Incontri, FF ispirata a GnK

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Yayoi
view post Posted on 25/11/2013, 22:07




Finalmente ho ripreso a leggere il tuo bel racconto e mi sono quasi messa in pari (ho finito il cap. 30).
E' molto coinvolgente.
La storia e i dialoghi sono molto credibili. Le scene sensuali, ma mai eccessime.
Mi sta piacendo moltissimo :D

Anche il cambiamento di Shiori è stato una sorpresa. Non avrei mai creduto di provare simpatia per lei.
Molto del merito va a Masu, oltre che alla tua penna ;)
Gli ha fatto capire un bel concetto: Amare se stessi è il primo passo per farsi amare dagli altri!!

Shiori è simpatica, ma sono contenta di 'vederla' in coppia con un altro bel personaggio creato dalla tua immaginazione.

Il capitolo dell'intervista tra Masu e Aki è stato molto divertente.
Mi ha fatto venire in mente un dialogo tra Benedetto e Claudio del 'Molto rumore per nulla'.


B: Cos'è, la vorresti comprare che mi chiedi tante informazioni?
C: Stai fresco! C'è forse tant'oro al mondo che compri un gioiello così?
B: Come no! E ti dan pure l'astuccio in omaggio!


Spero di avere del tempo nel week end per arrivare al tuo ultimo capitolo postato!
 
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view post Posted on 6/1/2014, 23:59
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Stregone/Strega quasi professionista

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Yayoi vai pure con calma... intanto... nonostante con enorme ritardo, sono riuscita finalmente a concludere la storia con l'epilogo.
Spero che ti piaccia anche questo... Fammi sapere!
PS: Sono rimasta indietro anche nelle storie di Laura... Devo assolutamente recuperare!

__________________________________


EPILOGO


Sakurakoji era di fronte alla facoltà di architettura ed ingegneria dell’università R. di Tokyo. Quel giorno Sayuri avrebbe conseguito la sua laurea in ingegneria civile. Aveva partecipato al progetto di un viadotto autostradale in collaborazione con uno studio importante della capitale. Come una qualsiasi altra stagista aveva contribuito solo ai rendering ed assistito ai briefing. Tutto ciò era stato trasposto nella sua tesi. Il suo relatore si era congratulato con lei che ora si preparava a discuterla di fronte ad una folta platea di laureandi tesi, amici eccitati e parenti commossi.
Il ragazzo decise di entrare nel campus attraversando tutto il cortile verso l’aula magna, indifferente agli sguardi sorpresi delle ragazze che sembravano riconoscerlo. Spinse l’anta dell’ingresso e si affacciò nell’ampia sala avvolta nella penombra cercando Sayuri e sua madre. Lentamente fece volgere lo sguardo: individuare l’alta figura della sua ragazza non avrebbe dovuto essere difficile. Mentre era concentrato nella ricerca, non si accorse della graziosa figura che gli si avvicinava alle spalle trillando il suo nome.
Il giovane attore riconobbe subito la voce della sua futura suocera. Si voltò e la salutò calorosamente, chiedendole notizie di sua figlia. La donna gli rispose che stava discutendo ancora con il suo relatore per gli ultimi accordi. Passarono pochi minuti prima che l’intera commissione di docenti entrasse nell’aula e si posizionasse dietro il lungo tavolo che fungeva da cattedra. Le toghe nere bordate di grigio aumentavano la solennità della cerimonia.
Iniziò la lunga sequenza di presentazioni e relazioni, domande e risposte su temi a lui ignoti: resistenza dei materiali da costruzione, tecniche di rendering, composizione urbanistica.
E poi la vide. Il completo scuro che le slanciava la figura, i lunghi capelli raccolti in uno stretto chignon, il collo sottile lasciato senza alcun ornamento.
Sayuri parlò con voce pacata esponendo con chiarezza il progetto a cui aveva partecipato ed illustrando le tavole dei progetti. Le domande che le vennero poste non la trovarono impreparata. Quando finalmente lo raggiunse in platea Sakurakoji poté finalmente notare l’emozione che la pervadeva. Le ciglia le brillavano di lacrime trattenute. L’accolse con orgoglio tra le braccia.
Le discussioni andarono avanti per tutto il pomeriggio. Era ormai quasi sera quando la commissione di laurea si ritirò per valutare i lavori. Passò un’altra mezz’ora prima che si ripresentassero per proclamare i punteggi.
La tensione salì tangibilmente quando il presidente della commissione iniziò il suo discorso augurale per quelle nuove giovani menti che si sarebbero avventurate nel mondo del lavoro.
Ad ogni nome e voto che venivano pronunciati un giovane si alzava ed andava a ritirare il diploma sotto gli applausi della platea, gli occhi commossi dei genitori e le grida di giubilo degli amici.
Giunse anche il turno del suo amore che ritirò quella lode tanto sudata con le gambe tremanti.
Yuu non abbandonò un attimo la figura della sua schiena diritta. Attese la fine della cerimonia e poi uscì nel cortile affollato. Presto la vide uscire e cercarlo tra gli studenti. Si gettò tra le sue braccia.
“Oh Yuu! E’ finita! Posso iniziare a lavorare! A lavorare veramente! Finalmente andremo a vivere insieme!!”
“Già…” – era quello l’obiettivo ultimo di quella laurea. Sayuri era stata irremovibile. Non voleva pesare sulla sua vita. Non avrebbero condiviso una casa fino a che non fosse stata in grado di lavorare sfruttando la sua passione.

