Incontri, FF ispirata a GnK

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tenshina
view post Posted on 16/10/2013, 18:50 by: tenshina
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Stregone/Strega quasi professionista

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CAPITOLO 42
Aprì la porta della suite convinto di trovare Maya impegnata in qualche esercizio di recitazione o assorta nei suoi pensieri. Quello che in realtà vide, invece, fu velenosamente doloroso.
Ayumi Himekawa stava cercando di far alzare dal pavimento sua moglie, immota, muta, con gli occhi spalancati, i capelli sciolti sulle spalle, le mani perse in grembo. Un’occhiata alla televisione, ancora sintonizzata sul servizio della NHK, gli fece comprendere cosa fosse accaduto: era arrivato tardi. Credeva di riuscire ad avvisarla prima che la televisione desse la notizia della sua morte, invece aveva tardato a causa delle precauzioni prese per non farsi riconoscere.
“Maya…” – sussurrò.
Quel respiro fu avvertito solo da Ayumi che si voltò interdetta, guardando stranita il suo abbigliamento: un cappello dalla tesa larga calcato sui capelli, un lungo impermeabile nero, occhiali scuri in mano.
“Cosa sta succedendo? Perché la televisione ha detto che lei è morto, se adesso è qui?”
Uno sguardo colpevole sfuggì dai suoi occhi.
“Perché era quello che sarebbe dovuto accadere. Lasciami solo con lei, ti prego.”
Ayumi respirò profondamente, incerta se credergli o meno, consapevole solo del senso di colpa che aveva scorto in lui. Poi vide anche il dolore nelle sue iridi color dell’oceano. Cosa l’aveva causato? Fissava la sua amica. Lo stesso dolore che era comparso in quelle di lei. Assentì. Diede un’ultima carezza sulla spalla dell’amica, prese il soprabito ed uscì dalla stanza.
Rimasto con la donna distrutta sul pavimento, Masumi le si inginocchiò al fianco. Leggero, le posò un bacio tra i capelli senza aver alcun segno di risposta. La chiamò, sortendo lo stesso risultato. La sollevò tra le braccia stringendosela al petto. Si diresse verso il divano e si sedette con il suo piccolo tesoro in grembo. La cullò, senza dire più nulla, attendendo paziente che si riavesse dal limbo in cui si era rifugiata, pronto ad affrontare la sfida più dura della sua vita: riconquistare la fiducia di sua moglie.
Quando l’aveva vista sul pavimento, come una bambola rotta, aveva compreso che Hijiri aveva avuto ragione. Avrebbe dovuto parlare con lei del suo piano, tutta l’ansia che avrebbe potuto provare era nulla se confrontata con quanto stava passando in quel momento. Se solo sfiorava l’idea che lei potesse morire diventava pazzo. Maya, invece, aveva assistito quasi in diretta a quella che lei pensava fosse la prova della sua morte, del suo abbandono. Quando avrebbe capito che Masumi sapeva tutto, che avrebbe potuto avvisarla ma che, con cognizione di causa, non l’aveva fatto, allora l’avrebbe persa.
La strinse più forte, tanto che pensò di avvertire un leggero gemito. Rilasciò la presa. Le mise una mano sul volto. Gli occhi ora erano chiusi. Si era addormentata? Non aveva versato una lacrima tanto era il dolore che stava sopportando.
“Maya…” – la chiamò ancora. Il tono dolce, delicato, che usava per dirle che l’amava – “Ragazzina…”
Come avrebbe fatto? Cosa le avrebbe detto? Come giustificare un tale patimento? Ora le sue motivazioni gli sembravano talmente deboli!
Non poteva permettersi di perderla. Ormai erano ad un passo dal risolvere tutti i loro problemi. Avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare. L’adagiò meglio sul suo petto ed appoggiò la schiena al divano. La tensione di quella giornata interminabile si fece sentire e si addormentò, vinto dalla stanchezza.

