| CAPITOLO 18 La settimana ricominciò e con essa anche le prove per le due candidate al ruolo della Dea Scarlatta: sarebbero stati giorni decisivi ché la domenica successiva si sarebbe finalmente sciolto ogni dubbio su chi avrebbe ereditato la parte della grande attrice del passato Chigusa Tsukikage. Ayumi stava facendo colazione in quell’autunnale mattina stranamente assolata. La tata aveva provveduto a preparargliela, come faceva da quando poteva rammentarlo. “Che cosa ha fatto ieri sera fino a quell’ora tarda, signorina Ayumi? Ha detto che il signor Hamill l’avrebbe ricondotta a casa…” “Ho provato… ho provato da sola sul palcoscenico della rappresentazione dimostrativa…” – la giovane aveva notato il tono preoccupato della vecchia governante. Sapeva quanto la donna tenesse a lei, visto che aveva degnamente sostituito i suoi genitori durante le loro lunghe assenze. “Sono quelle rovine presso la vecchia stazione?” – chiese di nuovo con voce ansiosa. “Il palcoscenico per la Dea Scarlatta, sì.” – rispose in modo calmo. “E se succedesse qualcosa?” – afferrava il tono arrabbiato della tata. Si preoccupava per lei, era normale. “Va tutto bene. Il signor Hamill è stato con me per tutto il tempo…” – per rassicurarla non poteva fare altro che dirle le cose come effettivamente stavano. “Il signor Hamill è…” – sembrava sul punto di farle una domanda difficile, decise quindi di anticiparla. “Il signor Hamill sarà con me anche stanotte… e domani… e forse per sempre” – Ayumi sapeva di averla sconvolta e mentre finiva il suo tè decise di essere chiara fino in fondo – “Probabilmente è solo questione di tempo prima che la notizia appaia sui giornali.” La giovane attrice aveva realizzato negli ultimi giorni che la gentile vicinanza dell’uomo stava velocemente facendo breccia nel suo cuore indomito. Non sapeva quando tutto era iniziato. Comprendeva solo che pian piano aveva iniziato a ritenere indispensabile sentirlo al suo fianco ed era veramente tranquilla solo quando sapeva che l’uomo era nelle vicinanze. Solo il suo orgoglio le impediva di ammetterlo anche con lui. Le sue riflessioni furono interrotte dalla voce quasi isterica della vecchia donna. “Signorina, tutto ciò non è divertente. E’…” – Ayumi pensò che tutte le rughe del suo viso dovevano essere state messe in evidenza nell’espressione che sicuramente campeggiava sul suo volto. “Mia madre ne è già a conoscenza. Ti chiedo solo di non dirlo ancora a mio padre. E’ così geloso…” – concluse con un sorriso affettuoso. “Signorina Ayumi…” “Oggi il tempo è magnifico…” – decise di provare a cambiare argomento – “Il cielo azzurro è bello e gli alberi sono al massimo del loro splendore.” L’anziana donna le chiese stupita se riuscisse a vederli realmente. “Poco, ma oggi mi sento bene. Posso sentire la luce del sole sulla mia pelle, è calda e non sento traccia d’umidità. Riesco a vedere vagamente il terrazzo spendente sotto la luce del sole… l’azzurro bellissimo del cielo… oggi è una giornata splendida.”
“Signorina…” – fu l’unica parola in grado di dire l’anziana governante. Era tanto tempo che non vedeva più un sorriso tanto radioso sul volto della sua amata bambina, ma non poteva evitare di preoccuparsi. Il suono del citofono che annunciava l’arrivo dell’autista interruppe le sue riflessioni. “Digli pure che scendo subito.” “Aspetti, signorina. Vengo con lei…” – provò a dirle la donna. “No. Non venire. Posso vedere. Va tutto bene, tata. La gente potrebbe iniziare ad insospettirsi se venissi con me.” – la voce melodiosa della ragazza bloccò sul nascere i suoi propositi. Non era mai stata in grado di non accontentarla. “Ma se dovesse succedere qualcosa, signorina, mi chiami! Verrò subito.” – non poteva fare altro? Vide lo sguardo della ragazza farsi dolce, pieno di una tenerezza che raramente traspariva. “Grazie, tata. Grazie per essere qui con me…” “Ma signorina, questo…” Vide le sue braccia sottili, rafforzate dai pesanti allenamenti a cui si era sottoposta, allungarsi verso di lei e prenderla in una calda stretta. “Ti voglio bene, tata.” Signorina Ayumi… Come non ricordare tutte le volte in cui la piccola Ayumi l’aveva abbracciata pronunciando quelle parole e chiedendole se aveva visto il suo spettacolo? E ricordava che rispondeva sempre che la sua protetta era stata sicuramente la migliore. Anche in quel momento la commozione la colse facendole venire le lacrime agli occhi. “Ora vado… va a letto presto stasera, tata…” – il suo saluto fu gioioso. “Stia attenta! Buona giornata!” – osservando l’auto che si allontanava desiderò che la ragazza raggiungesse la felicità, perché le voleva bene, tanto, fin da quando non era che una bambina.