Una mano le scorse lenta lungo la schiena arrivando fino alla curva sottile della vita. Adorava il modo in cui la toccava… sempre come se fosse stata la prima volta. Il fuoco li divorava. Le pelli bruciavano mentre con le dita si accarezzavano. I cuori si rincorrevano all’impazzata, mai sazi, mai stanchi. Le labbra succose dell’uomo seguirono le mani lasciando una scia di baci.
Un leggero mugugno sfuggì dalla sua gola.
“Qualcosa in contrario a che io continui?”
La sua voce… oh la sua voce… quasi meglio delle sue mani.
“Non ci provare!”
La girò ed i capelli bruni si sparsero sui cuscini. Masumi la coprì e l’avvolse con le braccia depositando nuovi baci sul collo e sulle spalle.
“Sicura?”
“Non è mai successo che ti resistessi…” – le piccole mani gli afferrarono il volto e lo trascinarono sulle sue labbra. Si baciarono lentamente, scaldandosi – “Perché dovrei iniziare ora?”
“Non sei più sola… ora.” – la sua mano si poggiò sul piccolo ventre arrotondato – “C’è Haruka.”
Maya coprì la sua mano con la propria.
“Haru capirà presto quanto mi ami… e quanto ami lei. E poi il dottore ha detto che va tutto bene.”
“Ci pensi… Haru… non manca molto.”
“Qualche mese… passerà in fretta.”
“Allora meglio sbrigarsi.” – sorrise lui sulla sua pelle.
“Non troppo però!” – gli tirò i capelli.
“Vedrò quello che si può fare!” – concluse.
Masumi continuò ad accarezzarla modellandole i fianchi con le mani, abbracciando il suo corpo, assaggiando la sua pelle.
Maya ricordava il momento in cui aveva scoperto di essere incinta. Ormai erano parecchi mesi che provavano ad avere un bambino che sembrava non voler arrivare. Masumi le diceva di tranquillizzarsi, che tutto sarebbe andato come doveva andare. Lei invece attendeva ogni volta con trepidazione quel lieve ritardo che le avrebbe consentito di sperare. Ed ogni volta quelle gocce color rubino le spezzavano il cuore. Non piangeva. Non voleva. Era bello quello che stavano cercando di fare. Ma si sentiva incompleta. E sciocca. Accidenti! Era di umore troppo volubile. Inoltre da qualche giorno si alzava con un leggero capogiro.
Le temperature si erano alzate leggermente, pensava fosse un abbassamento di pressione. Poi quel visitatore tanto temuto e puntuale non era arrivato. Finalmente.
Era uscita di casa ed era corsa alla farmacia più vicina acquistando un test. D’un fiato era tornata a casa e si era chiusa in bagno. Respiri profondi mentre attendeva il risultato.
Due linee.
Era incinta.
E finalmente aveva pianto.

