya aveva inarcato le sopracciglia e socchiuso la bocca per lo stupore quando la nipote lo aveva informato di aver invitato un uomo a cena. Non aveva fatto commenti, ma avrebbe sicuramente atteso l’evento con ansia, curioso di conoscere colui che l’aveva interessata dopo quella prima disastrosa esperienza.
Aki arrivò alla villa che non erano ancora le otto, puntuale per un aperitivo.
Shiori lo presentò a suo nonno e fece in modo di portare la conversazione su argomenti congeniali per entrambi. Li vide discutere animatamente per tutta la sera, lieta che sembrassero andare d’accordo.
Quando suo nonno si ritirò per la notte, rimasero soli nel salone.
Aki aveva ancora dello whisky nel bicchiere e lo stava sorseggiando, soddisfatto della piega che aveva preso la serata.
“Ho segnato parecchi punti stasera, vero?” – chiese.
Shiori lo guardò: non era elegante quanto la sera della premiazione in cui aveva indossato un bel completo nero, ma aveva comunque una figura distinta. I pantaloni scuri, una morbida camicia dai toni pastello, i capelli legati in una bassa coda. Quasi le spiaceva non poterci infilare le dita.
Arrossì e nascose il suo volto girandosi verso il tavolino di cristallo con la scusa di appoggiare il suo bicchiere.
“Penso di sì… credo che tu sia piaciuto al nonno ed è un bene!”
Aki le si avvicinò curioso.
“Come mai?” – chiese infatti, poco distante dalla sua schiena.
Shiori rispose fingendo una sicurezza che non provava.
“Perché se vuoi veramente corteggiarmi, come dici, non avere mio nonno come nemico ti sarà d’aiuto.”
“Se fosse stato scontento di me, non ti saresti fatta corteggiare forse?” – le domandò sempre più vicino. Sentiva la sua voce a breve distanza dal suo orecchio ed anche il suo corpo avvertiva il calore che emanava.
“No… gli sarei andata contro, ora. Ma mi sarebbe dispiaciuto perché mi è sempre stato vicino nei momenti difficili, anche recentemente.”
“Stai parlando della rottura del tuo fidanzamento con quell’uomo, vero?” – la sua voce aveva perso la carica sensuale per tornare ad essere quella del giornalista – “Ci ho riflettuto parecchio… non credo che tu sia stata molto d’accordo all’inizio… anche se il vostro rapporto era cordiale ma ‘distaccato’ non sembravi infelice al suo fianco” – voleva sapere.
Shiori si voltò e lo guardò decisa negli occhi.
“Vuoi partire dalla parte meno interessante e più sofferta della storia? E sia… ma non giudicare fino alla fine, capito?”
Lo vide accennare un assenso e si accomodò su una morbida poltrona, seguita dall’uomo che si sedette poco distante.
“Inizio dal fidanzamento: almeno per quanto mi riguarda avrai tutta la storia, anche i dettagli più sordidi, che naturalmente sto raccontando all’uomo, non al giornalista. Quest’intervista ha due fini” – si interruppe per riprendere fiato – “ il più importante è quello di far luce sull’evento che si svolgerà questa domenica e metterti nella prospettiva idonea per raccontarlo nei giusti toni poiché sarai l’unico giornalista ad essere presente e l’unico ad avere l’intuito e la sensibilità adatti per presentarlo al mondo; il secondo riguarda me. Voglio che tu mi conosca.”
“Ti ringrazio… anche per la fiducia.”
“Quando mi sono fidanzata con Masumi ero al settimo cielo.” – iniziò – “Era gentile con me, sempre cordiale, mi accontentava in ogni richiesta. Non ero mai stata con un uomo. Pensavo fosse magnifico. Sapeva sempre come comportarsi, era sempre attento. Ma… ad un certo punto iniziai a pensare che doveva mancare qualcosa. Come hai detto tu, il nostro rapporto era ‘cordiale’ come può esserlo tra due perfetti sconosciuti. Pensai che dipendesse dal fatto che tutto era stato deciso dai nostri parenti e mi dissi di essere paziente. A mano a mano che lo conoscevo, però, iniziai a comprendere. Aveva accettato il fidanzamento ma non era me che voleva. Capii che il suo cuore era occupato da un’altra donna.”
“Maya Kitajima.” – affermò stupefatto l’uomo.
“Sì, ma non è fondamentale ora, per la mia storia. Sappi che indagai, invasi i suoi spazi recandomi a casa sua quando non c’era. Feci cose che la mise in cattiva luce nei suoi confronti, cercando di farla passare per una disonesta, una ladra ed una malvagia. Pensa, nonostante i suoi sentimenti, Masumi era talmente convinto del suo odio da prendere le mie difese. Ancora non avevo capito che se anche l’avessi sposato, non sarei mai stata felice.” – vedeva Aki fissarla silenzioso. La confessione successiva sarebbe stata quella più difficile. – “Quando Masumi capì ciò di cui ero stata capace si rese conto, finalmente, che non potevamo sposarci.”
“Va’ avanti…” – la spronò, notando la sua titubanza.
“Non vado fiera di ciò che ho fatto, ma… non sono più come allora, per quanto sia passato ben poco tempo.” – ci tenne a precisare – “Tentai il suicidio e piombai nel male oscuro della depressione.”
Mikami assentì compunto. Gli era grata che non provasse compassione per lei. Le dava la forza di continuare.
“Fu in quel periodo che conobbi il vero Masumi. Fino a quel momento avevo conosciuto la maschera che aveva indossato e che pensava andasse bene per un uomo fidanzato: gentile, condiscendente, cordiale. Il vero Masumi mi spinse a reagire, ad aprire gli occhi. Si sentiva in colpa, perché sapeva di essere stato in parte responsabile del mio gesto, ma scosse me ed il nonno circa la vita che avevo condotto fino a quel momento. Non mi era mai stato rifiutato nulla e per quello non potevo sopportare che mi fosse rifiutato lui, come fosse stato un nuovo suppellettile o un nuovo servizio da tavola. Compresi infine che non ero mai stata nemmeno veramente innamorata di lui…” – lo guardò, notando sollievo nei suoi occhi scuri e, sorridendo, continuò – “… e che dovevo rivedere tutta la mia vita. Mi fu vicino. Mi ripresi ed acquisii nuova consapevolezza e nuova volontà. Fu in quel periodo che mi vedesti alla compagnia di Kuronuma: andai a scusarmi con Maya Kitajima per quanto le avevo fatto e per dirle che il mio fidanzamento era stato sciolto. Volevo che si rendesse conto che Masumi era un uomo libero, che smettesse di manifestare un odio che secondo me non provava. Infine ti incontrai.” – lo guardò di nuovo e nei suoi occhi vide… orgoglio?
Con un sorriso imbarazzato Shiori si giustificò: - “Questo per farti capire la donna con cui hai a che fare… se vuoi fuggire sei ancora in tempo!” – scherzò, timorosa della sua reazione.
“No, non credo che fuggirò! Finora mi ero chiesto come mai ti vedessi tanto diversa da come apparivi fino a poco tempo fa… ora ho capito. Non biasimarti! Avresti dovuto farlo se non avessi reagito come hai fatto e fossi rimasta vittima della depressione o peggio!”

“Ora, cambiando discorso ed andando a trattare il vero argomento della serata, ti chiedo: cosa sai del famoso ammiratore delle rose scarlatte di Maya Kitajima?”
Mikami era rimasto nella sua poltrona, le gambe accavallate, le mani intrecciate con i gomiti puntati sui braccioli. Era curioso di conoscere cosa sarebbe successo in quella fatidica domenica anche se stava ancora assimilando la storia della donna di cui si stava irrimediabilmente innamorando.
“So quello che sanno tutti.” – disse con un gesto indifferente della mano, seguendo i movimenti di Shiori che si alzava avvicinandosi al tavolino dei liquori per preparargli un altro whisky – “Un facoltoso appassionato di teatro, rimasto sempre nell’ombra, l’ha ammirata fin dalle sue prime interpretazioni inviandole omaggi floreali costituiti da rose scarlatte e, secondo le necessità della ragazza, le ha donato varie cose… pagandole anche gli studi.”
“Se ti dicessi” – iniziò la donna porgendogli il bicchiere – “che questo ammiratore è una persona vicina a lei… tu che ne penseresti?”
“Che è ben strano che non si sia mai mostrato!” – e sorseggiò lentamente il suo drink osservandola mentre accavallava nuovamente le lunghe gambe.
“Ma se Maya Kitajima avesse manifestato odio nei confronti di questa persona e questa persona ricoprisse un ruolo ‘delicato’ nel sistema del teatro, tutto avrebbe un senso, ti pare? Come può un fan aiutare qualcuno che non vuol essere aiutato perché odia colui che gli porge la mano?”
Aki non ci mise molto a mettere insieme tutti i pezzi.
“Mi stai dicendo che il famoso donatore di rose altri non è se non il temuto, odiato e spietato Masumi Hayami? E’ questo che vuoi farmi credere?”
Shiori assentì: “E’ la realtà dei fatti.”
Il giornalista si abbandonò sullo schienale della poltrona mimando un fischio: quello era veramente uno scoop e se era solo l’introduzione per l’evento a cui avrebbe partecipato, non osava immaginare che portata avrebbe rivestito.
“Perché?” – chiese.
“Penso che tutto derivi dalla posizione di Masumi come presidente della Daito Art Production e dall’ostilità che Maya ha sempre dimostrato nei suoi confronti. Penso che all’inizio fosse veramente solo ammirazione per il suo talento, anche perché era poco più di una bambina. Con il passare degli anni, però, ho l’impressione che per Masumi abbia iniziato a rappresentare anche uno stile di vita che lui non poteva condurre. Maya perseguiva con coraggio i suoi sogni, lo faceva con tenacia, mentre lui doveva sottostare agli ordini di un padre adottivo spietato che l’aveva trasformato. Alla fine non ha potuto fare altro che innamorarsene.”
“E si è rivelato…” – concluse l’uomo, dando voce a quella che sarebbe stata la conclusione più logica.
“Sarebbe stato semplice, ma Masumi non è un uomo semplice. Non l’ha fatto. Ha atteso che Maya l’apprezzasse per quello che era, non per la sua ombra. Ha atteso, rischiando che lei non si accorgesse mai del suo vero cuore. Spero che le abbia detto la verità in questi giorni…”
Mikami era veramente stupito: dietro gli occhi di ghiaccio che aveva incontrato, non vi era solo senso per gli affari, sarcasmo ed ironia, ma tutta una serie di sentimenti talmente profondi da spaventare. Una volta conosciuta la storia, non trovò difficile aderire al progetto: era facile immaginare come i giornali scandalistici, senza una versione ufficiale credibile, sarebbero andati a nozze con quella storia. Un produttore di successo che sostiene da anni una ragazzina tanto più giovane di lui, dietro la facciata del disprezzo reciproco. Poteva già immaginare i titoli.
“Ho capito la situazione.” – disse solo – “Cosa vuoi che faccia? Qual è questo evento?”
“Invece del matrimonio tra me e Masumi, si celebrerà il loro… e non è tutto!”
“Cos’altro può esserci ancora?” – come era capitato in quel vortice?!
“Masumi rinuncerà al suo cognome, riprendendo quello di sua madre. Domenica ne sarà data notizia.”
“Questo lo capisco bene. Eisuke Hayami è un uomo crudele. L’ho capito durante le mie ricerche. In conclusione, vuoi che scriva un pezzo mozzafiato che presenti la realtà dei fatti in modo che il grande pubblico sia dalla loro parte, così da evitare gli avvoltoi della stampa scandalistica!” – si alzò avvicinandosi a Shiori.
La donna si alzò a sua volta, guardandolo negli occhi.
“Esattamente! Sapevo che avresti compreso tutto!”
“Posso sperare di andare accompagnato con te al matrimonio?” – le chiese, prendendole una mano tra le sue e deponendovi un bacio. Era tutta la sera che voleva toccarla.
La vide sorridere in risposta.
“Sarai tu ad accompagnare me. E’ la mia agenzia che organizzerà il matrimonio!” – gli rivelò.
La tirò a sé abbracciandola.
“Non ti smentisci mai!” – le sussurrò – “Se sarai tu ad organizzarlo, tutti avranno la conferma del fatto che lo scioglimento del vostro fidanzamento è stato consensuale.”
“Anche… ma voglio farlo anche per ringraziare Masumi che mi ha permesso di vivere tutto questo.”
“Questo?” – chiese ammiccante.
Shiori alzò il volto e posò un bacio sulla sua guancia stranamente rasata.
“Questo.”
Aki la strinse ancor di più tra le braccia, strofinando nel contempo i visi in morbide carezze. Infine le loro labbra si incontrarono.
 
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fufu1973
view post Posted on 11/1/2013, 10:14




CITAZIONE
Fulvia mi spiace aver ritardato tanto nel postare questo capitolo...

Non ti preoccupare, ti capisco, anche io ho poco tempo e poi aspettare non è un problema..anzi, grazie a te di continuare sempre a postare!!
Ma che brava!!!
Quasi mi ero dimenticata di come scrivi bene, tutto è molto fluido, i dialoghi intelligenti, la storia è bellissima! :wub: :wub:
Mi piace tantissimo, non la finire, inventati qualcosa...
Anche dellla coppia Shiori- Aki mi hai fatto innamorare!!!!!
 
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view post Posted on 6/2/2013, 21:12
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Eccomi di nuovo qui... sempre in ritardo, ma sempre qui!
Un altro capitolino lontano da Maya e Masumi, ma spero comunque che ti piaccia...

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CAPITOLO 32
Aki e Shiori presto non si accontentarono più del lieve tocco delle labbra. Sembrava incredibile che la giovane provasse tanta passione: l’essere educata a far parte della buona società le aveva sempre dato l’impressione di vivere una vita edulcorata, dai toni tenui anche nei sentimenti. Fino a quel momento era come se avesse vissuto in un mondo ricco, ma grigio. Ora vedeva colori brillanti: il rosso della passione; il giallo della gioia; il verde della pace; il blu intenso della notte; perfino il nero, che le ricordava Aki, con i suoi capelli corvini, i suoi occhi di carbone e la pelle bruciata dal sole. Se prima viveva in un mondo dal suono ovattato, ora sentiva tutto: i pianti di dolore e le risate di gioia; i gemiti del tormento e quelli della sensualità; gli urli d’odio ed i sospiri d’amore.
Alzò le braccia a cingergli il collo e socchiuse le labbra per consentirgli libero accesso alla sua bocca. Aki ne approfittò subito, insinuando la lingua nel suo caldo anfratto. Iniziò un dolce duello in cui i respiri si confondevano, le lingue si intrecciavano e le mani percorrevano strani sentieri sui propri corpi.
L’uomo ne portò una ad intrecciarsi nei suoi corti capelli. Adorava lasciare scorrere le sue dita tra di essi, ma non questa volta. Le tirò dolcemente la testa all’indietro facendole scoprire il collo sottile, ora indifeso e pronto a ricevere i suoi attacchi. Abbandonò la sua bocca per dirigersi su quella pelle delicata. Un bacio, un morso e la lingua a moltiplicare i brividi.
Era straordinario sentire la donna tra le sue braccia sospirare il suo nome. Le sue piccole mani erano ormai aggrappate alle sue spalle, come se cercassero un appiglio.
Fece scorrere le labbra verso il basso, tra le clavicole, sopra lo sterno, fino all’attaccatura dei seni: il suo profumo l’inebriava. Riprese a baciarla lentamente, poi si accomodò su una delle poltrone e se la tirò sopra: non voleva intimorirla e quella posizione le dava la certezza che avrebbe potuto fermarlo in qualsiasi momento.
“Fatti toccare…” – le chiese sulle labbra e avvicinò una mano al suo seno ad indicare cosa intendesse dire.
“Sì…” – sospirò lei, incapace di riconoscere se stessa in quella voce distorta dal desiderio.
Aki non esitò oltre ed accolse il seno generoso nella sua mano: la sentì trattenere il fiato per l’effetto di quella carezza fino ad allora sconosciuta. Mentre la baciava, continuò a sfiorarla leggermente sopra gli abiti.
Dopo qualche minuto, prese una sua mano e se l’appoggiò al petto. Sciolse alcuni bottoni della sua camicia sotto lo sguardo incantato della donna.
Si fermò.
Come in trance, Shiori vide la sua mano muoversi indipendente sulla sua pelle scura e liscia. Sentì i muscoli tendersi e l’uomo sospirare pesantemente. Forte di quella reazione, abbassò il capo sul suo collo ed infilò l’intera mano nella sua camicia, saggiando la sua pelle, esplorando il suo petto, beandosi di quei contatti.
Il giornalista l’osservava: sembrava un’esploratrice in una terra sconosciuta e ne rimase incantato. Le pose le mani sui fianchi e la lasciò libera di fare ciò che più le andava. Ogni tanto faceva scorrere una mano lungo la sua schiena, come a manifestarle la sua approvazione, ma nulla di più. Capì che Shiori iniziava a prendere confidenza con quella nuova situazione perché fece scorrere le mani sulle sue spalle, abbassandogli la camicia. Iniziò anche a baciarlo appassionatamente.
Aki decise che era tornato il momento di riprendere in mano la situazione: le posò una mano sulla nuca e la tirò a sé riprendendo a baciarla. Pur sapendo di poter diventare pazzo di desiderio, portò comunque le dita a sfilare i bottoncini della camicetta di seta della donna che, presa com’era da quelle nuove sensazioni, non oppose alcuna resistenza.
Fece scorrere una mano sulla pelle candida osservandone il contrasto con la propria: sembravano l’ombra e la luce che si incontravano; la notte e la sua luna. Sentì un piccolo gemito sospirato a quelle nuove carezze. Indossava un reggiseno di pizzo che adornava in modo seducente i suoi seni.
“Quanto sei bella!” – sospirò sulla sua pelle, prima di baciarla.
“Aki!” – quasi gridò Shiori, cingendolo al collo con entrambe le braccia.
“Non aver paura!” – la rassicurò – “Non succederà nulla che tu non voglia, stanotte!”
“Come se potessi non volere qualcosa stasera…” – gli rispose, completamente dominata dai suoi sentimenti appassionati.
Aki si risolse dolorosamente a fermarsi.
Se fossero andati avanti per quella via, Shiori non gli avrebbe mai rifiutato nulla. Doveva darle la possibilità di riflettere prima, perché non avrebbe tollerato ripensamenti e pentimenti tardivi… Ci sarebbe stato tempo.
La baciò lentamente mentre le chiudeva i bottoni.
Sentiva il suo sguardo attonito e preoccupato su di sé.
“Non hai fatto nulla che non vada, ma non voglio che tu ti penta domani mattina perciò, per questa notte, ci interromperemo qui!”
“Non sono una bambina!” – protestò lei.
“Pensi che non lo sappia?!” – chiese stranito l’uomo, aggredendole ancora una volta le labbra – “Mi stavi facendo impazzire! So bene che non mi sarei fermato e non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti. Devi avere la possibilità di scegliere e… visto che non ti sposi più tra cinque giorni, di tempo ne abbiamo!” – cercò di convincerla.
Shiori appoggiò una mano sul suo petto e sentì i battiti furiosi del cuore: aveva detto il vero. Doveva aver dato fondo alla sua forza di volontà per bloccarsi.
Gli sorrise e gli rese il favore di rivestirlo. Si salutarono come amanti desiderosi di rimanere uniti. Sapevano che, con ogni probabilità, non avrebbero potuto rivedersi prima della cerimonia.

La mattina successiva Shiori era raggiante e suo nonno avrebbe dovuto essere cieco per non avvedersene.
“Sicché, il signor Mikami ti piace, non è vero?” – chiese con indifferenza il vecchio Takamiya che continuava a covare molta apprensione: erano passate poche settimane dalla dolorosa vicenda che l’aveva vista protagonista e tutto avrebbe desiderato tranne un altro crollo.
La guardava di sottecchi, scrutando ogni espressione che compariva sul bel viso della nipote: vi scorse imbarazzo, gioia e… era arrossita per caso?
“Sì, nonno! Mi piace. Spero che tu non abbia nulla in contrario!”
“Non ho nulla in contrario solo se lui tiene a te allo stesso modo. E’ così?”
“Ho ragione di credere che sia così, nonno caro.” – gli rispose compunta.
Il vecchio l’osservò nel suo completo da giorno bianco e verde pastello. Sembrava sicura di quanto diceva, ma il suo cuore tremava comunque per l’ansia.
“Mia cara, prego per te che sia come dici…”
“Nonno, ho imparato la lezione.” – concluse, riprendendo la colazione.
Passarono alcuni minuti senza che nessuno dei due dicesse nulla.
“Nonno, domenica organizzerò il primo evento della mia agenzia. Vuoi venire?” – gli chiese.
Certo avrebbe voluto, ma come poteva presentarsi senza invito?!
“Ma come farai per l’invito?” – chiese infatti.
“Non ti preoccupare di questo. Masumi mi ha pregato di assicurarmi che tu sia presente.”
“Masumi? E’ per lui che stai lavorando? Cosa mai può aver organizzato il giorno del vostro mancato matrimonio?”
Con una risata furba, Shiori glielo disse sapendo di stupirlo.
“Sarà il giorno del suo matrimonio e della sua vendetta nei confronti di suo padre.”
“Matrimonio? Vendetta? Ma di cosa stai parlando?” – chiese stupito, ma non ostile.
“Nonno caro, ti fidi di me?”
“Certamente!” – rispose con orgoglio.
“Allora vieni anche tu e ti assicuro che ti divertirai!”
“E sia…” – capitolò, non del tutto tranquillo.
Chissà cosa s’era mai inventato quel benedetto ragazzo. Pur nella sua età avanzata, sentiva nascere in sé la curiosità.

Sakurakoji, nuovo Isshin, ricevette l’invito da parte di Masumi Hayami e quasi lo buttò via. Cosa mai poteva importargliene se quell’uomo si sposava?! E soprattutto, come poteva farlo dopo che aveva tanto illuso Maya? Non riusciva a conciliare l’immagine dei due al ballo con quella partecipazione.
Fu durante quelle riflessioni che ricevette la chiamata di Maya che lo pregava di partecipare.
E allora comprese. Rileggendo l’invito, notò l’assenza del nome della sposa. Con un fuggevole sorriso le chiese se poteva portare anche Sayuri. Sentì la sua partner di scena acconsentire con entusiasmo e si salutarono.
Il giorno successivo chiamò Sayuri: voleva parlarle e passare del tempo insieme a lei. Quella mattina avrebbe finalmente tolto l’ingessatura e sentiva il bisogno di camminare al suo fianco. Sapeva che la sua andatura non sarebbe stata sciolta come prima dell’incidente, ma almeno avrebbe potuto abbandonare le stampelle.
La visita di controllo andò meglio del previsto: le ossa erano ben rinsaldate e, visto che non si era adagiato sugli allori ed aveva tenuto allenato il resto della muscolatura, il periodo riabilitativo sarebbe stato limitato.
Pranzò velocemente e si diresse ansioso da lei.
Dopo la serata della premiazione non l’aveva più incontrata e la sua immagine lo perseguitava: la sua alta figura longilinea, i suoi neri capelli, i suoi occhi scuri e vivaci, la sua pelle ambrata che aveva solo potuto sfiorare prendendola per mano.
Avesse potuto togliere l’ingessatura qualche giorno prima, avrebbe potuto ballare con lei, tenerla stretta, abbracciarla e sfiorarla. Invece si era dovuto limitare a quei brevi contatti.
Suonò alla sua porta e dopo qualche secondo venne ad aprirgli sua madre, come la prima volta. Lo salutò calorosamente, con il solito entusiasmo.
Era incredibile come i suoi modi briosi la facessero apparire ancora una ragazzina: sembrava un’inguaribile ottimista, una donna che ancora la vita non aveva piegato.
Con questi pensieri si fece accompagnare nel soggiorno dove Sayuri l’attendeva.
“Ciao! Come è andata in ospedale?” – gli chiese subito sollecita, andandogli incontro.
“Bene. Devo fare un po’ di riabilitazione, ma tutto sommato le gambe sono a posto…” – si accomodarono vicini sul piccolo divano.
Il ragazzo notò come le loro gambe quasi si sfiorassero. Fosse stato più intraprendente avrebbe almeno allungato una mano per trarla a sé. Prendeva in giro Maya per la sua timidezza fuori dal palcoscenico, ma anche lui non era da meno, ora che si stava innamorando sul serio.
Come leggendogli nel pensiero, Sayuri lo stupì facendosi più vicina. Con quell’invito, non fu difficile abbracciarla. Finalmente.
“Non vedo l’ora di portarti fuori!” – si lasciò sfuggire.
“Cosa te lo impedisce?” – lo provocò.
“Beh… siamo in anticipo. Forse non vuoi ancora…”
La vide ridere, di quella sua risata che gli alleggeriva il cuore.
“Sciocco…” – scherzò – “Lasciami cinque minuti per cambiarmi ed andiamo!”
“Davvero?” – chiese incredulo.
“Certo!”
Rimasto solo, il giovane si concentrò sull’impronta di calore che ancora permaneva sul suo corpo: era una bella sensazione, gli dava tranquillità e gli riscaldava l’animo.
Si disse che era stato fortunato ad incontrarla e quasi rise al pensiero che tutto era nato dal rifiuto di Maya. Probabilmente avrebbe dovuto ringraziarla prima o poi.
“Cosa c’è di tanto divertente sul soffitto del soggiorno?” – la voce della ragazza lo riscosse dai suoi pensieri.
“Sorridevo per uno scherzo del destino…”
“Non è stato un tiro mancino, vero?”
“No, non lo è stato. Tutto il contrario.” – e, uscendo in strada, finalmente trovò il coraggio di porle un braccio sulle spalle coperte dal giubbino in pelle.
I loro occhi si incrociarono per qualche secondo per poi rivolgersi al marciapiede affollato. Camminarono stretti in quel modo per alcuni isolati, silenziosi, fino a che non raggiunsero un piccolo parco.
“Qui venivo a giocare con la mamma quando ero piccola. Poi ci giocai con i miei compagni di scuola. Ora ci vengo quando ho bisogno di star sola…” – la sua voce era stranamente pacata, come segnata da un velo di malinconia.
“Grazie.”
“Di cosa?” – gli chiese stupita.
“Di avermi portato con te…”
“Grazie a te di aver compreso… volevo fartelo vedere. Sai… io e la mamma siamo sempre state sole. Mio padre è morto che non ero ancora nata. Per potermi assicurare un futuro stabile la mamma ha fatto anche due lavori e, nonostante tutto, non mi ha mai trascurata. Tuttavia, a volte, non riuscivo a capirlo: è difficile per una bambina piccola comprendere perché la propria madre non può stare sempre insieme a lei. Allora venivo qui e mi sfogavo. All’uscita da lavoro, la mamma veniva a ripescarmi, certa di trovarmi.” – si erano accomodati su una panchina, sotto i rami spogli di un ciliegio.
“Non deve aver avuto una vita facile…”
“No! Per niente. Ha fatto molti sacrifici, si è privata di molte cose per me. E io non capivo perché dovevo avere solo la mamma e non anche un papà come tutti i miei amici. Chissà quante volte avrà pianto in quel periodo!” – Sakurakoji era felice che si stesse aprendo tanto. Finalmente poteva leggere nel suo cuore e quello che vide lo legò indissolubilmente a lei.
“E’ una donna molto forte. Nonostante quello che ha passato è felice. Tu le somigli… e penso sia questa la fonte della sua gioia.” – stavolta non ebbe timore. L’abbracciò stretta al suo petto, mentre piccoli movimenti iniziarono a scuoterle le spalle.
Yuu non disse più niente lasciandola sfogare: non era tristezza quella che buttava fuori. Forse erano solo le lacrime che non aveva ancora pianto, che sua madre aveva arginato.
Passarono dei momenti di silenzio, che nessuno dei due trovava il coraggio di infrangere.
“Grazie…” – disse Sayuri in un soffio, avvicinandosi a lui.
Sakurakoji la strinse: sembrava talmente fragile in quel momento.

Sayuri era incredula. Era riuscita a raccontargli tutto senza temere il suo giudizio. Alla fine aveva anche pianto. Non ricordava quanto tempo fosse passato dal suo ultimo sfogo. Ricordava solo che una volta aveva visto il dolore che le sue lacrime accendevano sul volto di sua madre: da quel giorno aveva iniziato a sorridere, sempre.
Il calore del suo petto era confortante, vicino, accogliente. Era felice. Non sapeva se Yuu fosse della sua stessa opinione, ma era consapevole che una parte di sé, forse la più fragile, già gli apparteneva.
Il ragazzo era rimasto in un rispettoso silenzio. Non l’aveva interrotta se non per manifestare la sua vicinanza. Aveva visto giusto: aveva il cuore gentile.
Si allontanò leggermente, restando comunque tra le sue braccia. Alzò lo sguardo sul suo volto e lo vide concentrato sulle nuvole del cielo. Chissà a cosa stava pensando. Sembrava talmente lontano.
Con una mano gli sfiorò una guancia, richiamandolo a sé.
“A cosa pensi?”
Yuu abbassò i suoi dolci occhi.
“Sarei scontato se rispondessi che pensavo a te?”
“Tutto considerato? Direi di no!” – no, non era scontato. Pur sapendo che si era messo il cuore in pace, avere nuove conferme sul fatto che il suo primo amore fosse ormai solo un ricordo era un sollievo.
“Voglio renderti felice!” – spalancò gli occhi. Aveva veramente sentito quello che credeva?
“Non voglio promesse… non è per questo che ti ho raccontato tutto.” – i ‘per sempre’, aveva imparato, non esistevano.
“Non te ne farò… e non è per quello che mi hai raccontato. Ma voglio essere con te, se tu me lo permetterai!” – vide il suo viso avvicinarsi. Le sue morbide labbra sfiorarono la sua fronte, mentre un braccio tornava a circondarle la spalla.
“Voglio poterti osservare mentre ti svegli al mattino e poterti abbracciare quando rientri a casa la sera. Voglio poter vivere con te!” – le parole furono scandite da baci leggeri sul suo viso.
Sayuri era immobile. Era veramente possibile un tale attaccamento da parte del ragazzo? Il suo cuore sembrava voler esultare ma una leggera morsa lo bloccava.
“Ma… ne sei sicuro? Voglio dire… mi conosci poco…”
“Ne sono sicuro quanto basta! Sei stupenda. Solare e fragile; sicura di te e gentile; intraprendente e sbarazzina. Sei per me! E ti aspetterò… tutto il tempo che vorrai!”
Dopo una richiesta tanto appassionata, come avrebbe potuto farlo aspettare?
“Non credo sarà necessario.” – gli disse, avvicinando le sue labbra succose a quelle sottili del ragazzo.
Fu un bacio diverso da quelli che si erano scambiati fino ad allora: non più un semplice tocco di labbra, ma una languida e lunga carezza, un tocco intimo, un incontro di respiri.
Sayuri si sentì trarre vicino, si inginocchiò sulla panchina legando le mani dietro al sua nuca. Le braccia di lui le circondarono la schiena sottile.
Era quasi pieno inverno ormai, eppure non aveva freddo! Sentiva le gote infuocate e i suoi respiri si trasformavano in piccole nuvolette di vapore.
Lentamente le loro bocche si chetarono, lasciando che la loro fronte si sfiorasse. Poterlo guardare negli occhi senza barriere era… bello. Senza più incertezze. Senza più dubbi. La vita le aveva insegnato duramente che nulla è per sempre, ma forse avrebbe potuto sperare, se non altro, di avere al fianco per qualche tempo una persona sincera e amorevole.
Era scesa la sera. Abbandonarono il parco e si diressero verso un piccolo ristorantino nelle vicinanze: un bel piatto caldo era quello che ci voleva.
Trascorsero la serata raccontandosi le loro vite: erano giovani, ma già avevano il proprio bagaglio di esperienze. Condividendo i loro ricordi, ebbero l’impressione di prepararsi a viverne insieme di nuovi.
Prima di salutarsi, Yuu le chiese se volesse accompagnarlo ad un matrimonio quella domenica.
“Un matrimonio? E chi si sposa?” – gli chiese, ignara.
“Penso Maya. Ma non ho la certezza assoluta.” – sorrise, raccontandole la telefonata.
Si salutarono con un altro bacio.

Finalmente! Finalmente aveva trovato il coraggio di baciarla ed abbracciarla come meritava. Inoltre le aveva detto cosa sentiva… forse non era una dichiarazione tradizionale, ma sperava che la giovane avesse comunque compreso.
Sakurakoji si ritirò in casa, si preparò per la notte e si addormentò sperando di sognare di lei, dei suoi capelli, dei suoi occhi, delle sue labbra.
 
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view post Posted on 14/3/2013, 20:15
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Ciao a tutte!!
Visto che oggi compio gli anni, vi faccio un regalino... scusatemi ancora con l'aperiodicità con cui posto ultimamente, spero comunque che gradirete questo capitolo...