Nella periferia popolare della città delle voci vivaci si alzarono in quella serena mattina di novembre. “Non essere tanto lenta, Maya! Bevi velocemente il tuo latte o farai tardi!” – come ogni mattina toccava a Rei spronare la ragazza come avrebbe fatto una madre con un figlio restio ad andare a scuola. Ed il dialogo continuava come d’abitudine. “Il tuo toast?” “Lo mangio subito!” “Il tuo portafoglio?” “Ce l’ho… vado” – e la vedeva schizzare via per cercare di evitare la ramanzina che sicuramente Kuronuma le avrebbe riservato. Un pesante sospiro le sfuggì dalle labbra sottili. “Dèi! Ogni mattina la stessa storia!” Sayaka comparve alle sue spalle. “Ti capisco, Rei.” – e dopo un momento d’attesa, mentre entrambe erano affacciate ad osservare l’amica che si allontanava svelta, continuò – “Seriamente… pensi che sarà scelta per interpretare la Dea Scarlatta? Lo spirito del Susino Millenario?” “Sembra impossibile… è talmente normale!” “Già…” – nessuna delle due riusciva a capire come avesse fatto quella ragazzina che avevano conosciuto quando aveva solo tredici anni, senza alcuna esperienza di recitazione, ad arrivare a contendersi il ruolo più ambito del teatro giapponese con la famosa Ayumi Himekawa. Ma… avrebbero realmente dovuto stupirsi? Quante sfide aveva vinto quel piccolo esserino mentre tutti, tranne la signora Tsukikage e lo sconosciuto ammiratore, scommettevano che avrebbe perso?
Maya correva. Sapeva che tutte le mattine rischiava di fare tardi, ma una volta arrivata in sala prove nulla aveva più importanza. Il tempo si fermava e si rendeva conto che la sera giungeva solo perché i suoi compagni di lavoro se ne andavano. Già quando usciva di casa iniziava a pensare alla giornata che sarebbe venuta, ad alcuni elementi dell’opera o del suo personaggio. I suoi pensieri erano quasi esclusivamente per il teatro. Quasi, perché Masumi si contendeva ormai da tempo il primato nella sua mente, dopo aver raggiunto quello nel suo cuore. Quella mattina la giovane era concentrata su alcune battute che racchiudevano in sé il significato del ‘nome’. Isshin chiedeva ad Akoya cosa pensasse del suo nome ed Akoya, semplicemente, rispondeva: “Qualunque sia il tuo nome, tu sei sempre tu…una persona non trae origine dal proprio nome… in questo mondo, solo gli umani hanno un nome.” “E’ perché altrimenti gli uomini non sarebbero in grado di chiamarsi l’un l’altro.” “I gatti ed i cani non si chiamano per nome. Sai perché, caro? Tanto tanto tempo fa, quando anche gli uomini erano dèi, essi potevano comunicare senza dire nulla… bastava pensare all’altro. Non serviva un nome, bastava la propria realtà ed i propri sentimenti. Come ci chiamiamo non ha importanza… solo pensando all’altro con tutto il tuo cuore sarai in grado di comunicare realmente… non è così, caro?” Riuscì a saltare sul treno della metro poco prima che partisse dalla stazione. Nel breve tragitto che la separava dallo studio la sua mente fu affollata dal ricordo di quelle battute. Stava ormai per scendere quando colse i discorsi di due ragazzi che si stavano recando a scuola. Sembrava una conversazione adatta a farla riflettere perché se si fossero esclusi i nomi propri, sarebbe risultata incomprensibile. Il ‘nome’ era un concetto difficile da comprendere, ma Maya sapeva che sul palcoscenico non avrebbe recitato. Su quel palcoscenico avrebbe vissuto come Akoya e avrebbe pensato al suo Isshin. Il pensiero di Masumi, la metà della sua anima, era sempre nel suo cuore. Riusciva veramente a comunicargli tutti i suoi sentimenti, ora che si erano trovati. A pensarci bene, Masumi le aveva sempre letto nell’anima. Ogni volta che l’incontrava si comportava come Maya aveva bisogno che si comportasse: se si sentiva insicura o depressa, con mille attenzioni nascoste le faceva tornare il buonumore; se era in ansia, con il suo sarcasmo la mandava talmente in bestia da farle dimenticare tutto il resto. Solo quando doveva comprendere i suoi reali sentimenti era caduto in fallo: in quel caso, però, ella stessa aveva tardato a manifestarglieli in modo inequivocabile. Li aveva tenuti chiusi nel cuore, inviandogli sempre e solo segnali contraddittori.