Masumi l’amò con tutto il suo ardore e la sua dolcezza. Maya era sempre il suo tesoro. E ora era ancora più preziosa perché portava in grembo sua figlia, la loro Haru, un gioiello tanto desiderato e già tanto amato. Era felice perché anche Maya lo era. L’aveva vista farsi tesa con il passare dei mesi e lui non poteva aiutarla in alcun modo se non standole vicino. Quando poi l’aveva atteso a casa e gli era volata in braccio non aveva avuto bisogno di parole per capire. Era incinta.
Ricordava la prima visita, la prima volta in cui avevano ascoltato il battito del suo cuore, la prima rotondità del pancino. La baciò ancora, con tenerezza, le succhiò le labbra e l’abbracciò.
“Ragazzina… non lasciarmi mai!”
“Mai… solo la morte!”
Rimasero nel letto per qualche altro momento.
“Dovremmo alzarci… Il presidente della Daito ci attende.”
“Sai che non lo sopporta quando le ti rivolgi in quel modo.”
“Ma è divertente.” – trattenne a stento un sorriso. Poi si fece serio – “Comunque prima devo passare da un’altra parte.”
“Allora hai deciso?”
“Devo vederlo, e poi sarà finita.”
Suo padre aveva chiesto di parlargli. Non lo aveva più incontrato dal pomeriggio del suo arresto, né era pentito. Poi la settimana precedente lo aveva mandato a chiamare. Tsè. Mandato a chiamare. Non era cambiato niente. Si era interrogato per giorni su cosa volesse. E alla fine aveva capitolato. Quel pomeriggio sarebbe andato a trovarlo.
“Resta pure qui. Ti passo a prendere io per la cena con il presidente.”
Maya gli strinse la mano, cercando di tranquillizzarlo.
“Non può più farti del male.”
L’uomo si vestì e scese in strada dove il taxi che aveva chiamato l’attendeva. Si fece condurre al carcere.
Dovette superare diversi livelli di controllo fin quando si trovò di fronte la direttrice della struttura di detenzione invece di suo padre.
“Signor Fujimura, mi scusi se la distolgo dalla visita. Ma… terrei a parlare con lei prima.” – esordì dopo essersi presentata.
Era una donna attempata, distinta, dall’abbigliamento severo ma non tradizionale. Doveva avere un gran valore se era arrivata ad occupare una tale posizione di comando nell’establishment giapponese.
“Prego. Non si preoccupi. Non ne vedo l’ora.” – il sarcasmo non l’abbandonava mai.
“Lo immagino. So cosa ha passato a causa sua. Ma…”
“Dica… non mi sembra il tipo da tentennare, direttrice.”
“No, ha ragione. Suo padre sta morendo.”
Gelo. Nell’anima. Nel cuore. Nei suoi occhi.
Doveva aspettarselo. Era già vecchio quando era entrato in carcere. Eppure lo vedeva sempre come una presenza scomoda ed immobile nella sua vita. Ora invece doveva guardare in faccia la realtà: sarebbe morto. Come l’avrebbe accolto?
“Quanto tempo ha?”
“I medici hanno detto… non più di qualche settimana.”
“Capisco… ha chiesto di vedermi per poter uscire dal carcere?”
“No. Non penso. Ora ha un trattamento privilegiato, in quanto malato terminale. Non avrebbe motivo di uscire quando fuori non c’è nessuno ad aspettarlo.”
“Non è che abbia fatto molto in tal senso.” – un mesto sorriso.
“Lo so. La lascio andare. Un agente l’accompagnerà in infermeria. Non volevo che lo vedesse senza essere avvisato.”
Si salutarono e Masumi seguì l’uomo che gli era stato assegnato. Percorsero lunghi corridoi spogli e grigi. I passi risuonarono sul pavimento e rimbombarono tra le pareti, cadenzati, gli uni eco degli altri.
Arrivarono infine di fronte ad una porta blindata bianca. L’agente digitò il codice di accesso e le ante si aprirono scorrendo silenziosamente ai lati. L’uomo gli fece spazio ed entrò. Pochi letti vuoti erano disposti lungo le pareti laterali. Le finestre sul fondo l’inondavano della calda luce di giugno. Una zona era nascosta da alcuni paravento chiari. Un’infermiera l’accolse guidandolo proprio in quella direzione.
“Prego.” – disse solo, lasciandolo a contemplare il ricordo dell’uomo vigoroso che un tempo era stato Eisuke Hayami. Un vecchio, emaciato, con la pelle molle e pallida sulle ossa. Mani ossute e raggrinzite adagiate sulle candide lenzuola. Una flebo centellinava un medicinale. Alcuni macchinari monitoravano il battito cardiaco.
Gli occhi erano chiusi. Si domandò se non dormisse.
“Ti piace ciò che vedi?” – la voce, quella no, non era cambiata. Solo più lieve, ma il tono rimaneva freddo e crudele.
“Non mi piace come non mi piacerebbe vedere chiunque altro nelle tue condizioni.” – si aspettava forse che esprimesse soddisfazione per la sua sofferenza?
“In fondo è merito tuo se sono qui. Sarai soddisfatto del risultato.”
“Davvero pretendevi che non mi difendessi dai tuoi attacchi? Hai tentato di uccidermi! Dovevo farmi ammazzare per evitare che finissi qui dentro?” – Masumi strinse i pugni. Aveva perso la capacità di controllarsi in sua presenza. Dopo tanto tempo non aveva più l’immunità al suo caratteraccio.
“Tu!” – sputò – “Tu! Non hai seguito i miei ordini! Hai fatto di testa tua! Dovevo punirti! E tu hai consentito che il mio nome finisse nel fango. Che quegli avvoltoi dei miei nipoti si appropriassero di tutto e svendessero a quel vecchio balordo e rammollito quello che io avevo costruito!”
Il vecchio venne interrotto da un grave attacco di tosse. Fu quasi piegato in due dallo sforzo e dal dolore.
“Non ci posso credere! Mi hai fatto chiamare per rinfacciarmi tutto ancora una volta? Continui a buttarmi addosso colpe tue e non mie! Tue sono state le scelte e tuo è stato il disonore!” – il giovane soffriva nel sentir parlare in quel modo il vecchio. Quelle crudeli parole andavano a toccare ferite mai completamente chiuse, quelle colpe che pensava dovesse addossarsi. Lui stesso si era spesso interrogato sul nome di famiglia, sul destino della Daito, su quello di suo padre. Cercava di affrontarli e di superarli.
Trasse un lungo sospiro.
“Cosa vuoi che faccia? Tu hai deciso di ammazzarmi come un cane e io mi sono difeso. Ho difeso me e la mia famiglia neutralizzandoti ed escludendomi dalla tua sfera di influenza. Sarei ancora tuo figlio se non mi avessi costretto a tanto. La Daito sarebbe ancora tua. La villa sarebbe ancora tua. Tu saresti libero ed in attesa di una nipotina. Sei malato e stai morendo. Vuoi che ti chieda perdono? E sia. Ti chiedo perdono per essere vivo e felice.”
Un lampo di tristezza parve attraversare lo sguardo dell’altro.
“Una nipote, dici?”