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CAPITOLO 33
Si era operata.
La sera stessa in cui la signora Tsukikage aveva assegnato la Dea Scarlatta a Maya, era partita con Peter e sua madre e si era ricoverata in un centro ospedaliero d’eccellenza in Hokkaido per sostenere l’intervento al cervello.
Aveva trascorso due giorni facendo esami ed accertamenti. Alla fine i dottori decisero che il trauma poteva ancora essere operato pur non essendo sicuri che del risultato: i nervi ottici potevano essere stati danneggiati irrimediabilmente.
Non avrebbe potuto togliere le bende prima di una settimana: sarebbero stati giorni d’angoscia. Sentiva vicino la presenza del fotografo: non l’aveva mai lasciata sola. Né lei gliel’aveva chiesto. Ormai l’aveva accettato. Volse il viso al giardino. Sentiva la brezza soffiarle sulla pelle e tra i capelli; i bambini giocavano con la neve per le strade.
La sua mano sul davanzale venne coperta dal calore di quella di Peter.
“Ayumi… vuoi andare fuori?”
“Preferisco andarci quando non avrò più le bende.”
“Sei la solita…”
“Che vuoi dire?” – chiese, già presagendo la risposta.
“La grande Ayumi!” – disse infatti, avvicinandosi la piccola mano alle labbra – “La grande Ayumi non sarà mai vista indebolita!”
La ragazza, punta sul vivo, sentì le guance farsi di fuoco.
“E allora?” – ribatté – “Cosa c’è di male? Non voglio la compassione di nessuno!”
“Chi ti conosce, non ti compatisce. Degli altri, cosa ti importa?”
Il suo discorso non faceva una piega e non lo contraddisse, ma la guerra contro il suo stesso orgoglio era da sempre molto dura: aveva perso molte battaglie.
Sentì un dolce bacio poggiarsi sul suo palmo. Piccoli brividi la percorsero, brividi che ormai aveva imparato a riconoscere perché comparivano sempre e solo quando Peter era nelle vicinanze.
Non si ritrasse e con quella stessa mano gli accarezzò il volto amato: avrebbe voluto ammirarne di nuovo i tratti. L’ultima volta che l’aveva visto era stato alla Valle e allora non vi aveva prestato attenzione. Ora lo ricordava vagamente e se ne rammaricava, perché lo poteva ‘osservare’ solo con le mani.
Sì, più di ogni altra cosa avrebbe voluto vedere Peter.
Peter.
Senza accorgersene, aveva iniziato a chiamarlo per nome.
Senza rendersene conto, se ne era innamorata.
Senza prestare attenzione, era diventato parte della propria vita.
“Peter…” – assaporò ancora quel nome, facendo scorrere le sue dita sottili sulla sua nuca.
L’uomo sapeva cosa voleva. Sempre, quando lo chiamava con quella dolcezza, seguiva un bacio.
La strinse a sé, possessivamente, facendole sentire tutta la sua vicinanza ed il suo calore.
I suoi lunghi capelli gli coprirono le braccia che l’avvolgevano. Si tuffò sulle sue labbra, famelicamente all’inizio, poi sempre più dolcemente, come se pian piano la sua sete si placasse.
Si sentì incorniciare il volto dalle sue grandi mani ed una pioggia di piccoli baci caddero sulla sua pelle. Nonostante il trasporto reciproco fosse ormai evidente, l’uomo non si era ancora spinto oltre. Ayumi se ne chiedeva il motivo e finora aveva atteso.
Ma… se si fosse stancata di aspettare che superasse i suoi scrupoli? Dopo aver assaggiato i suoi baci, dopo aver provato l’emozione di un abbraccio o del cuore che le saltava in petto, come poteva pensare Peter che non sarebbe voluta andare oltre?
Baciandolo, accompagnò la sua mano vicino al seno, troppo audace per non farlo, troppo pudica per andare fino in fondo.
“Ayumi?” – si sentì chiedere.
“E’ passato il tempo dei baci…” – disse solo, nascondendo il volto nel suo petto. Già sentire la sua mano gentile su di sé l’emozionava. Come avrebbe reagito ad un contatto più intimo?
Ebbe subito la risposta, ché il fotografo alzò piano il palmo fino ad accogliere il suo piccolo seno.
Fremette.
Se non avesse avuto la benda, probabilmente avrebbe spalancato gli occhi. Trattenne il respiro e lo rilasciò quando la carezza si fece più sicura.
“Ayumi…” – chiamò ancora l’uomo, ma stavolta la sua voce era più calda, più vibrante. Il suo accento francese era sempre più evidente quando si trovava in situazioni ‘critiche’. La strinse di nuovo con il braccio libero e le divorò le labbra, scorrendo poi a baciarle la gola ed il collo.
La ragazza gli cinse le spalle, beandosi dei suoi baci e delle sue carezze, dimentica di trovarsi in una stanza d’ospedale, conscia solamente della presenza maschile che la sosteneva.
Era cieca, ma era come se avesse visto i suoi occhi azzurri socchiudersi, i suoi muscoli tendersi, le sue mani farsi frementi.
Si sentì sollevare e deporre, dopo pochi passi, sul morbido letto.
Il cuscino si abbassò ai lati della sua testa. Peter vi aveva appoggiato le mani? Perché ancora non la baciava?
Merveilleuse!” – ecco perché. La stava guardando.
“Baciami!” – lo pregò. Non sopportava quella lontananza.
Sentì il suo respiro sulla pelle e di nuovo le sue labbra su di sé. L’uomo stava stendendosi al suo fianco, senza gravarle addosso. Mentre con una mano le teneva il capo, con l’altra vagava indisturbato sul braccio, sul fianco, sulla vita sottile, sul seno agognante.
Ayumi sentiva tendere tutto il suo corpo in attesa della carezza successiva. Non aveva mai immaginato un simile universo di sensazioni: calore e brividi, sospiri e ansimi. I suoi occhi ciechi scoprirono nuovi colori, una luce che non ricordava.
Era strano poter vivere tutto senza vedere: sentiva i respiri affamati, le mani di Peter che si muovevano gentili, il suo corpo sotto le proprie, il suo profumo fresco, il calore.

Quando Ayumi aveva portato la sua mano quasi all’altezza del seno, Hamill aveva temuto di aver compreso male, ma quella frase ‘E’ passato il tempo dei baci’ non aveva lasciato dubbi.
L’aveva sempre osservata da lontano e solo da poco gli aveva aperto il cuore: quella richiesta l’aveva emozionato. Una leggera euforia aveva iniziato a corrergli sotto pelle. Quando aveva accolto il suo piccolo seno nel palmo della sua mano aveva sentito una scarica elettrica percorrergli la schiena: Ayumi indossava una vestaglia da camera e un pigiama tanto sottile da fargli percepire le sue forme seducenti.
L’aveva baciata ancora, con maggior passione e, incapace di resistere, l’aveva sollevata ed adagiata sul letto.
Bella. Ayumi era bella. I lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino, le labbra umide e socchiuse, le gote rosse sotto le bende. Peter desiderava che tutto andasse per il meglio perché voleva vedere ancora i suoi occhi brillanti accendersi di passione, il suo sguardo altezzoso e le fiamme dell’amore che finalmente l’incendiava.
Si abbassò per baciarla ancora, mentre con una mano scorreva piano lungo il suo corpo snello. Slacciò la vestaglia, andando a scoprire il leggero tessuto in cotone del pigiama. Poteva sentire il calore della sua pelle.
Non gli importava che fossero in una camera d’ospedale. La signora Utako era tornata in albergo per qualche ora sapendo che sua figlia non sarebbe stata sola. A quell’ora del pomeriggio il personale della clinica non avrebbe invaso la privacy della paziente. Tutto ciò non aiutava il suo autocontrollo, come non contribuiva avere un’Ayumi arrendevolmente appassionata tra le braccia.
La ragazza lo allacciava alle spalle, rispondendo ai suoi baci e gemendo leggermente alle sue carezze.
Lentamente sfilò i piccoli bottoni del pigiama dalle asole, lasciando scoperti lembi di pelle vellutata via via più ampi. Tenendole la nuca, scorse con le labbra lungo il suo sottile collo inarcato. Aveva un lieve profumo speziato, così delicato, così buono. L’uomo non resistette ed assaggiò quella pelle con la lingua. La sentì tremare.
“Peter…”
Le rispose solo deponendo un bacio umido tra i suoi seni.
Finì di slacciarle il pigiama e tornò a concentrarsi sulle sue labbra mentre con le mani raggiungeva le sue curve piene e con le dita saggiava i suoi capezzoli turgidi. Gli sembrava di aver raggiunto già il paradiso. Sembrava in grado di plasmarla con le sue mani mentre quel corpo snello si prestava senza remore alle sue carezze.
Sentì Ayumi infilare le dita sotto il bordo del suo maglione. Com’era delicato e leggero il suo tocco! Gli fece scorrere le mani sul petto in una muta richiesta.
Il fotografo seguì il suo comando e si tolse il capo, ricongiungendosi con lei subito dopo ed assaporando per la prima volta il contatto della pelle della sua compagna contro la propria.

Ayumi capì che l’uomo si stava togliendo il pullover quando lo sentì sollevarsi dal letto. Fu una sorpresa poi scoprire l’inebriante contatto dei suoi seni con i muscoli di Peter. Gemette incontrollabilmente muovendosi appena e carezzandogli la pelle con le sue piccole gemme.
“Ayumi…” – stavolta fu lui a chiamarla con desiderio, ma il sorriso di trionfo che aleggiò sulle sue labbra fu breve, ché l’uomo presto racchiuse quei piccoli frutti tra le labbra.
Si inarcò offrendosi alle sue mani ed alla sua bocca.
“Sicura di voler andare oltre?”
“Non mi sembra di averti chiesto di fermarti!” – dichiarò certa.
Le piaceva fare la donna di mondo. Non voleva che notasse la sua tensione. Voleva solo farlo suo. Aveva da poco scoperto l’amore ed il desiderio: voleva soddisfarli entrambi.
“Sei così seducente quando ti abbandoni ai tuoi desideri!” – le sussurrò a fior di labbra.
Si sentì imprigionare una gamba, mentre la mano che prima era occupata ad accarezzarle il seno si spingeva lentamente verso la vita, sul fianco, fino ad abbassarle lentamente i pantaloni e gli slip, quel poco che bastava perché si rendesse conto di dove sarebbero arrivati.
Ma Ayumi non si sarebbe tirata indietro. Gli avrebbe fatto capire cosa voleva, a dispetto della sua scarsa esperienza.
Era forte, nessuno poteva negarlo, e lo sarebbe stata anche in quel momento.
Amava Peter, lo voleva e non si sarebbe fermata.
Con uno scatto deciso, alzò il bacino, invitandolo chiaramente a completare l’opera iniziata. Gli catturò ancora le labbra.
“Hai capito?”
Non ebbe bisogno di risposte perché sentì la sua mano lungo la gamba. Non vedendo, le sensazioni le risultavano amplificate. La pelle rispondeva alle sue mani come se avesse vita propria: brividi, tremiti, calore. L’aria sulla sua nudità l’inebriava: significava che stava per essere sua.

La sua pelle era talmente bianca e liscia! Quando faceva scorrere la mano su di lei sentiva tutte le sue reazioni. La vide mordersi il labbro inferiore. Si avvicinò lentamente ai suoi fianchi continuando a baciarla.
Coprendola con il proprio corpo, si insinuò tra le sue gambe tornite. Le dita vagavano incessantemente fino a che non raggiunsero il loro obiettivo.
Ayumi si aggrappò alle sue spalle robuste stringendolo a sé ed ansimando emozionata.
Continuò ad accarezzarla lievemente, beandosi egli stesso del suo tocco leggero.
“Peter!” – sentendola pronunciare il suo nome con tale trasporto, non resistette oltre, si liberò freneticamente dei pantaloni ed avanzò in lei e nel suo calore.
Lasciandole il tempo di abituarsi, iniziò a muoversi lentamente, per poi aumentare il ritmo seguendo le reazioni della sua giovane amante.
Era talmente bella: rivoli di sudore le bagnavano la pelle candida; i capelli sparsi in onde voluminose sul cuscino risplendevano nella tenue luce del pomeriggio invernale; le labbra rosse erano socchiuse ma mute. Solo le bende che ancora aveva sugli occhi stonavano con quella perfezione.
Continuando a muoversi sensualmente, abbassò il volto tornando a baciarla e tacitando i suoi lievi gemiti di piacere. Le passò un braccio sotto la schiena traendola ancora più vicina, unendo completamente le due figure e portandola finalmente a conoscere quella passione che aveva tanto desiderato.
L’uomo rimase immobile per qualche momento, poi si girò su un fianco portandola con sé. Coprì entrambi con la leggera coperta bianca dell’ospedale ed iniziò ad accarezzare i capelli di Ayumi, la sua schiena e la nuca, in attesa che gli dicesse qualcosa.

Era…era stato…
Inutile, non trovava le parole.
Nonostante fosse già passato qualche minuto da quando tutto era finito, Ayumi non riusciva a trovare il modo di descrivere quanto era successo, la profondità delle emozioni che aveva vissuto, l’amore che finalmente era sbocciato.
Sentiva l’uomo che amava toccarla con delicatezza, quasi con deferenza eppure era talmente sopraffatta da non riuscire a fare altro che starsene rannicchiata contro il suo petto.
“Come stai?”
Bene! Ma rimase muta.
Solo un rumore indistinto sfuggì dalla sua gola.
“Non capita spesso che tu perda l’uso della parola!” – stava cercando di scuoterla.
“Di solito non sei tanto indelicato!” – mugugnò la giovane senza alzare il volto.
“Mi sembravi imbarazzata, volevo distrarti.”
Ancora una volta non aveva parole per replicare.
“Fra un po’ tua madre sarà di ritorno.” – sembrava scontento – “Non credo sia il caso che ci trovi così…”
“Temo di no.”
Fece per alzarsi, ma Peter la bloccò.
“Lascia fare a me.” – le chiese.
Lo sentì alzarsi e prenderla in braccio, tacitando ogni sua protesta.
Capì che la stava portando nella stanza da bagno.
“Dobbiamo rimetterci in ordine” – le disse solo.
La poggiò in terra, aprendo l’acqua della doccia.
Entrarono sotto il getto caldo. Si fece lavare con tenerezza. Le mani dell’uomo avevano un tocco tanto delicato da commuoverla. Ayumi cercò di rendergli il favore, percorrendo lentamente i suoi muscoli, dal petto alle spalle, dalla schiena alla vita, dai fianchi alle cosce.
Stettero in silenzio sotto la doccia, lasciando che l’acqua scorresse sui loro corpi, lavando via ogni ansia e timore. Si scambiarono baci leggeri e fugaci.
Alla fine si rivestirono, Peter la prese per mano e la riaccompagnò in camera.
Ayumi non sottolineò che avrebbe potuto fare da sola. Amava sentirlo vicino e alla fine era inutile negarlo: con lui, solo con lui, poteva riconoscere che non bastava a sé stessa.
Sedettero sul letto, sempre tenendosi per mano e parlando in toni appassionati di quale sarebbe stata la loro vita insieme.
“Vieni con me!”
“Dove?” – chiese lei, stranamente inquieta.
“Ovunque vuoi! Il mio lavoro mi porta in ogni angolo del mondo. Voglio poterlo condividere con la compagna della mia vita.”
“Ma… il mio teatro?” – gli chiese la giovane titubante, pur sapendo in fondo al cuore che se fosse potuta restare con Peter non ne avrebbe sentito la mancanza.
“Potrai recitare ovunque. Non resto pochi giorni nel paese dove mi reco di volta in volta. Basterà organizzarsi con un buon agente… lui prenderà gli accordi con le varie compagnie, valuterai i copioni e partiremo!” – rispose svelto, troppo svelto.
“Da quanto tempo ci stai pensando?”
Non ottenne risposta.
“Allora?”
“Beh… dal nostro primo bacio ho iniziato a sognare di condurti con me, di vivere con te.”
Ayumi gli strinse un braccio. Da così tanto tempo!
“Sai? Se fossi con te, forse non sentirei nemmeno la mancanza del teatro, ma la tua idea mi piace di più… conoscerei gente nuova, mi misurerei con nuovi copioni e nuovi attori. Mi piace.”
Fu in quel momento che la giovane donna sentì la porta della stanza aprirsi ed i passi di sua madre avvicinarsi.
“Ciao, mamma.” – la salutò, forse con troppo entusiasmo.
Utako si stupì leggermente dell’energia manifestata da sua figlia, guardò interrogativamente l’uomo che le sedeva a fianco e ricambiò il saluto.
“Ha chiamato Maya… voleva rintracciarti. Le ho detto che ti avrei riferito il messaggio.”
“Cosa dice?”
“Ti chiede se hai la possibilità di partecipare al matrimonio di Masumi Hayami. Chiaramente non le ho detto che eri ricoverata.”
“Grazie, mamma. Chissà come mai si interessa del matrimonio del signor Hayami, lo detesta! Comunque sarò bloccata per almeno altri dieci giorni, se tutto andrà bene.”
“Naturalmente… E… dimmi cara, hai pensato a cosa farai una volta uscita?”
Sua madre aveva sempre avuto un buon intuito per quanto la riguardava: quella domanda non la stupì.
Ayumi si strinse ancor più forte al braccio di Peter e le rispose che era sua intenzione recarsi all’estero con lui, voleva allontanarsi temporaneamente dal teatro giapponese e misurarsi con altri generi.
“Cosa dovrei dire a tuo padre?” – scherzò la donna.
“Oh mamma…” – si trovò ad arrossire come un’adolescente – “Farò in modo di parlarci io…”
“Si comporterà come un fidanzato geloso, vedrai!” – continuò.
Utako uscì dalla stanza per parlare con i dottori.
“Sei così sicura che la tua amica detesti Masumi Hayami?”
“Che intendi? Il signor Hayami a volte l’aiuta, ma Maya l’ha sempre attaccato!” – sostenne lei.
“Quando lui la contrasta.”
“Cioè?”
“Cioè… dalla mia posizione ho potuto notare, quelle poche volte in cui non ti stavo dietro, ma chère, che la tua rivale lo guardava con occhi che tutto manifestavano, meno l’astio!”
“Se anche fosse vero, perché mai vorrebbe che andassi al suo matrimonio? Ha perfino chiamato di persona…”
“Questo non lo so… ma la tua maestra ha detto che ha trovato la sua anima gemella. Come te lo spieghi?”
“Accidenti a queste bende. Se non le avessi, andrei a quel benedetto matrimonio e vedrei finalmente cosa sta per succedere!”
Una risata proruppe dalle labbra dell’uomo.
“Ecco un altro lato di te che non conoscevo. Sei dannatamente curiosa!”
“Sono una donna.” – puntualizzò.
“Già. L’avevo notato!”
 
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view post Posted on 22/5/2013, 18:43
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CAPITOLO 34
“Sei pronta?” – la voce di Masumi era piena di aspettativa.
La settimana che aveva trascorso con Maya era volata via in un lampo. Avevano passato attimi che gli sarebbero rimasti incisi nell’anima, momenti che fino a poche settimane prima non osava nemmeno sognare.
“Come potrei non esserlo?” – gli rispose, con quel caldo sorriso che aveva imparato essere solo per lui.
Stavano per lasciare la villa per tornare a Tokyo. Era giunta finalmente la domenica della verità.
Non era ancora l’alba. Mitsuki e Shiori li stavano aspettando. Hijiri presiedeva al servizio d’ordine. Tutto era pronto.
Salirono in auto e si diressero verso casa.
Le mani unite, come da abitudine, con nel cuore la speranza che quello sarebbe stato un nuovo inizio.

Hayami senior aveva fatto preparare dai domestici il suo più ricco kimono cerimoniale. Quel giorno sarebbe stato chiaro a tutto il bel mondo chi era il vero ‘imperatore’. Si congratulava con se stesso e con il suo acume: aveva giudicato il vecchio Takamiya un debole ed aveva indovinato.
La fusione dei due patrimoni portava molti più vantaggi alle imprese Hayami che al gruppo Takamiya. Mancava solo il perfezionamento del contratto tramite il matrimonio tra suo figlio e la nipote del vecchio.
Erano quasi le nove del mattino quando chiamò il suo cameriere personale per prepararsi.
Si avviò verso la chiesa in modo da accogliere in tempo tutti gli ospiti. Inizialmente la cerimonia avrebbe dovuto svolgersi in un antico tempio shintoista. Non capiva come mai la sua futura nuora avesse alfine optato per quella piccola chiesa di periferia: sembrava così dozzinale, povera.
L’edificio era intonacato di bianco e spiccava nel pallido sole invernale. Il sagrato era ornato con composizioni di rose bianche e scarlatte: una scelta curiosa visto l’odio che Shiori nutriva per quel fiore maledetto.
Si avvicinò al portone sbirciando l’interno: la navata era illuminata da ricche vetrate colorate e le composizioni floreali proseguivano fino all’altare.
Dovette attendere poco tempo prima che il consuocero lo raggiungesse. Si salutarono come fossero stati vecchi amici. Idiota!

Rei, Mina e Sayaka si stavano preparando, entusiaste di poter partecipare all’evento dell’anno: si erano chieste il perché dell’insistenza di Maya, ma alla fine avevano rinunciato a darsi una risposta. Si erano solo concentrate sui preparativi: le prove per le acconciature ed il trucco; l’acquisto degli abiti adatti e, naturalmente, i pettegolezzi su dove fosse andata Maya in quella settimana.
Rei aveva mantenuto fede alla promessa, ma anche per questo si arrovellava la mente come e più delle altre due: non riusciva proprio ad immaginare con ‘chi’ fosse andata.
Chiamarono un taxi e si fecero portare alla chiesa indicata nella partecipazione: che strano posto aveva scelto la rampolla dell’impero Takamiya per coronare il suo sogno. Era una piccola chiesa non tanto distante dal loro quartiere. A volte ci passavano davanti. Era semplice e graziosa, certo, ma non si addiceva al lustro della buona società.

Quando aveva ricevuto la telefonata di Maya circa il matrimonio di Masumi, per un attimo Chigusa Tsukikage era rimasta interdetta. Pensava di aver capito il segreto che la sua protetta nascondeva, invece il matrimonio dell’uomo con l’ereditiera era confermato.
Questo aveva creduto finché non aveva ricevuto la partecipazione in cui il nome della sposa era assente.
Chiamò Genzo e con una risata gli ordinò di fare tutti i preparativi necessari perché sarebbero andati al matrimonio di Masumi Hayami.
“Il signor Hayami?” – chiese l’uomo, non comprendendo come mai la signora volesse assistere alla cerimonia.
“Sì, Genzo! Te lo assicuro, ne vedremo delle belle!”
Aveva indovinato: quell’uomo aveva trovato veramente la sua dea e avrebbe anche fatto in modo di vendicarsi di suo padre. Per niente al mondo si sarebbe persa la disfatta del generale millepiedi.
Giunti alla domenica, con l’auto del presidente dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo, si fecero accompagnare alla chiesa.
La vista del piccolo edificio non fu che un’ulteriore conferma: Shiori Takamiya non si sarebbe mai sposata in un luogo simile.
Adocchiò le sue allieve in un angolo della piazza ancora semi-deserta. Sul sagrato erano fermi Eisuke Hayami e Yeyasu Takamiya. La figura di quest’ultimo le pose qualche dubbio. Che si fosse sbagliata?! Ormai mancava poco… non avrebbe dovuto attendere molto per soddisfare ogni interrogativo.

Il vecchio ‘imperatore’ pregustava la disfatta del suo ex-amico. Lo assecondava in ogni commento o lamentela, lo sosteneva nelle sue ciniche tesi e intanto pensava alla sua faccia quando avrebbe realizzato che il matrimonio che aspettava e la successiva fusione delle due aziende non avrebbero mai avuto luogo.
Shiori era stata chiara: doveva distrarlo il più possibile dagli invitati.
Eisuke non era uno stupido: aveva notato che mancava tutta l’alta società, mentre erano presenti soggetti del mondo dello spettacolo del tutto ininfluenti.
Quando gliene chiese la ragione, l’uomo fu pronto nel rispondere che era stato il volere di sua nipote: Shiori aveva optato per una cerimonia riservata, con invitati che fossero vicini a Masumi nel suo lavoro alla Daito.
Il generale si lasciò andare ad una risata cattiva.
“Mio figlio è proprio il mio degno erede! Sfruttare il suo matrimonio per accaparrarsi i diritti della Dea Scarlatta!” – lo sguardo catturato dalla donna che mai gli aveva ceduto.
“Già.” – gli aveva risposto sardonicamente.
Come era successo che non si fosse mai reso conto del caratteraccio con cui aveva a che fare?
La risposta era dura da digerire: prima del tracollo di Shiori, gli era affine.
Solo la crisi di sua nipote ed il successivo intervento di Masumi avevano contribuito a fargli affrontare i suoi errori.
Notò l’arrivo del giornalista che corteggiava la sua bambina: Aki Mikami. Era giusto che fosse presente, altrimenti i giornali si sarebbero fiondati sull’evento come degli avvoltoi su una carcassa.

Aki arrivò alla chiesa quasi un’ora prima dell’inizio della cerimonia.
Camminando ai lati della piazza sfilò verso la porta laterale della sagrestia, adocchiando i capostipiti delle due famiglie.
Voleva vedere Shiori e sapeva dove trovarla.
Entrato nella piccola stanza la sorprese a parlare con il vecchio parroco. Gli stava dicendo di non farsi intimorire da eventuali escandescenze nella famiglia dello sposo: il matrimonio civile era stato registrato quella mattina.
Il sacerdote inarcò le folte sopracciglia cespugliose e la guardò con occhi liquidi e curiosi. Non chiese spiegazioni: alla sua età doveva aver esaudito talmente tante eccentriche richieste da non stupirsi più di tanto… di nulla.
Il giornalista interruppe la conversazione con un lieve colpo di tosse.
Vide la schiena della donna irrigidirsi. La vide voltarsi lentamente ed osservarlo con dolcezza.
“Padre, le presento il signor Mikami Aki. Sarà l’unico addetto stampa della cerimonia!”
“Lieto di conoscerla! Ho seguito spesso i suoi reportage dalle zone disastrate del pianeta. Ora che è tornato in patria si dedica alla buona società?” – era veramente stupito.
“No, padre. E’ solo un favore che faccio ad una coppia di amici!”
“Bene, bene.” – e li abbandonò, andando a ricontrollare la disposizione della cappella.
“Una coppia di amici?” – gli chiese la donna, avvicinandosi.
“Oh, beh… si sarebbe forse scandalizzato se gli avessi detto che lo faccio per la donna che amo.” – le poggiò le mani sui fianchi e la trasse vicina. Osservò i suoi occhi farsi più languidi per quella prima dichiarazione.
La baciò piano, godendo delle sue risposte.
Lentamente approfondì il contatto, ritrovando una sintonia mai persa.

Le aveva detto che l’amava. Rispose al suo bacio ancora troppo stupefatta per pensare.
Un uomo forte ed indipendente come Aki che ammetteva di amarla. La sua voce, le sue parole la sconvolsero nel profondo. Il cuore le tremò. Sollevò le mani ed intrecciò le dita sulla sua nuca, infilandole nei lunghi capelli neri. Si lasciò invadere le narici dal suo profumo. Le era mancato in quei pochi giorni.
Si dovettero separare dopo pochi minuti.
“Fra un po’ dovrebbe arrivare Masumi…”
“Hai preparato tutto. Sei stata brava.” – la sostenne.
“Il problema sarà Eisuke.”
“Ah, tranquilla. Ho visto tuo nonno che lo stava tenendo a bada per ora. Vedrai che quando ci sarà la cerimonia non farà tante scenate. Conosco i tipi come lui. Badano troppo alle apparenze!”
“Ero così anch’io.” – si rammaricò.
“Ma ora non lo sei più, quindi non ho nulla di cui preoccuparmi. Giusto?”
Assentendo lo accompagnò nella chiesa vera e propria, illustrandogli la posizione che riteneva essere la migliore per osservare tutta la scena.
Lo vide ammirare le decorazioni e gli addobbi floreali. Solo un cieco non avrebbe colto il significato di quelle rose scarlatte legate alla sposa.
Lasciandolo a girovagare tra i banchi, la donna andò a definire gli ultimi dettagli con il responsabile del coro. I cantanti stavano provando gli attacchi di qualche pezzo, mentre gli strumentisti erano impegnati ad accordare gli strumenti. Gettando un occhio preoccupato all’ingresso, si ritirò nella sagrestia: non poteva rischiare di essere vista dal padre di Masumi.

Il nuovo Isshin arrivò con la sua ragazza di lì a qualche minuto.
Era passato a prenderla e si erano avviati verso la chiesa. Sayuri, nel suo abito color smeraldo, era magnifica. Aveva coperto la leggera seta del vestito con un corto cappotto scuro. Un paio di lucidi stivali neri completava la sua mise.
Mano nella mano arrivarono alla piazza.
Sakurakoji la strinse, notando la presenza del padre del signor Hayami ed il signor Takamiya.
“Cosa ci fa qui il signor Takamiya?”
“Chi è?” – gli chiese, ignara.
“Il nonno di quella che dovrebbe essere la fidanzata di Masumi Hayami.”
“Non saprei… ma lo scopriremo presto. La cerimonia dovrebbe iniziare tra poco. Credo non manchi molto prima che lo sposo arrivi.”
“Già,” – masticò – “vedremo.”
La coppia si avvicinò alle amiche di Maya. Sembrava che attendessero l’arrivo dell’amica. Senza metterle a parte di quello che sapeva (o sospettava), le salutò, iniziando a scambiarsi opinioni su quella giornata, sulla chiesa, sulla cerimonia.
Impegnati com’erano in quelle pigre chiacchiere quasi non si avvidero dell’arrivo del signor Kuronuma. E non era solo!
Era accompagnato da una piccola signora che doveva essere di una decina d’anni più giovane. Aveva in volto un dolce sorriso, dei lunghi capelli raccolti in un basso chignon ed un completo dai colori vivaci. Insomma, niente era più lontano dall’immagine del drago casalingo che avevano in mente dalle descrizioni che ne dava il marito.

Eh, si! Kuronuma non si sarebbe perso quello spettacolo per nulla al mondo. Se conosceva bene Masumi Hayami come pensava, la maggior parte degli invitati quel giorno era del tutto inconsapevole di quanto quella cerimonia sarebbe stata diversa dalle previsioni.
Sarebbe stata un ottimo laboratorio di studio per carpire espressioni, reazioni, sentimenti. Senza considerare che avrebbe potuto vedere la sua Dea Scarlatta felice con il proprio Isshin.
Si era assicurato di non arrivare con troppo anticipo: odiava le lunghe attese e non aveva intenzione di rispondere alla curiosità degli altri invitati.
Notò che la maggioranza era costituita dagli amici di Maya, c’era la signora Tsukikage e qualche altro esponente del loro entourage.
Vide quel giornalista… come si chiamava? Ah sì, Aki Mikami.
Naturalmente non potevano mancare due degli attori principali: Eisuke Hayami ed il mancato consuocero in attesa dello sposo sul sagrato della chiesa.
Camminò fiero nella loro direzione con la sua adorabile moglie al braccio. Le aveva spiegato la situazione e lei, con il solito sorriso dolce sulle labbra, gli aveva detto che le sarebbe piaciuto assistere. Erano sposati da ormai quindici anni e non passava giorno che non ringraziasse il cielo di averla incontrata. Purtroppo non avevano mai avuto figli e questo era l’unico rammarico che covava in cuore. Sapeva che sua moglie ne soffriva, si sentiva inadeguata: non avrebbe mai permesso che si crogiolasse in quegli incubi.
La strinse a sé quando vide la segretaria del presidente Hayami raggiungerli.

Saeko Mitsuki non perse la sua professionalità neanche quel giorno. Soprattutto quel giorno. Non poteva permettersi di allentare la tensione perché Eisuke Hayami restava uno squalo anche quando era rilassato.
Durante quella settimana si era sentita spesso con la signorina Takamiya e doveva riconoscere di averla trovata piacevole, seria, concreta. Era del tutto diversa da quando era fidanzata con il suo capo. Sì, aveva sofferto, ma le aveva fatto bene.
Quella mattina si incontrò con il presidente Hayami e Maya per accompagnarli all’ufficio anagrafe. Avevano registrato il loro legame sotto lo sguardo allucinato dell’impiegata che aveva riconosciuto entrambi: vedere arrivare mano nella mano Masumi Hayami della Daito Art Production e la nuova Dea Scarlatta, Maya Kitajima, che nell’ultima settimana era stata irrintracciabile, andava oltre ogni possibile immaginazione.
Mitsuki aveva soffocato un sorriso.
Quell’uomo enigmatico doveva aver fatto un enorme sforzo per trattenere uno sbuffo di fastidio.
Dopo quell’incombenza aveva accompagnato i due in albergo per farli preparare.
Per quella mattina aveva quasi concluso i suoi compiti. Quasi.
Doveva ancora parlare con il regista Kuronuma e con la signora Tsukikage.
Avvicinò prima l’uno e poi l’altra chiedendo loro di esaudire un piccolo desiderio.
Kuronuma la guardò stupito, ma anche onorato.
Chigusa Tsukikage assentì con consapevolezza.
A quel punto si diresse verso Eisuke Hayami, rassicurandolo che tutto stava andando come da programma, sorvolando sul fatto che il programma era cambiato.
Sorrise furbescamente.