Come tutto il resto della capitale giapponese, anche la Daito era ormai da qualche ora nel pieno della sua attività. Gli uffici brulicavano di impiegati affaccendati, i corridoi erano affollati da continui andirivieni, i telefoni squillavano ininterrottamente. Erano quasi le dieci del mattino, quando Saeko Mitsuki ricevette una chiamata inaspettata. Professionale come sempre, non lasciò trasparire alcuna emozione e mise in attesa il suo interlocutore per avere modo di informarsi con il suo capo. Masumi Hayami era giunto il ufficio con un buonumore che negli ultimi giorni lo accompagnava spesso. La settimana prima era stata segnata da un’evoluzione meravigliosa del suo rapporto con Maya: si erano incontrati, avevano parlato, l’aveva abbracciata e baciata e… sì avevano compiuto impensabili passi avanti anche in altri ambiti. Uno sciocco sorriso comparve sul suo volto, il sorriso che poteva permettersi esclusivamente quando era da solo. Mentre rovistava in alcuni documenti, le sue riflessioni furono interrotte dallo squillo del telefono. “Mi dica, signorina Mitsuki.” “Signore, ho Aki Mikami in linea che desidera fissare un appuntamento con lei. Cosa devo rispondere?” – la voce della sua segretaria manifestava un’insolita preoccupazione. “L’argomento?” “Ecco… Il suo matrimonio ed il suo rapporto con Maya Kitajima e la Dea Scarlatta.” Dopo una risata sarcastica l’uomo le rispose di fissarglielo prima possibile, ché aveva intenzione di togliersi quanto prima almeno quella, di spina dal fianco. “E’ stato diretto, non trova signorina?” – chiese con l’alone di un sorriso sulle labbra. “Molto diretto. E’ degno della sua fama. Sarà uno scontro tra titani!” – anche la donna aveva un sorriso sulla labbra, ma il suo era di anticipazione, come il ghigno del predatore che vede la preda cadere nella sua trappola. “Signorina, ha per caso una strana predilezione per il sangue?” “No, ma adoro osservare il confronto tra due persone con innato talento dissimulatorio.” – fu la risposta concisa. La donna lo chiamò dopo pochi istanti per informarlo che l’appuntamento era stato fissato per quello stesso pomeriggio. Avevano scherzato su quell’intervista, ma Mitsuki aveva ragione: avrebbe avuto bisogno di tutta la sua abilità per evitare che il giornalista si avvicinasse troppo alla verità.
Il giornalista in questione chiuse la chiamata soddisfatto. Si aspettava di dover attendere dei giorni, invece era riuscito a fissare l’intervista per il quello stesso pomeriggio: la segretaria aveva tenuto a precisare che il signor Hayami avrebbe avuto poco tempo da dedicargli, ma che, in considerazione della sua fama e delle sue capacità, aveva voluto incontralo subito. Nelle varie riflessioni che accompagnarono il colloquio telefonico, l’uomo si chiese addirittura se il presidente della casa di produzione non fosse tanto ansioso di vederlo perché aveva saputo da Shiori del loro incontro. Scacciò quasi subito una tale eventualità, aiutato dal ricordo degli occhi di ossidiana della donna.