Una nipote…
Suo figlio stava per renderlo nonno e lui non avrebbe mai conosciuto quella nuova creatura. Aveva chiamato Masumi per chiedergli perdono. E invece… appena l’aveva visto non aveva potuto evitare di accusarlo ancora, come se niente fosse cambiato, come se non avesse infine compreso che era solo, che aveva cacciato via tutti, che stava morendo.
L’aveva accusato e, dopo una lieve resistenza, Masumi aveva chinato il capo e aveva chiesto il ‘suo’ perdono. Assurdo! Suo figlio non aveva nulla di cui farsi perdonare. A tal punto l’aveva segnato?
Meritava di essere stato rinchiuso.
Meritava di morire nella sofferenza.
Meritava quel male che lo stava divorando dall’interno.
“Tu chiedi perdono a me?” – questa volta fu lui a sospirare.
Glielo doveva.
“Non hai nulla da farti perdonare. Come hai detto tu… ho fatto le mie scelte e tu le tue. Ogni azione ha la sua reazione. Io… devo chiederti perdono. Non tu. Tu… hai tenuto alto il nome della famiglia come non ho saputo fare io. E hai fatto in modo di salvare le imprese di famiglia e la gente che ci lavora.” – un sofferto attacco di tosse – “Dovevo vedere in faccia la morte per comprendere.”
Eisuke chiuse di nuovo gli occhi e sembrò aver detto tutto quanto doveva.
“Ora… va’…” – concluse – “Non hai tempo da perdere con me. Torna da tua moglie e da tua figlia.” – il respiro si era fatto pesante. Il monitor segnava un battito leggermente più accelerato. Il bip scandiva i respiri dei due uomini che si fronteggiavano: l’uno indebolito e morente, steso sul lettino, l’altro in piedi al suo fianco. Masumi che fissava suo padre. Eisuke che gli occhi invece li teneva chiusi.
“E vivi Masumi! Non pensare più a me. Non tornare.”
“Sì, padre.”
Padre…
Da quanto tempo non lo chiamava in quel modo? Da troppo. E ancora di più, da quando era un bambino, non lo faceva con tanto sentimento.
Un senso di appagamento gli riempì il cuore. Bastava tanto poco per trovare soddisfazione? Un ‘padre’ detto con sentimento. Solo questo?
“Addio… figlio…”
Il vecchio riaprì gli occhi sulla figura di Masumi che si allontanava. Sarebbe stato l’ultimo ricordo che avrebbe avuto di lui. Un figlio di cui poteva andare fiero ma di cui non aveva riconosciuto i meriti fino a che non era stato troppo tardi.
Eisuke morì dopo pochi giorni, senza un fiato e senza un lamento. Con il sorriso sulle labbra come se si trovasse nel suo letto piuttosto che in una squallida lettiga nell’infermeria di una prigione.
Nessuno commentò l’ignobile fine di quell’uomo che aveva rappresentato la vergogna per l’intera classe dirigenziale nipponica. Solo suo figlio e sua nuora parteciparono alle esequie. Due figure solitarie di fronte alla tomba della famiglia Hayami che bruciavano incenso e offrivano fiori di susino.