Il cambiamento del luogo della cerimonia aveva favorito di molto il suo compito. Quasi nessuno sapeva dove si sarebbe svolto il matrimonio, quindi erano veramente pochi i curiosi che si avvicinavano alla chiesa per indagare o rubare alcuni scatti.
Karato Hijiri perlustrava il perimetro coadiuvato da alcuni addetti alla sicurezza della Daito.
Con sua somma soddisfazione, i propri compiti riguardanti la nuova stella del teatro si erano notevolmente alleggeriti in quell’ultimo mese.
Era stato con enorme felicità che aveva compreso che la persona che più si avvicinava al concetto di ‘amico’ stava finalmente avviandosi a percorrere la giusta via senza più incertezze o infelicità.
Inquadrò la sua segretaria e si lasciò sfuggire un cenno di saluto.
La conosceva di fama, sapeva quanto avesse pungolato Masumi nel corso degli anni: era una donna affascinante, bella, sofisticata, arguta, si muoveva nel mondo degli squali senza ferirsi.
Avrebbe voluto conoscerla, non solo inquadrarla da lontano.
Sarebbe stato interessante scambiarsi vecchi aneddoti su quel disperato che era stato il loro superiore. Ora potevano permetterselo, forse.
Vide l’oggetto dei suoi pensieri avvicinarsi furtivamente.
“Ci conosciamo?”
“Lei non mi conosce.”
“Come immaginavo… è uno dei collaboratori-fantasma del signor Hayami?”
“Arguta come pensavo. Fortunatamente però sono l’unico collaboratore-fantasma del signor Masumi.”
“Da quanto tempo lavora per lui?”
“Direi che siamo quasi cresciuti insieme.” – al suo sguardo stupito, continuò – “Eisuke ha sempre creduto che l’avrei ‘servito’ più fedelmente se fossimo cresciuti come fratelli.”
“Ha avuto ragione?” – la domanda nascondeva il timore per il suo capo.
“Sì, ma solo perché il signor Masumi è decisamente diverso da suo padre. Non trova anche lei, Saeko?”
“Già. E’ così. Stiamo mettendo a rischio le nostre vite per lui. Non l’avremmo fatto per uno meno generoso o meno gentile.” – aveva sorvolato sul fatto che l’avesse chiamata per nome. Interessante.
“Fra quanto arriverà?” – chiese Hiijri scrutandone lo sguardo nascosto dalle lenti ambrate. Anche quel giorno indossava uno dei suoi famosi tailleur. Mai rilassarsi!
“Ormai dovrebbe esser qui.” – la vide fissare la strada da dove sarebbero dovuti arrivare.
L’uomo approfittò di quel momento per spezzare una rosa bianca da uno dei cespugli lì vicino. La pulì dalle spine e con gentilezza le si avvicinò appuntandogliela tra i capelli.
“Oggi è giorno di festa. Si diverta anche lei…”
Un raro sorriso si allargò sul suo volto.
“Mi rilasserò alla fine di questa giornata, quando il signor Hayami sarà Masumi Fujimura per tutti e Maya farà finalmente parte della sua famiglia. Eisuke Hayami a quel punto non potrà più nulla, vista anche la protezione dei Takamiya.”
“Andrà tutto bene…” – la rassicurò. Un clacson li interruppe.
Entrambi volsero lo sguardo verso quel rumore. La lucente auto nera dello sposo stava arrivando.
 
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view post Posted on 6/6/2013, 14:28
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CAPITOLO 35
Mentre la berlina si avvicinava, dal finestrino Masumi iniziò a scrutare i convenuti. Ah, sì! C’erano tutti. Gli amici, i complici, suo padre.
Un ghigno segnò il suo volto. Tristezza, delusione.
Nel giorno del proprio matrimonio, un figlio dovrebbe essere felice della presenza dei propri genitori. Lui invece aveva scelto quel giorno per vendicarsi dell’unico genitore che gli era rimasto, un padre posticcio, fasullo, che non si era mai comportato come tale, non l’aveva mai trattato veramente come un ‘figlio’, se non imponendogli le proprie scelte.
Quel giorno, come non mai, sentì la mancanza di sua madre: la ricordava dolce, tenera, calorosa. Avrebbe voluto che conoscesse Maya. Si sarebbero piaciute, amate forse.
L’auto si fermò di fronte al sagrato.
Ne scese, vestito del suo completo nero. Anche la lucida camicia in seta lo era. Sarebbe potuto sembrare il figlio del demonio. Pochi si sarebbero arrischiati a negarlo. Le uniche note colorate e brillanti erano una rosa scarlatta appuntata al petto e un elegante fermacravatta in oro bianco.
Con passo deciso si diresse verso il signor Takamiya, lo salutò cordialmente per poi rivolgersi a suo padre. Lo guardava compiaciuto, tronfio di quella che supponeva sarebbe stata la sua ennesima vittoria.
Masumi guardò l’orologio e scambiò un’occhiata con la sua segretaria.
“Signori,” – disse, assicurandosi di avere l’attenzione degli invitati – “Vi ringrazio di aver accettato il mio invito. Credo che la sposa stia ormai per arrivare. Vi prego di accomodarvi.”
Rispondendo alla sua richiesta, tutti si diressero ai propri posti. Perfino suo padre non si soffermò a domandarsi il perché non si poteva accogliere Shiori fuori: non poteva sospettare nulla. Tutto era stato progettato perché così fosse.
Sul sagrato rimasero solo il regista Kuronuma, la signora Tsukikage e la sua collaboratrice. Masumi li ringraziò per aver esaudito i suoi desideri.
“Masumi, hai detto che avresti protetto la dea: così hai fatto e stai facendo. Non potevo rifiutarti nulla…” – mai una volta Masumi aveva visto la signora guardarlo con occhi quasi colmi d’affetto. Le sorrise grato. Era austera, ben lontana dalla dolcezza con cui ricordava sua madre, eppure Chigusa Tsukikage aveva amato con tutto il cuore come lei. Aveva solo perso la capacità di dimostrare dolcezza e tenerezza per le ferite che la vita le aveva inferto, che suo padre aveva contribuito ad infliggerle.
“Signor Hayami,” – lo interpellò invece il regista – “considero Maya quasi come la figlia che non ho mai avuto. Sono io a ringraziarla!” – si strinsero la mano, senza altre parole.
Passarono alcuni minuti ed una seconda berlina si fermò nella piazza.
Mitsuki si avvicinò sollecita allo sportello aperto galantemente dall’autista.
A Masumi si mozzò il fiato vedendo scendere la sottile figura di Maya, avvolta in un lungo abito in seta color avorio. Era bellissima, una visione. Il corpetto tagliato appena sotto il seno metteva in evidenza le sue forme aggraziate. La gonna si dispiegava in morbide volute fino a terra. Leggeri ricami e piccole perle rilucevano sotto il pallido sole. Maya aveva raccolto i capelli e nell’acconciatura spiccava un’altra rosa scarlatta.
La guardò fremente. Gli si stava avvicinando con passo sicuro ed un timido sorriso sul volto.
Le piccole mani erano nascoste dietro il bouquet di rose, bianche e scarlatte.
Masumi scese alcuni gradini, incapace di starle ancora lontano.
Con la coda dell’occhio vide Mikami sul lato della chiesa fare alcune foto.
Porse la mano alla sua giovane sposa, l’avvicinò a Kuronuma e la lasciò alle sue cure.
Mentre accennava a Mitsuki di far partire la marcia, si avvicinò alla signora Tsukikage.
“Sono onorato, signora!”
“Lo sono io, Masumi.” – guardò Maya con affetto – “La farai felice!”
“E’ mia intenzione, sì.”
Le prime note della marcia nuziale arrivarono fino a loro e l’uomo iniziò a camminare lungo la navata centrale verso l’altare accompagnato dalla presenza solenne della donna. Niente sembrava in grado di scalfirla: non la curiosità delle sue allieve, non il dubbio dei pochi esponenti del loro mondo, non lo sguardo odioso del generale millepiedi.
Arrivati a destinazione, Masumi si chinò sulla sua mano e vi depose un leggero bacio di ringraziamento. Aiutata da Genzo, l’attrice si accomodò in uno dei primi banchi per godersi la disfatta del suo nemico e, soprattutto, il trionfo della sua allieva.
Lo sposo si voltò, vide le due figure prendere corpo nella luce del portale. Lentamente iniziò a distinguerle. Non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi di cioccolato che gli erano cari. Le labbra lucide e tese in un dolce sorriso. La pelle sembrava vellutata come quando l’aveva accarezzata l’ultima volta quella stessa mattina nel loro letto.
Tutto svanì: i mormorii che iniziarono a serpeggiare tra gli invitati; i primi dubbi sul volto di suo padre; i volti degli amici e dei conoscenti.
Rimase lei.
Solo lei.
Sempre lei.
Piccola e delicata, ma tanto forte da averlo attratto dal loro primo incontro, tanto forte da avergli ridato un cuore, forte abbastanza da averlo scoperto dietro le sue innumerevoli maschere.
Prese la mano della giovane donna da quella grande e robusta dell’orso gentile. La strinse e si voltarono verso il sacerdote, indifferenti a tutto, tranne a loro due.

Il sacerdote guardava la scena commosso.
Era cresciuto seguendo i dettami della religione scintoista fin quando non aveva conosciuto, a trent’anni, un illuminato sacerdote europeo che divenne il suo mentore e gli svelò il fuoco della fede.
Da quel momento erano passati quasi cinquant’anni, periodo in cui non aveva mai rimpianto la sua scelta. Nella sua piccola parrocchia, i fedeli gli erano vicini: sembravano veramente una grande famiglia. Di tanto in tanto giungevano visitatori solitari. Tanti erano gli uomini e le donne che erano passati sotto il suo sguardo. Alcuni in cerca di un senso, altri, semplicemente, volevano la serenità dell’anima. Alcuni, infine, erano solo affascinati da quella religione monoteista tanto diversa dalla filosofia orientale.
Durante la sua vita aveva visto tante stranezze, ma mai gli era capitato di officiare un matrimonio simile. Aveva iniziato a dubitare che si trattasse di una cerimonia normale quando notò le reazioni degli invitati all’ingresso della sposa. Alcuni erano normali: lo sposo estasiato, l’accompagnatore della sposa orgoglioso, quella dello sposo commossa.
Gli altri… i giovani spalancarono gli occhi e la bocca, come se non avessero mai assistito ad un matrimonio; i conoscenti, li riconobbe perché pur se elegantemente vestiti si erano posizionati in fondo alla navata, iniziarono a mormorare con toni sempre più accesi. Quelli che però attrassero maggiormente la sua attenzione erano i vecchi che occupavano la panca più vicina. Sicuramente i genitori. Uno sembrava stesse per esplodere dall’ira, l’altro gli aveva poggiato una mano sopra la spalla nel tentativo di trattenerlo. Vide quello magro sussurrargli qualcosa all’orecchio e l’altro spalancare gli occhi. L’ultima espressione del suo volto, perché si sedette senza muoversi più.
Il sacerdote guardò tutti da sotto le sopracciglia cespugliose e, con un lieve colpo di tosse, alla fine della marcia nuziale attrasse l’attenzione di tutti i distratti.
Iniziò il cerimoniale.
Certo, gli invitati erano strani, ma li avrebbe sopportati volentieri se in cambio poteva osservare gli sguardi innamorati dei giovani sposi. Non lasciarono gli occhi l’uno dell’altra se non per scambiarsi gli anelli. Le dita rimasero sempre allacciate.
Se ci pensava bene, anche loro erano una coppia rara. Erano molto più comuni coloro che giungevano al matrimonio preoccupati della riuscita della cerimonia, senza pensare al suo significato. Allora anche le sue emozioni ne risentivano: non commozione, ma apatia; non speranza, ma disillusione; non tenerezza, ma cinismo. Quelli erano matrimoni debilitanti.
Giunse il momento dei pronunciamento dei voti e quando nominò lo sposo, Masumi Fujimura, i commenti ed i sussulti ripresero più accesi che mai.
Guardò gli sposi, i loro genitori. Lo sposo fece cenno di continuare, come anche il signore con i candidi baffi. Quello seduto, invece, aveva ormai uno sguardo vacuo, del tutto insensibile.
Arrivarono alla fine, li proclamò marito e moglie, gli applausi esplosero. Calorosi, vivaci, lunghi.

Lo aveva fregato! Suo figlio lo aveva fregato, senza possibilità di appello!
Aveva finalmente iniziato a comprendere che qualcosa non andava quando aveva visto la figura della sposa stagliarsi nella luce del portone: troppo lontana per essere riconoscibile, abbastanza vicina da vedere che era molto meno alta della nipote di Takamiya.
Si era irrigidito quando aveva riconosciuto quel regista, Kuronuma, accompagnarla all’altare. La mano dell’imperatore, tempestivamente poggiato sulle sue spalle, l’aveva trattenuto dal fare commenti.
Quando però aveva infine inquadrato la sposa, aveva rischiato di esplodere.
Quell’insulsa ragazzina! Insieme a suo figlio! Come si era permessa?! Come si era azzardato Masumi a contravvenire ai suoi ordini?!
Era stato un momento: un attimo in cui gli occhi erano divenuti furenti, i denti si erano serrati rabbiosi, le mani si erano strette sul suo bastone da passeggio come se avessero dovuto stritolarlo.
Avrebbe interrotto tutto! Sì, non poteva permettere quello scempio! La distruzione di tutti i suoi progetti! Nessuno poteva permettersi di rovinare i suoi piani impunemente! Soprattutto suo figlio. L’aveva cresciuto solo per eseguire i suoi ordini: come si era permesso di disobbedirgli?
Fece per aprire bocca quando un sussurro oltrepassò i fumi della sua rabbia.
“Non farlo! Te ne farò pentire… sai che potrei. Il fatto che non mi sia ancora vendicato del tuo ignobile comportamento lo devi solo a Masumi.”
Come aveva fatto a dimenticare l’imperatore?
Un altro, enorme, errore di valutazione: pensava non fosse più quello di un tempo perché aveva ceduto su tutto per amore di sua nipote. Ora, invece, lo trovava determinato come nel passato, ma dalla parte di Masumi. Veramente non gli restava altro che arrendersi?
Si sedette, riflettendo.
Certo, Masumi si stava sposando con Maya Kitajima che era pur sempre la Dea Scarlatta, ora. Non più solo un’insulsa ragazzina. Avrebbe comunque potuto mettere le mani sui suoi diritti. Era pur sempre suo figlio: dopo una tale disobbedienza si sarebbe sentito certamente in colpa nei suoi confronti.
Con quella convinzione, riprese ad ascoltare il sacerdote.
Erano arrivati ai voti.
Quando finalmente comprese tutto, lo sguardo gli divenne privo di qualsiasi emozione.
Suo figlio… non era più tale. Aveva usato il nome di sua madre per sposarsi. Poteva significare solo che aveva rinunciato al cognome degli Hayami, alle loro ricchezze ed al loro potere.
E lui, Eisuke, non avrebbe avuto più alcuna voce in capitolo, perdendo perfino il suo erede diretto. Tutto il suo patrimonio sarebbe stato diviso tra quegli scellerati dei suoi nipoti. Sarebbe successa l’unica cosa per evitare la quale aveva adottato Masumi e sposato quella cameriera.
Finita la cerimonia, attese qualche minuto e si defilò fuori. Giunto sul sagrato, chiamò il suo autista. Mentre l’attendeva un’ombra sottile si affiancò alla propria.
“Ti ho sempre detto che l’amore vince sempre. Con me, i tuoi raggiri hanno funzionato solo perché Ichiren aveva il cuore spezzato tra me e la sua famiglia. Con Maya e Masumi non succederà!”
“L’amore dici? Masumi ha appena messo le mani sui tuoi diritti e parli d’amore?” – chiese schernendola.
“Anche di fronte all’evidenza continui a negare? Non vorrai farmi credere che non sapessi nulla delle rose scarlatte?”
“E’ stato previdente…”
“Vecchio stupido!” – sbottò la signora Tsukikage alla fine – “Masumi ha iniziato a sostenerla che non era nemmeno un’attrice degna di questo nome… e tu dici che l’abbia fatto solo perché ha scommesso che sarebbe divenuta la Dea Scarlatta? Beh, lasciati dire una cosa: sarebbe stata una scommessa troppo rischiosa e costosa se fosse stato solo per quello. Masumi invece ha vinto, perché alla fine si è tolto la maschera e Maya l’ha riconosciuto come parte della sua anima.”
“Ancora con queste filosofie campate per aria, Chigusa?” – continuò a sostenere l’uomo, avviandosi verso l’auto.
“Non posso fare più nulla per te… ricordati solo di non importunarli mai più!”
Eisuke vide l’alta figura desiderata oltrepassare l’ingresso della chiesa, rientrando.
Presto gli invitati sarebbero usciti. Non poteva più rimanere. Doveva tornare a casa. Aveva bisogno di pensare.
Aveva perso il suo erede.
Aveva perso i suoi diritti.
Aveva perso il patrimonio dei Takamiya.
Tutto per uno stupido capriccio. Masumi si sarebbe pentito di quanto aveva fatto. Non poteva lasciar correre. Era stato umiliato. Tutti gli avrebbero riso dietro!

Pian piano tutti gli ospiti scemarono nella piccola piazza. Mentre gli sposi si attardavano per le foto e la firma dei documenti, tutti si guardavano stupiti, ancora increduli. Come era stato possibile che Maya avesse sposato l’odiato Masumi Hayami e che lo guardasse con quegli occhi innamorati e lucenti.
Solo chi già sapeva aveva le risposte.
Sakurakoji teneva un braccio intorno alla vita di Sayuri. Le stava sussurrando qualcosa all’orecchio, beandosi dei brividi che le scorrevano lungo la schiena.
La signora Tsukikage era ferma, sorretta da Genzo, finalmente tranquilla. Eisuke poteva anche tramare qualcosa, ma Masumi avrebbe fatto in modo da fronteggiarlo adeguatamente.
Shiori osservava soddisfatta tutti gli invitati che uscivano dalla cappella. Era rimasta sull’ingresso della sagrestia, monitorando tutta la cerimonia, lanciando sguardi ammiccanti ad Aki e osservando preoccupata il vecchio Hayami: fortunatamente era venuto anche suo nonno che l’aveva tenuto a bada.
Era orgogliosa di se stessa. In meno di una settimana era riuscita ad organizzare quasi dal nulla un matrimonio che doveva rimanere segreto. La cerimonia era stata magica: la chiesa, con le sue vetrate istoriate, faceva penetrare una luce soffusa; Maya e Masumi erano magnifici, i loro occhi non si erano distolti un attimo, come anche le loro mani non si erano slacciate; gli invitati dopo il primo attimo di stupore si erano zittiti.
Aveva tremato osservando Eisuke rosso di rabbia ed aveva tirato un sospiro di sollievo vedendo intervenire suo nonno.
Quando gli sposi conclusero le formalità, si avviarono all’uscita ed ella li seguì ad una certa distanza. Una nuvola di riso propiziatorio li accolse facendo emettere a Maya gridolini entusiasti.
Seguì un altro lungo applauso.

Erano marito e moglie.
Non poteva crederci. Dopo tanto dolore, tanta incertezza, tante prove superate, finalmente erano insieme anche per il mondo.
Quando era scesa dall’automobile, Maya aveva visto subito Masumi attenderla sui gradini della chiesa.
Un brivido le era corso lungo la spina dorsale ed un sorriso si era aperto sul suo volto: insieme, come sempre, contro tutti.
Non vide altro che Masumi, il suo sposo.
Bello. I biondi capelli, illuminati dal sole invernale, davano un assaggio dell’estate; il completo nero era talmente sensuale da farle tremare le ginocchia e i suoi occhi… oh, gli occhi che non la lasciavano mai, nemmeno nei suoi sogni.
Aveva distolto lo sguardo solo quando Masumi aveva posto la sua mano in quella del regista.
Immobile, aveva atteso che raggiungesse l’altare accompagnato della sua maestra.
“Sii felice.” – le aveva sussurrato Kuronuma, iniziando a camminare.
Erano entrati nella chiesa e la luce variopinta delle vetrate l’aveva incantata. Le note dell’organo si alzavano solenni, forti, dominanti, sovrastando ogni commento, ogni sussurro.
Il cuore le era scoppiato osservando la figura del suo futuro marito fermo di fronte a sé: solo pochi passi ancora li separavano. Le loro mani si erano unite ancora per non separarsi più.
Il vecchio sacerdote aveva officiato il rito con commozione, ma Maya non vi aveva prestato troppa attenzione, presa ad osservare lo sguardo felice del suo compagno, la sua posa orgogliosa, la piega soddisfatta delle sue labbra.
Si erano scambiati i voti e gli anelli. Aveva dovuto fare un enorme sforzo per trattenere le lacrime.
Avevano firmato i documenti, fatto qualche foto ed ora erano lì, di fronte a tutti i loro ospiti: finalmente le lacrime a lungo trattenute iniziarono a scorrere lente sul suo viso.
 
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view post Posted on 11/7/2013, 22:06
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CAPITOLO 36
TOKYO NEWS – 25 novembre 2012
LA DEA SCARLATTA TROVA IL SUO ISSHIN
E non è del capolavoro scomparso che si sta parlando, ma della vera Dea Scarlatta, quella che lo è diventata ufficialmente la scorsa domenica.
Maya Kitajima ha trovato il suo Isshin ieri, in una piccola cappella alla periferia di Tokyo. La storia è una fiaba dei nostri giorni durata otto anni. Chi non conosce la generosa figura del donatore di rose scarlatte che ha sostenuto ed aiutato la nuova luce del teatro giapponese fin dall’adolescenza?
Ebbene, recentemente l’ammirazione dell’uomo, che non è il dolce vecchietto che abbiamo sempre pensato, si è trasformato in amore profondo e tempestoso. Talmente forte da spingere Isshin ad abbandonare la propria maschera ed il suo cognome, sfidando le ire di suo padre, pur di conquistare il cuore della sua protetta, battaglia non certo semplice vista la sua vera identità.
I loro continui scontri erano talmente famosi da rendere incredibili gli sviluppi delle ultime settimane.
Masumi Hayami ha sciolto il vincolo con cui suo padre lo aveva legato alla famiglia Takamiya, che gli ha comunque riservato comprensione e collaborazione.
Ha passato le ultime settimane a corteggiare l’attrice, scoprendo che non era odiato come temeva. Tutti hanno guardato stupefatti il ballo che hanno condiviso la sera della premiazione. Solo alla fine ha svelato la sua doppia identità e le ha chiesto di sposarlo.
Eisuke Hayami non avrebbe mai accettato la vicenda, pertanto il produttore ha rinunciato al cognome paterno, frutto dell’adozione di cui era stato oggetto, riprendendo quello della madre.
Masumi Fujimura e Maya Kitajima si sono sposati ieri, realizzando un sogno che pochi avrebbero creduto realizzabile. Shiori Takamiya e la sua agenzia hanno aiutato l’ex-fidanzato organizzando dal nulla le sue nozze.
In meno di una settimana sono state espletate le pratiche, riservata la suggestiva cappella, mandate le partecipazioni ed organizzato il ricevimento per gli invitati.
Gli sposi erano l’immagine dell’Amore e della gioia.
Significativa è stata la presenza alla cerimonia dell’imperatore Takamiya, ad ulteriore testimonianza della vicinanza della sua famiglia alla nuova coppia. D’altro lato, Eisuke Hayami ha abbandonato la funzione stizzito, lasciando che i festeggiamenti procedessero senza altri impedimenti.

Una foto dello scambio degli anelli testimoniava che l’articolo non era un ‘simpatico’ scherzo.
Masumi lasciò cadere sulla lucida scrivania della camera il giornale ripiegato. Il leggero fruscio produsse un movimento nella figura avvolta nelle lenzuola sul letto dell’elegante camera d’albergo che avevano riservato per qualche giorno.
Le spalle alla finestra, la sagoma avvolta in un leggero accappatoio di cotone, un bicchiere con un dito di whisky in mano, Masumi osservò sua moglie.
Sua.
Moglie.
Maya era sua moglie.
Il cuore gli scoppiava di felicità, gioia, appagamento.
Quando era sceso dall’auto ed aveva visto suo padre, l’ansia gli aveva afferrato le viscere. Il suo cuore indomito aveva avuto paura, aveva vacillato. Il suo piano rasentava la follia, quella volta.
Poi era arrivata Maya e tutto era scomparso. Era rimasta solo lei, il suo volto, i suoi occhi lucidi, la sua pelle tenera, le sue piccole mani, la sua figura esile eppure perfetta, l’abito bianco che avrebbe voluto sfilarle facendola gemere tra le sue braccia.
La cerimonia era stata priva di colpi di scena, a parte i sussulti che avvertiva dal posto di suo padre.
Il suo sogno. Il suo desiderio offerto alle stelle. Maya.
Un tuffo al cuore. Come sempre capitava quando la guardava, la pensava, la sfiorava.
Non avrebbe mai trovato sollievo alla sua pena.
Non voleva un cura.
Tenui raggi di sole entravano dalle vetrate ed andavano a baciarle il volto.
Sono geloso perfino del sole.
Poggiò il bicchiere sul comodino e fece scivolare a terra la veste.
Pose un ginocchio sul letto e si fermò un attimo ad osservarla: dormiva sulla pancia, il volto sereno, oscurato solo da qualche ciocca di capelli. Le lenzuola setose le coprivano parte della schiena, lasciandone intravvedere la curva sensuale.
Aveva resistito abbastanza.
Le si avvicinò piano e le posò un soffice bacio sul collo, mentre con una mano le scostava i capelli dal volto e le sfiorava la guancia. Solo le palpebre vibrarono leggermente.
Si umettò le labbra: doveva avere lo sguardo di una belva affamata vicino alla sua preda inerme.
Si portò ancora sul suo collo, posando altri baci all’attaccatura dei capelli. Fu talmente lieve che riuscì solo ad avvertire la morbidezza della sua pelle ed il suo calore.
Con una mano fece scivolare il lenzuolo lungo il suo corpo.
Ah… godette nel vedere la seta carezzarle la schiena per finire sulla morbida curva dei fianchi. Solo un leggero mormorio si alzò dalle sue labbra addormentate.
Maya non si era svegliata, ma Masumi ormai non era più in grado di trattenersi: il cuore gli batteva nel petto, facendo correre il proprio sangue, caldo come lava.
Leggero come una piuma seguì la sua spina dorsale con i polpastrelli prima e con le labbra poi. Il suo dolce sapore gli inondò la lingua, ancora. Non l’avrebbe mai dimenticato: era diventato la sua droga.
Risalì la schiena con le labbra e le baciò la curva della spalla. La sua mano era ferma sul suo fianco.
Maya si mosse appena, forse ancora addormentata, forse in attesa di altre carezze che l’uomo non tardò a fornirle.
Con un basso gemito di gola iniziò a mordicchiarle la tenera pelle dietro l’orecchio, mentre con la mano risaliva fino alla vita tenendola ferma. Con il volto passò a carezzare la morbida pelle della schiena, l’altra mano corse ad intrecciare le dita con quelle dolcemente adagiate di fianco al suo volto addormentato.
Senza rendersene conto si era ritrovato a carponi su di lei: un grande felino che ghermiva la sua compagna.
Sentì Maya cercare di ritirare la mano e muoversi leggermente.
Si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò un ‘buongiorno’ con voce roca.
Un lento sorriso si dipinse sulle sue labbra rosse, ancora segnate dai baci della notte precedente.
Masumi si allungò su di lei, attento a non gravarle addosso con tutto il suo peso, e le catturò la bocca. Il bacio divenne subito rovente: lingue che si cercavano, labbra che si incontravano, denti che mordevano teneramente.
“Che stai facendo?” – riuscì a chiedergli in un soffio.
“Ti sto dando il buongiorno!” – replicò, esplorando il suo orecchio.
“Mi piace.” – rabbrividì.
“Non ho finito… ancora!” – la mano che era stata ferma sulla sua vita si spostò tra le sue gambe, raggiungendo la sua intimità e trovandola già pronta ad accoglierlo.
Sentì il respiro di sua moglie rompersi mentre infilava un dito nella sua dolcezza. Lo mosse lentamente, esplorandola con cautela e beandosi dei gemiti che pian piano iniziarono ad invadere la penombra silenziosa della stanza. Mentre le sue piccole dita si artigliarono alle lenzuola, con un movimento deciso Masumi insinuò un ginocchio tra quelli di lei, favorendosi un ingresso più agevole. Inserì lentamente un secondo dito nel suo calore languido e continuò quella dolce tortura.
“Ti prego…” – lo implorò.
Come sordo ad ogni richiesta, l’uomo si fermò, sussurrandole solo: “Seguimi!”
Si alzò in ginocchio, invitandola a fare altrettanto.
La sua sposa appassionata non se lo fece ripetere. Fu un’agonia sentirla aderire a sé con ogni parte invitante del suo corpo: le braccia sulle proprie, la schiena delicata contro il suo torace scolpito, le cosce morbide contro le sue, contro la sua virilità fremente di desiderio.
Riprendendo il suo lento movimento ipnotico, fece scorrere l’altra mano lungo il suo braccio teso, suo collo, sulla sua bocca. La lingua gli accarezzò i polpastrelli, prima che scendessero a catturarle un capezzolo turgido. Le vezzeggiò il seno con perizia.
Maya stava di nuovo sbocciando tra le sue braccia.
Insensibile alle sue proteste infiammate, il giovane amante lasciò il suo paradiso.
“Masumi!” – lo richiamò.
“Arrivo…” – scherzò lui, con una piega soddisfatta dipinta sulle sue labbra.
Si era seduto sui talloni, osservandola indifesa, del tutto fiduciosa, accaldata come solo una donna innamorata può esserlo.
Accolse le sue piccole natiche nelle sue mani e soffiò il suo alito caldo su di lei.
“Ma... sumi!” – gemette ancora.
La sua Maya, dolce e disinibita.
Con piccoli morsi si avvicinò al suo calore. Con la lingua la carezzò e la esplorò come amava fare. I movimenti istintivi del suo bacino furono bloccati dalle sue dita. Beveva i suoi gemiti e le sue preghiere. Assorbiva l’odore del suo amore. Respirava il suo appagamento. Aiutandosi con un mano intensificò le sue attenzioni e presto Maya non fu più cosciente del suo corpo. Soffocò l’urlo di piacere nel cuscino, ultimo lampo di razionalità.
Quel suo modo di lasciarsi andare gli fece perdere il controllo. Con un movimento fluido la penetrò affamato ed iniziò a muoversi mentre ancora era scossa dai fremiti.
In ginocchio, dietro di lei, spingeva trattenendole i fianchi, fino a quando non la sentì muoversi per accompagnarlo. Allora le si stese sopra, un braccio intorno alla vita, la bocca al suo orecchio per sussurrarle quanto fosse bella. In quella danza frenetica non sarebbero durati ancora a lungo. Erano divorati. Rivoli di sudore scorrevano sui loro corpi, respiri affannati confondevano i loro gemiti.
Le spinte si fecero via via più veloci, più profonde, più esigenti, finché entrambi non crollarono esausti, l’uno sull’altra, uniti.

“Mi fai impazzire…” – fu Maya la prima ad interrompere il silenzio.
Erano stesi sul loro campo di battaglia, lui che l’accoglieva sul suo petto. La sua mano che ne accarezzava la pelle liscia.
Solo una risata di gola giunse in risposta alla sua lamentela.
“Non è male, no?” – le chiese poi, sfiorandole ammiccante la schiena.
“Vorrei solo poterti fare lo stesso effetto!” – continuò a lagnarsi. Era così.
Lo vedeva, lo sentiva. Sempre talmente controllato da aspettare che lei perdesse la testa per il troppo piacere prima di lasciarsi andare.
“Ragazzina…” – se la tirò sopra – “Non ti rendi nemmeno conto dell’effetto che mi fai. Mi ubriachi solo guardandomi!”
La sua voce che le solleticava le orecchie era sempre stata stuzzicante.
Quando era poco più che una bambina la irritava con il suo tono canzonatorio.
Dopo che l’aveva salvata alla morte di sua madre, iniziò ad irretirla.
Quell’unico sorriso che gli aveva visto in viso in quei giorni l’aveva turbata.
Dopo il suo fidanzamento con Shiori, le sue parole gentili la emozionavano e quelle beffarde la facevano sentire inadeguata.
Quando scoprì che lui, proprio lui, era il suo donatore di rose il cuore le era esploso. Tante cose avevano trovato una spiegazione; tante sue emozioni avevano trovato una ragione. E la sua voce… quella aveva assunto un nuovo tono: caldo, confortevole, consolatorio, seducente.
“Non è vero… sei sempre controllato!”
Si allungò per arrivare ad accarezzarle le labbra.
“Ragazzina testarda… con Shiori ero controllato, come dici tu. Non l’ho mai nemmeno abbracciata se non quando dovevamo ballare. Con te… neanche riesco a starti lontano. I miei occhi ti cercano sempre. Le mie mani si sentono sole senza di te. Io non sono niente da solo. Sono dipendente da te. Sei diventata la mia droga.”
Maya allungò le braccia intorno al suo collo, mentre le mani dell’uomo correvano lungo la schiena fino ad artigliarle i fianchi, accostandosela addosso.
Sentì immediatamente, di nuovo, il suo desiderio premerle contro il ventre.
“Lo stai rifacendo!”
“Non sto facendo niente…” – le mormorò sulle labbra – “Tu, piuttosto, non senti l’effetto che mi fai?” – sospirò.
Si mosse sotto di lei.
“Non è abbastanza! Sei sempre tu che comandi…”
Appoggiandosi sul suo petto si tirò a sedere sopra di lui.
“Sei mio marito?” – non riusciva ancora a crederci.
“E tu mia moglie…” – la mano di Masumi le accolse il volto, scendendo sul collo, sul piccolo seno, sulla vita, sulla sua gamba tornita.
“Mio…” – sospirò ancora lei, abbassandosi a baciargli il petto.
Lo morse, anche, lasciandogli piccoli segni sulla pelle dorata. Lo sentì gemere. Continuò imperterrita, con le dita, le mani, i capelli, la lingua, i denti e le labbra.
Masumi fremeva sotto di lei, mentre la mano era corsa ai suoi capelli, intrecciandovi le lunghe dita e pregandola di continuare.
“Lo vedi cosa mi fai?”
Lo guardò negli occhi: si erano scuriti, le palpebre appena abbassate. Erano lucidi. Le sue labbra erano tese. Ad un nuovo morso, suo marito inarcò il collo. Lo baciò sulla carotide, approfittando del momento, e di nuovo sulle labbra.
“Non è abbastanza!” – gli soffiò ancora.
Riprese a baciargli il petto, mentre le mani seguivano i contorni dei suoi muscoli: l’addome, i fianchi, gli avambracci… ed ancora, il collo, le spalle.
“Maya…”
“Non ancora!” – doveva resistere. Non poteva ancora cedere alle sue lusinghe.
Si alzò a sedere e lo osservò.
Era bello. Come sempre. Di più. Ancora arrossiva di fronte a lui, quando la coglieva con quello sguardo incantato. I capelli biondi, morbidi e sparsi sul cuscino; le sue labbra socchiuse; i suoi respiri affannati; il suo caldo petto; il cuore che batteva all’impazzata; i suoi occhi torridi, dolci.
Abbassò lo sguardo.
Non era mai riuscita ancora a toccarlo intimamente. L’aveva guardato, curiosa, ma si era sempre fermata.
Maya allungò piano una mano: la punta delle dita toccò quella pelle tesa. Un gemito strozzato gli sfuggì dalla gola.
Incoraggiata dalla sua reazione lo avvolse. Lo vide mordersi il labbro inferiore… e lo sentì muoversi ancora sotto di sé. Iniziò a muovere la sua mano, piano prima, come timorosa del suo effetto.
Iniziò poi a prendere confidenza con lui, con i suoi fremiti, con i suoi segnali.
Sentì i suoi gemiti intensificarsi, farsi profondi, rochi, felini.
“Maya…”
La ragazza resistette ancora. Mollò la presa, scorrendo su di lui fino a fargli sentire il suo calore.
Vide i suoi occhi spalancarsi e la sua mano avvolgerle il collo tirandola vicina in un bacio rovente.
“Non resisto più.” – le disse solo, mentre le legava la vita con un braccio e la girava portandola con sé.
Entrò in lei senza preavviso, strappandole un sussulto, di sorpresa, di piacere.
“E’ abbastanza, adesso?” – le chiese.
“Sì.” – sospirò, allacciandogli le braccia al collo e le gambe ai fianchi.
Ricominciarono la loro danza, conosciuta eppure sempre nuova.
Lenta e tenera; furiosa e selvaggia; dolce e calda; torrida e ferina.
Baci roventi, carezze graffianti, movimenti suadenti.