Maya non aveva registrato il momento in cui la televisione era stata spenta, né quando Ayumi era andata via. Non sapeva quando si era addormentata, l’unica cosa che comprendeva era che si stava riavendo dall’oblio e non voleva. Non voleva tornare alla realtà, perché ad attenderla ci sarebbe stato un mondo senza Masumi, il suo amore, la metà della sua anima, suo marito. Non sarebbe sopravvissuta. Non anche a quella morte. Aveva superato quella di sua madre grazie alla vicinanza di quell’uomo, ma chi le sarebbe stato vicino ora che la sua roccia si era sgretolata?
Le sfuggì un singhiozzo. Lacrime di dolore iniziarono finalmente a scendere copiose dai suoi occhi, andando a bagnare il guanciale.
Non sapeva nemmeno quando era andata a letto. Sentiva il suo profumo sotto le narici. Il suo buon profumo! Si sarebbe chiusa in quella stanza per sempre impedendo che quell’aroma le sfuggisse via come aveva fatto lui?
Impossibilitata a combattere anche contro la veglia che la reclamava aprì gli occhi.
Non era distesa sul letto, ma seduta nel soggiorno della suite. E non sul divano.
Sbatté di nuovo le palpebre.
Stava sognando. Era già impazzita.
Forse erano passate già delle settimane da quel giorno sciagurato e le aveva rimosse dai suoi ricordi.
La mente le rimandava il volto di Masumi, addormentato sotto di lei. Un volto segnato dalla tensione anche nel sonno. Non era possibile, lo sapeva, ma si volle illudere. Sollevò una mano a toccargli il mento. Le lacrime ancora scorrevano bagnando l’impermeabile che aveva creduto essere un cuscino.
“Oh, Masumi! Come farò adesso?” – gemette disperata, portando quella stessa mano, riscaldata da quell’allucinazione, a serrarsi sulle sue labbra.
Vinta dalla sofferenza, si alzò correndo verso la camera e gettandosi sul letto. Pianse tutte le sue lacrime, strinse le lenzuola artigliandole con le gracili dita, soffocò le sue grida ed i suoi singhiozzi nel materasso.
“Maya…” – quella voce! Già il solo vederlo addormentato l’aveva sconvolta. Ma sapere che quella voce non era altro che un frutto della sua mente acuì la sua disperazione.
“Vattene!”
“Lasciami spiegare…” – provò sempre a dire ‘la voce’.
“Non c’è niente da spiegare” – urlò – “Tu non sei reale. Lui è morto ed io sono pazza!” – non si voltò nemmeno a guardarlo.
Silenzio. Ecco! Aveva ragione. Cosa doveva aspettarsi dopo tutto? Che quell’ombra replicasse alla sua tesi?
“Non sono morto. Sono qui. Maya, guardami!” – come se la visione avesse letto nella sua mente. Che sciocca! Era la sua mente che la creava!
“No!”
Un mano si poggiò sulla sua schiena.
Una mano?
Una mano calda!
Il cervello umano poteva produrre allucinazioni tanto veritiere?
“Maya, vòltati!” – pregò ancora la voce – “Ragazzina, guardami!”
Sapendo che mille spine le avrebbero stretto il cuore, si voltò e lo vide. Il miraggio indossava lo stesso impermeabile nero ed aveva la stessa espressione stanca.
Le prese una mano e se la portò al volto, alla guancia.
“Maya, sono vivo. Credimi!” – la pregò.
“Quanto vorrei che fosse vero!” – sapeva di parlare al nulla, ma non poteva rinunciare a scambiare qualche parola, falsa, con lui – “Ma ho visto l’auto distrutta! Ho visto i paramedici che ti portavano all’obitorio!”
“No!” – la interruppe – “Non ero su quell’auto! Non ci sono mai salito! Maya, guardami!”
Il tono, ora, era di supplica. Sotto la sua mano avvertì il calore e la consistenza della sua pelle. Con ancora le gote bagnate dalle lacrime avvicinò il volto al suo petto.
Riconobbe il suo profumo.