Alla compagnia Ondine, Ayumi si esercitava proprio sulle battute su cui Maya si stava interrogando. Kei Akame la guardava rapito. Ayumi recitava. Recitava ma non capiva cosa diceva. Il suo sguardo ed il suo sorriso erano dolci mentre raccontava ad Isshin che gli dèi non avevano bisogno di chiamarsi per nome, ma bastava semplicemente pensarsi intensamente. Tuttavia, la sua mente ed il suo cuore erano vuoti. Come poteva essere possibile comunicare senza la parola, senza chiamarsi per nome?! Alla fine della scena, avvicinò una ragazza dello staff chiedendole se avesse capito cosa intendesse veramente Akoya con le battute che aveva pronunciato nei minuti precedenti. “Il significato delle battute? E’ difficile da dire. Cose come comunicare senza parole o chiamarsi senza nome o la presenza degli dèi nel vento, nel fuoco, nella terra… onestamente non sembrano reali. Ma… siccome è Akoya a dirlo e Akoya è l’incarnazione della Dea, allora deve essere giusto, no?” “E’ così dunque? Grazie.” – e si voltò tornando al centro della scena. Aveva in mano un leggero telo di spugna con cui di tanto in tanto si detergeva il sudore dalla fronte. Era chiaro. Nei suoi panni, neanche Ayumi avrebbe compreso quelle parole e quei concetti. Aveva preteso di comprenderle e le aveva recitate di conseguenza, ma non era sufficiente! Quando era sul palcoscenico, doveva essere quella che conosceva il significato profondo delle battute, che altrimenti, perdevano gran parte della loro eloquenza. Non posso diventare Akoya. Quella conclusione la spaventò.
“Stop!” Kuronuma interruppe la scena che i suoi due attori protagonisti stavano provando. Era soddisfatto: sia Maya che Sakurakoji avevano dato prova di grande affiatamento, talento e capacità espressiva, tanto che anche i loro compagni li stavano ammirando. Vide Sakurakoji alzarsi dal palco di prova ed allontanarsi, senza neanche degnare la sua compagna di uno sguardo. Pensava che i loro problemi si fossero risolti, visto che aveva notato una certa distensione tra loro negli ultimi giorni. Cosa era dunque successo? Voleva scoprirlo, decise quindi di seguire il ragazzo sul terrazzo. “Come ti senti, Sakurakoji? Come va la tua gamba?” – l’aveva detto in modo pacato, perché si rendeva conto da solo che il suo stato di salute stava migliorando, ma voleva iniziare il discorso da un terreno poco pericoloso. “Molto meglio... mi spiace averla fatta preoccupare. Penso che presto sarò in grado di camminare senza stampelle...” “Questo va bene, ma... cos’è successo tra te e Maya Kitajima? Dopo il tuo incidente recitate in modo strano...” – sapeva benissimo cosa c’era effettivamente stato o, almeno, lo immaginava. Solo voleva capire come stava il ragazzo e da cosa dipendevano alcuni suoi mutamenti. “Niente.” – fu la risposta scontata. Sembrava però che il giovane attore volesse proseguire – “Da quando ho avuto l’incidente, ho capito quanto sia importante per me il teatro.” Il regista l’aveva visto stringere il pugno inconsciamente. Lo sguardo era determinato, fisso in un punto lontano. “Non importa cosa succederà, io interpreterò Isshin. Ho capito che non voglio farmi lasciare indietro da Maya sul palcoscenico. Prima di essere amici, siamo rivali! E’ solo questo!” “Rivali?” – chiese l’uomo – “E’ la sola ragione?” “Cosa?” – si sentì domandare. “E’ veramente tutto qui?” – insistette. “Sì!” – ne era veramente convinto. Forse, dopotutto, aveva voltato pagina. “E’ così dunque...” – sospirò – “Va bene... non perdere il tuo spirito... il tempo è magnifico oggi... sarebbe il massimo se alla rappresentazione di prova accadesse lo stesso.” Stettero un po’ in silenzio, entrambi persi nei loro pensieri. Alla fine il regista si voltò verso il ragazzo e gli consigliò semplicemente: “Sakurakoji, goditi un po’ di più il palcoscenico... se non lo farai, perderemo la dimostrazione di prova.” – il tono era stato mite, ma anche categorico. Il giovane dovette avvedersene perché chiese cosa intendesse dire. “Perché pensi che la signora Tsukikage abbia scelto quella stazione abbandonata per la rappresentazione? Prova a pensare all’origine... all’origine della recitazione...” Vide gli occhi del giovane spalancarsi e decise di spronarlo con un ultimo commento. “La tua rivale, Maya Kitajima, l’ha già capito. Non con la testa, ma con questo!” – e si indicò il cuore con un pollice. Ciò detto, si girò e se ne andò lasciandolo di nuovo solo.
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