Shiori guardò soddisfatta il lavoro di Aki.
Nonostante non fosse il genere di articoli che era abituato a scrivere, trovava che avesse centrato tutti gli obiettivi: l’attaccamento di Masumi e la sua evoluzione; la trasformazione di Maya ed il loro amore contrastato; il ruolo negativo di Eisuke e, infine, l’immagine pulita della sua famiglia.
Sapeva che le sue parole non rispecchiavano tutta la realtà, omettendo la sua iniziale isteria, e quasi se ne dispiaceva, ma gliene era grata. Gli aveva rivelato tutta la sua storia ed Aki si era dimostrato un custode fedele.
Avevano ballato insieme per tutta la durata del ricevimento. Ormai libera dalle incombenze della cerimonia aveva potuto godere della sua vicinanza, ritrovando la loro atmosfera, quell’aura di serenità e trepidazione.

Rei, Sayaka e Mina ancora non potevano crederci.
Avevano davanti la copia giornaliera di Tokyo News con l’articolo sul matrimonio della loro amica, matrimonio a cui loro avevano partecipato, eppure ancora stentavano ad accettare la realtà.
Maya Kitajima, la loro Maya, quella imbranata, piccolina, insignificante, priva di ogni qualità che non fosse la recitazione, aveva sposato l’odiato Masumi Hayami, colui che l’aveva ostacolata, apparentemente, il ricco Masumi Hayami, il potente Masumi Hayami, il donatore di rose.
Per lei aveva rinunciato al suo nome, al suo passato, al suo potere ed alle sue ricchezze. Per lei era diventato un moderno Isshin che si ribellava al volere dell’imperatore.
Erano nel piccolo soggiorno di Rei, intorno al kotatsu, si guardavano in silenzio, sorseggiando ognuna il proprio tè.
“E’ successo davvero?” – chiese Mina.
Rei assentì silenziosa e Sayaka la seguì.
“Non riesco ancora a crederci…”
Eppure il giorno prima l’avevano vista, salutata, si erano congratulate con lei e le avevano augurato tanta felicità.
Ora… invece… come svegliatesi da un sogno, solo quell’articolo rimaneva a testimoniare che era tutto vero.

Lo stesso articolo che aveva riempito di soddisfazione Masumi Fujimura, di orgoglio Shiori Takamiya e di incredulità le tre ragazze, rese furibondo Eisuke Hayami.
Con ira lo lanciò nel focolare acceso: le fiamme lambirono le pagine, le avvolsero, divamparono pericolosamente come la sua rabbia.
Ridicolo. Lo aveva ridicolizzato.
Non solo suo figlio aveva mandato a monte i suoi piani e buttato al vento i suoi sacrifici, ma l’aveva fatto diventare lo zimbello di tutta l’alta società. Non l’avrebbe mai perdonato. L’avrebbe pagata cara per un simile affronto!
Percorse in lungo ed in largo l’ampio studio, scivolando con la sua sedia a rotelle sul lucido pavimento di legno. Il ronzio del motore e lo scoppiettio del fuoco erano gli unici rumori che lo accompagnavano nelle sue riflessioni.
Con un pericoloso lampo di follia negli occhi, si fermò di fronte alla sua scrivania e compose un numero telefonico.
Non dovette attendere molto prima che rispondessero.
“Ho bisogno di incontrarti. Ti voglio qui tra un’ora!” – ordinò e riagganciò senza attendere risposta.
 
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fufu1973
view post Posted on 6/8/2013, 17:44




Tenshinaaa! Mi sono rimessa in pari con i capitoli e che meraviglia, quanto mi hai emozionato, bellissimi! :wub:
Ora dobbiamo sistemare il vecchio, sarà pure schiacciato dagli eventi ma la cattiveria e l'odio sono sentimenti potenti e mi fa paura!
Ha chiamato un killer? :unsure:
 
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view post Posted on 27/8/2013, 14:20
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Stregone/Strega quasi professionista

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Ciaooo! E' un piacere rileggerti... temevo di aver esagerato!
Già... il vecchiaccio maledetto deve essere eliminato... a dire il vero fino all'inizio doveva ritirarsi in buon ordine, ma poi ho pensato che il vero Eisuke Hayami, quello str... di questa storia, non avrebbe mai mollato l'osso. Quindi gli sto facendo meditare vendetta.
In questo capitolo già si scopre qualcosa di più, anzi, forse tutto.
Sono felice di essere riuscita ad incuterti il timore.
Ed ora ti lascio alla lettura... spero ti piaccia!
PS: Scusami per i mostruosi ritardi che sto accumulando negli ultimi mesi.
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CAPITOLO 37

Koji si avviò stancamente alla sua auto. Ricevere la chiamata di Hayami non l’aveva rallegrato, ma nemmeno stupito.
Quando aveva letto i giornali della mattina, immaginava che il vecchio non avrebbe accettato inerme la sua disfatta e i contatti dell’uomo con il suo clan l’avevano indotto a credere che non sarebbe passato molto tempo prima che si facesse vivo.
Il contenuto della conversazione, similmente, non l’aveva colto di sorpresa: eliminare il suo ex-erede. Fare in modo che sembrasse un tragico incidente. Perpetuare la maledizione della Dea Scarlatta.
L’unica maledizione, però, era quella che lui si ostinava a far proseguire. Entrato in macchina chiamò il suo responsabile.
“Era come aveva detto!”

“Sì, come avevano programmato. Non si preoccupi.”

“Una settimana. La terrò aggiornato!” – non sarebbe occorso più tempo: avrebbe solo dovuto capire i movimenti della vittima e studiare i vari scenari.

Davanti ad una tazza di caffè nero fumante, Mitsuki osservava deliziata la sua copia di Tokyo News. Avevano fatto un ottimo lavoro ed Eisuke Hayami avrebbe avuto ben poche armi ora: il pubblico si sarebbe schierato incondizionatamente dalla parte dei due innamorati. Ogni fiaba ha bisogno di un cattivo.
Era seduta al tavolo bianco della cucina. Una leggera vestaglia in seta le copriva le spalle, unico vezzo di una vita votata all’efficienza. L’appartamento era ancora avvolto nella penombra. Solo una sottile parete la separava dal letto su cui riposava l’uomo misterioso alle dipendenze del suo ex-principale. Se pensava alla sera precedente, le sembrava ancora impossibile che si fosse lasciata ammaliare dal suo portamento e dal suo fascino al punto da invitarlo a casa sua: non era mai successo. Mai, con nessun uomo.
Non aveva avuto tempo per il romanticismo: non aveva una famiglia benestante alle spalle. Anzi, non aveva una famiglia. I suoi erano morti in un incidente quando era appena maggiorenne. I risparmi di una vita le erano bastati per i primi due anni di università. Aveva venduto la casa di famiglia, comprato l’appartamento dove ancora viveva e, con la differenza, aveva concluso gli studi.
Si era laureata nei tempi con il massimo dei voti grazie alla sua tempra, alla volontà, al suo cervello. Ed al fatto che non aveva una vita sociale degna di questo nome.
Dopo la laurea era stata contattata dall’head-hunter della Daito Art Production ed era diventata la segretaria personale di Eisuke Hayami. Aveva imparato la diplomazia e l’insidia, l’astuzia e l’indifferenza, la natura umana ed i suoi limiti.
Quando aveva avuto bisogno di compagnia, di rado, era uscita alla volta di qualche locale notturno: le corte relazioni che aveva intessuto erano prive di impegno sentimentale. Aveva sempre scelto uomini interessanti e non sposati.
Fin quando non era entrata alle dipendenze di Masumi. Da quel momento lei l’aveva stuzzicato per fargli ammettere i suoi sentimenti per Maya e farlo agire; lui le aveva fatto riconoscere che mancava una parte fondamentale nella sua vita: quell’amore romantico che aveva sempre allontanato, ritenendolo causa di distrazione.
Finì il caffè.
Si alzò, appoggiando il fianco al tavolo, e rimase lì, pensierosa.
Cosa era successo la sera prima? Cosa, quella notte?
Non aveva bevuto: non poteva imputare all’alcool il suo comportamento. Era sempre stata cosciente. Solo lei aveva deciso cosa fare. Anche per questo ora la coglieva una sottile inebriante sensazione di panico.
Ricordava l’uomo elegantemente vestito che, smessi i panni di responsabile della sicurezza, si era mimetizzato alla perfezione nel ricevimento.
Ricordava che avevano parlato del più e del meno, argomenti innocui.
Ricordava le sue braccia che la cingevano quando l’aveva invitata a ballare e, vagamente, lo sguardo assorto del signor Masumi.
Ricordava il suono ammaliante dei suoi sussurri al proprio orecchio.
Ricordava meno precisamente le parole che le aveva rivolto. Sapeva solo che era arrossita. E lui l’aveva stretta a sé, osservandone la reazione. Avevano ballato a lungo, approfittando della vicinanza dei corpi per scambiarsi leggere carezze: una mano sul braccio, una sulla schiena, un fianco sfiorato, un bacio accennato sul collo, il suo profumo nelle narici.
Quando avevano smesso di ballare, era pericolosamente accaldata. Aveva bisogno d’aria.
“Ti inviterei a venire da me,” – le aveva sussurrato, piano, alle spalle – “ma il mio appartamento è più la base di un agente segreto che una casa.”
“Vieni da me!” – si era lasciata sfuggire. E ancora non riusciva a capacitarsi del perché le fossero uscite in modo tanto naturale quelle parole. Non poteva vederlo, ma sentiva che aveva trattenuto il respiro. Lo sentì avvicinarsi, una mano sulla spalla ed un bacio soffice e sicuro nell’incavo del collo.
“Grazie.” – un leggero sussurro, un altro brivido. Si era girata e si era ritrovata tra le sue braccia – “Mi piacciono i tuoi occhi, dicono molto di te!” – già, non indossava gli occhiali a mascherare lo sguardo.
“Anche i tuoi non sono male!” – sorrise spavalda.
In risposta Hijiri l’aveva tratta a sé con una mano alla vita e le aveva baciato l’angolo delle labbra.
“Spero non sarà l’unica cosa che gradirai di me!” – spietatamente ammiccante.
“Vedremo…” – aveva girato il volto e, per la prima volta, aveva assaggiato quelle labbra generose e ben disegnate. Intrecciando le mani nei suoi capelli e lasciandosi abbracciare avevano approfondito il bacio rendendolo rovente e foriero di seducenti promesse.

Un raggio di luce gli ferì gli occhi tanto da indurlo ad aprirli. Gli ci volle un attimo per capire dov’era: la camera di Saeko.
Uno spazio funzionale, moderno, senza inutili suppellettili, ordinato. Come la sua proprietaria. I colori erano caldi… con un sorriso ammise che anche quell’aspetto la rispecchiava. Nell’aria avvertiva ancora il loro profumo e ricordò con dolcezza la sottile arrendevolezza con cui aveva risposto ai suoi approcci.
Quando al ricevimento l’aveva avvicinata non credeva veramente che sarebbe riuscito a suscitare più di un blando interesse: quando l’aveva invitato a casa sua quasi non poteva crederci.
I momenti passati insieme erano stati magici, non aveva mai incontrato una donna tanto onesta nelle sue reazioni: pronta a chiedere come a dare, senza veli, senza ipocrisie, senza inutili maschere. Era Saeko Mitsuki la donna con cui aveva fatto l’amore quella notte, non un suo alter ego creato ad arte.
Scostò le coperte e si tirò a sedere sul letto.
Era solo e non avvertiva alcun rumore in casa. Solo un leggero aroma di caffè.
Si alzò silenziosamente e fece scorrere la porta. E lì la vide, di spalle, appoggiata al tavolo della cucina. Immaginava il suo cervello mentre cercava di convincersi che era stato un errore o che non aveva senso ciò che era successo.
Decise che doveva darle una mano a decidere perché non avrebbe lasciato che le sue paure gli impedissero di continuare a vederla: la voleva ancora, fino a quando non lo sapeva, ma di sicuro non era pronto a lasciarla andare.
L’avvicinò e, quasi senza toccarla, le respirò in un orecchio.
“Pentita?”
L’aveva spaventata: lo capì dallo scatto che fecero le sue spalle e dalla velocità con cui si girò facendo un passo indietro, ponendo quella breve distanza tra loro.
“No!” – rispose subito – “Solo… incredula.”
“Incredula…” – masticò – “… di essere stata con me?”
“No! Certo che no.”
“Bene… fa piacere avere delle conferme.” – sorrise malizioso e si avvicinò – “Di esserti lasciata andare, allora?”
Scosse la testa.
“Di cosa allora?” – chiese infine.
“Di averti invitato a casa!” – ammise. La guardò stupefatto.
“Beh... ma… voglio dire tu… insomma!” – era imbarazzato, incredibile!
“Non ho mai invitato nessuno a casa. Nessuno poteva entrarci!”
“Chiaro.” – finalmente comprendeva – “E’ la tua fortezza inviolabile, giusto?”
Non ebbe bisogno di conferme ed alzò una mano a toccarle il volto.
“Non invaderò il tuo castello. Non cercherò di domarti. Mi piaci come sei!” – le sfiorò piano le labbra, come a suggellare quella promessa.
“Ti piaccio?”
“Sì, pensavo si fosse capito questa notte…” – adorava il lampo di malizia che le accendeva lo sguardo.
“E’ reciproco!” – ed ecco che chiedeva. Incrociò i polsi dietro al collo e lo trasse a sé per un bacio più profondo e soddisfacente.
Karato la tenne per la vita, sentendo il suo corpo sotto la seta, un seducente ostacolo.
Non passò molto prima che sciogliesse la cinta che teneva legati i due lembi della vestaglia e vi inserisse le mani con un sospiro. Se la seta era morbida, la sua pelle lo era di più. Gli sembrava di sfiorare una perfetta scultura di marmo, solo tenera e soffice. Il suo calore ed il suo profumo l’inebriarono. Con un rapido gesto fece cadere l’indumento ai loro piedi.
“Meglio.” – le sospirò sul collo. Un morso. Un bacio. Le lingue iniziarono una nuova battaglia.
La cinse con un braccio, sollevandola fino a farla sedere sul tavolo, mentre con l’altra mano era salito a carezzarle il seno pieno.
Sapere che non aveva mai invitato nessun altro a casa sua l’aveva ubriacato, quasi avesse confessato che era stato il suo primo uomo.
Saeko aveva abbassato il volto e gli stava mordendo dolcemente il petto con i suoi piccoli denti, mentre l’uomo si inseriva tra le sue gambe.
Le mani sulle ginocchia corsero lungo le cosce tornite per avvicinarsi ai fianchi. Era così bello toccarla e farla fremere perché sembrava non essere mai sazia: le mani sul suo petto, sulle spalle, tra i suoi capelli, sull’addome… nei suoi boxer!
Non riuscì a contenere un gemito mentre veniva liberato da quell’ostacolo.
“Signorina Mitsuki! Quale impudenza!”
Sorrise sulle sue labbra, mentre incrociava le caviglie sulla sua schiena e lo induceva ad entrare in lei.
Pronta a chiedere e a dare.
Si inarcò sul tavolo, i capelli lucenti ne sfiorarono il piano, movendosi in leggere onde armonizzate con le loro spinte. Appoggiati sul piano, si possedettero piano, dolcemente, a lungo. I gemiti uniti, i respiri affannati, i movimenti lenti, veloci, sensuali. Si penetrarono a vicenda, sempre più profondamente, fino a godere di quell’attimo in modo tanto assoluto da doversi aggrappare l’uno all’altra per non cadere.
Ripresero fiato.
“Sarei sfacciato, se ti invitassi a cena?” – le chiese. Era stato tentato di autoinvitarsi a pranzo, ma le aveva appena promesso di non invadere i suoi spazi.
Un lampo indecifrabile le attraversò lo sguardo.
“Non vuoi rimanere ancora un po’?” – era insicurezza? Possibile?
Si sfiorarono in viso, come fosse un nuovo modo di conoscersi.
“Non chiederei di meglio.”
“Allora, resta!”

Quello stesso pomeriggio, il vecchio imperatore Takamiya rintracciò Masumi.
“Abbiamo un problema.” – gli disse schiettamente.
“Cosa succede?”
“Meglio parlarne di persona. Vieni domani da me, di buon’ora. Ne discuteremo meglio. Ah! Sta’ tranquillo, niente che non si possa risolvere!” – e riattaccò.
Masumi guardò Maya dall’altra parte della stanza che lo interrogava sul contenuto della telefonata.
“Niente di importante” – rispose – “Affari.” – rincarò.
La vide scrutarlo e comprese che non l’aveva ingannata, ma che non avrebbe neanche insistito. Lo conosceva troppo bene ormai. Non sapeva se preoccuparsene o esserne felice.
Il mattino seguente si recò a Villa Takamiya. Non erano ancora le otto quando arrivò. Tuttavia trovò Shiori e suo nonno ad attenderlo.
“Allora?” – chiese impaziente.
“Vieni nello studio.” – lo invitarono.
Ne uscì dopo un paio d’ore: uno sguardo carico d’odio e di preoccupazione.
Fortuna! Fortuna aveva trovato due potenti alleati, altrimenti sarebbe stato spacciato.
Avevano discusso a lungo su come procedere e alla fine avevano deciso.
Avrebbero fatto in modo che i fatti si svolgessero come previsto e, alla fine, avrebbero comunque vinto.

Dopo la telefonata della sera prima, Masumi aveva perso la sua serenità. Le aveva detto che si trattava di affari, ma non era possibile: si erano sposati da poco più di un giorno e non si sarebbe fatto rovinare il momento da una questione di lavoro, non suo marito.
Tuttavia, sposandolo aveva scelto di fidarsi e, se lui riteneva di non poterle dire nulla, l’avrebbe accettato.
Quella mattina era uscito prestissimo, lasciandole un bacio lieve sulle labbra, convinto che dormisse.
Maya aveva aperto gli occhi quando aveva sentito chiudersi la porta della camera.
“Cosa sta succedendo?” – chiese, ormai solo a se stessa.
Passarono più di tre ore prima che tornasse.
Nel frattempo si era rinfrescata, aveva cercato di fare un po’ d’ordine nella stanza e fatto colazione. Aveva infine telefonato a Rei, per scusarsi ancora di non averle detto nulla ed accertarsi che non ce l’avesse con lei.
Aveva da poco abbassato il ricevitore quando udì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi con uno schiocco secco.
Si voltò e lo vide.
Un sorriso aleggiava sulle labbra, ma non riusciva ad arrivare agli occhi che avevano perso il calore del giorno prima.
Un tremito la colse al cuore.
Non sono affari! Non sono affari! Cosa mi nascondi? C’entra tuo padre? Solo per lui hai quegli occhi!
Ma doveva tener fede ai suoi propositi: gli si avvicinò calorosa. Non aveva paura di quello sguardo freddo, non più.
Lo abbracciò stretto alla vita, nascondendo il volto nel suo petto. Gli stette vicina al cuore finché non sentì le sue braccia stringerla talmente forte da mozzarle il respiro. Sembrava quasi che si aggrappasse a lei.
Se aveva bisogno del suo appoggio, non gliel’avrebbe negato.
Se non poteva donargli altro, sarebbe stata il suo scoglio nella tempesta.
Si sentì sollevare tra le braccia e portare verso il letto.
Quasi si gettarono nel letto e, mentre lo guardava ammaliata, suo marito si tolse freneticamente la giacca e la cravatta, si slacciò i primi bottoni della camicia rivelando la pelle di miele del torace.
Muto, le si affiancò.
Le prese il volto tra le mani e si tuffò sulle sue labbra morbide ed accoglienti. La invase, con apprensione, con amore, con disperazione. Le mani corsero alla leggera vestaglia che indossava.
Gliela strattonò, togliendola.
Aveva bisogno di lei e del suo calore. Questo comprese Maya e si lasciò andare.

Nel tragitto di ritorno all’albergo, Masumi si era ripromesso di non rivelare nulla a Maya, ma quando era entrato e l’aveva scorta ad attenderlo la rabbia aveva ripreso il sopravvento. L’aveva salutata con un sorriso, ma non l’aveva ingannata perché gli si era avvicinata e l’aveva abbracciato silenziosa. Era rimasto un attimo interdetto e poi aveva ricambiato la stretta, bisognoso di sentire il suo amore, la sua forza ed il suo cuore.
L’aveva presa in braccio. Si era spogliato parzialmente, guardandola sempre negli occhi. Non le aveva detto una parola, ma aveva capito. Che le stava nascondendo qualcosa, che non erano ‘affari’. E, nonostante tutto, l’aveva accolto senza domande. Si era fidata del suo giudizio. Non la meritava.
“Non ti merito.” – si lasciò sfuggire con voce rotta dai sospiri, mentre le sfilava la vestaglia con forza e toccava nuovamente la sua pelle.
Le baciò il collo, la morse, mentre le sue mani fameliche ripercorrevano quel piccolo angolo di paradiso.
“Non pensarlo mai!” – si sentì rispondere, prima che le sue tenere mani dirigessero le sue labbra sulle proprie – “Io sono te; tu sei me.”
Fu un bacio pieno di calore, ma privo di tenerezza, ansioso, timoroso, quasi struggente. Un bacio nuovo.
“Io sono solo per te.” – ribadì ancora. E ritrovarono un po’ della loro dolcezza, quella delle labbra e dei cuori.
Sentì le sue mani finire di slacciargli la camicia ed appropriarsi del suo petto e della schiena.
Masumi le morse la tenera pelle della clavicola e dei seni. Le sue mani strinsero e soggiogarono la sua carne fremente.
Maya corse alla sua cintura. Armeggiò anche con i pantaloni, prima di liberarlo.
L’uomo gemette al suo tocco delicato.
“Amami…” – gli sussurrò sulle labbra – “Ne ho bisogno.”
“Ragazzina…” – Come puoi conoscermi tanto? Sono io ad aver bisogno di te!
Insinuò un dito nel suo calore, strappandole un gemito e trovandola già pronta.
La penetrò. Senza finirsi di spogliare, desideroso solo di essere di nuovo a casa.
Si mossero velocemente, sempre di più.
Si unirono con fame e disperazione. Comprensione e generosità.
Masumi rimase aggrappato a lei, in silenzio.
 
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view post Posted on 5/9/2013, 18:08
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CAPITOLO 38

“Maya, ci sono delle cose di cui non posso parlarti, ma qualsiasi cosa accada, non temere. Risolveremo tutto.” – lo disse d’un fiato, prima che se ne potesse pentire. Glielo doveva, anche se non poteva essere più esplicito.
Il tempo sarebbe passato velocemente e tutto sarebbe finito, pensò amaramente Masumi.
Si era illuso che suo padre si sarebbe arreso con il matrimonio fallito, ma era stato cieco. Aveva voluto essere cieco. Lo aveva umiliato pubblicamente: non avrebbe rinunciato alla sua vendetta.
Fortunatamente non si era trovato solo. O non sarebbe stato tanto ottimista.
Guardò Maya negli occhi: era preoccupata, lo vedeva, ma allo stesso tempo si sforzava di essere fiduciosa. La strinse a sé. Era ancora semivestito. Nonostante tutto, l’aveva accolto come sempre. Aveva ragione la sua ragazzina: erano fatti l’uno per l’altra.

Hijiri era da poco tornato nel suo appartamento, quando il suo cellulare prese a vibrare.
Pensò fosse Saeko. Sorrise.
Rispose, ma all’altro capo della linea la voce del suo principale lo fece tornare alla realtà: il momento era critico e dovevano trovare una soluzione. Presto.
Si diedero appuntamento per la mattina successiva.
Karato si tolse la giacca, slacciò i polsini arrotolandosi la camicia appena sopra i gomiti e, preparandosi un drink, si diresse alla finestra del soggiorno.
Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, l’ora in cui avrebbe dovuto proteggere Masumi da suo padre e ne fu felice: significava che suo ‘fratello’ stava vivendo finalmente la vita che voleva, smarcandosi dal volere del genitore.
Aprì l’anta e respirò la fredda aria di fine novembre. I lampioni della città nascondevano il cielo, ma sapeva che grosse nuvole pesanti si rincorrevano oltre la cupola della metropoli.
Il pensiero corse alla donna con cui aveva passato gli ultimi due giorni. Erano stati soli, amandosi fino allo sfinimento, tremando, parlando, rabbrividendo, sussurrando, unendosi e respirandosi. Si erano salutati senza alcuna promessa di rivedersi, come si conveniva a due adulti disillusi quali erano loro. Ma Hijiri sapeva. Sapeva che l’avrebbe cercata ancora. Sapeva che non voleva dimenticarla. Non avrebbe fatto a meno della sua pelle, della sua passione, dei suoi occhi indagatori e seducenti, delle sue mani su di sé, delle sue gambe attorno ai suoi fianchi. No, non avrebbe rinunciato a lei. L’avrebbe corteggiata, se fosse stato necessario, ma l’avrebbe convinta ad accettarlo.
L’unico suo cruccio era la sua esistenza-ombra: lo era sempre stato e, per questo, non aveva mai avuto relazioni lunghe. Questa volta invece… questa volta voleva tentare.
Chiuse la finestra, si preparò per la notte e si stese nel letto. Si rilassò lasciando che il sonno gli conquistasse le membra.
Il giorno successivo si presentò puntuale all’appuntamento. Masumi non era ancora arrivato. Il parcheggio era deserto a quell’ora del mattino. Attese solo pochi minuti prima che lo sportello del passeggero si aprisse ed il suo ospite si sedette al suo fianco con sguardo truce.
“E’ tanto grave la situazione?”
“Operativamente potrebbe essere peggio: almeno sappiamo a cosa andiamo incontro.”
“Ma?” – gli chiese.
“Ma… non voglio parlarne a Maya. Non voglio che si preoccupi.” – il tono era secco, quasi lo scocciasse farsi vedere in ansia per la sua sposa.
“La signora Maya si preoccuperà comunque. Lo sai, vero?”
“Sì.” – sospirò – “Lo so. Non ha detto nulla, ma sa che c’è qualcosa che non va.”
Un lieve sorriso aleggiò sulle labbra del suo collaboratore.
“Stupefacente!”
“So che me ne pentirò, ma te lo voglio chiedere comunque. Cosa è ‘stupefacente’?”
“Che la signora Maya riesca già a leggerti dentro, quando ha dovuto attendere oltre sette anni per riuscire a romperti la maschera.”
“Una volta tolta, è difficile rimetterla al suo posto…” – ammise mestamente. Nella situazione in cui si trovavano, gli avrebbe veramente fatto comodo poter indossare ancora la sua bella maschera con sua moglie. Decise almeno di vendicarsi per la velata presa in giro dell’amico – “Sei sparito per due giorni… ti sei divertito?”
Hijiri sentì un lieve rossore traditore salirgli alle gote.
“Beh… mi sono rilassato, sì.”
“Già, anch’io mi sono ‘rilassato’!”
Se non fosse stato presente, non avrebbe mai potuto credere che Masumi stesse facendo quel tipo di allusioni. Cosa gli era successo? Era stata Maya a renderlo tanto spontaneo?
“Sai?” – continuò – “Anche la mia segretaria si è assentata dall’ufficio negli ultimi giorni. Chissà se si è ‘rilassata’?!”
“Speriamo.” – Accidenti! E credeva di essere stato attento. Saeko non gliel’avrebbe fatta passare liscia se avesse scoperto che il suo principale sospettava il loro segreto.
Masumi, dal canto suo, si godeva lo spettacolo del suo uomo-ombra imbarazzato e sospettoso. Naturalmente non aveva certezze al riguardo, ma al ricevimento del suo matrimonio aveva notato come molto spesso i due fossero intenti a parlottare. Solo ora i suoi sospetti stavano prendendo forma. Decise di soprassedere e tornare al motivo dell’incontro.
“Eisuke ha ingaggiato uno yakuza che conosce per farmi fuori. Un incidente. Qualcosa di pulito.” – sembrava parlasse dell’ultimo spettacolo teatrale della più infima casa di produzione.
“E’ più grave di quanto pensassi! Non sarà semplice contrastare uno yakuza e la sua famiglia da soli e fermare definitivamente Eisuke.”
“Ascoltami…” – ed iniziò ad esporgli quella che era stata la sua idea.
Il suo progetto era audace, avventato, ma avrebbe funzionato. Doveva funzionare.

Mancava ancora qualche giorno prima che i risultati dell’operazione al cervello fossero noti. Ayumi era ancora ricoverata nella clinica e Peter passava con lei la maggior parte del tempo. Gliene era grata o sarebbe stato impossibile controllare la tensione che le attanagliava il cuore. A volte, nella notte, si svegliava di soprassalto, in preda agli incubi. Spesso si lasciava prendere dal timore che avrebbe dovuto passare il resto della sua vita in quelle condizioni: non poteva pensare di vivere nel buio perenne. Mai come in quei giorni sperava che l’operazione fosse riuscita. Anche in quei momenti bui, però, non si pentiva della scelta fatta di attendere la competizione con Maya. Peter l’aiutava a superare le sue angosce. Non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza. Avrebbe passato la vita ad amarlo perché finalmente il suo animo l’aveva riconosciuto ed accettato.
Negli ultimi due giorni, però, una notizia l’aveva entusiasmata: il lunedì mattina sua madre si era precipitata nella sua camera ansimando: “Ieri… Masumi Hayami si è sposato!”
Ayumi, già sconvolta dall’atteggiamento della madre che aveva spalancato la porta perdendo il suo aplomb, tentò di calmarla.
“Sì, lo so mamma. Ci aveva invitato, no? Dov’è la novità?”
“Si è sposato con Maya!”
E fu come se uno spettacolo pirotecnico le esplodesse in testa.
Maya ha sposato Masumi Hayami.
“Ma cosa dici, mamma? Il signor Hayami doveva sposarsi con la signorina Takamiya!”
“No! Tokyo News ha riportato la notizia… con tanto di foto!”
Ayumi schiuse le labbra per lo stupore.
“Leggimi l’articolo, te ne prego!”
Sua madre, ancora trafelata, cercò di ricomporsi e le lesse l’ormai famoso articolo di Mikami Aki.
“Ecco perché Maya teneva tanto a che andassi al matrimonio del signor Hayami… non ci posso credere! Peter aveva ragione!”
“In che senso?” – chiese attonita Utako.
“Quando ricevemmo l’invito, mi ha detto che secondo lui non si odiassero affatto, ma che, anzi, mostrassero uno strano attaccamento.”
“Si sono danzati intorno per anni senza mai trovare un punto d’incontro. Hanno rischiato di rimanere lontani per sempre” – concluse allora sua madre.
“Già…” – da quel momento Ayumi non aveva più espresso alcuna opinione sulla sua amica. Sapeva solo che non intendeva lasciarsi scappare l’uomo che amava.
Maya le aveva dato un’altra lezione di vita.
Quando quel giorno era giunto il fotografo, l’uomo l’aveva abbracciata stretta.
“L’hai saputo?” – le aveva chiesto.
“Del matrimonio? Sì…”
“Avevo ragione, ma chérie!” – sogghignò.
“Non potevi trattenerti dal farmelo presente, nevvero?”
“Jamais! Troppo divertente…” – e l’aveva baciata come era solito fare.
Un leggero tocco di labbra prima, come ad avvisarla; le mani ad incorniciarle il volto per modellarla; la sua calda passione per incendiarla.
“Quando sarai fuori di qui, andremo a trovarla!”
“Non parlare!”