Se era un’illusione, il suo cervello aveva fatto veramente un ottimo lavoro.
“Sono pazza! Ti ho creato, perché non dovrei crederti? Io stessa vorrei che tu non fossi mai stato su quella dannata vettura!”

Masumi guardò sconsolato sua moglie. Quando Maya avesse capito cosa fosse effettivamente successo, non sarebbero bastate delle scuse. Avrebbe dovuto far fronte ad una vera e propria bomba. Le liti, i battibecchi, le scaramucce che fino ad allora c’erano state sarebbero sbiadite al confronto.
Come ripagarla di tanto dolore? Come perdonarsi il fatto che si credeva pazza?
Serviva però un elemento scatenante. Non poteva lasciare che continuasse a considerarlo un’illusione. Si tolse l’impermeabile. La prese di nuovo per mano e la trascinò nel bagno. La costrinse ad entrare nella doccia ed aprì il getto dell’acqua gelida.
“La senti? Non stai sognando! Ti stai bagnando con l’acqua fredda ed io ti sto parlando! Guardami, dannazione!” – imprecò mentre cercava di attrarre su di sé i suoi occhi caldi – “Sono qui! Non ti ho lasciato! Non sei sola!” – la stringeva per le spalle, bagnandosi a sua volta. Si guardavano sotto quelle stille gelate che lavavano via la tensione. Masumi parve scorgere un lampo di consapevolezza nello sguardo di Maya.
Riconoscimento. Sollievo.
Le mani di sua moglie si aggrappavano alla sua camicia e finalmente si strinse a lui, riconoscendo finalmente la sua presenza. Le lacrime, come un balsamo, ora si confondevano con l’acqua che scorreva su di loro e lavavano via il dolore e la disperazione che l’avevano governata fino a quel momento.
Masumi si fece sfiorare il viso. Si lasciò osservare negli occhi e scrutare nel cuore, pronto a tutto pur di convincerla che era lì.
“Masumi?” – il tono incerto, timoroso di credere troppo.
“Ragazzina, non riconosci più tuo marito?” – cercò di alleviare la tensione, ben conscio che di lì a qualche minuto avrebbe dovuto raccontarle tutto ed implorare il suo perdono. Ma l’avrebbe fatto, senza remore. Era disposto a giocarsi tutto ciò che gli rimaneva, anche il suo orgoglio, pur di non perderla.
“Masumi!” – un grido, un sorriso e l’abbraccio che l’aveva catturato sei anni prima, nella sua villa di Nagano.
Maya non smetteva di ripetere il suo nome, incurante dell’acqua che continuava a bagnarli, immemore dello strazio che ancora l’animava, certa soltanto che l’uomo a cui aveva donato se stessa era ancora con lei.
Masumi chiuse il getto ed avvolse entrambi in un largo telo di spugna. La tenne stretta, bisognoso della sua forza.
“Perdonami!” – sussurrò, incapace di trattenere ancora i suoi sensi di colpa – “Perdonami, ti prego!”
“Cosa dovrei perdonarti?! Sei qui.” – come se la sua sola presenza bastasse a farle dimenticare tutto.
“Perdonami! Sapevo e non ti ho detto niente! Potevo evitarti tutto questo dolore e non l’ho fatto!”
Un lampo! La consapevolezza della comprensione. La sua mano si alzò decisa.
Masumi chinò il volto, non abbandonando un attimo il suo sguardo, pronto a ricevere qualsiasi punizione lei gli avesse riservato.
Lo schiaffo non arrivò mai. Piuttosto giunse una lieve carezza.
“Togliamoci questi abiti bagnati. Raccontami cosa è successo veramente e solo dopo deciderò se hai qualcosa da farti perdonare!”
Dov’era finita la ragazzina dall’animo incendiario che aveva conosciuto? Era divenuta una donna paziente che ascoltava tutto prima di saltare alle conclusioni. Hijiri gliel’aveva detto. Mitsuki gliel’aveva detto. Maya gliel’aveva detto. Lui stesso aveva capito che era maturata. Eppure ogni volta che si dimostrava tale, rimaneva abbagliato.