Masumi lasciò il penitenziario sollevato e sofferente.
Aveva ottenuto l’assoluzione da suo padre per come si era comportato, per averlo denunciato, per aver permesso che la Daito e le altre imprese collegate fossero acquisite dal gruppo Takamiya. Non avrebbe mai creduto di aver tanto bisogno di quelle parole. Dopo quanto era successo aveva pensato che non gli importava più nulla di quanto suo padre lo odiasse. Non era vero. In tutta la sua vita, pur cercando vendetta, aveva anelato alla sua approvazione.
Un dolore sordo gli squassava il petto.
Il padre che aveva ritrovato stava morendo. E l’avrebbe perso per sempre.
A casa trovò Maya pronta per la cena. Appena lo vide corse ad abbracciarlo. Sentì il suo ventre rotondo premergli addosso e le braccia circondarlo.
“Sta morendo.”
Lo strinse. Nessun commento.
“Mi ha chiesto perdono.” – le sussurrò ancora – “E sta morendo.”
“Allora… se ne andrà con l’anima in pace e ti farà vivere serenamente. Ti ha fatto un dono enorme e conserverai i suoi ricordi.”
“Non che siano proprio edificanti…”
“Già… ma quest’ultimo lo sarà.”
“Andiamo. Ci stanno aspettando.”
Si avviarono verso il ristorante dove li avrebbero accolti il presidente della nuova Daito Art Production ed il suo vice. Tra le altre cose dovevano definire gli ultimi dettagli prima della firma del contratto per l’ennesima replica della Dea Scarlatta ed una nuova rappresentazione del “Sogno di una notte di mezza estate” che si sarebbero svolte l’anno seguente.
Era da quando il gruppo Takamiya aveva acquisito il gruppo Daito che le due case di produzione collaboravano per la realizzazione delle migliori rappresentazioni della stagione.
Arrivati all’ingresso il maître li accompagnò al tavolo.
Masumi vide i lunghi capelli neri del presidente adagiati sulla schiena di quella donna tanto volitiva da arrivare ad essere temuta da tutti i suoi concorrenti.
L’uomo lanciò un’occhiata ammiccante al suo vice ed attrasse l’attenzione della donna.
“Presidente, scusi il ritardo!”
Saeko si voltò e sbuffò poco educatamente, suscitando il sorriso di Karato.
“Sai che non lo sopporto quando mi chiami ‘presidente’. Sono stata la tua segretaria!”
“Lo sa benissimo!” – rispose Maya, interrompendo la sicura battuta del marito – “Ma sai quanto si diverte a stuzzicarti!”
Iniziarono a definire tutto mentre attendevano le loro ordinazioni. Quando iniziarono la cena erano ormai giunti al termine. Tutti misero via i blocchi su cui avevano preso appunti.
“Avete deciso?” – chiese Maya.
Masumi notò immediatamente il rossore spargersi sul volto della donna più potente del mondo dello spettacolo.
“Sì.” – solo un leggero sussurro. Mitsuki chinò il volto chiedendo aiuto a quello sorridente di Hijiri, sotto lo sguardo sempre più curioso di Masumi.
“Ci sposiamo… il prossimo dicembre!”
Il sorriso si allargò sul volto di tutti i commensali.
“Congratulazioni! Qui ci vuole un brindisi vecchio mio!”
Chiamò il cameriere.
“Come facevi a saperlo?” – chiese poi a sua moglie.
“Cose da donne…” – rispose solo lanciando un’occhiata d’intesa all’amica.
Lo sapeva ormai da qualche settimana. Dopo la vicenda di Eisuke, il tracollo delle imprese Hayami e l’ascesa al potere degli odiati nipoti con il successivo intervento di Masumi a che si convincessero a monetizzare il capitale prima che si svalutasse ulteriormente vendendo al vecchio imperatore, Hijiri si era riappropriato della sua esistenza ottenendo la revisione del rapporto sull’incendio in cui aveva perso la vita sua madre e sua sorella in cambio di alcune informazioni circa alcuni loschi rapporti intrattenuti dall’ormai detenuto Eisuke Hayami.