Nella capitale, Shiori Takamiya stava lavorando nei suoi nuovi uffici ricevendo rappresentanti commerciali di alcune delle maggiori case produttrici di articoli matrimoniali: abiti da sposa e da cerimonia, bomboniere, confetti, partecipazioni. Masumi aveva avuto ragione: nominare la sua agenzia nell’articolo del suo matrimonio aveva destato molto interesse. Già dalla prima mattina del lunedì la sua segretaria aveva ricevuto richieste d’appuntamento. Sarebbe stata impegnata per tutta la settimana, collezionando cataloghi, campionature e depliant di pittoreschi scenari. Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il suo ex-fidanzato. Quando quella mattina si era alzata dal letto e si era specchiata aveva visto una donna felice: volto riposato, sguardo brillante, sorriso sulle labbra.
L’unico neo in quei giorni era stato conoscere le mosse di Eisuke. Ormai vedeva la realtà com’era: sapeva che suo nonno in passato aveva avuto rapporti di ‘collaborazione’ con una potente famiglia yakuza. Fortunatamente non era stato niente di sanguinoso, solo uno scambio di favori finanziari. Quella stessa famiglia aveva fornito ad Eisuke favori di tutt’altro genere. Come le aveva raccontato suo nonno, però, lui era stato in grado di intessere un rapporto di reciproco rispetto con il capofamiglia. Proprio questo rapporto gli era valso il favore di essere messo al corrente dei movimenti di quello che era stato il suo migliore amico.
Non poteva fare a meno di ricordare lo sguardo crudo di Masumi mentre apprendeva ciò che suo padre aveva orchestrato.
“Perdonami, se mi sono immischiato.” – aveva concluso il vecchio imperatore – “Ma temevo che quel vecchiaccio non si sarebbe arreso ed ho allertato coloro a cui sapevo si sarebbe rivolto.”
Masumi si era inchinato profondamente.
Mai Shiori l’aveva visto fare un gesto simile davanti a qualcuno, neanche quando era stato liberato dal contratto matrimoniale.
“Le sono grato, anzi. Senza di lei, signore, sarei stato una vittima inconsapevole e Maya sarebbe stata perduta.”
“Masumi… quanto sei diverso da tuo padre!” – aveva sospirato rassegnato.
Il giovane non aveva fiatato. Cosa c’era da dire in fondo?
Shiori non si capacitava di come un padre potesse arrivare a voler morto il proprio figlio. Certo, Masumi non era biologicamente suo figlio, ma Eisuke l’aveva cresciuto ed educato come riteneva giusto. Come era possibile che non l’amasse? Che anzi l’odiasse tanto da ucciderlo solo perché aveva rincorso la propria felicità? Ogni volta che il suo pensiero correva a lui e a quello che stava subendo le venivano quasi le lacrime agli occhi ed un velo di tristezza le copriva il volto.
Guardò la donna che le sedeva di fronte: le stava presentando il catalogo di abiti da sposa di cui disponeva assicurandole che ogni capo sarebbe stato eseguito su misura ed, eventualmente, adattato alle esigenze della cliente. Era una donna curata, elegante. Stavano discutendo delle condizioni di vendita da ormai venti minuti ed avevano trovato un accordo su quasi tutto.
Erano in procinto di chiudere l’incontro quando il suo telefono squillò. Era la sua segretaria, assunta su indicazione di Masumi tra le migliori addette alla direzione della Daito.
“Sì, lo faccia passare. La signora Uehara sta uscendo.”
La signora in questione colse il messaggio e iniziò a riporre le proprie cose preparandosi a lasciare l’ufficio. Uscendo, incrociò un elegante quarantenne, alto, carnagione e capelli scuri, fisico asciutto ma muscoloso. Chiunque si sarebbe girato per ammirarlo. Lei non fece eccezione, riservandogli uno sguardo ammiccante e sfiorandolo appena con la spalla mentre si contendevano la porta d’ingresso.
Shiori, con un sorriso smagliante in volto, notò lo sguardo della Uehara e ne fu leggermente infastidita. Inarcò un sopracciglio mentre porgeva la guancia ad Aki per un bacio.

Il giornalista si era svegliato quella mattina con l’insaziabile desiderio di vederla. Erano più di tre giorni che non poteva scorgerla nemmeno da lontano ed era giunto al limite. Indossò una delle sue camicie scure ed un paio di jeans, lasciando sciolti i capelli. Era uscito in fretta ed aveva raggiunto i suoi uffici. Entrando aveva scorto la segretaria ed aveva chiesto di vederla.
“Sarebbe impegnata in questo momento.” – gli aveva risposto algida.
Non si sarebbe fatto abbattere dalla professionalità di un’impiegata troppo zelante.
Aveva sfoderato il suo miglior sorriso e le aveva chiesto di avvisare la signorina che Mikami Aki voleva vederla.
“Vedrà che non la redarguirà!” – aveva concluso.
Con sguardo scettico, la donna, sicuramente vicina ai cinquanta, aveva alzato la cornetta e composto l’interno. Poche parole e aveva riattacccato.
“Può entrare!” – l’aveva informato.
Il giornalista non era riuscito a trattenere un simpatico ghigno osservando la donna tentare di trattenere la stizza. Mani in tasca, si era avviato alla porta della donna che gli aveva tolto il sonno.
Entrò senza bussare ed incrociò un’altra esponente del genere femminile. Questa gli riservò l’accoglienza a cui era abituato: sguardo ammiccante, sorriso suadente. Aki la salutò con un cenno del capo ed uno stiramento di labbra che sperò fossero interpretati correttamente.
Si diresse verso Shiori sentendo ancora lo sguardo della donna su di sé: accidenti!
I suoi timori vennero confermati quando l’oggetto dei suoi desideri gli porse la guancia. Stette al gioco, prolungando al massimo il contatto con quella pelle fresca, ma quando la donna si accinse ad allontanarsi fu più veloce e la trattenne, afferrandole il mento con due dita e girandole il volto fino a fissarla negli occhi.
“Come mai tanta freddezza?”
“Lo sai…” – iniziò, per poi cercare di correggere il tiro – “Sono in ufficio, potrebbe entrare chiunque.”
“Risposta sbagliata. Con quel cerbero in forma umana che ti ritrovi come segretaria non potrebbe entrare nemmeno una mosca senza che tu ne sia informata. Ritenta!”
“Pensavo non volessi dare una cattiva impressione alla ‘signora’ Uehara.”
“Sei una bambina cattiva, lo sai?” – le chiese fra il serio ed il faceto – “Non ti vedo e non ti sento da giorni, non dormo la notte per la voglia di vederti, vengo da te e non mi dài neanche un bacio?”
L’uomo avvicinò leggermente le sue labbra a quelle morbide della donna che le aveva dischiuse, stupita.
“Ho visto come ti guardava!”
“E hai anche visto come guardo te e non ho guardato lei?”
“Sì…” – ammise alla fine.
“Sei bella anche quando sei gelosa!” – le labbra erano ad un soffio.
“Non sono gelosa!” – adorava perfino quello sguardo stizzito in lei.
“Certo!” – acconsentì, baciandola finalmente.
Tanti piccoli tocchi, delicati come le ali di una farfalla. La mano si spostò sulla nuca, sfiorandole i corti capelli, mentre l’altra le cinse la vita sottile. L’incontro di labbra si approfondì con l’abbraccio: i loro corpi erano uniti ora, con le braccia di lei che gli avvolgevano la schiena.
“Mi sei mancata.” – le sussurrò tra un bacio e l’altro.
“Perdonami.” – gli rispose. La voce improvvisamente velata dalla tristezza.
“Cosa c’è?” – chiese, allontanandosi senza però interrompere il contatto.
Shiori sollevò una mano per toccargli la leggera barba incolta.
“Masumi… è in pericolo.” – disse solo.
Mikami trasse un profondo respiro e le si sedette di fronte. Guardò Shiori appoggiarsi alla scrivania e guardarlo.
“Racconta.” – la sollecitò accavallando le gambe.
“Non posso dirti come faccio a saperlo. Sono cose che riguardano mio nonno.”
“Dimmi cosa sai, allora.”
“Eisuke… Eisuke Hayami ha commissionato il suo omicidio alla yakuza!”
Forse impallidì in quel momento. Rilasciò le gambe, protendendosi verso di lei.
“Come dici? Come è possibile?”
La vide scuotere la testa sconsolata.
“Ce lo stiamo chiedendo tutti. Sapevamo che era spietato… ma fino a questo punto… pensavamo avrebbe tentato qualcosa a livello finanziario. Eravamo pronti a tutto.”
D’un tratto Aki comprese il reale coraggio dimostrato dal giovane Hayami. Per amore di sua moglie, per non sacrificare se stesso ed il loro rapporto, aveva messo a repentaglio perfino la sua vita. Indurì lo sguardo: Eisuke Hayami meritava una lezione.
“Cosa facciamo?” – chiese sicuro.
La donna lo guardò grata. Aveva forse dubitato della sua partecipazione? Un sospiro, poi:
“Grazie… per ora il tuo aiuto serve a me: questa situazione mi sta mandando nel panico.” – affermò abbracciandolo. Un altro sospiro per poi continuare – “Il nonno sta mettendo in atto un piano con Masumi. Vogliono sventare l’attentato e rendere innocuo Eisuke. Non sarà facile, ma sembrano ottimisti.”
Il giornalista si alzò, accogliendola nel petto.
“E io, io cosa posso fare?”
“Ne parlerò con loro. Già la tua penna è stata un’arma potente. Sono sicura che troveremo un modo per mettere a frutto il tuo talento.” – concluse alla fine, beandosi del suo calore.
“Devi ancora lavorare?”
“Perché?”
“Non hai ancora imparato…” – evidenziò, mordicchiandole le labbra.
“Volevo solo sapere cosa avevi in mente.”
“Ti rapisco!” – senza se e senza ma.
“Avviso la segretaria!”
“Già, un vero mastino, tra parentesi.” – un sorriso birichino fece capolino sul volto della donna.
“La Daito ha sempre elementi interessanti nel suo organico.”
“Tzè… colpa mia ad aver sollevato l’argomento.”
L’uomo girò per la stanza luminosa in attesa che si liberasse, poi presala per mano la trascinò all’aperto sotto lo sguardo stupito del cane da guardia.

In quello stesso momento, un Eisuke Hayami estremamente soddisfatto pregustava il sapore della vendetta che sarebbe stata completa alla fine della settimana. Masumi aveva annunciato quella mattina una conferenza stampa per la domenica. Mancavano solo tre giorni, ma già immaginava che tutte le testate giornalistiche e le televisioni non si sarebbero perse per nulla al mondo un tale evento: sarebbe stata la sua prima apparizione pubblica dopo il matrimonio e la sua ribellione. Il coraggioso Masumi Fujimura che si mette contro il cattivo! Peccato non sapessero che la maledizione della Dea Scarlatta l’avrebbe punito subito dopo per quell’affronto.
Quella mattina aveva chiamato gli avvocati ed aveva definito gli ultimi dettagli per la sua estromissione dagli affari di famiglia. Alla fine era stato semplice revocargli tutti i poteri visto che non era più suo figlio: gli aveva fatto un enorme favore rinunciando al suo cognome. Avrebbe potuto fare il magnanimo e lasciarlo morire come niente fosse stato, ma non voleva rapportarsi con la vedova inconsolabile.
Chiamò il suo autista. Voleva andare alla Daito. Aveva ancora una faccenda da risolvere. Una faccenda piacevole. Si avviò con la carrozzina all’ingresso della villa e si fece aiutare dal cameriere per salire in auto. Sarebbero stati sorpresi di vederlo in azienda. Forse solo un componente della sua organizzazione poteva prevederlo, ma sperava vivamente di sorprenderlo.
Il tragitto fu breve. Arrivato di fronte all’ingresso, l’autista l’accompagnò nell’atrio. Appena le porte in cristallo scorrevoli fecero largo e le centraliniste notarono la sua presenza sentì l’aria farsi frizzante. Improvvisamente tutti i suoi dipendenti si inchinarono profondamente, lasciandosi andare ad apprezzamenti non richiesti sulla sua persona ed assicurazioni circa la loro lealtà nei suoi confronti.
L’uomo non aveva dimenticato l’ambiente stucchevole in cui aveva lavorato per tanti anni, ma rimase comunque stranito dal non trovarlo più soddisfacente come una volta. Infastidito da quella strana sensazione si diresse agli ascensori senza degnare nessuno di uno sguardo: impettito, il mento alto, gli occhi brillanti di orgoglio. Il suo portamento faceva quasi dimenticare che fosse ancora sorretto dal suo autista. Entrato nel vano rivestito di specchi salì fino alla presidenza.
Trovò ad attenderlo un atrio stranamente vuoto. Solo la scrivania della segretaria era occupata dall’immancabile Saeko Mitsuki.
Nessuno attendeva con trepidazione di incontrare il potente Masumi Hayami.
Nessuno passeggiava ansioso davanti alla sua porta.
Nessuno sedeva nervosamente incapace di rimanere immobile sui vuoti divani in pelle.
Il fiacco sole pomeridiano illuminava un ambiente desolato.
Al suo ingresso, la donna si alzò in piedi di fianco alla sua postazione ed accennò un leggero inchino: già, c’era un motivo se aveva voluto che affiancasse suo figlio nella direzione della Daito. Saeko Mitsuki era intelligente ed intuitiva, ma anche orgogliosa. Aveva dato la sua fedeltà a Masumi. L’ammirava e, per questo, non poteva permettersi di mantenerla all’interno delle sue aziende.
La guardò sostenuto mentre le ordinava di seguirlo nell’ufficio del presidente. Posizionatosi dietro la scrivania la fissò per parecchi minuti sperando di scorgere un tentennamento, un lieve tremito, un dubbio. La donna continuò a guardarlo da dietro le lenti ambrate come se davanti si trovasse l’ultimo degli impiegati. La schiena eretta, le mani giunte sul davanti.
“Nessun blocco per appunti quest’oggi, signorina Mitsuki?” – esordì.
“Ne ho ancora bisogno?” – gli chiese di rimando.
Una risata cancellò il tono cordiale che aveva fatto inizialmente trapelare.
“No, ha ragione. Sa perché sono qui, giusto?”
“Immagino non possa permettersi di lasciare la Daito senza una guida, né possa lasciare che sia io ad affiancare la persona che sostituirà il signor Masumi…”
“Il signor Masumi… già, come pensavo. Naturalmente ha ragione. Su tutta la linea. Le concedo due giorni per istruire la persona che la sostituirà circa i suoi compiti e da lunedì la voglio fuori da questo edificio.”
“Naturalmente.” – non un sussulto, non un sospiro.
“Quanta parte ha avuto lei nell’obbrobrio a cui ho assistito la scorsa domenica?”
“Obbrorio, dice? Allora non capisco di cosa stia parlando. Io sono stata ad un matrimonio e devo dire che mi sono anche divertita.” – gli rispose pacatamente.
L’ira lo colse, finalmente.
“Che divertimento c’è nel mandare a rotoli il lavoro della ‘mia’ vita per soddisfare uno stupido sentimento tanto passeggero come l’amore? Risponda!” – quasi gridò, alzandosi in piedi e sbattendo entrambe le mani sul piano lucido della scrivania.
“Se è tanto passeggero come lei dice, signor Hayami, come mai nella sua vita ha sempre rincorso Chigusa Tsukikage ed i suoi diritti?”
“Quella è sete di potere, non amore!”
“Ha ragione lei naturalmente. Non è amore. Ma sicuramente non è stata nemmeno sete di potere.”
Quella donna gli avrebbe fatto commettere un crimine se non si fosse calmato. Si riaccomodò sulla poltrona di pelle.
“Non sono qui per discutere con lei delle mie motivazioni. Non ha risposto alla mia domanda, comunque.”
“Non la ricordo più!”
“Ne dubito, signorina. Non l’ho messa a fianco di mio figlio perché dimenticasse quello che le veniva detto.”
“Non ho avuto alcun ruolo nel matrimonio di suo figlio.” – mentì.
“Certo, come no! Lo scoprirò comunque, lo sa vero?”
“Faccia come vuole” – concluse lei, avviandosi alla porta – “Mi mandi su la persona che dovrà sostituirmi, la istruirò sui suoi compiti e poi me ne andrò.”
La porta si chiuse alle sue spalle ed Eisuke sbatté un pugno sulla scrivania.
Maledizione! Cos’avevano tutti al posto del cervello? Aria?! Amore, amore, amore. Non ne poteva più. L’amore non esisteva e se esisteva non era nell’accezione salvifica e paradisiaca che tutti sembravano supporre. Chigusa Tsukikage aveva sofferto tutta la vita, per amore. Anche prima che lui si facesse avanti. Suo figlio era corso dietro ad un’illusione per sette anni ed ora? Aveva abbandonato i suoi progetti, il suo potere e lui per cosa? Entro qualche anno quell’insulsa ragazzina si sarebbe stancata e sarebbe passata a rotolarsi in un altro letto. Allora cosa sarebbe rimasto di Masumi Fujimura? Niente!
Gli sovvenne in quel momento che, in ogni caso, non sarebbe rimasto niente di quell’uomo e della sua esistenza. Solo quel pensiero riuscì a rimetterlo di buonumore. Sollevò il telefono e parlò qualche minuto con il responsabile del personale. Individuata l’impiegata che poteva essere in grado di sostituire passabilmente la Mitsuki, lo invitò nel suo ufficio. Dovevano trovare anche un sostituto temporaneo per ricoprire la sua poltrona e definire il comunicato stampa per tranquillizzare gli investitori che la Daito Art Production avrebbe continuato la strada della crescita patrimoniale come era stato fino a quel momento.
 
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view post Posted on 18/9/2013, 17:26
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CAPITOLO 39
Shiori seguì Aki senza protestare per le strade di Tokyo. Il vento gelido di fine novembre le filtrava nel pesante tessuto del cappotto ma non lo sentiva, riparata dal braccio dell’uomo sulle sue spalle. Camminarono speditamente per circa un’ora lasciando Shinjuku ed avvicinandosi al parco di Chiyoda. Entrarono al National Museum of Modern Art. L’uomo la guidò all’esposizione permanente illustrandole i capolavori dei pittori nipponici dell’inizio del Novecento. Shiori si incantò osservando le “Case di Nara” di Hayami Gyoshu. Chissà se Masumi conosceva quel pittore omonimo che aveva adorato Nara come lui stesso. Ricordava bene il suo sguardo perso in quel periodo. Sapeva che era dovuto a Maya, ma credeva che anche l’antico borgo e la foresta sacra avessero avuto il loro ruolo. Osservò con trasporto anche la “Dea Kannon che cavalca il drago” di Harada Naojiro. Gli sfumati e le tenui tonalità dei colori coniugavano la solennità dell’animale mitico con la dolcezza della divinità.
La donna riconobbe per l’ennesima volta di aver trascurato molti aspetti in vita sua. Non era mai andata ad una mostra per il piacere di farlo. Sempre, sempre era un discorso prettamente relazionale. Si girò a guardare l’uomo che l’accompagnava: non aveva intenzione di perderlo. Sperava che i loro sentimenti durassero a lungo. Si sarebbe impegnata per fare in modo che quel piccolo germoglio divenisse una forte quercia. Vinta dall’emozione dei suoi propositi, avvicinò il proprio volto al suo e depose un piccolo bacio sulla sua guancia ruvida. Vide Aki guardarla, stupito di quella carezza inaspettata e, dopo un attimo di indecisione, trarla a sé. Silenziosamente continuarono il giro. Ognuno perso nei propri pensieri si avvicinarono all’uscita: era quasi l’orario di chiusura ormai.

Mikami non voleva lasciarla andare. Dopo quella lieve e gradita carezza, non era riuscito ancora a rivolgerle la parola. Quella piccola iniziativa l’aveva emozionato, fomentando la sete di lei. Avrebbe trovato il modo di prolungare la serata.
Si derise. Quando mai si era fatto dei problemi ad invitare a cena una donna? Con un sorriso sulle labbra ricordò che di sicuro non era stato timido con lei, finora: l’intervista rubata; il loro primo bacio, rubato anch’esso; l’invito a cena in cui gli aveva confessato di non essere più fidanzata da tempo; la premiazione per la Dea Scarlatta; la cena a casa sua. Quei ricordi, uniti alla passione che lo bruciava, gli restituirono la sua spavalderia.
La prese per mano e la tirò lungo il marciapiede. Quando arrivarono di fronte al ristorante che aveva in mente l’abbracciò e le sussurrò all’orecchio: “Tesoro, avvisa casa tua perché stasera non ti lascio andare!”
Vide il rossore prevaderle il volto.
“Te l’avevo detto che ti avrei rapita! – rincarò – “Entriamo, dài!”
La sentì ferma sul posto. Si girò a guardarla e la trovò impalata, ancora rossa in volto, i capelli al vento, le labbra socchiuse.
Non resisté. Le pose una mano sulla nuca e la baciò famelico. Ogni suo atteggiamento, ogni sguardo, ogni sorriso sembravano essere stati creati per soggiogarlo.
Dopo vari minuti, poggiò la fronte sulla sua.
“Tranquilla, stavo scherzando!”
“Vuol dire che non mi rapirai?” – eccola di nuovo. La baciò ancora, divertito dal tono deluso che aveva assunto.
“Farò solo quello che vorrai…”
“Sei impossibile!” – e si fiondò nel ristorante.
La seguì sorridendo ed infilando le mani in tasca. Sarebbe stata una serata molto divertente.

Saeko tornò a casa furente. Aveva dato tutto alla Daito e quell’emerito imbecille di Hayami senior l’aveva licenziata come ennesima vendetta verso suo figlio. Se l’aspettava, certo, ma non credeva sarebbe stato tanto veloce.
Si versò un calice di vino rosso e si gettò sul divano abbandonandosi sullo schienale e chiudendo gli occhi. Aveva conosciuto la sua sostituta. Una signora di mezz’età che ambiva al posto che stava lasciando già quando era entrata lei stessa alla Daito. Quella sciocca l’aveva trattata con sufficienza, come se non avesse nulla da insegnarle, come se fosse stato inevitabile che venisse licenziata. Supponeva che fosse un’incapace. Gliel’avrebbe lasciato credere. Chi era, in fondo, per disilludere una sconosciuta?
Sorrise mestamente. Un’unica lacrima le scivolò sul viso.
Avrebbe dovuto cercare un altro impiego senza alcuna referenza: mandando curricula come se fosse appena uscita dall’Università. Bevve l’ultimo sorso del nettare e si riebbe. Scosse la testa, si diresse in cucina ed iniziò a preparare la cena. Mentre i fornelli andavano, si diresse in camera ed accese il portatile. Avrebbe iniziato subito. Non aveva intenzione di darla vinta a quel vecchio.
Cenò con calma e accese lo stereo inserendo ‘Dal Nuovo Mondo’ di Dvoŕàk. Aveva sempre adorato il secondo movimento. Sembrava di vivere un dolce risveglio; la poesia di un paesaggio innevato e silenzioso; la sorpresa del viaggiatore nel valicare un passo di montagna e scoprire la florida valle al di là dei ghiacci. Alzò il volume e si diresse in camera decisa a redarre un curriculum efficace.
Era arrivata quasi alla fine della lettera di presentazione che la sinfonia cessò. Stava per alzarsi e farla ripartire quando le squillò il cellulare. L’afferrò, incerta se rispondere o meno quella sera. Il numero era sconosciuto e stava per gettare l’apparecchio da parte quando le sovvenne che poteva essere Karato.
Rispose, incerta.
“Ciao, come stai?” – le chiese l’uomo dall’altra parte.
“Sai che hai rischiato che non ti rispondessi?” – eluse la domanda.
“Perché?”
“Non rispondo agli sconosciuti… e non ero dell’umore.” – concluse, incerta fino alla fine se rivelare o meno quanto successo in quella giornata memorabile.
“Sono d’accordo per la prima, anche perché ora il mio numero non è sconosciuto, non più di quanto non lo sia io.”
“Ne siamo sicuri?” – Saeko sembrò ritrovare un piccolo sorriso. Le faceva sempre venir voglia di flirtare.
“Dimmelo tu… e dimmi anche perché non eri dell’umore adatto.” – sospirò.
“Stai parlando con una futura disoccupata.”
“Eisuke?” – come lei, anche Karato doveva aver valutato quella possibilità.
“Già, … è venuto oggi in direzione. Ho anche tutta la giornata di domani per istruire la mia ‘sostituta’.” – sputò fuori quell’ultima parola come se avesse nominato un nuovo tipo di malattia infettiva.
“Sento che ti sta simpatica…”
“E come potrebbe essere altrimenti? È una dei benpensanti che credono che sia arrivata dove sono ora solo per il mio bell’aspetto!” – la rabbia sembrò tornare a fare capolino.
“Beh… non sono per niente simpatici! Sei molto più che ‘di bell’aspetto’!”
“Sciocco!” – rise.
“Vero anche questo!”
“Ma la smetti? Dovrei essere furibonda ed invece sto qui a ridere con te!” – cercò di assumere un tono irritato, ma non riuscì nemmeno a trattenere le risa.
“Meglio, no?” – concluse lui – “A proposito, l’hai detto al signor Masumi?”
“No… non lo sa nessuno. Non volevo allarmarlo.”
“Oh, non ti preoccupare… saresti solo un diversivo, in questi giorni!” – adesso era l’uomo ad aver assunto un tono schivo ed agitato.
“Che significa?”
“Meglio non parlarne al telefono. Mi inviti?”
“C’è veramente qualcosa di grave che preoccupa il signor Masumi o è solo una scusa per venire a casa mia?”
“Il signor Masumi ha veramente qualcosa di grave che lo preoccupa ed è la scusa per venire a casa tua!”
“Vuoi venire da me?” – chiese in tono fintamente formale.
“Aprimi la porta. Sono in strada!” – si affrettò a concludere lui.
“Sei veramente pazzo!”
Quando Hijiri le raccontò quello che il suo ex-principale stava subendo, dimenticò completamente le sue disgrazie. Chinatasi in avanti, fece scorrere le mani sul volto fino a raccogliersi i capelli sulla nuca.
“E adesso?” – chiese, la sua reazione tanto simile a quella di coloro che già sapevano.
“Abbiamo l’appoggio dei Takamiya. Tramite loro, il signor Masumi sta ideando un piano per riuscire a mettere fuori gioco definitivamente suo padre.”
“Sarà pericoloso?” – chiese ancora, l’ansia sempre presente nella voce.
“Non troppo. Non rischierà la vita.”
“Ma?” – Saeko colse benissimo il tono titubante dell’uomo.
Hijiri si alzò mettendosi alle sue spalle ed iniziò a massaggiarle il collo mentre rispondeva.
“Ma… abbiamo sempre a che fare con la yakuza e non mi fido.”
“Povera Maya… chissà come starà adesso!”
“La signora non sa nulla ancora. Il signor Masumi non ha voluto metterla in ansia.”
“E’ un illuso se pensa che non riesca a capire che c’è qualcosa che non va. È molto maturata negli ultimi mesi, non è più una bambina.” – non poté fare a meno di infervorarsi. Non sopportava quell’atteggiamento d’altri tempi che faceva supporre ad un uomo di proteggere la propria compagna tenendole nascoste delle informazioni.
“Concordo con te…” – cercò però di calmarla l’uomo. Dal collo fece scorrere una mano verso il mento e le alzò il volto.
Un lampo di malizia dovette illuminarle lo sguardo perché Hijiri sorrise mentre lei gli chiedeva sulle labbra ben disegnate se volesse un premio.
“Se negassi, sarei un bugiardo!”
“Non voglio un bugiardo!” – affermò seria, andando ben al di là della battuta.
“Lo immaginavo…” – sospirò piano approfondendo finalmente il bacio.
Aveva desiderato le sue labbra fin da quando si erano salutati il mattino precedente. Agognava di assaggiare ancora quella bocca morbida e succosa, quella pelle liscia come porcellana. Voleva far scorrere le dita tra i suoi lunghi capelli neri come la pece. Voleva annegare nei suoi occhi sinceri che lei sempre celava.
Si appropriò del suo collo, lasciando libere le sue labbra di schiudersi ad un gemito di aspettativa. Percorse la pelle scoperta dall’orecchio fino alla clavicola per poi salire fino alla curva della mascella. Mentre una mano le sorreggeva la nuca, l’altra scendeva leggera verso il suo seno coperto dalla leggera camicetta bianca che ancora indossava dall’ufficio. Riuscì a sentire il suo corpo tendersi anche in quel modo. La donna alzò le braccia dietro il suo collo per incatenarlo a sé. Riprendendo a baciarla aprì piano i bottoncini scuri scoprendo lentamente la sua pelle ambrata ed il reggiseno in pizzo.
Adorava la sua biancheria. Era l’unico capriccio che si concedeva: pizzi e seta dominavano. Quando la vedeva vestita faticava a trattenersi, immaginando cosa potesse indossare sotto il suo tailleur. La mano birichina carezzò di nuovo il seno sentendolo inturgidirsi, scorse verso il ventre, morbido e caldo. Con lievi movimenti circolari la fece rilassare tanto da costringerla ad appoggiarsi completamente allo schienale. Le invase nuovamente la bocca con un bacio famelico. Il fuoco gli bruciava i lombi e lo stesso doveva accadere a Saeko perché quando liberò le sue rotondità accogliendole in mano avvertì un leggero movimento del bacino.
Si sporse in avanti e raggiunse un ginocchio che spuntava da sotto la gonna. In una lenta tortura le sue dita percorsero la tenera carne della coscia fasciata dal collant. Raggiunse il reggicalze, saggiando la sua effettiva morbidezza.
Arrivò alla sua femminilità.
Ancora pizzo.
E seta.
E calore.
Dalle sue labbra quasi fuggì un grido.
“Andiamo in camera.” – le sussurrò.
“Il divano è comodo…” – ribatté ansimante.
Per brevi secondi fu costretto ad abbandonarla. Girando intorno al divano si tolse giacca e camicia, rivelando il petto glabro e muscoloso. I suoi occhi lucenti non l’abbandonarono mai, imprimendosi nella mente il volto arrossato, i capelli adagiati sul suo corpo, la camicetta aperta sul davanti, il seno che si alzava al ritmo accelerato del suo respiro.
Cadde di fronte a lei, cercando ancora le sue labbra. Con le mani le aprì lentamente le ginocchia, scorrendo verso i fianchi e trascinando con sé la gonna che si ripiegò su se stessa.
Più l’assaggiava, meno era sazio.
Scese a morderle il seno florido. La sentì trattenere un ansito.
Le invase l’ombelico. Un gemito sfuggì dalle sue labbra.
Raggiunse il centro pulsante del suo essere. Le mani di lei aggredirono i suoi capelli guidandolo, tenendolo vicino, aggrappandosi a lui.
“Karato!” – quasi urlò, Saeko, perdendosi e ritrovandosi in quelle emozioni.
Quando la baciò ancora sentì il proprio sapore sulle sue labbra e la frenesia di pochi attimi prima si ripresentò.
Tirò l’uomo al proprio fianco. Così com’era, seminuda, lo liberò dei pochi indumenti che ancora gli restavano e si sedette sulle sue gambe.
Lo percorse con le mani e con le labbra; con la lingua e con i denti. Ogni sospiro ed ogni gemito era un invito a proseguire quell’esplorazione. La donna sentiva svettare la sua virilità e gli riservava languide carezze.
Quando infine non riuscirono più a trattenersi, Saeko si lasciò invadere iniziando a muoversi con ritmo altalenante cercando di prolungare il momento.
Karato non avrebbe resistito ancora a lungo e, sentendo Saeko approssimarsi al culmine, l’afferrò per i fianchi serrando i loro corpi e aumentando la profondità delle spinte. Le morse una spalla soffocando il grido di piacere che liberò.
L’abbracciò stretta nei momenti di pace che seguirono.
Sospirò il suo nome continuando a toccarle la schiena.
La prese in braccio dirigendosi verso il bagno.
Si guardarono teneramente lavandosi a vicenda sotto l’acqua calda.
Si abbracciarono stretti, mentre Morfeo li accoglieva tra le sue braccia.

Cenarono tranquillamente l’uno di fronte all’altra: il ristorante non era ancora poco affollato. Il proprietario, riconoscendo la donna, si prodigò per loro. Fece in modo che si posizionassero nell’angolo più appartato della sala e che fossero serviti da quella che dichiarò essere la sua migliore cameriera.
Shiori osservava silenziosa l’atteggiamento pacato dell’uomo: sembrava aver dimenticato le battute che si erano scambiati poco prima. Non capiva cosa fare, mentre una sottile tensione iniziò a pervaderla. Spesso Mikami la coglieva ad osservarlo. Allora distoglieva lo sguardo o sfoderava semplicemente un sorriso.
“Quando avrai finito di esaminarmi, mi farai sapere il tuo responso?” – le chiese ad un certo punto, guardando altrove.
“Non… non ho… non ti sto facendo alcun esame!” – ribatté balbettando quasi, colta in fallo.
Aki le prese una mano sopra il tavolo e continuò l’indagine.
“Allora come mai mi sento scrutato?”
Mentre la sua mano scorreva leggera verso il polso sottile della donna, Shiori sospirò cercando di raccogliere le idee.
“E’ solo che non capisco.”
“Cosa?”
“Cosa ti aspetti da me, Aki?” – la tensione che provava era finalmente sfociata in quella domanda. Shiori voleva stare con lui, ma era rósa dai dubbi. Il giornalista le aveva fatto capire di tenere a lei e di sicuro aveva dimostrato di rispettarla. Sentiva dentro il desiderio di approfondire la conoscenza con lui e con le emozioni che generava, ma come doveva comportarsi? Non voleva ripetere gli errori fatti con Masumi. Se da una parte comprendeva che la situazione era del tutto diversa, dall’altra mille dubbi le affollavano la mente. Le sembrava di girare ininterrottamente intorno alla questione senza alcuna possibilità di soluzione.
“Mi aspetto che tu faccia quello che vuoi, sempre!” – la sua voce calma penetrò nella sua testa e solo allora si rese conto di non aver mai smesso di fissarlo.
“Quello che voglio?” – chiese, notando le sue carezze sul polso – “Ma cosa voglio, Aki?” – il tono assunse quasi un tono di preghiera.
“Non lo sai?”
Non sapeva cosa voleva?
Cosa voglio?
Aki!
“Lo so!” – disse più sicura ora – “Quello che non so è… come averlo.”
Si sentì arrossire e distolse lo sguardo, ritirando la mano ed unendola all’altra in grembo.
L’uomo dovete cogliere quei segnali d’imbarazzo.
“Andiamo, vieni con me!”
“Dove?”
“A casa mia…” – nel panico più completo Shiori lo seguì dopo che ebbero pagato il conto. Si tenevano per mano ed Aki procedeva con passo sicuro.
Non aveva detto una parola dopo la sua ammissione. Solo l’aveva guardata con una strana tenerezza negli occhi, mista a quello che credeva essere… desiderio?