Fece come gli aveva detto. Si spogliò ed indossò l’accappatoio. Maya fece lo stesso. Si sedettero sul letto, l’uno di fianco all’altro, mano nella mano. Consolato da quell’atto di vicinanza, Masumi iniziò a raccontarle tutto, senza più tralasciare nulla.
L’incontro con i Takamiya e la rivelazione del folle piano di suo padre. Il contatto con la yakuza ed il progetto del falso incidente. La partecipazione di Hijiri e la sua volontà di tenerla all’oscuro delle sue intenzioni, convinto di risparmiarle dolore ed angoscia.
Vide bene i sentimenti che si agitavano nel cuore della giovane: tristezza e collera al nome di Eisuke; ansia per l’incidente; amore e delusione per il suo silenzio.
“Quante volte ti ho detto che non sono più una bambina e che non voglio segreti?”
“Tante…”
“Quante volte dovrò ripeterlo ancora?” – la voce era atona, ma Masumi riuscì a scorgere irritazione… e speranza.
“Spero vorrai ripetermelo ogni volta penserai che ne abbia bisogno. Sono un testone! Quindi penso dovrai farlo spesso!”
“Hai ragione, sei un testone!” – convenne lei, riservandogli una buffa smorfia – “Ma non posso fare a meno di te. Non potrei mai smettere di amarti, come non posso smettere di respirare. Come posso non perdonarti?”
Masumi si portò una mano alle labbra baciandole il polso ed il palmo.
“Grazie! Grazie!”
“Non farmi più una cosa simile! Non potrei sopportarlo ancora!” – una briciola del dolore che l’aveva sconquassata quel giorno ricomparve nei suoi occhi.
“Mai più! Te lo prometto!” – tutto si poteva dire, meno che non avesse imparato la lezione.
Masumi l’attirò a sé, finalmente. L’abbracciò come fosse stata la prima volta ed un po’ lo era perché, anche se per poco, si erano persi. In quell’abbraccio ritrovarono loro stessi, la speranza, la gioia e la loro unione, sempre viva.
“Ho creduto di perderti!” – il sussurro della sua voce bassa e roca la colpì al cuore come una dolce preghiera.
“Tu?” – chiese Maya, quasi singhiozzando – “Tu? E cosa dovrei dire io? Pensavo fossi morto!”
“E io ho creduto non mi avresti mai perdonato per averti fatto soffrire tanto! Calpestare il tuo stesso suolo ed essere diviso da te sarebbe stato veramente come morire!”
“Non dirlo!” – Maya gli si aggrappò – “Non dirlo! Finché avrò vita, mai ti abbandonerei!”
Le sue grandi mani le incorniciarono il volto, mentre le loro labbra si univano. Tocchi dolci, lievi, leggeri e fugaci. Desiderosi e desiderati. Vinti dall’amore e dalla ritrovata felicità, il bacio divenne appassionato, famelico, generoso ed esigente. I volti si movevano, le labbra si sfioravano, i denti mordevano e le lingue si intrecciavano, mentre le mani frenetiche vagavano raminghe.
Liberatisi dagli accappatoi ritrovarono la loro dannazione e la loro estasi; la loro tortura e la loro delizia; la loro fame, sete e sazietà.
I petti si sfioravano, i fianchi si scontravano ed i loro sussurri si intrecciavano nel silenzio della stanza.

Tempo dopo, l’uno di fianco all’altra tacevano, persi nella ritrovata unione.
“Adesso?” – un sussurro scaturì dalle labbra della giovane. Ansia. L’indice tracciava strani disegni sul petto dell’uomo.
“Adesso? Domani lo yakuza incontrerà Eisuke per riscuotere il premio per la mia morte.” – con quanta leggerezza parlava della sua morte stringendole la mano.
“E noi?” – chiese ancora tirandosi su e guardandolo in quegli occhi blu tornati freddi come il ghiaccio.
“Noi?”