Da quel momento, Masumi aveva consigliato Yeyasu Takamiya di mettere a capo della Daito Art Production la sua ex-segretaria, donna capace, arguta, ambiziosa ed intuiva, mentre lei aveva subito nominato lui come suo vice, dandogli modo di far fruttare le sue capacità alla luce del sole: non ci sarebbe più stato bisogno dei servigi dell’uomo ombra.
Il rapporto con Saeko si era consolidato ed alla fine si era fatto forza e le aveva chiesto di sposarlo, correndo il rischio di dover combattere contro il suo spirito libero e ribelle.
Invece solo due lacrime di gioia gli avevano risposto.
Ed un sorriso che aveva visto solo il giorno del matrimonio di Maya e Masumi.
Ormai arrivati al termine della cena, videro entrare nel locale una coppia che ormai faceva parte delle loro amicizie. Aki e Shiori si avvicinarono al loro tavolo.
Mikami manteneva intatto il suo portamento anticonformista non mancando di scandalizzare i vecchi componenti della buona società quando la coppia partecipava agli eventi pubblici. Shiori, dal canto suo, era radiosa.
Questa era la vera coppia d’oro.
Quando uscivano in pubblico sembravano risplendere: mai un’ombra passava nei loro sguardi, le mani erano sempre intrecciate e suscitavano l’invidia di chi non provava lo stesso stato di beatitudine.
Contrariamente a quanto tutti si erano aspettati, invece di convolare a nozze erano semplicemente andati a vivere insieme, non sentivano il bisogno di un contratto che sancisse e benedisse il loro legame. Yeyasu Takamiya si era dimostrato magnanimo, dopo un primo momento di sconcerto… e inquietudine.
Grazie alla sua attività, Shiori aveva stretto i rapporti di amicizia con Masumi e sua moglie e, come aveva predetto, lui aveva trovato un buon amico in Aki.
“Volete unirvi a noi?” – chiese Maya indicando la bottiglia di champagne.
“No, tranquilla. State festeggiando?” – rispose Aki.
“Saeko e Karato ci hanno appena comunicato che intendono sposarsi.” – rispose lei entusiasta, lanciando occhiate compiaciute verso l’amica.
“Ma è magnifico!” – giubilò Shiori.
“Posso già sentire il tuo cervello lavorare alacremente Shiori! Ma non starle troppo addosso.” – intervenne Masumi.
“Che sciocco che sei!” – si finse offesa lei – “Non sono tanto venale!”
E tutti scoppiarono a ridere.
Quando i due si allontanarono, Mitsuki prese la parola.
“Ayumi sta per tornare in Giappone.” – rivelò.
“Davvero? Quando?” – chiese Maya curiosa – “Come lo sai? A me non ha ancora detto niente.”
Lo sguardo furbo del presidente della Daito la diceva lunga su quanto in realtà sapesse.
“La Daito ha deciso di mettere in scena nelle prossime stagioni una serie di opere tratte dal romanticismo inglese e… chi meglio di Ayumi potrebbe esserne la protagonista?”
“Saeko, ma come sei riuscita a convincerla? Ormai sono anni che lavora con il Rose Theatre di Londra!”
Ancora una risata maliziosa sotto lo sguardo affascinato di Hijiri.
“Ma io non ho dovuto convincere nessuno! Ho solo fatto la proposta quando con lei c’era anche suo marito che si è dimostrato felicissimo di tornare a vivere in Giappone!”
“Sei veramente perfida! Ayumi non riesce a rifiutare nulla a Peter!” – la rimproverò Masumi.
“Oh non direi! Ayumi non fa nulla che non voglia. Penso piuttosto che abbia còlto il desiderio di Peter per tornare a casa.” – controbatté Maya – “Non vedo l’ora di incontrarla!”
“Tornerà fra qualche settimana, alla fine della stagione teatrale londinese.”
La gioia negli occhi della giovane trapelava chiaramente all’idea di rivedere l’amica dopo tanto tempo.