Shiori l’aveva scrutato per tutta la cena e lui aveva sopportato silenziosamente. Quando alla fine aveva chiesto delucidazioni, vinto dalla curiosità, le sue risposte l’avevano sciolto. Credeva, e sperava, che la donna si riferisse a lui ed allora aveva capito che era insicura. Non capiva come rapportarsi con lui. Vederla raccogliere le mani in grembo, arrossire, abbassare il volto e distogliere lo sguardo, gli aveva ricordato una bambina vergognosa di fronte al suo primo amico. Vorrebbe conoscerlo, giocarci insieme nel parco, ma non sa come comportarsi perché non capisce se lui prova le stesse cose. Non aveva molti modi per farle capire che lei poteva tutto, che era al sicuro e non aveva nulla da temere. Pertanto, finalmente, aveva lasciato il ristorante e l’aveva rapita.
La donna l’aveva seguito docilmente, timorosa e coraggiosa al contempo. Arrivarono di fronte allo stabile dove abitava: la struttura era una vecchia fabbrica tessile riconvertita. Un’impresa di costruzioni si era premurata di ristrutturarla ricavandone diversi loft su più livelli.
Entrarono nel vecchio montacarichi che fungeva da ascensore. Vicini eppure lontani. Aki la guardava mentre se ne stava in disparte in quell’angusto spazio.
Quando le porte si aprirono sul suo soggiorno la vide spalancare gli occhi. L’ambiente moderno era in contrasto con le vecchie mura esterne. L’arredamento aveva linee pulite, semplici. Un misto di grigi in diverse tonalità. Entrò cauta, osservando le gigantografie alle pareti: per lo più paesaggi dei luoghi esotici che aveva visitato per lavoro. Le isole polinesiane, la foresta vietnamita, uno skyline di Hong Kong, un villaggio in Kenya. Niente di triste. Non aveva voluto scenari di guerra in casa sua: aveva visto troppa crudeltà, troppo sangue, troppe morti per continuare a riviverle nelle immagini che lo circondavano. Per quello erano sufficienti i ricordi che non l’avrebbero mai abbandonato.
Avanzò anche lui, chiudendo la grata dietro di sé. La raggiunse davanti al tramonto polinesiano. Il sole scendeva all’orizzonte proiettando le ombre delle capanne sulle basse acque oceaniche.
Le pose una mano su una spalla, ma era talmente tesa che non un fremito le sfuggì. La girò verso di sé: aveva abbassato la testa e non poteva scorgerne gli occhi.
“Shiori, guardami!” – usò un tono fermo, senza risultare opprimente. Finalmente lo guardò. Gli si strinse il cuore. Una donna tanto bella eppure tanto insicura.
“Puoi avere tutto ciò che vuoi.” – le sussurrò. Spostò una mano sul suo volto – “Non aver paura. Non ti farò del male”
La vide spalancare gli occhi, occhi tanto neri e brillanti da aver paura di annegarci.
“Come lo sai?” – gli chiese in un fil di voce.
“Perché ti vedo. Perché ti sento. Perché non può essere diversamente.”
Mentre parlava aveva fatto scivolare via il cappotto dalle sue spalle e le aveva preso la mano, poggiandosela sul petto: voleva che sentisse battere il suo cuore in modo forsennato. Voleva che capisse che non aveva nulla da temere perché non era la sola a provare quelle emozioni devastanti.
La fissò mentre si concentrava sulle vibrazioni del suo petto chiudendo gli occhi. Lentamente le si accostò e la cinse tra le braccia. La mano sul suo volto passò al collo, tra i capelli. Ora avrebbe potuto ascoltare il suo cuore.
“Lo senti? Mi senti?” – le chiese, deponendole un bacio tra i capelli – “Sono già con te, Shiori, non hai bisogno di fare nulla per avermi!”
Aveva azzardato, lo sapeva, ma voleva essere chiaro. Se l’avesse voluto, non l’avrebbe lasciata. Non gli importava se in passato era stata un’ereditiera viziata, se ne fregava che avesse tramato ed ingannato. L’aveva conosciuta dopo, quando era già una donna diversa, che aveva riconosciuto i propri errori e stava cercando di porvi rimedio. Non aveva parlato con la signorina ipocrita e di buona famiglia, ma con una donna sincera, che rifuggiva la menzogna e aveva voglia di vivere, finalmente. Aveva toccato una donna che non era nemmeno consapevole della propria passione. L’aveva baciata ed aveva trovato un angolo di paradiso.
Non credeva l’avrebbe mai detto in vita sua, ma credeva d’amarla.
Se era lui che voleva, non doveva far nulla per averlo.
La giovane donna rimase silenziosa tra le sue braccia.
“E’ me ciò che vuoi, Shiori?”

Quella domanda le entrò nella mente.
Troppo occupata ad ascoltare il battito ipnotico del cuore dell’uomo che l’aveva conquistata quasi non l’aveva sentito dire che era già con lei. Ma le sue parole le risuonarono nella mente, come se il suo cervello le riproponesse un’informazione che non poteva trascurare.
“E’ me che vuoi, Shiori?”
Quanto tempo era passato da quel momento?
“Sì.” – sussurrò, soffocando quella piccola importante sillaba nella camicia.
Si sentì stringere ancora.
“Ripetilo!” – le comandò – “Non ho sentito.”
Quella voce la faceva vibrare. Il cuore le tremava e lo stomaco era in subbuglio.
Lo abbracciò a sua volta.
“Sì, Aki.”
“Allora sono perduto!” – tentò di allentare la tensione e contemporaneamente chinò il capo per baciarla. Quelle labbra erano sempre più dolci di come le ricordava.
 
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view post Posted on 29/9/2013, 09:37
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CAPITOLO 40
Shiori non pensava. Non più. Il suo istinto non glielo permetteva. Il suo cuore non voleva. Liberò se stessa, arrendendosi a lui.
Le mani dell’uomo tra i suoi capelli le tenevano la testa modellandola per i suoi baci. Non ne aveva mai abbastanza. Il solido petto contro di sé; i lunghi capelli intrecciati alle sue dita; la pelle leggermente ruvida per la barba incolta che le stuzzicava il volto; gli occhi neri socchiusi che la scrutavano con ardore.
Ricambiò i suoi baci, dimentica dei dubbi che l’avevano assalita. Con cautela fece scorrere le piccole mani sul suo collo, fino ad aggrapparsi alle sue spalle. Sentì la forza dei suoi muscoli sotto le dita.
“Aki…” – sussurrò.
L’uomo sembrò attendesse quel segnale perché la sollevò tra le braccia e, riprendendo a baciarla suadente, attraversò tutto il soggiorno dirigendosi su un ampio soppalco, la sua camera, celata da una parete in vetro scuro satinato.
Si sedette sul letto matrimoniale tenendosela in grembo, senza lasciarle via d’uscita. Come se avesse avuto l’intenzione di andarsene! Sembrarono ripartire da dove avevano interrotto prima del matrimonio di Masumi. Una mano le serrò il fianco, mentre l’altra era sempre ferma sul suo collo. La baciò ancora, dolcemente, scendendo a volte lungo il collo esile. Quando le sfiorava l’orecchio o la carotide, sentiva i brividi scuoterla dalla spina dorsale fino alle gambe. In quei momenti, Aki insisteva finché non le risultava impossibile soffocare un flebile lamento.
La mano che prima era ferma sul fianco andò al volto, disegnando gentili carezze sulla sua pelle. Percorse il collo, laddove erano già passate le sue labbra. Si abbassò sullo sterno, facendole trarre un profondo respiro. Quando raggiunse i bottoncini della sua camicetta, le dita furono sostituite dalle labbra. Mentre umidi baci le venivano donati sulla pelle tesa, Aki si apriva un varco per approfondire le sue carezze.
Ad attenderlo trovò un reggiseno bianco, semplice, di seta, impalpabile.
La sfiorò appena, timoroso di fare qualcosa che la disturbasse, ma Shiori era persa nelle sue sensazioni: gli occhi e le labbra socchiusi, il capo reclinato. Non gli sarebbe mai bastato di vederla in quel modo.
Abbassò di nuovo il volto aspirando il tenue profumo che emanava ed assaggiando per la prima volta la sua morbida carne delicata. Aveva tirato da parte il sottile tessuto ed il seno si mostrava orgoglioso, quasi chiamandolo. Sentì le dita della donna aggrapparsi ai suoi capelli e sorrise, nascosto nel suo petto. Si prese tutto il tempo necessario, mentre Shiori avvertiva un fuoco che iniziava ad ardere nel suo ventre. Non sentì la camicetta che le veniva sfilata, né il reggiseno che veniva slacciato, troppo concentrata sulle emozioni che quelle labbra le suscitavano. Si trovò nuda di fronte a lui e non provò vergogna. Era davanti ai suoi occhi e l’espressione estatica sul volto del suo compagno la entusiasmava: non c’era spazio per i timori.
Baciandole il collo ed avvicinandosi al suo orecchio le sussurrò parole d’amore, mentre con le mani la spingeva a girarsi, arricciandosi la gonna ai fianchi e poggiando le ginocchia sul copriletto nero.
“Sei così bella, Shiori…” – ancora quella voce che le entrava dentro e la faceva vibrare. Ancora quelle labbra che la baciavano e la stuzzicavano sensuali. Ancora quelle dita che la esploravano e la stringevano.
Le sfuggì un singhiozzo quando Aki raggiunse il suo centro. La toccò delicato, sfiorandola appena ed attendendo le sue reazioni. Sospirò ancora il suo nome e solo allora l’uomo si fece avanti, scostando il tessuto ed insinuando un dito nel suo calore… piano, lentamente, abituandola a quella strana presenza, portandola a cercarlo. Non si muoveva, mentre le sfiorava il seno e le succhiava i capezzoli. Era lì, fermo, in attesa di un suo segnale, un segnale che Shiori ancora ignorava di poter dare. Si mosse lentamente in cerca di un maggior contatto.
“Brava… così… continua…” – approvò sulle sue labbra.
Sempre immobile, l’uomo osservava le sue reazioni ed i suoi movimenti. Vide quando il respiro si fece più accelerato; notò immediatamente quando lei comprese che doveva aumentare il ritmo per avere quello che ancora non sapeva di volere; sentì il suo gemito di passione quando un secondo dito si unì al primo e bevve i suoi ansiti direttamente dalle sue labbra mentre si avvicinava al suo primo attimo di piacere assoluto.
“Muoviti per me!” – la spronò, mentre sentiva la sua carne stringerlo ed il suo nome uscire da quelle labbra rosse e gonfie.
Si abbandonò tra le sue braccia esausta, appagata. La mano dell’uomo ancora su di sé mentre tentava di comprendere cosa fosse successo, cosa si fosse incendiato.
Sentì freddo quando sentì Aki ritrarsi.
Sentì caldo quando lo vide portarsi le dita alle labbra.
Credette di morire dal caldo quando la strinse e la portò con sé nel suo letto.
Si trovò stesa sulla schiena, praticamente nuda, con Aki in ginocchio tra le sue gambe che si toglieva la camicia scura. I lunghi capelli gli piovevano sul volto. Gli occhi la cercavano famelici.
Quando si stese di nuovo su di lei, sentì finalmente il contatto della sua pelle contro la propria e fu sconcertata dalle immediate reazioni del suo corpo: di nuovo i muscoli tesi, di nuovo il battito accelerato, di nuovo il desiderio di baciarlo. Lo baciò. Ancora e ancora, mentre Aki tentava di non gravarle addosso e si sfilava gli ultimi indumenti. Quando infine le si avvicinò, Shiori poté sentire per la prima volta la sua virilità spingere prepotentemente contro il proprio ventre.
Trattenne il respiro, cercando i suoi occhi. Aki dovette comprendere il suo smarrimento perché tornò a baciarla dolcemente.
“Tranquilla… Andrà tutto bene, te lo prometto.”
Annuì, Shiori, fidandosi di lui e delle sue parole. Allacciò le mani sul suo collo e ricominciò a baciarlo con rinnovata passione, come a voler dimenticare quella presenza sconosciuta tra di loro.
Corse a sfiorargli la schiena ed il petto, esplorò l’addome ed i fianchi. Tutto denotava un fisico asciutto ed allenato: i muscoli guizzavano ad ogni movimento e si tendevano al suo passaggio. Toccò con dita delicate la linea della mascella e gli tirò indietro i capelli.
Aki la lasciò fare, mentre con le mani la percorreva dalle spalle alla vita, dal seno alle gambe, dal ventre morbido alle ginocchia piegate. Ogni tanto la sfiorava nell’intimo.
Quando fu presa di nuovo dalla passione, le raccolse le gambe nelle braccia, esponendola totalmente, favorendo il proprio ingresso e tentando di ridurre al minimo il suo dolore.
Piano la penetrò di nuovo con un dito, ricordandole le sensazioni appena provate. Quando la sentì ansimare ancora le si accosto. Si guidò piano in lei, ondeggiando appena, facendola abituare.
Era talmente accogliente e calda che dovette attingere a tutta la sua forza per non muoversi tanto impetuosamente come l’istinto bramava. Arrivò alla sua barriera e si fermò, cercando le sue labbra per baciarla prima di avanzare ancora. Accolse il suo grido e bevve la sua lacrima.
“Shht… passa subito… fidati!” – la cullò. Non che lui avesse chissà quali esperienze in merito, ma sapeva che il suo corpo non avrebbe sofferto troppo a lungo.
“Come fai ad esserne sicuro?” – gli chiese scettica, avvertendo ancora il dolore della lacerazione.
In tutta risposta Aki si mosse. Una sola spinta.
“Senti ancora dolore?” – chiese – “Vuoi che mi fermi?”
“No!” – ansimò lei
Un sorriso gli increspò le labbra mentre artigliandole i fianchi con le lunghe dita iniziò finalmente quella danza che li avrebbe condotti insieme verso l’estasi.
Le mani infilate nei suoi capelli, gli occhi socchiusi, il corpo che si contorceva e le gambe strette ai suoi fianchi, Shiori era un capolavoro della natura mentre si mordeva il labbro inferiore nel vano tentativo di trattenere i gemiti.
Vedendola tanto appassionata, Mikami incrementò i suoi sforzi, lasciandosi definitivamente andare. Insieme si mossero, insieme si baciarono ed insieme unirono i propri piaceri, i propri cuori ed i propri spiriti. Infine, insieme giacquero.

Il buio… forse quello sarebbe stato l’ultimo giorno che aveva vissuto nel buio. L’oscurità era stata sua nemica, da principio, poi era divenuta sua alleata, quando le aveva consentito di competere alla pari con Maya per la Dea Scarlatta. Infine, era tornata ad essere causa di disagio. Non poteva vedere il sole, le foglie, Peter. Non poteva osservare le espressioni del suo volto. Doveva ‘accontentarsi’ delle inflessioni della sua voce e del tocco delle proprie mani.
Era notte fonda ormai, lo aveva capito dal silenzio che regnava nei corridoi della clinica. L’indomani mattina le avrebbero tolto le bende. Solo allora avrebbero potuto valutare se vi erano stati danni permanenti alla sua vista.
Sospirò. Cosa l’aspettava? Sarebbe potuta tornare a Tokyo e vedere finalmente Maya o sarebbe dovuta partire con Hamill inventandosi poi un incidente che l’avrebbe resa cieca? Tutto si sarebbe deciso da lì a poche ore.
La tentazione di alzarsi, andare in bagno e sciogliere da sola quella dannata fasciatura era forte, ma il dottore si era raccomandato in tal senso: occorreva seguire la procedura per limitare al minimo lo shock per i suoi occhi lontani dalla luce da tanti mesi.
Si girò per l’ennesima volta nel suo letto.
Il pensiero corse ai suoi genitori. A come le erano stati vicini nelle ultime settimane ed alla mancanza che aveva invece avvertito quando era piccola. Era stato un circolo vizioso: Ayumi voleva che fossero orgogliosi di lei e si mostrava indipendente e seriosa. I suoi genitori, vedendola tanto matura, la trattavano da adulta, lesinando le dimostrazioni d’affetto e d’attenzione.
Si accucciò sotto le coperte, cercando di scacciare quei brutti pensieri.
Andrà tutto bene! Andrà tutto bene!
Se lo ripeteva come un mantra e, continuando a ripeterselo, riuscì ad addormentarsi.
Si risvegliò con il richiamo di sua madre che le scuoteva la spalla.
“Ayumi, svegliati. Fra un po’ arriverà il dottore.”
La ragazza si riscosse immediatamente. Si tirò a sedere sul letto, cercando di rassettarsi i capelli sicuramente sconvolti. Si alzò e si diresse in bagno, rifiutando con un sorriso l’aiuto di sua madre. Quando ne uscì, sentì che c’era Peter con lei.
“Papà?” – chiese solo, cercando di sembrare disinteressata.
“Arriverà fra poco.” – le rispose sua madre.
“Veramente?” – non riusciva a crederci ed infatti sua madre dovette capirlo perché la rassicurò.
Ayumi si riposizionò sul letto. Rimasero in silenzio, attendendo il dottore.
Quando entrò nella camera, seguito dalla sua équipe, la salutò cordialmente. Cercò di metterla a proprio agio, scambiando alcuni convenevoli.
Lo sentì sedersi sul letto al termine della spiegazione sulla procedura che avrebbero seguito. Iniziò a sciogliere il nodo alla fasciatura. Stava ormai iniziando a svolgere le bende, quando Ayumi sentì la porta aprirsi e chiudersi silenziosamente.
“Papà?” – chiamò.
“Sì, bambina, sono qui.” – Ayumi allungò una mano e se la sentì stringere.
Il neurologo, nel frattempo, continuava a svolgere i teli sottili. Le veneziane furono tirate fino a creare una leggera penombra nella stanza. Ayumi sentiva la tensione aumentare in proporzione all’assottigliarsi della sua fasciatura. Quando anche l’ultimo strato cadde nelle mani del medico, rimase ad occhi chiusi, timorosa. Sentiva le palpebre tremare, timorose anch’esse. Sempre impavida, ora aveva paura.
Sentì forte la stretta di suo padre, come anche la voce di sua madre. I suoi genitori insieme a lei in quel momento di speranza e paura.
“Apra gli occhi.” – le chiese il dottore – “Lentamente.”
Non potendo più fuggire quel momento, si fece forza. Gli occhi le sembrarono pesanti, come macigni. Li socchiuse prima, scorgendo un leggero bagliore dalla piccola fessura.
Forse… forse poteva sperare. Era arrivata al punto di vedere solo ombre, prima dell’operazione. Già quel bagliore era un miracolo.
Abbassò di nuovo le palpebre. Trasse un profondo sospiro. Riaprì gli occhi con maggior decisione.
Un lampo di luce. Abbagliante. Che lentamente si affievolì fino a definire le sagome che le stavano davanti. Sì, poteva sperare!
Un altro battito di ciglia. La luce tenue non l’accecava più, le sagome divennero più definite e riuscì a distinguere anche i colori dominanti. Credette di riconoscere il viso di sua madre.
Un ultimo battito di ciglia. Vedeva! Le sue pupille non erano più vuote. Distingueva i volti ansiosi dei propri genitori, quelli professionalmente interessati dell’équipe medica, quello pieno di speranza e di fiducia di Peter. Fece vagare lo sguardo dall’uno all’altro, sbattendo piano le palpebre.
Tutti erano in attesa di una sua parola. Gioia o disperazione.
“Mamma, mi prenderesti il Tokyo News di lunedì? Vorrei vedere Maya in abito da sposa!” – la voce ferma, ma gli occhi vivi e lucidi.
“Sì.” – rispose sua madre, portandosi la mano alle labbra a trattenere un singhiozzo.
Suo padre si tolse gli occhiali, iniziando a pulirli per nascondere l’emozione.
I dottori si congratularono per l’ottimo risultato.
Peter. Peter la guardava. Le sorrideva. Finalmente lo rivedeva. Riesaminò i suoi tratti. Il mento volitivo, il naso stretto e pronunciato, gli occhi azzurri, i lunghi capelli biondi. Era lui. Ritrovava in quello che vedeva le scoperte delle esplorazioni effettuate con le dita.
Una lacrima percorse il profilo del suo volto. Aveva disperato di poterlo rivedere ed invece, ora, l’aveva di nuovo davanti agli occhi. Allungò la mano libera verso di lui.
“Peter!” – chiamò.
L’uomo la raggiunse. Le prese la mano tra le sue, la strinse e se la portò al volto baciandola ed accostandola alla guancia.
La mattina trascorse euforica: i suoi genitori non l’abbandonarono mai, né Peter la lasciò sola, sfidando la gelosia di suo padre sotto lo sguardo divertito di Utako.
Quando i medici confermarono che l’operazione era completamente riuscita, prepararono i documenti per il ritorno a casa. In alcuni momenti di pausa, Ayumi riuscì a leggere il giornale e a vedere con i propri occhi Maya che sposava Masumi Hayami. Era raggiante, in quella foto. Il giornalista aveva ripreso gli sposi che uscivano dalla cappella, accolti dagli amici di sempre. Entrambi sorridevano. Ayumi non ricordava di aver mai visto quell’uomo con una tale espressione vittoriosa ed appagata.
Era quasi mezzogiorno quando tutti furono pronti per lasciare la clinica. Si diressero all’albergo per recuperare i bagagli di Hamill e dei signori Himekawa, per poi proseguire verso l’aeroporto. Nel primo pomeriggio ci sarebbe stato il volo di linea che li avrebbe riportati nella capitale.
Ayumi non vedeva l’ora di andare a trovare la signora Tsukikage per tranquillizzarla e, naturalmente, voleva parlare con Maya.

Il sole le feriva gli occhi. Accidenti! La sera precedente aveva dimenticato di tirare le pesanti tende in velluto della sua camera. Eppure era sua abitudine. Perché l’aveva dimenticato? Mentre Shiori cercava di ripercorrere con la mente le ultime azioni prima di coricarsi, ricordò tutto: la visita al museo, la cena con Aki, la fuga a casa sua, …
Si sentì andare a fuoco per l’imbarazzo e l’emozione. Non era stato solo un sogno? Non aveva immaginato di toccarlo, di essere baciata in angoli reconditi del proprio corpo? La risposta le giunse chiara in mente: no. Non aveva immaginato nulla. Non avrebbe potuto spingersi tanto in là.
Si trovava nel letto dell’uomo che le aveva fatto dimenticare chi era, la sua provenienza, le sue origini, senza farla pentire.
Sono pentita?
Ascoltò in silenzio il respiro calmo e cadenzato accanto a sé. Avvertì il calore gentile che proveniva dalla sua parte.
No!
Aprì gli occhi. Erano puntati sul soffitto chiaro, rustico, su cui spiccava un canale in acciaio per l’impianto di condizionamento. Voltò la testa verso la finestra. Il cielo era nuvoloso. Gruppi di nuvole pesanti di pioggia vagavano all’orizzonte. Guardò verso l’uomo al suo fianco. Dormiva placidamente. I capelli scomposti sul cuscino, il volto girato di lato, le coperte che a malapena nascondevano il suo petto.
Lentamente, cercando di fare meno rumore possibile, si alzò a sedere tirandosi le lenzuola appresso, memore della sua nudità.
Stava per tirarsi in piedi quando un braccio muscoloso le circondò la vita facendola cadere all’indietro.
“Dove credi di andare?” – le chiese con tono fintamente minaccioso.
“Io… credevo che dormissi… volevo… il bagno…” – balbettò.
“Dopo!” – e le chiuse la bocca con la propria, peggiorando la condizione già precaria del suo cervello.
“Cosa fai?” – riuscì a chiedere lei.
“Ti do il buongiorno… ed evito che pensi troppo rischiando che ti penta di questa notte!”
“Non sono pentita!” – riuscì ad affermare la donna con voce ferma.
“Non adesso. Ma quando vedrai le chiamate perse presenti sul tuo cellulare?”
“Chiamate perse?” – chiese attonita.
“Già. È dalle prime luci dell’alba che lo sento suonare ad intervalli regolari dal soggiorno!”
“Oh, accidenti! Ho dimenticato di avvisare a casa!”
Proprio in quel momento il telefono riprese a suonare e Shiori, dimentica di tutto, corse nuda verso l’altro ambiente per rispondere.

Aveva perso il conto di quante volte quel dannato telefono aveva squillato. Fortunatamente era dall’altra parte dell’appartamento e si sentiva appena, altrimenti avrebbe svegliato anche lei. Immaginò la faccia di Yeyasu Takamiya se avesse risposto una voce maschile al telefono dell’adorata nipote.
Shiori gli dormiva al fianco, abbandonata nel sonno come lo era stata nell’amore. Amore? Sì, credeva proprio di sì. Non era stato il rapporto di una sera, quello lo sapeva già da prima. Ma non era nemmeno quello di una relazione che dura qualche mese. Aveva provato una vera comunione dei sensi e degli spiriti.
Dopo che si era svegliato, l’aveva osservata per tutto il tempo; ogni espressione che era passata sul suo volto, ogni ciocca di capelli che vibrava al suo respiro, ogni tratto del suo viso che ormai conosceva bene come il proprio. Quando aveva avvertito il suo respiro farsi più leggero, aveva capito che si stava svegliando. Aveva udito un mugolio infastidito e poi un sospiro trattenuto: la luce del sole sul volto ed i ricordi della notte appena trascorsa.
Aki aveva chiuso gli occhi. Quando l’aveva sentita tirarsi su, non aveva resistito e l’aveva agguantata, nel timore che si facesse prendere dai dubbi.
L’aveva vista saltare letteralmente dal letto, senza coprirsi, dimenticando ogni pudore, nella fretta di andare a fugare ogni timore nella sua famiglia.
Aki sedette sul letto. Raccolse un ginocchio al petto appoggiandovi un gomito. Si passò le dita tra i capelli riavviandoli. Vide la sagoma di Shiori muoversi attraverso il cristallo opalescente. La sentiva parlare concitatamente, spiegando al suo interlocutore (suo nonno?) di non preoccuparsi ché stava bene, di aver solo dimenticato di avvisarli che avrebbe passato la notte fuori città per un improvviso impegno di lavoro (evidentemente l’unica ragione, dal punto di vista di suo nonno, che potesse giustificare una notte fuori casa). Storse la bocca in un ghigno. Presto non avrebbe più avuto bisogno di tali scuse.
Decise di alzarsi per recuperare la sua compagna. Infilò un leggero paio di pantaloni in cotone e, scalzo, si diresse verso di lei passeggiando sul caldo pavimento in legno. La donna stava posando in quel momento il ricevitore e si voltò a guardarlo.
Si ricordò allora di essere nuda perché iniziò a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca di qualcosa con cui coprirsi.
Vedendola imbarazzata, il giornalista tirò a sé il telo di cotone che usava come copri divano e glielo drappeggiò addosso, avvolgendola in un abbraccio. Shiori lo ringraziò.
“Tutto sistemato?” – chiese.
Assentì, rifugiandosi in quel bozzolo di fresco tessuto.
“Cosa succede adesso, Aki?”
“Beh… vorrei che prendessi in considerazione l’idea di frequentarmi… ufficialmente, intendo.”
Silenzio.
“Sei sicuro?”
“Perché non dovrei esserlo?”
“Non sono sicura io di meritarmi tanto. Come puoi esserlo tu?” – tornò ad esprimere i suoi dubbi.
“Tu… sei incredibile, lo sai? Quando ieri sera ti ho detto che ti vedo e ti sento non era solo perché volevo stare con te e tranquillizzarti. Ero sincero. Ogni tua nota muove il mio cuore. Puoi ridere e lui scoppia di gioia. Puoi arrabbiarti e sono invaso dal desiderio di cancellare l’ira dal tuo sguardo con i miei baci. Puoi essere insicura, come in questo momento, e l’unica cosa che mi viene in mente è rassicurarti. Puoi essere e fare tutto ciò che vuoi, ma non mi muoverò di qui!”
Finalmente la sentì rilassarsi contro di sé. Non era stato nominato l’aspetto più importante, il fatto che credeva d’amarla. Shiori non aveva chiesto e lui si sarebbe tenuto quella confessione per un altro momento, più propizio, meno delicato.
“Quando hai detto che devi tornare in città?” – chiese, con apparente disinteresse.
La vide arrossire.
“In serata… non potevo dire che sarei tornata prima di pranzo.” – concluse, come a giustificarsi.
“Quindi ti ho a mia disposizione per tutto il giorno.” – constatò soddisfatto.
“Veramente?” – chiese incredula.
“Oh sì, veramente!” – confermò – “Va’ a vestirti, mentre ti preparo la colazione.” – le suggerì infine, mentre le posava un bacio sul collo.
Reggendosi il tessuto addosso si avviò verso la camera, impacciata nella sua eleganza.
Mikami si diresse in cucina ed iniziò a preparare quanto promesso.
 
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view post Posted on 8/10/2013, 21:28
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Ora iniziano dei capitoli un po' difficoltosi perché rappresentano la fine della storia e spero di riuscire a tenere alta la tensione.
Fatemi sapere cosa ne pensate... se ho sforato troppo nella melodrammaticità, se ho esagerato in qualche senso, le vostre impressioni... per migliorarmi e non deludervi.

___________________________________

CAPITOLO 41
Il momento era giunto. Di lì a qualche ora sarebbe risultato morto. La vita era veramente beffarda. Aveva disperato fino alla fine di raggiungere la felicità e ora che l’aveva agguantata, suo padre, la persona che avrebbe dovuto proteggerlo, lo voleva morto.
Vide la signorina Mitsuki entrare nella sala delle conferenze che aveva affittato per l’occasione al SunRise Hotel. Si affrettò a raggiungerlo con la cartella dei documenti stretta al seno. Hijiri l’aveva chiamato informandolo di cos’aveva fatto Eisuke. Masumi l’aveva contattata, proponendole di incontrarsi per parlare del suo futuro. Era stato un colloquio stimolante ed erano giunti ad un accordo. Mitsuki sarebbe rimasta al suo fianco come sua assistente nell’attività che si accingeva ad annunciare e, se Maya avesse voluto, sarebbe stata anche la sua agente, con la possibilità per il futuro di scegliere l’una o l’altra carriera.
“Signore, sono quasi tutti arrivati, come da programma.”
“Ottimo. Annunci pure che fra dieci minuti la conferenza stampa avrà inizio.”
La donna passò nell’altra stanza.
Masumi si affacciò un attimo e vide l’origine del vociare che sentiva anche da dove si trovava. Erano tutti volti noti, naturalmente. Si aspettava domande scomode ed era anche per questo che non aveva permesso a Maya di accompagnarlo.
Si accese una sigaretta, l’ennesima di quel giorno, e la fumò nervosamente fino all’ultima tirata. Hijiri gli si affiancò.
“Tutto sistemato, per dopo?”
“Sì. Ho preso i contatti con chi di dovere. La messinscena durerà meno di 24 ore. Koji ha preso appuntamento con tuo padre per il pagamento del lavoro per domani mattina.”
Un leggero cenno di assenso. Uno sguardo gravido di preoccupazione.
“Maya?”
“Dovrò avvisarla appena sarà successo.”
“Vuoi veramente rischiare che lo scopra in altro modo? Le televisioni daranno fin da subito ampio risalto alla notizia, soprattutto dopo la diretta della conferenza stampa. Inoltre, l’incidente è previsto poco distante da qui.”
“Già…” – un sospiro – “Ma non posso permettere che si preoccupi inutilmente. Ce l’avrebbe con me per essermi esposto!”
Hijiri lo guardò rassegnato. Era difficile smuoverlo, quando si convinceva di qualcosa. Definiti gli ultimi dettagli, si avviò verso il parcheggio sotterraneo dell’hotel dove erano posizionate le loro auto, lasciando che il suo capo e Saeko, sopraggiunta nel frattempo, facessero quel che dovevano.
“Signore, io vado.” – gli disse Mitsuki. Avrebbe tacitato i giornalisti prima del suo ingresso.
L’uomo prese in mano i documenti di cui necessitava ed entrò nella sala incedendo sicuro verso il centro del tavolo. Nel silenzio totale, si sedette, posò i documenti di fronte a sé ed alzò lo sguardo sul pubblico.
Quante volte aveva fatto quegli stessi movimenti? Quante volte il suo sguardo glaciale aveva zittito valenti operatori di stampa? Ora si trovava lì, orfano della sua posizione privilegiata a capo della Daito, pronto ad annunciare al Giappone quale sarebbe stato il suo futuro.
“Signori,” – iniziò con voce decisa – “vi ho invitato qui, oggi, perché immagino abbiate molte domande su quanto avvenuto la scorsa settimana e perché è ora che annunci quale sarà il mio futuro come Masumi Fujimura.”
Un brusio interessato si levò dalla piccola platea. Forse qualcuno neanche aveva creduto che lui avesse rinunciato al suo cognome altisonante.
“Dal prossimo lunedì” – continuò indifferente – “aprirà i battenti la Fujimura Production. La casa di produzione sarà di medio-piccole dimensioni ma il personale è già stato selezionato e contiamo di reinvestire i proventi fino a competere con le major del settore. Stiamo trattando l’acquisto di alcuni teatri per la prossima stagione, mentre sono iniziati i contatti con alcune compagnie teatrali di rilievo.”
Questo disse Masumi, sorvolando naturalmente sul fatto che lo Shuttle X sarebbe stato di sua proprietà. Trascurò anche di dire che i contatti con i proprietari dei teatri che aveva nominato erano iniziati parecchio tempo addietro, tramite Hijiri. Nel giro di poche settimane gli atti di trasferimento della proprietà sarebbero stati perfezionati ed avrebbe potuto definire anche gli ultimi particolari per gli spettacoli in programmazione.
“Questo, signori,” – riprese – “è quello che farò. Per quanto concerne invece il mio nuovo stato di coniugato, credo sia stato tutto spiegato nell’articolo pubblicato su Tokyo News lo scorso lunedì.”
L’uomo concluse. Bevendo un sorso d’acqua dal bicchiere che aveva di fronte, scambiò uno sguardo d’intesa con la signorina Mitsuki al suo fianco la quale prese la parola.
“Signori, il signor Fujimura risponderà alle vostre domande. Prenotatevi per alzata di mano. Verrà dato spazio a tutti.”
Mitsuki provvide a cedere la parola ai vari giornalisti, consentendo a colui che era tornato ad essere il suo datore di lavoro di rispondere a chi e come preferiva.
“Signor Ha… Fujimura, nell’articolo che ha citato, quanto c’è di vero e quanto invece è frutto di romantica quanto comoda invenzione?”
Un sorriso sardonico comparve sul volto di Masumi, mentre assaggiava il gusto maligno di quella domanda. Prima che potesse prendere la parola però Mitsuki intervenne.
“Il signor Fujimura ha già detto che…”
Con un gesto della mano la bloccò.
“La ringrazio per l’occasione che mi sta dando. Le parrà strano nel nostro mondo, ma ogni parola che è stata scritta in quell’articolo è vera. Mette forse in dubbio anche la professionalità del suo collega oltre che la mia parola?”
“Beh, riflettevo solo sull’influenza che ha avuto sui suoi ‘sentimenti’ il fatto che la signorina Kitajima si sia rivelata l’aggiudicataria dei diritti della Dea Scarlatta…”
Se l’era immaginato. Il freddo calcolatore non poteva sposarsi perché innamorato. Cosa si aspettava? Lui stesso l’aveva anticipato anni addietro: avrebbe sposato solo una donna utile alla Daito, un computer l’avrebbe scelta per lui.
“Come avrà notato, non ho nominato la Dea Scarlatta nel mio primo intervento. Non l’ho fatto perché Maya sarà l’unica detentrice di quei diritti, così come non subirà le conseguenze negative di un mio eventuale fallimento.” – la voce era ferma e lo sguardo deciso. Non aveva bisogno di camuffare alcunché, non era altro che la verità.
“Allora perché aspettare tanto?” – insistette il giornalista.
“E’ la mia ultima risposta per lei. I rapporti con Maya non sono mai stati facili per il ruolo avverso che ho sempre ricoperto nei confronti della sua compagnia. Ho atteso che le cose cambiassero.”
Prima che l’uomo accennasse un’altra domanda, la signorina Mitsuki diede la parola ad un altro intervistatore.
“Era veramente solo ammirazione quella che provava per la signorina Kitajima quando l’ha conosciuta?”
Una grassa risata sgorgò dalla sua gola.
“Dica un po’… la ricorda, vero, nelle sue prime apparizioni?” – se Maya stava guardando l’intervista, sperò che cogliesse la verità nelle sue parole – “Lei pensa veramente che il mio interesse nei suoi confronti potesse essere più che ammirazione professionale?” – la risata continuò ad aleggiare nella sala.
Il povero giornalista si incassò nelle spalle arrossendo vistosamente anche per aver sprecato la sua occasione.
“Lei, in fondo, prego…” – continuò la donna.
“Ci scusi se insistiamo, ma la signora non è che sia cambiata poi molto, no?”
Uno sbuffo, infastidito stavolta.
“Forse non era presente alla rappresentazione della Dea Scarlatta o non ha partecipato al ricevimento successivo o, ancora, non ha visto le foto del nostro matrimonio?” – e anche questo fece la fine di chi l’aveva preceduto – “Veramente, vogliamo continuare a parlare del mio matrimonio? È una delle poche cose chiare ad oggi.”
La domanda successiva riguardò i teatri con cui aveva contatti.
“Non posso rivelare i nomi dei teatri. Inficerei le trattative in corso. Come non posso accennare nulla in merito alle compagnie coinvolte.” – li anticipò.
Un mormorio di lamentele si levò dalla platea.
“Tutto a tempo debito, signori. Vi posso assicurare che non lesinerò informazioni al momento opportuno.” – già, lui aveva fatto del talento di manipolare i mass-media la sua fonte di ricchezza.
“Signor Fujimura, cosa pensa invece dell’atteggiamento di suo padre?”
“A che proposito?”
“Beh, come ha preso la rinuncia al cognome degli Hayami?”
“Me lo dica lei. Sarà sicuramente più informato di me.”
Masumi notò un sorrisetto sfuggire dalle labbra di Mitsuki.
“Sembra che abbia affidato agli avvocati di famiglia l’incarico di estrometterla dagli affari e che abbia intenzione di trovare un sostituto per la direzione della Daito Art Production.” – sciorinò saccente l’omuncolo.
“Allora sapete tutto. Non ho altro da aggiungere.” – in realtà l’avrebbe avuto, pensò con amarezza, ma un malsano affetto filiale e la mancanza di prove gli impedivano di muovere accuse pesanti.
“Cosa ne pensa, signor Fujimura?”
“Fossi stato in mio padre,” – con il suo carattere e la sua avidità – “avrei fatto lo stesso.”
“Quando potrà rivelare nuovi dettagli circa la nuova casa di produzione?”
“Contiamo di chiudere tutte le trattative nell’arco di un mese, per permettere alle compagnie ingaggiate di provare con dovizia tutti i nuovi spettacoli in attesa della riapertura della stagione del prossimo anno.”
“La signorina Kitajima sarà una delle attrici scritturate?”
Era veramente tanto difficile ritenerla sua moglie?
“La decisione sarà naturalmente solo sua. Sarà impegnata con la messa in scena della Dea Scarlatta. Vedremo come si evolverà la situazione.”
Con un ultimo cenno alla platea, si alzò in piedi e si diresse alla porta da cui era entrato. Sentì la signorina Mitsuki congedare tutti gli addetti stampa. Lui raggiunse Hijiri, allentandosi la cravatta.
“Tutto pronto?”
“Sì, signore. Diamo inizio allo spettacolo!”

Maya aveva seguito tutta la conferenza stampa tramite la televisione via cavo dell’hotel. Le domande dei giornalisti su di lei l’avevano alterata: volevano insudiciare tutto ciò che di puro c’era stato tra loro. Che ne sapevano dei sacrifici di entrambi? Che ne sapevano del dolore patito da Masumi in quegli anni? Lei stessa non ne poteva avere idea visto che era vissuta nell’ignoranza. Poteva solo immaginarlo, ma la fantasia era niente in confronto alla realtà.
Si erano trovati da pochi mesi ed ora arrivavano degli sconosciuti che si permettevano di insinuare un interesse morboso di Masumi nei suoi confronti, un’attenzione malata verso una ragazzina di tredici anni!
Solo la risposta infastidita di Masumi le faceva tornare il sorriso.
“Dica un po’… la ricorda, vero, nelle sue prime apparizioni? Lei pensa veramente che il mio interesse nei suoi confronti potesse essere più che ammirazione professionale?”
Le aveva fatto tornare in mente come si comportava, la fanciullina spavalda che era, le loro prime schermaglie, i loro primi incontri. Quando le aveva indicato il posto durante il primo spettacolo a cui aveva assistito. Lui così elegante e ben educato, lei così ordinaria ed impacciata. L’incontro a casa della signora Tsukikage e la visione del suo lato spietato. Il suo salvataggio dai cani nel cortile della compagnia Ondine. Il primo spettacolo da attrice: le critiche negative assoldate da Masumi Hayami ed il primo mazzo di rose scarlatte donato dal suo ammiratore. Il peccato e l’ammenda. Con una mano toglieva, con l’altra le donava più di quanto avesse tolto.
Quante volte si erano scontrati? Quanti litigi? Quanti alterchi? Si erano trovati su fronti opposti ed avevano agito di conseguenza, apparentemente. E dietro le apparenze, Masumi l’aveva sostenuta. Dall’ombra aveva costituito lo scoglio cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà. Alla fine, dopo la morte di sua madre, era stato disposto anche a muoversi in suo favore alla luce del sole, ma tutti erano talmente abituati a vederli in conflitto, lei compresa, da non aver còlto il cambiamento: il sostegno dopo al morte di sua madre, lo stralcio del suo contratto con la Daito, l’aiuto per lo spettacolo al parco, l’indirizzamento alle selezioni delle Due Regine, lo spettacolino alla prima di Isadora…
E quegli idioti volevano rovinare tutto! Non l’avrebbe permesso.
Ripensò all’altra risposta di Masumi, quella per il giornalista che sosteneva che non fosse cambiata.
Incredulità sul suo volto; un bagliore di desiderio nel suo sguardo; calore nel cuore di Maya. Implicitamente aveva fatto capire di trovarla ‘affascinante’. Mai una volta l’aveva chiamata ‘ragazzina’, un nomignolo che ora era solo loro, privato.
Per quanto riguardava invece la casa di produzione, naturalmente, Masumi le aveva anticipato già tutto, mettendola anche a conoscenza del fatto che la sua società era la proprietaria dello Shuttle X. Maya non aveva ancora pensato a cosa fare dei diritti di rappresentazione. Si fidava ciecamente di Masumi ed avrebbe voluto cederglieli, ma l’uomo era stato categorico: i diritti erano suoi e suoi sarebbero rimasti. Avrebbero però potuto ‘lavorare’ insieme per rendere indimenticabile la messa in scena dello spettacolo.
Lavorare insieme a Masumi. Supportarlo. Imparare cose nuove. Recitare per lui senza doversi nascondere. Che bello!
La televisione continuava a trasmettere la sua programmazione mentre Maya girovagava per la suite mettendo in ordine qua e là. Un capo d’abbigliamento nel cesto per la lavanderia; una camicia nell’armadio; i cuscini al loro posto; le stoviglie della colazione fuori dalla porta.
Fu in quel momento che squillò il telefono della reception. Uno sguardo sorpreso si dipinse sul suo volto mentre ascoltava il suo interlocutore e affermava di far salire la sua ospite.
Ayumi! Finalmente l’avrebbe rivista! Non era venuta al suo matrimonio, le aveva scritto che non poteva presenziare alla cerimonia perché era fuori dal paese. Era tornata! Chissà come aveva preso la notizia che Masumi era diventato suo marito.

Aveva lasciato da pochi minuti il parcheggio sotterraneo dell’hotel. Percorreva a velocità moderata le strade della capitale che l’avrebbero condotto da Maya.
Stava rischiando la sua vita e lo sapeva, ma avrebbe fatto di tutto per quella persona: l’aveva salvato.
Sapeva che entro qualche chilometro sarebbe andato in blocco il volante, mentre i freni già adesso non funzionavano più. Rallentava solo aiutandosi con il freno-motore. Aveva parlato con lo yakuza che aveva manomesso l’auto. Avrebbe avuto pochi secondi per lasciare il mezzo e mettersi in salvo dallo schianto, ma… un attimo di ritardo nel lanciarsi nel vuoto, una caduta scomposta, un’altra autovettura che sopraggiungeva all’improvviso avrebbero potuto fargli rischiare quanto il rimanere seduto al posto di guida.
Il piede, abituato dagli anni alla guida, premette inutilmente il pedale del freno. Scalò la marcia e sentì il motore urlare.
Si stava avvicinando inesorabilmente al luogo previsto per l’impatto: una curva con una lunga via di fuga ed un palo dell’illuminazione pubblica nel mezzo. Un leggero prato costeggiava la strada. Avrebbe dovuto indirizzare l’auto verso il palo ed accelerare. Pochi secondi prima dell’impatto avrebbe dovuto saltare fuori dalla vettura atterrando sul prato e rifugiandosi tra i cespugli. Un fantoccio avrebbe fatto le sue veci quando l’ambulanza (fasulla) sarebbe giunta provvidenzialmente entro pochi secondi perché lo stava seguendo a poche decine di metri di distanza. I paramedici (fasulli) avrebbero constatato la morte di Masumi Fujimura ed i media avrebbero urlato la notizia.
Eisuke Hayami l’avrebbe saputo e avrebbe chiamato Koji per complimentarsi e confermare l’appuntamento del giorno successivo per il pagamento del compenso.
Sentì il volante farsi rigido sotto le sue dita. Inquadrò il palo su cui avrebbe dovuto schiantarsi alla fine del rettilineo. Indirizzò l’auto verso di esso e accelerò.
Controllò dallo specchietto retrovisore che non vi fossero ospiti inattesi. Vide i lampeggianti spenti dell’ambulanza poco dietro.
Piegò le labbra in un sorriso mentre iniziò a forzare la portiera dell’auto in corsa per aprirla e gettarsi nel prato. Sentì l’impatto con il guard-rail nel momento stesso in cui la spalancò. Rumore assordante di lamiere accartocciate; il motore che urlava a pieni giri mentre fiondava il veicolo verso il suo obiettivo ultimo.
Saltò, sperando di non aver tardato troppo, di non cadere su un sasso nascosto nell’erba, di non rompersi qualche osso.
Lo schianto dietro di lui: lamiere distrutte, vetri in frantumi ancora al loro posto ripiegati su se stessi, il motore fumante.

Maya accolse Ayumi anche se non sapeva cosa aspettarsi. Il sorriso radioso della rivale, però, la rassicurò. Si abbracciarono strette, come le due amiche che erano diventate, uniche a poter dire di comprendersi veramente l’una con l’altra. Ayumi per prima aveva capito il suo genio ed aveva faticato nel misurarsi con lei. Maya aveva compreso da subito la grandezza della rivale e più volte, durante la sua carriera, questo l’aveva spronata a migliorarsi, ad andare avanti.
“Maya…” – esordì Ayumi – “mi ha proprio sorpreso quell’articolo.” – si accomodò, mentre l’amica l’invitava – “Come sai ero fuori e non ho potuto partecipare… mi sarebbe piaciuto.”
Maya le si sedette di fronte, sorridente.
“E’ spiaciuto anche a me, Ayumi, non vederti. Non ho potuto dirti nulla prima perché era tutto segreto a causa dell’annullamento del matrimonio di Masumi con Shiori e la successiva reazione di suo padre.”
“Lo immagino.” – Ayumi osservò il portamento fiero della sua rivale. Il matrimonio le aveva giovato – “Non deve essere stato un bello spettacolo.”
“No… ma non te ne curare.” – Maya sospirò – “Dimmi di te, piuttosto! Come è andato il viaggio all’estero? Dove sei stata?”
“Oh… niente di speciale.” – tergiversò la ragazza. I morbidi capelli, ora più corti, erano sciolti sulle spalle, mentre un piccolo berretto nascondeva la piccola zona della testa che aveva dovuto rasare per l’operazione e su cui i crini stavano ricrescendo – “Sono stata a fare un giro in Cina con Hamill. Nessuno lo sa. Sono andata in incognito.”
Maya la lasciò un attimo, andando ad accogliere il servizio in camera che aveva allertato mentre Ayumi stava salendo. Le servì del tè e, mentre sorseggiava dalla sua tazza, le chiese se non avesse anche lei delle novità da raccontarle.
Ayumi le rivolse uno sguardo felice ed accennò uno dei suoi garbati sorrisi.
“Sì, Maya. Anch’io.”
“Ne sono felice.”
Continuarono in quel modo per parecchi minuti, raccontandosi gli avvenimenti delle ultime settimane.
Ayumi era anche curiosa di scoprire come avesse capito che Masumi Hayami fosse il suo donatore e come l’avesse presa.
Per la prima volta, Maya confidò i propri pensieri ed i propri sentimenti ad una persona che non era Masumi. Le raccontò alcuni degli aneddoti principali, tenendo per sé quelli che lei considerava ricordi preziosi come gemme. Le raccontò di sua madre e di come l’avesse accusato, nascondendo a se stessa le proprie colpe. Le raccontò della prima di Lande Dimenticate. La gioia di quando lo vedeva. La tristezza di saperlo di un’altra. Il dolore di non essere abbastanza. A mano a mano che il racconto procedeva, Ayumi comprese! Comprese una volta di più la grandezza di Maya Kitajima, comprese che tutti i sentimenti devastanti che aveva provato li aveva riversati nei suoi personaggi, in Akoya e nella Dea Scarlatta. Maya aveva tanto sofferto. Ayumi, al confronto, si sentiva veramente una principessa. Alla fine aveva affrontato la mancanza dei propri genitori (ma li aveva ancora entrambi!); aveva patito per il senso di inferiorità che Maya le ispirava (ma era servito a migliorarsi); aveva sopportato la cecità (che era stata temporanea).
Maya meritava quello che aveva ottenuto sul palcoscenico e nella vita, perché aveva talento, perché aveva lottato, perché mai si era arresa nonostante le avversità.
Ayumi era felice di essere passata a trovarla. Era dall’epoca delle Due Regine che non parlavano più come vecchie amiche. Ne aveva bisogno.
Dal canto suo, Maya era contenta di ritrovare in Ayumi l’amica di un tempo dopo i tanti mesi di rivalità che le avevano separate.
Erano nel mezzo del discorso, quando Maya colse metà frase di un cronista alla televisione che la fece raggelare.
“…mura è morto nell’incidente.” – doveva aver capito male!
Quanti uomini con un “-mura” nel cognome dovevano esserci in Giappone? Si voltò, pronta a smentire le sue paure, ma il cronista, impietoso, ribadì quella cruda verità.
“Ripeto, Masumi Fujimura è morto in un incidente automobilistico mentre tornava al suo albergo!”
Dov’era il pavimento? Perché non lo sentiva più sotto i piedi? E perché non si sentiva più il cuore in petto?
Masumi. Morto.
No! Non poteva essere vero. Non era possibile. L’aveva visto fino ad una manciata di minuti prima condurre la conferenza stampa.
Non vedeva più la televisione; non vedeva lo schermo rimandare le immagini della sua auto distrutta e fumante, non vedeva i paramedici caricare sull’ambulanza una barella con un cadavere infilato in un sacco nero. No! Non vedeva nulla.
Quanto tempo era passato? Cosa sapeva Maya?
Sapeva di essere morta, solo questo. Un’anima divisa a metà non è più viva.
Masumi le aveva detto di non preoccuparsi, che sarebbe andato tutto bene. Ma ora? Ora, cosa sarebbe andato tutto bene? L’aveva lasciata sola! Si sentì scuotere… chiamare…
Chi c’era con lei? Masumi? No… non era lui, lui era morto.
Ayumi? Sì, Ayumi era con lei fino a poco prima.
Alzò gli occhi asciutti dal pavimento. Era caduta in ginocchio e non se ne era accorta. Non riusciva a tirarsi in piedi. Dov’era finita la sua forza?
Ayumi la guardava terrorizzata. Chissà che aspetto atroce doveva avere. Cercò ancora di tirarsi su, ma non un muscolo rispondeva ai suoi ordini. Voltò il viso sullo schermo. La foto di Masumi campeggiava su metà del monitor, mentre nell’altra scorrevano le immagini dei Vigili del Fuoco che rimuovevano le lamiere fumanti in cui era ridotta la sua auto. Tutto il Giappone stava assistendo in diretta alla fine della loro vita.

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Abbiate fiducia e lasciatemi tempo... non uccidetemi subito.
 
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view post Posted on 16/10/2013, 18:50
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CAPITOLO 42
Aprì la porta della suite convinto di trovare Maya impegnata in qualche esercizio di recitazione o assorta nei suoi pensieri. Quello che in realtà vide, invece, fu velenosamente doloroso.
Ayumi Himekawa stava cercando di far alzare dal pavimento sua moglie, immota, muta, con gli occhi spalancati, i capelli sciolti sulle spalle, le mani perse in grembo. Un’occhiata alla televisione, ancora sintonizzata sul servizio della NHK, gli fece comprendere cosa fosse accaduto: era arrivato tardi. Credeva di riuscire ad avvisarla prima che la televisione desse la notizia della sua morte, invece aveva tardato a causa delle precauzioni prese per non farsi riconoscere.
“Maya…” – sussurrò.
Quel respiro fu avvertito solo da Ayumi che si voltò interdetta, guardando stranita il suo abbigliamento: un cappello dalla tesa larga calcato sui capelli, un lungo impermeabile nero, occhiali scuri in mano.
“Cosa sta succedendo? Perché la televisione ha detto che lei è morto, se adesso è qui?”
Uno sguardo colpevole sfuggì dai suoi occhi.
“Perché era quello che sarebbe dovuto accadere. Lasciami solo con lei, ti prego.”
Ayumi respirò profondamente, incerta se credergli o meno, consapevole solo del senso di colpa che aveva scorto in lui. Poi vide anche il dolore nelle sue iridi color dell’oceano. Cosa l’aveva causato? Fissava la sua amica. Lo stesso dolore che era comparso in quelle di lei. Assentì. Diede un’ultima carezza sulla spalla dell’amica, prese il soprabito ed uscì dalla stanza.
Rimasto con la donna distrutta sul pavimento, Masumi le si inginocchiò al fianco. Leggero, le posò un bacio tra i capelli senza aver alcun segno di risposta. La chiamò, sortendo lo stesso risultato. La sollevò tra le braccia stringendosela al petto. Si diresse verso il divano e si sedette con il suo piccolo tesoro in grembo. La cullò, senza dire più nulla, attendendo paziente che si riavesse dal limbo in cui si era rifugiata, pronto ad affrontare la sfida più dura della sua vita: riconquistare la fiducia di sua moglie.
Quando l’aveva vista sul pavimento, come una bambola rotta, aveva compreso che Hijiri aveva avuto ragione. Avrebbe dovuto parlare con lei del suo piano, tutta l’ansia che avrebbe potuto provare era nulla se confrontata con quanto stava passando in quel momento. Se solo sfiorava l’idea che lei potesse morire diventava pazzo. Maya, invece, aveva assistito quasi in diretta a quella che lei pensava fosse la prova della sua morte, del suo abbandono. Quando avrebbe capito che Masumi sapeva tutto, che avrebbe potuto avvisarla ma che, con cognizione di causa, non l’aveva fatto, allora l’avrebbe persa.
La strinse più forte, tanto che pensò di avvertire un leggero gemito. Rilasciò la presa. Le mise una mano sul volto. Gli occhi ora erano chiusi. Si era addormentata? Non aveva versato una lacrima tanto era il dolore che stava sopportando.
“Maya…” – la chiamò ancora. Il tono dolce, delicato, che usava per dirle che l’amava – “Ragazzina…”
Come avrebbe fatto? Cosa le avrebbe detto? Come giustificare un tale patimento? Ora le sue motivazioni gli sembravano talmente deboli!
Non poteva permettersi di perderla. Ormai erano ad un passo dal risolvere tutti i loro problemi. Avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare. L’adagiò meglio sul suo petto ed appoggiò la schiena al divano. La tensione di quella giornata interminabile si fece sentire e si addormentò, vinto dalla stanchezza.

Maya non aveva registrato il momento in cui la televisione era stata spenta, né quando Ayumi era andata via. Non sapeva quando si era addormentata, l’unica cosa che comprendeva era che si stava riavendo dall’oblio e non voleva. Non voleva tornare alla realtà, perché ad attenderla ci sarebbe stato un mondo senza Masumi, il suo amore, la metà della sua anima, suo marito. Non sarebbe sopravvissuta. Non anche a quella morte. Aveva superato quella di sua madre grazie alla vicinanza di quell’uomo, ma chi le sarebbe stato vicino ora che la sua roccia si era sgretolata?
Le sfuggì un singhiozzo. Lacrime di dolore iniziarono finalmente a scendere copiose dai suoi occhi, andando a bagnare il guanciale.
Non sapeva nemmeno quando era andata a letto. Sentiva il suo profumo sotto le narici. Il suo buon profumo! Si sarebbe chiusa in quella stanza per sempre impedendo che quell’aroma le sfuggisse via come aveva fatto lui?
Impossibilitata a combattere anche contro la veglia che la reclamava aprì gli occhi.
Non era distesa sul letto, ma seduta nel soggiorno della suite. E non sul divano.
Sbatté di nuovo le palpebre.
Stava sognando. Era già impazzita.
Forse erano passate già delle settimane da quel giorno sciagurato e le aveva rimosse dai suoi ricordi.
La mente le rimandava il volto di Masumi, addormentato sotto di lei. Un volto segnato dalla tensione anche nel sonno. Non era possibile, lo sapeva, ma si volle illudere. Sollevò una mano a toccargli il mento. Le lacrime ancora scorrevano bagnando l’impermeabile che aveva creduto essere un cuscino.
“Oh, Masumi! Come farò adesso?” – gemette disperata, portando quella stessa mano, riscaldata da quell’allucinazione, a serrarsi sulle sue labbra.
Vinta dalla sofferenza, si alzò correndo verso la camera e gettandosi sul letto. Pianse tutte le sue lacrime, strinse le lenzuola artigliandole con le gracili dita, soffocò le sue grida ed i suoi singhiozzi nel materasso.
“Maya…” – quella voce! Già il solo vederlo addormentato l’aveva sconvolta. Ma sapere che quella voce non era altro che un frutto della sua mente acuì la sua disperazione.
“Vattene!”
“Lasciami spiegare…” – provò sempre a dire ‘la voce’.
“Non c’è niente da spiegare” – urlò – “Tu non sei reale. Lui è morto ed io sono pazza!” – non si voltò nemmeno a guardarlo.
Silenzio. Ecco! Aveva ragione. Cosa doveva aspettarsi dopo tutto? Che quell’ombra replicasse alla sua tesi?
“Non sono morto. Sono qui. Maya, guardami!” – come se la visione avesse letto nella sua mente. Che sciocca! Era la sua mente che la creava!
“No!”
Un mano si poggiò sulla sua schiena.
Una mano?
Una mano calda!
Il cervello umano poteva produrre allucinazioni tanto veritiere?
“Maya, vòltati!” – pregò ancora la voce – “Ragazzina, guardami!”
Sapendo che mille spine le avrebbero stretto il cuore, si voltò e lo vide. Il miraggio indossava lo stesso impermeabile nero ed aveva la stessa espressione stanca.
Le prese una mano e se la portò al volto, alla guancia.
“Maya, sono vivo. Credimi!” – la pregò.
“Quanto vorrei che fosse vero!” – sapeva di parlare al nulla, ma non poteva rinunciare a scambiare qualche parola, falsa, con lui – “Ma ho visto l’auto distrutta! Ho visto i paramedici che ti portavano all’obitorio!”
“No!” – la interruppe – “Non ero su quell’auto! Non ci sono mai salito! Maya, guardami!”
Il tono, ora, era di supplica. Sotto la sua mano avvertì il calore e la consistenza della sua pelle. Con ancora le gote bagnate dalle lacrime avvicinò il volto al suo petto.
Riconobbe il suo profumo.
Se era un’illusione, il suo cervello aveva fatto veramente un ottimo lavoro.
“Sono pazza! Ti ho creato, perché non dovrei crederti? Io stessa vorrei che tu non fossi mai stato su quella dannata vettura!”

Masumi guardò sconsolato sua moglie. Quando Maya avesse capito cosa fosse effettivamente successo, non sarebbero bastate delle scuse. Avrebbe dovuto far fronte ad una vera e propria bomba. Le liti, i battibecchi, le scaramucce che fino ad allora c’erano state sarebbero sbiadite al confronto.
Come ripagarla di tanto dolore? Come perdonarsi il fatto che si credeva pazza?
Serviva però un elemento scatenante. Non poteva lasciare che continuasse a considerarlo un’illusione. Si tolse l’impermeabile. La prese di nuovo per mano e la trascinò nel bagno. La costrinse ad entrare nella doccia ed aprì il getto dell’acqua gelida.
“La senti? Non stai sognando! Ti stai bagnando con l’acqua fredda ed io ti sto parlando! Guardami, dannazione!” – imprecò mentre cercava di attrarre su di sé i suoi occhi caldi – “Sono qui! Non ti ho lasciato! Non sei sola!” – la stringeva per le spalle, bagnandosi a sua volta. Si guardavano sotto quelle stille gelate che lavavano via la tensione. Masumi parve scorgere un lampo di consapevolezza nello sguardo di Maya.
Riconoscimento. Sollievo.
Le mani di sua moglie si aggrappavano alla sua camicia e finalmente si strinse a lui, riconoscendo finalmente la sua presenza. Le lacrime, come un balsamo, ora si confondevano con l’acqua che scorreva su di loro e lavavano via il dolore e la disperazione che l’avevano governata fino a quel momento.
Masumi si fece sfiorare il viso. Si lasciò osservare negli occhi e scrutare nel cuore, pronto a tutto pur di convincerla che era lì.
“Masumi?” – il tono incerto, timoroso di credere troppo.
“Ragazzina, non riconosci più tuo marito?” – cercò di alleviare la tensione, ben conscio che di lì a qualche minuto avrebbe dovuto raccontarle tutto ed implorare il suo perdono. Ma l’avrebbe fatto, senza remore. Era disposto a giocarsi tutto ciò che gli rimaneva, anche il suo orgoglio, pur di non perderla.
“Masumi!” – un grido, un sorriso e l’abbraccio che l’aveva catturato sei anni prima, nella sua villa di Nagano.
Maya non smetteva di ripetere il suo nome, incurante dell’acqua che continuava a bagnarli, immemore dello strazio che ancora l’animava, certa soltanto che l’uomo a cui aveva donato se stessa era ancora con lei.
Masumi chiuse il getto ed avvolse entrambi in un largo telo di spugna. La tenne stretta, bisognoso della sua forza.
“Perdonami!” – sussurrò, incapace di trattenere ancora i suoi sensi di colpa – “Perdonami, ti prego!”
“Cosa dovrei perdonarti?! Sei qui.” – come se la sua sola presenza bastasse a farle dimenticare tutto.
“Perdonami! Sapevo e non ti ho detto niente! Potevo evitarti tutto questo dolore e non l’ho fatto!”
Un lampo! La consapevolezza della comprensione. La sua mano si alzò decisa.
Masumi chinò il volto, non abbandonando un attimo il suo sguardo, pronto a ricevere qualsiasi punizione lei gli avesse riservato.
Lo schiaffo non arrivò mai. Piuttosto giunse una lieve carezza.
“Togliamoci questi abiti bagnati. Raccontami cosa è successo veramente e solo dopo deciderò se hai qualcosa da farti perdonare!”
Dov’era finita la ragazzina dall’animo incendiario che aveva conosciuto? Era divenuta una donna paziente che ascoltava tutto prima di saltare alle conclusioni. Hijiri gliel’aveva detto. Mitsuki gliel’aveva detto. Maya gliel’aveva detto. Lui stesso aveva capito che era maturata. Eppure ogni volta che si dimostrava tale, rimaneva abbagliato.
Fece come gli aveva detto. Si spogliò ed indossò l’accappatoio. Maya fece lo stesso. Si sedettero sul letto, l’uno di fianco all’altro, mano nella mano. Consolato da quell’atto di vicinanza, Masumi iniziò a raccontarle tutto, senza più tralasciare nulla.
L’incontro con i Takamiya e la rivelazione del folle piano di suo padre. Il contatto con la yakuza ed il progetto del falso incidente. La partecipazione di Hijiri e la sua volontà di tenerla all’oscuro delle sue intenzioni, convinto di risparmiarle dolore ed angoscia.
Vide bene i sentimenti che si agitavano nel cuore della giovane: tristezza e collera al nome di Eisuke; ansia per l’incidente; amore e delusione per il suo silenzio.
“Quante volte ti ho detto che non sono più una bambina e che non voglio segreti?”
“Tante…”
“Quante volte dovrò ripeterlo ancora?” – la voce era atona, ma Masumi riuscì a scorgere irritazione… e speranza.
“Spero vorrai ripetermelo ogni volta penserai che ne abbia bisogno. Sono un testone! Quindi penso dovrai farlo spesso!”
“Hai ragione, sei un testone!” – convenne lei, riservandogli una buffa smorfia – “Ma non posso fare a meno di te. Non potrei mai smettere di amarti, come non posso smettere di respirare. Come posso non perdonarti?”
Masumi si portò una mano alle labbra baciandole il polso ed il palmo.
“Grazie! Grazie!”
“Non farmi più una cosa simile! Non potrei sopportarlo ancora!” – una briciola del dolore che l’aveva sconquassata quel giorno ricomparve nei suoi occhi.
“Mai più! Te lo prometto!” – tutto si poteva dire, meno che non avesse imparato la lezione.
Masumi l’attirò a sé, finalmente. L’abbracciò come fosse stata la prima volta ed un po’ lo era perché, anche se per poco, si erano persi. In quell’abbraccio ritrovarono loro stessi, la speranza, la gioia e la loro unione, sempre viva.
“Ho creduto di perderti!” – il sussurro della sua voce bassa e roca la colpì al cuore come una dolce preghiera.
“Tu?” – chiese Maya, quasi singhiozzando – “Tu? E cosa dovrei dire io? Pensavo fossi morto!”
“E io ho creduto non mi avresti mai perdonato per averti fatto soffrire tanto! Calpestare il tuo stesso suolo ed essere diviso da te sarebbe stato veramente come morire!”
“Non dirlo!” – Maya gli si aggrappò – “Non dirlo! Finché avrò vita, mai ti abbandonerei!”
Le sue grandi mani le incorniciarono il volto, mentre le loro labbra si univano. Tocchi dolci, lievi, leggeri e fugaci. Desiderosi e desiderati. Vinti dall’amore e dalla ritrovata felicità, il bacio divenne appassionato, famelico, generoso ed esigente. I volti si movevano, le labbra si sfioravano, i denti mordevano e le lingue si intrecciavano, mentre le mani frenetiche vagavano raminghe.
Liberatisi dagli accappatoi ritrovarono la loro dannazione e la loro estasi; la loro tortura e la loro delizia; la loro fame, sete e sazietà.
I petti si sfioravano, i fianchi si scontravano ed i loro sussurri si intrecciavano nel silenzio della stanza.