I pochi mesi che mancavano alla nascita della piccola Haruka passarono. Maya si era fatta ancora più bella e florida nel suo stato di futura mamma. Il ventre rotondo e delicato illuminava tutto il suo portamento, mentre lo sguardo si era fatto ancora più dolce e tenero.
Quando un tardo pomeriggio di settembre Maya iniziò a sentire quelle contrazioni che aveva imparato a riconoscere ad un ritmo cadenzato e regolare seppe che era giunta l’ora.
Aveva chiamato Masumi ancora in ufficio e subito dopo un taxi.
Cercò di fare tutto metodicamente: prese la valigia pronta da settimane, si vestì con calma tra un dolore e l’altro. Scese al piano terra ed attese la vettura sotto il patio.
Dopo neanche mezz’ora era già stesa sul lettino del reparto di Ostetricia e Ginecologia con Masumi che le teneva la mano tra le proprie.
Il travaglio durò qualche ora: la giovane non aveva mai provato un dolore tanto lancinante. La fronte pallida ed i capelli umidi appiccicati alla pelle. Ma gli occhi, quegli occhi, erano tanto vigili quanto determinati.
La sua bambina, la sua Haruka, stava per nascere. Sarebbe stata accolta dalle mani amorevoli dei suoi genitori. Non vedeva l’ora di stringerla, allattarla, vederla dormire e anche sentirla urlare a squarciagola. Probabilmente si sarebbe dovuta stancare di sentirla piangere, ma sarebbe stata la voce di sua figlia.
La voce di sua figlia la sentì, finalmente. Un pianto netto, potente, arrabbiato.
“Me la dia!” – pregò il dottore con le mani tese e gli occhi umidi di lacrime.
E gliel’appoggiarono addosso avvolta in un piccolo telo bianco di cotone. Piangeva ancora con il suo visino rugoso, le sue mani strette a pugno, gli occhi chiusi. Bastò quello, bastò che sentisse il calore e l’odore della sua mamma per farla cadere in un sonno profondo sotto gli occhi adoranti di suo padre che l’accarezzava sul capo ancora sporco.
Maya e Masumi si guardarono: quel momento era un nuovo meraviglioso inizio.
 
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91 replies since 25/11/2011, 14:29   4659 views
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