Tempo dopo, l’uno di fianco all’altra tacevano, persi nella ritrovata unione.
“Adesso?” – un sussurro scaturì dalle labbra della giovane. Ansia. L’indice tracciava strani disegni sul petto dell’uomo.
“Adesso? Domani lo yakuza incontrerà Eisuke per riscuotere il premio per la mia morte.” – con quanta leggerezza parlava della sua morte stringendole la mano.
“E noi?” – chiese ancora tirandosi su e guardandolo in quegli occhi blu tornati freddi come il ghiaccio.
“Noi?”
“Noi, sì! Non mi lascerai da sola in casa! Questa volta sarò con te!”
“Maya…” – provò lui.
“Non ricominciare! Siamo appena usciti dall’orrendo equivoco che hai creato!” – mai era stata tanto decisa.
Un breve scambio di sguardi e Maya vide la sua resa.
“E sia!” – Masumi rilassò il capo sul cuscino – “Domani assisteremo di nascosto alla conversazione.”
“Come?”
“Dimentichi che ho vissuto alla villa fino a qualche settimana fa? Conosco ogni anfratto, ogni passaggio, ogni porta e corridoio!”
“Va bene.” – Maya lo strinse, consapevole del dolore che anche lui doveva aver provato nello scoprire l’intenzione omicida di suo padre.
C’era la possibilità che fosse impazzito? Come poteva essere altrimenti se attentava alla vita di suo figlio?
“Pensi sia impazzito?” – chiese, incapace di trattenersi.
“Eisuke?” – Masumi fece scorrere le dita lungo la curva della sua schiena – “No! No, amor mio. Non è impazzito. È lui, senza maschere, senza artifici morali. Non ha ottenuto ciò che voleva. Deve distruggere chi gliel’ha impedito.”
“Cosa farai, Masumi?”
Un pesante sospiro accompagnò il silenzio che seguì quella domanda.
“Non lo so. Devo ancora decidere… deciderò… per il nostro bene, per il tuo bene!”
“Sì.” – sarebbe stata con lui, qualunque fosse stata la sua decisione.
Si appisolarono. La tensione, le emozioni accumulate in quella giornata li avevano distrutti. Si svegliarono solo alle prime luci dell’alba, sollecitati anche dalla fame.
Sentì Masumi telefonare ad Hijiri per concordare l’incontro della mattina. Passarono il tempo che rimaneva facendo colazione chiusi in camera: non potevano rischiare che qualcuno lo vedesse e lo riconoscesse. Quella stessa sera, forse, avrebbe dovuto spiegare alla stampa ed alle forze dell’ordine che si era trattato di un equivoco. Che un suo sottoposto aveva guidato l’auto e che l’uomo non era morto, ma che era stato coperto dai paramedici per proteggerlo dall’assalto della stampa. Che con l’equivoco che si era creato, si era preoccupato di tranquillizzare sua moglie ed i suoi conoscenti più stretti, prima di dare la corretta versione dei fatti.
Lasciarono l’albergo in compagnia di Hijiri. Durante il tragitto riepilogarono le successive mosse. Maya non lasciava mai la mano di suo marito: troppo vicino era ancora il ricordo del dolore.
Fermarono l’auto davanti all’ingresso del parco ed osservarono l’andirivieni del traffico per qualche minuto. Compreso che nulla avrebbe disturbato le loro mosse, si diressero verso l’entrata secondaria sul retro. Aprirono piano il piccolo cancello in ferro nascosto dai rampicanti. Prudentemente avanzarono sul vialetto verso le cucine, costeggiando aiuole piene di violette e perfettamente custodite anche nel periodo invernale. Karato si era informato: per l’incontro con Koji, Eisuke aveva dato il pomeriggio libero a tutti i domestici tranne al suo assistente personale. La porta non era chiusa a chiave: attraversarono l’ambiente solitamente invaso dalla servitù. Elettrodomestici, stoviglie, pane…
Uscirono silenziosamente sul corridoio e si diressero verso la stanza adiacente allo studio, dall’altra parte del piano terra. Hijiri guidava il gruppo e si fermò al fianco delle scale avvertendo il rumore della carrozzina a motore del vecchio Eisuke. Il ronzio si stava avvicinando e tutti trattennero il fiato nella speranza che non voltasse nella loro direzione. Passarono alcuni secondi durante i quali il rumore si fece sempre più forte per poi interrompersi.
Si guardarono negli occhi, timorosi, preoccupati. Cosa sarebbe successo se Eisuke avesse voltato la carrozzina dalla loro parte e li avesse visti? Se avesse visto suo figlio, tutto il loro piano sarebbe andato a rotoli ed il vecchio sarebbe stato libero di attentare ancora alla loro vita.
La marcia della carrozzina riprese e loro trassero un muto sospiro. Ora il ronzio sembrava allontanarsi come anche il pericolo di essere scoperti. Attesero che la porta dello studio si chiudesse dietro di lui e ripresero il loro percorso. Raggiunsero la porta ed entrarono, facendo attenzione a non far rumore. La stanza, attigua allo studio, era una piccola biblioteca organizzata in scaffali paralleli alti fino al soffitto, con una scrivania in un angolo ed un caminetto spento in quello opposto. Da quando Masumi si era stabilito in albergo era la stanza meno frequentata della villa. Prima era il suo rifugio: si faceva accendere il fuoco durante l’inverno, si versava un bicchiere di whisky dal tavolinetto dei liquori, prendeva un romanzo storico o un saggio economico e si sedeva davanti al fuoco scoppiettante. Ora lo stato d’abbandono era testimoniato dalle tende chiuse, dalla polvere sugli scaffali e dalla temperatura decisamente fredda.
Hijiri aveva portato un microfono direzionale ed il registratore: avrebbero ascoltato e memorizzato l’intera conversazione nella speranza che il vecchio si sbilanciasse sul ruolo che aveva sostenuto nell’incidente di Masumi.
Posizionarono l’attrezzatura ed attesero in silenzio. I minuti passavano lenti. Si guardavano negli occhi, silenziosi, troppo tesi per qualsiasi commento.
Dopo un periodo che reputarono infinito, sentirono una vettura passare sull’acciottolato del viale d’ingresso e fermarsi davanti al portone. Lo sportello sbatté. Il campanello suonò.
Koji era arrivato.
L’assistente lo fece accomodare e dopo pochi attimi udirono che entrava nella stanza adiacente. Accesero l’apparecchiatura, mentre i cuori iniziarono a battere nei petti e le mani a sudare copiosamente. Quei minuti avrebbero deciso se si sarebbero liberati o meno di quella minaccia; se Eisuke Hayami si sarebbe o meno arreso.
“Ha fatto un ottimo lavoro. Spero che il suo capo si sia congratulato con lei!”
La prima frase e la conferma. Se ce ne fosse stato bisogno.
 
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view post Posted on 12/11/2013, 17:08
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Scusate per le enormi attese con cui vi ho afflitto in questi ultimi capitoli.
Siamo arrivate alla fine ormai... sono passati due anni (mamma mia! mi sembra ieri!).
Oggi posterò il capitolo 43... mancherà solo un breve epilogo per ritrovare i nostri beneamati a distanza di qualche tempo.

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CAPITOLO 43
Koji guardò Eisuke Hayami tendergli la mano dalla sua sedia a rotelle. Sapeva cosa doveva fare. Fargli dire senza equivoci cosa aveva commissionato e confermare la sua identità. Sarebbe stato difficile, certo, ma come poteva pensare il vecchio Hayami che uno yakuza non avesse seguito i suoi ordini e che lo potesse tradire? Quell’uomo aveva sempre basato tutto sui soldi, ottenendo chi e cosa voleva, senza rendersi conto di quanto un individuo è disposto a fare e a dare per quei sentimenti profondi che lui tanto disprezzava: l’amore, l’amicizia e l’onore.
L’onore era alla base del codice di comportamento della famiglia cui apparteneva. Sapeva che nel resto del Giappone la yakuza si era uniformata al pensiero di Eisuke, ma il suo capo ancora resisteva e teneva alta la tradizione su cui si era fondato il loro potere. Koji non era un romantico: la sua vita non lasciava spazio ai sentimentalismi, ma comprendeva che alcuni traffici, per quanto proficui, a lungo termine erano deleteri. La sua famiglia gestiva i ‘servizi di protezione’ agli esercizi commerciali dei quartieri che controllava a Tokyo; era famosa per i canali sicuri di ricettazione di merce rubata; le sue erano le migliori escort ad ogni livello; organizzava tutte le scommesse clandestine su ogni campo dell’attività umana. Tuttavia, sul loro territorio, evitavano ed osteggiavano il traffico di droga e quello degli esseri umani. Non volevano minorenni sulla coscienza.
Suo padre era stato luogotenente del vecchio capo ed ora lui ricopriva lo stesso ruolo. Nel corso degli anni aveva visto la differenza dei rapporti della famiglia con Eisuke Hayami e Ieyasu Takamiya. Stima per l’uno, affari con l’altro. Quando il primo ordinava, il secondo chiedeva cortesemente. La famiglia era condiscendente con Hayami per interesse, ma collaborativa con Takamiya per reciproco rispetto. Non ci era voluto molto per decidere come muoversi quando Hayami aveva ordinato l’omicidio di suo figlio. Per quanto non avessero legami di sangue, non era considerato un atto onorevole. Inoltre sapevano che il giovane aveva l’appoggio della famiglia Takamiya.
L’uomo al secondo posto nella linea di comando della famiglia alzò lo sguardo da quella mano ed incontrò gli occhi duri del vecchio: sperava forse di vedere del pentimento?!
“Ha fatto un ottimo lavoro! Spero che il suo capo si sia congratulato con lei!”
“Sì, l’ha fatto. Come aveva ordinato, l’incidente di suo figlio è stato un lavoro pulito, senza tracce, un guasto meccanico.”
“Bene, bene.” – mancava solo che si sfregasse le mani – “Ha preferenze per il taglio delle banconote?”
“La mia famiglia non ha problemi nel riciclare soldi sporchi, dovrebbe saperlo bene. Il compenso per il lavoro che ho svolto sarà impiegato per il meglio.”
Vide la carrozzina muoversi per la stanza, fino a raggiungere una vecchia crosta senza alcun interesse artistico. Forse valeva meno della cornice che la decorava. Scostò l’immagine ed aprì la cassaforte. Pose una serie di mazzette su un tavolinetto, chiuse il vano blindato e gli si accostò.
“Avevamo detto centocinquanta milioni di yen, giusto?”
“Non sbaglia un colpo!”
“Non posso permettermelo.” – concluse il vecchio.
Preso il denaro, Koji tentò di strappargli qualche altra affermazione compromettente che circostanziasse tutta la conversazione.
“Perché ha deciso di ucciderlo? In fondo era suo figlio!” – nessun ‘signore’, nessuna riverenza. Gli parlava da pari a pari.
“Non era più mio figlio, non da quando aveva deciso di contravvenire ai miei ordini sposando quell’insulsa ragazzina.”
“Ragazzina… è comunque la nuova Dea Scarlatta!”
“La vera Dea Scarlatta è solo Chigusa Tsukikage. Masumi doveva sposare la nipotina di Takamiya!”
“Ma poteva evitare un simile atto… credo ci sarebbero stati altri modi per vendicarsi.”
Lo vide stringere i pugni sui braccioli: pur nella tarda età manteneva una forza invidiabile negli arti.
“Non sarebbe stato sufficiente! Saperlo respirare la mia stessa aria dopo l’umiliazione che mi aveva inferto sarebbe stato troppo. Inoltre lo sa anche lei, no? Aveva annunciato una nuova casa di produzione. Si rende conto? Voleva farmi concorrenza! Quello… quello!”
“Ormai il dado è tratto. Masumi Fujimura è morto e lei si può godere la vendetta!”
“Già.” – solo quella sillaba, sarebbe bastata solo quella.
Si congedò, sapendo con certezza che oltre una delle pareti della stanza doveva trovarsi l’uomo con cui aveva progettato il guasto dell’automobile.

Nella piccola biblioteca, intanto, regnava il silenzio. Maya era sgomenta: sentirne parlare Masumi era diverso che assistere alle spietate parole pronunciate dell’uomo che a volte l’aveva aiutata sotto mentite spoglie. Era stato allucinante per il suo animo buono e fiducioso.
Hijiri, dal cinico che era, ormai conosceva Eisuke, niente più lo stupiva. Aveva assistito alle peggiori nefandezze. Suo padre gli aveva raccontato di come si era comportato quando Masumi era stato rapito.
Masumi era semplicemente rassegnato e determinato. Aveva forse sperato che si smentisse? Si sedette portandosi le mani al volto. Doveva decidere: denunciare suo padre o ricattarlo. Nel primo caso avrebbe sicuramente risolto il problema ma avrebbe gettato nel fango il nome della famiglia di cui aveva fatto parte per tanti anni. Un sentimento stupido, forse, ma molto radicato in sé: il prestigio del nome era quanto di più importante ci fosse stato in passato per lui insieme al potere ed ai soldi. Ricattarlo con quella conversazione avrebbe tacitato i suoi sensi di colpa, ma sarebbe bastato a tenerlo a bada? Un altro solo passo falso, una disattenzione e sarebbero stati perduti. Fidarsi del vecchio generale millepiedi e trovarsi pugnalati alle spalle. Non sarebbe stato la prima volta.
Si chinò sulle ginocchia. Maya ed Hijiri lo guardarono, attendendo le sue indicazioni. Masumi li osservò a sua volta ed incrociò gli occhi con quelli della sua compagna. E comprese: lei era tutto, niente sarebbe valso il rischio di perderla. Certamente non il nome della famiglia che l’aveva tradito.
“Andiamocene!” – avevano quello che erano venuti a prendere. Non c’era più motivo di rimanere in quella casa. Uscirono dalla stanza ripercorrendo la strada che avevano fatto all’andata. Non incontrarono nessuno, convinti che Eisuke si stesse crogiolando nella soddisfazione.
Uscendo dalla porta della cucina che dava sul giardino, Masumi avvertì come un peso che gli si fosse sollevato dal cuore: non avrebbe più messo piede in quella casa, né calcato i pavimenti in marmo, né goduto del calore dei suoi caminetti o guardato con odio l’ala ristrutturata dove sua madre era quasi morta. Non avrebbe più dovuto sopportare la sua tetra atmosfera. Non avrebbe rimpianto neppure la biblioteca: non c’era nulla che non potesse trovare altrove. Maya lo precedeva e allungò una mano per trattenerla. L’abbracciò, mentre Hijiri saliva nell’auto lasciandoli sotto l’edera rampicante del cancelletto.
“Questa è l’ultima volta che ti porto in questa casa! Mai più dovrai tornarci!”
“Stai bene?” – gli chiese, stringendogli la camicia tra le dita.
“Manca un’ultima cosa perché io possa stare veramente bene!”
Entrarono in macchina e Masumi disse ad Hijiri di dirigersi verso la vicina stazione di polizia. Costeggiarono le mura di cinta delle ville delle famiglie parvenu della classe dirigente nipponica: parchi spaziosi, lussureggianti, che circondavano eleganti abitazioni in stile occidentale, perché quelle tradizionali erano riservate alla vecchia nobiltà, a famiglie come quella dei Takamiya. Uscirono dal quartiere ed imboccarono la via che li avrebbe condotti alla periferia.
Si fermarono davanti alla guardiola della caserma. Masumi scese dall’auto e, poggiando una mano sul tettuccio, si chinò a guardare sua moglie mentre diceva al suo uomo di accompagnarla a casa: lui avrebbe fatto il suo ‘dovere’. Lanciò il cappello sul sedile posteriore, si rialzò e si diresse verso l’agente di guardia.
L’uomo lo guardò sconcertato: era dato per morto, non doveva essere semplice accettare la sua presenza.
“Devo denunciare un crimine!” – disse solo, stringendo la pen-drive nella tasca del lungo impermeabile nero.
“Ma è…?” – l’agente non terminò la domanda.
“Sono Masumi Fujimura e devo denunciare il mio tentato omicidio!” – ribadì. Senza ulteriori tentennamenti, venne accompagnato nell’ufficio del commissario, un uomo attempato, dal volto rugoso e dagli occhi quasi spenti, probabilmente per i troppi crimini cui aveva dovuto trovare un colpevole e per quelli che erano rimasti irrisolti. Si alzò dandogli il benvenuto e chiedendo ironicamente se non si trovasse di fronte ad un nuovo messia.
“No,” – rispose Masumi – “nessuna resurrezione. Non sono mai morto e di questo credo che dovrò rendere conto alla legge, ma devo denunciare quanto è realmente avvenuto ed il responsabile che mi ha spinto a fare ciò che ho fatto.”
“Si segga e mi racconti tutto dall’inizio. Provvederemo dopo alla deposizione ed alla trascrizione.”
“Qualche giorno dopo il mio matrimonio sono venuto a conoscenza della volontà di uccidermi da parte di colui che era stato mio padre, per vendetta, per l’affronto subito.” – si fermò, notando lo stupore sul volto dell’uomo anziano.
“Non si stupisca,” – lo prevenne – “mio padre è stato in grado di lasciarmi in mano a dei rapitori, rinnegandomi, pur di insegnarmi che nella vita non ci si può fidare di nessuno e che tutto va ottenuto con le proprie forze. Avevo poco più di dieci anni, allora.”
Un’altra pausa e dolore in quegli occhi stanchi – “Continui.”
“La persona che Eisuke Hayami ha assoldato aveva un debito nei confronti di chi mi ha avvisato. Per questo, sono stato messo in guardia e mi è stata data la possibilità di difendermi. Abbiamo fatto in modo di far credere a mio padre che tutto procedesse come da programma. Abbiamo orchestrato l’incidente, fatto in modo che l’auto fosse semi-distrutta nell’impatto e che una squadra di attori con una finta ambulanza portasse via un semplice fantoccio: tutto per fugare i dubbi nella stampa e nel committente. Avendo ormai la certezza della mia morte, ‘mio padre’ ha convocato il killer e l’ha retribuito per il lavoro svolto.”
La descrizione era stata chiara e concisa.
“Come fa ad esserne certo?”
Masumi trasse dalla tasca la mano stretta a pugno e rilasciò la piccola pen-drive sulla scrivania.
“Vi è registrata la conversazione tra il killer ed il committente, facilmente individuabile in Eisuke Hayami.”
Il commissario prese l’oggetto sulla cui base avrebbe dovuto incriminare uno degli uomini più potenti del paese. Sarebbe potuto essere l’ultimo caso su cui avrebbe indagato, perché sarebbe stato promosso o destituito. La inserì nel computer ed ascoltarono insieme la conversazione.
Non c’erano dubbi: il killer nominava Masumi Fujimura ed il vecchio sosteneva più volte di voler eliminare suo figlio, reo di aver sposato la Dea Scarlatta e di aver annunciato di volersi mettere in proprio.
Sarebbe bastata ad istruire un caso? Sì.
Avrebbero reso innocuo Eisuke Hayami? Forse no. L’uomo disponeva dei migliori avvocati. Avrebbero potuto smontare tutto il capo d’accusa?
“C’è modo di rintracciare la persona che ha organizzato l’incidente?”
“Sì, ma preferirei non coinvolgerlo. Ha rischiato molto avvisandomi. Tutta la sua famiglia ha messo a rischio la sua credibilità.”
“Beh… capisco, ma…”
“Abbiamo l’auto. E i rilievi condotti dalla polizia.” – continuò Masumi – “Potrà essere provata la manomissione dei freni e dell’albero motore.”
“Certo… questo aiuta.” – il commissario si fece cogitabondo, massaggiandosi il mento squadrato e sbarbato – “Devo parlare con il prefetto. Mi attenda qui.”
Masumi rimase al suo posto. Nervoso, ma impossibilitato ad accendersi la sua fidata sigaretta. Fece vagare lo sguardo nell’ufficio: una stanza piccola e modesta, lontana anni luce dal lusso cui era abituato. Scaffali pieni di faldoni; schedari colmi di vecchi fascicoli; vecchi manifesti e circolari; la foto del prefetto e quella dell’imperatore; un piccola Buddha sopra la scrivania, al fianco di un vecchio monitor a tubo catodico. La scrivania era usurata: il piano era graffiato in più punti, il colore sbiadito nelle zone più utilizzate. La vecchia sedia era talmente logora da avere la simil-pelle tutta screpolata. Si distrasse guardando fuori dalla finestra che dava sul cortile della caserma: le auto di pattuglia erano parcheggiate in file ordinate, pronte per uscire.
Non attese molto che il commissario tornò nella stanza.
“Mi scusi per l’attesa.”
“Ascolti, commissario. So cosa vi siete detti, ma non posso permettere che mio padre resti fuori, libero di agire. Se non riuscirete a provvedere voi, dovrò farlo a modo mio, minacciandolo di rendere pubblica la conversazione e sperando che ciò lo blocchi. Preferirei che provvedeste voi: non voglio correre rischi. La prossima volta potrebbe colpire mia moglie ed è un’eventualità che non posso prendere nemmeno in considerazione.” – le sue parole furono accorate. Decisamente controcorrente con l’atteggiamento algido di Masumi Hayami.
Il commissario si mise le mani in tasca e lo fronteggiò.
“Non è mia intenzione lasciare un simile individuo libero di nuocere alla società. Dovevo solo valutare con il prefetto che ci fossero prove sufficienti per una condanna certa. Non possiamo rischiare che, dopo le accuse, torni libero.”
Masumi assentì, consapevole delle implicazioni.
“Si rende conto che con questa vicenda il nome della famiglia Hayami non avrà più lo stesso prestigio?”
“Non mi importa. Non è la mia famiglia e non lo è mai stata. Fate quel che volete. L’importante è che la mia vera famiglia non debba più patire per la sua scelleratezza!”
“Dovremo annunciare la sua ricomparsa e spiegare gli eventi signor… Fujimura. Credo sia meglio indire una conferenza stampa dopo l’arresto di suo padre. Procederemo questa sera stessa.”
Il giovane si alzò in piedi e, inchinandosi leggermente, gli chiese se avesse potuto accompagnarli. Voleva vedere con i propri occhi Eisuke Hayami farsi inoffensivo.
“Solo se non interferirà. Dovrà aspettare fuori dai cancelli.”
Ripercorse la strada a bordo di una pattuglia della polizia. Il commissario era alla testa della squadra. Quando arrivarono bloccarono gli ingressi al parco. Il vecchio ufficiale si accostò al campanello e suonò, annunciandosi alla richiesta dell’interlocutore.
L’assistente di suo padre li fece accomodare, ignaro. Masumi vide gli agenti procedere speditamente lungo il viale principale ed entrare nella villa. Non passarono che dieci minuti prima che ne uscissero circondando Eisuke Hayami sulla sua carrozzina mentre imprecava contro l’inefficienza delle forze dell’ordine che lui stesso contribuiva a stipendiare.
“Aspettate che lo sappia il prefetto! Finirete tutti a fare la fila agli uffici di collocamento!”
Nessuno replicava, tutti ligi al codice di comportamento che la situazione richiedeva.
“Chiamerò il mio avvocato! Come vi permettete?! Arrestarmi!! Per tentato omicidio, poi! E chi avrei tentato di uccidere, sentiamo!” – gridò.
“Me!” – si fece avanti, fronteggiandolo.
Vide il vecchio sbiancare, quasi in preda ad un mancamento.
“Tu!” – sputò – “Tu dovresti essere morto!”
“Allora devo essere all’inferno, se sei con me.”
Masumi si voltò dall’altra parte, ormai rassegnato a scorgere un qualsiasi lume di affetto o anche solo razionalità in quegli occhi.
“Troverò il modo di fartela pagare, lo sai!” – gridò ancora, il viso rubicondo dalla rabbia – “A te o alla tua cara mogliettina…”
Il giovane si bloccò raddrizzando la schiena. Si voltò ed il suo sguardo avrebbe potuto incenerire chiunque. I suoi occhi sembravano lame d’acciaio affilate. Gli si avvicinò e si chinò fino alla sua altezza artigliando i braccioli della sedia con le dita.
“Signore…” – iniziò uno degli agenti.
Masumi lo ignorò.
“Ascoltami bene, vecchio!” – iniziò – “Puoi minacciare me, ma non lei! Visto che sono vivo, dovresti aver capito che ho amici potenti. Prova ancora a fare qualcosa che non sia giocare a mahjong con i tuoi compagni di cella e non mi farò scrupoli a farli muovere.” – le ultime parole furono appena sussurrate, udibili solo a suo padre.
“Mi hai educato tu, non scordarlo!” – concluse, rialzandosi e tornando sulla sua strada – “Non dubitare mai che non ne sarei capace!”
Non lo guardò più. Se ne andò avviandosi a piedi verso il parco dove spesso trovava sua moglie quando era ancora una ragazzina. Il tragitto era lungo, ma non era importante. Aveva bisogno di calmarsi e l’aria fredda del tardo pomeriggio l’avrebbe aiutato. I passi lo guidarono alla sua destinazione, memori di tutte le volte in cui aveva fatto quel tragitto, sperando di trovarla sull’altalena.
I chilometri si srotolavano mentre il furore veniva placato. Ripensò a sua moglie che l’attendeva in albergo, sicuramente in ansia, di certo consapevole dei sentimenti che l’affliggevano. Si fermò sul marciapiede. Guardò il cielo buio e nuvoloso oltre le luci arancioni dei lampioni.
Cosa sto facendo?
Non era necessario andare al parco! Rivedere Maya era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Fermò un taxi e diede l’indirizzo dell’hotel. Quando la vettura accostò all’ingresso, trovò ad attenderlo una folla di giornalisti, impegnati a parlottare tra loro fin quando non notarono il suo arrivo. Allora, come cani randagi attorno ad un bidone dei rifiuti, gli si addossarono, brandendo microfoni come armi e scattando foto a ripetizione con i loro fastidiosi flash.
“Signor Fujimura… cosa è successo?”
“Come mai suo padre è stato arrestato?”
“Come si è salvato dall’incidente?”
Sapevano già tutto. Cosa doveva aggiungere? Li avrebbe fatti cuocere nel loro brodo per qualche giorno: alcuni agenti avrebbero fatto trapelare briciole d’informazioni e i giornali avrebbero banchettato per settimane sulla vicenda, distruggendo quanto rimaneva del buon nome di famiglia.
“No comment.”
Solo questo, lapidario, mentre il pensiero della Daito e del suo destino gli attraversava la mente. Cosa ne sarebbe stato delle centinaia di persone che contavano sull’azienda per cui lavoravano per arrivare alla fine del mese e mantenere la propria famiglia?
Domani, domani ci penserò…
Entrò nelle porte girevoli dell’atrio scansando le mani dei giornalisti.
I leggeri sussurri nella hall sapevano di casa dopo il frastuono esterno.
Il portiere lo salutò cordialmente.
“E’ un piacere vederla in salute, signore.”
“Anche per me, Shin, anche per me. Mia moglie è in camera?”
“Sì, signore. La signora l’attende.”
Lievi borbottii l’accompagnarono mentre si dirigeva all’ascensore: curiosità, sconcerto. Le porte si chiusero con il familiare scampanellio mentre un leggero fruscio accompagnava la salita. Pochi secondi e le porte si aprirono di nuovo. Questa volta su un corridoio vuoto, dal pavimento in legno coperto da un soffice tappeto. C’erano poche camere a quel piano. Arrivò fino in fondo, fece passare la chiave nel lettore magnetico: un leggero click gli comunicò che la porta era aperta.
Spinse l’anta ed entrò nel calore della stanza: Maya era vicino alla finestra. Doveva averlo visto arrivare ed ora lo guardava con gli occhi lucidi ed una mano aggrappata alla tenda scura.
“E’ finita.” – solo questo.
La donna attraversò di corsa la stanza e gli volò tra le braccia. Lo strinse, consapevole della rabbia, del dolore, della rassegnazione e del sollievo che gli albergavano nel cuore.
“Cosa ti hanno detto alla polizia?” – chiese – “Alla televisione hanno solo detto che tuo padre era stato arrestato e che eri vivo. Non hanno collegato le due notizie.”
“Lo faranno…” – rimasero stretti.

Diverse furono le reazioni che accompagnarono la notizia dell’arresto di Eisuke Hayami: soddisfazione, timore, sconcerto.
Dolore. Yeyasu Takamiya provava dolore. Quello che aveva considerato l’amico di una vita e che nelle ultime settimane aveva dovuto riconsiderare completamente era stato arrestato. Suo figlio, quello che aveva adottato per renderlo il suo erede, era stato costretto a farlo rinchiudere per evitare di continuare a rischiare la vita, sua e della sua famiglia. Sicché era il dolore che dominava il suo cuore: dolore per la perdita di un amico, dolore per aver compreso di non averne mai avuto uno, dolore per un’anima dannata che sperava trovasse la redenzione negli ultimi anni che gli restavano da vivere.
Vedeva sua nipote guardarlo con gli occhi velati di tristezza. Aveva capito quanto stava soffrendo e gli era vicina, nonostante il periodo felice che stava vivendo con quel giornalista. Era diventata una splendida donna, grazie a Masumi ed al gesto che aveva pensato fosse sconsiderato. Era dolce nell’animo, attenta agli altri, desiderosa della vera felicità. Non sarebbe mai stato abbastanza grato al suo mancato genero per la rottura del fidanzamento. Solo il pensiero di Shiori mitigava la tristezza di quel momento. Quello e la consapevolezza di non essere solo come Eisuke. Un vecchio indebolito dagli anni che non avrebbe più potuto contare su nessuno. Aveva allontanato tutti ed ora tutti lo avrebbero scansato come un appestato: suo figlio, ferito nell’animo; sua nuora, ingannata e colpita ancor prima di averlo conosciuto; lui stesso, tradito dall’unica amicizia considerata sincera; i suoi collaboratori più stretti, fedeli solo fino a che avessero percepito il loro stipendio; gli ‘amici’ che intendevano l’amicizia come faceva lui stesso e che si sarebbero dileguati alla stregua del suo patrimonio e del suo prestigio.
Dolore.

Sollievo. Chigusa Tsukikage appoggiò la schiena alla sedia di vimini vicina all’ampia finestra da cui guardava il giardino invernale. Rilasciò le mani ed il giornale spiegazzato sulle ginocchia, traendo un sospiro. Masumi aveva mantenuto la promessa. Aveva protetto la Dea Scarlatta. Aveva fatto tutto quanto era in suo potere. Non avrebbero più dovuto preoccuparsi di quella figura ingombrante e pericolosa. Eisuke era stato fedele al suo personaggio fino alla fine. Fino all’ultimo non aveva ceduto di un passo, perseguendo il potere e la vendetta. Masumi era stato fortunato. Aveva avuto gli appoggi che a lei erano mancati.
“Genzo,” – chiamò, attirando l’attenzione del fedele collaboratore – “Voglio uscire. Prepara l’auto.”
L’uomo annuì. Voleva vedere la sua prediletta. Voleva accertarsi che tutto stesse andando per il meglio.

Sgomento. I dipendenti del gruppo Hayami cui la Daito Art Production faceva capo erano in preda al panico. Cosa ne sarebbe stato di loro? Le aziende sarebbero colate a picco: un gruppo di quelle dimensioni non poteva restare senza amministratore delegato ed il consiglio di amministrazione non aveva i poteri per eleggere chicchessia perché la maggioranza delle quote societarie erano comunque in mano alla famiglia Hayami. Potevano sopravvivere allo scandalo delle dimissioni di Masumi Hayami finché ci fosse stato suo padre, ma l’arresto di quest’ultimo avrebbe creato una crisi di potere ai vertici. I mercati avrebbero banchettato sui resti delle imprese Hayami come gli avvoltoi sopra una carcassa putrefatta: loro ne avrebbero pagato le conseguenze. Il panico si avvertiva chiaro negli occhi di ognuno. Passi frenetici segnavano l’andirivieni di segretarie ed impiegati carichi di pratiche e documenti che andavano ad un punto all’altro dell’edificio, cercando di risolvere una situazione al di là delle loro facoltà. Nessuno parlava, confermando il clima funereo che si era instaurato.

Rabbia. Non solo aveva perso la competizione sulla Dea Scarlatta contro quel dilettante di Kuronuma, adesso Hajime Onodera non aveva più nemmeno l’appoggio del vecchio Hayami. Senza di lui, simile per i metodi adottati, la sua stessa carriera era a rischio. Quale compagnia teatrale o casa di produzione lo avrebbe voluto, conoscendo la sua nomea ed il suo caratteraccio? Certo, aveva vinto premi importanti, ma nei confronti diretti con registi quotati era sempre stato sconfitto. Infranse contro il muro il bicchiere di cristallo da cui aveva bevuto la vodka ghiacciata.
“Maledizione!”
Trasse un profondo respiro, cercando di calmarsi.
Del tutto inutile. Sentiva il sangue corrergli nelle vene ed il viso congestionato dalla rabbia.
Cosa diavolo aveva combinato quel vecchio per finire arrestato? Doveva esserci una scappatoia!
Ma sì… d’un tratto il pensiero del team di avvocati al soldo di Eisuke Hayami lo rinfrancò. Sicuramente avrebbero trovato una soluzione e tutto si sarebbe appianato. Nella peggiore delle ipotesi sarebbe bastato ungere chi di dovere.

Soddisfazione. Finalmente riusciva a capire qualcosa. Quando Ayumi aveva visto Masumi vivo e vegeto si era stupita e quando le aveva detto che sarebbe dovuto essere morto non aveva capito. Ora aveva saputo che Eisuke Hayami era stato arrestato ed iniziava a comprendere che dietro l’incidente doveva esserci lui. Era stupita, molto. Sapeva che il vecchio Hayami era un uomo spietato, ma arrivare a voler morto suo figlio! Anche Peter era della stessa opinione. Era difficile immaginare un simile epilogo. Per conto loro, speravano che quella storia fosse finita e che non ci sarebbero state scappatoie per il colpevole.

Preoccupazione. Koji si chiedeva che conseguenze ci sarebbero state per la sua famiglia in seguito alla cattura di Eisuke Hayami. Non credeva che, avvisando i Takamiya, si sarebbe giunti all’arresto di quell’individuo. Masumi Hayami aveva proprio voluto metterci una pietra sopra. D’altra parte, era comprensibile. Vista la minaccia, l’uomo era andato sul sicuro. Pensò a quanto si era sbilanciato durante la registrazione: non aveva fatto nomi, quindi non era quello il problema. L’unico punto debole sarebbe stata la possibilità che Eisuke patteggiasse una pena più lieve in facendo nomi e fornendo le prove delle attività illecite con cui aveva collaborato. Con un ghigno decise che avrebbe contattato i suoi uomini all’interno del carcere per far giungere un messaggio chiaro al nuovo ospite: niente scherzi o non sarebbe arrivato a sentire la sentenza che lo avrebbe condannato.
 
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