“Noi, sì! Non mi lascerai da sola in casa! Questa volta sarò con te!”
“Maya…” – provò lui.
“Non ricominciare! Siamo appena usciti dall’orrendo equivoco che hai creato!” – mai era stata tanto decisa.
Un breve scambio di sguardi e Maya vide la sua resa.
“E sia!” – Masumi rilassò il capo sul cuscino – “Domani assisteremo di nascosto alla conversazione.”
“Come?”
“Dimentichi che ho vissuto alla villa fino a qualche settimana fa? Conosco ogni anfratto, ogni passaggio, ogni porta e corridoio!”
“Va bene.” – Maya lo strinse, consapevole del dolore che anche lui doveva aver provato nello scoprire l’intenzione omicida di suo padre.
C’era la possibilità che fosse impazzito? Come poteva essere altrimenti se attentava alla vita di suo figlio?
“Pensi sia impazzito?” – chiese, incapace di trattenersi.
“Eisuke?” – Masumi fece scorrere le dita lungo la curva della sua schiena – “No! No, amor mio. Non è impazzito. È lui, senza maschere, senza artifici morali. Non ha ottenuto ciò che voleva. Deve distruggere chi gliel’ha impedito.”
“Cosa farai, Masumi?”
Un pesante sospiro accompagnò il silenzio che seguì quella domanda.
“Non lo so. Devo ancora decidere… deciderò… per il nostro bene, per il tuo bene!”
“Sì.” – sarebbe stata con lui, qualunque fosse stata la sua decisione.
Si appisolarono. La tensione, le emozioni accumulate in quella giornata li avevano distrutti. Si svegliarono solo alle prime luci dell’alba, sollecitati anche dalla fame.
Sentì Masumi telefonare ad Hijiri per concordare l’incontro della mattina. Passarono il tempo che rimaneva facendo colazione chiusi in camera: non potevano rischiare che qualcuno lo vedesse e lo riconoscesse. Quella stessa sera, forse, avrebbe dovuto spiegare alla stampa ed alle forze dell’ordine che si era trattato di un equivoco. Che un suo sottoposto aveva guidato l’auto e che l’uomo non era morto, ma che era stato coperto dai paramedici per proteggerlo dall’assalto della stampa. Che con l’equivoco che si era creato, si era preoccupato di tranquillizzare sua moglie ed i suoi conoscenti più stretti, prima di dare la corretta versione dei fatti.
Lasciarono l’albergo in compagnia di Hijiri. Durante il tragitto riepilogarono le successive mosse. Maya non lasciava mai la mano di suo marito: troppo vicino era ancora il ricordo del dolore.
Fermarono l’auto davanti all’ingresso del parco ed osservarono l’andirivieni del traffico per qualche minuto. Compreso che nulla avrebbe disturbato le loro mosse, si diressero verso l’entrata secondaria sul retro. Aprirono piano il piccolo cancello in ferro nascosto dai rampicanti. Prudentemente avanzarono sul vialetto verso le cucine, costeggiando aiuole piene di violette e perfettamente custodite anche nel periodo invernale. Karato si era informato: per l’incontro con Koji, Eisuke aveva dato il pomeriggio libero a tutti i domestici tranne al suo assistente personale. La porta non era chiusa a chiave: attraversarono l’ambiente solitamente invaso dalla servitù. Elettrodomestici, stoviglie, pane…
Uscirono silenziosamente sul corridoio e si diressero verso la stanza adiacente allo studio, dall’altra parte del piano terra. Hijiri guidava il gruppo e si fermò al fianco delle scale avvertendo il rumore della carrozzina a motore del vecchio Eisuke. Il ronzio si stava avvicinando e tutti trattennero il fiato nella speranza che non voltasse nella loro direzione. Passarono alcuni secondi durante i quali il rumore si fece sempre più forte per poi interrompersi.
Si guardarono negli occhi, timorosi, preoccupati. Cosa sarebbe successo se Eisuke avesse voltato la carrozzina dalla loro parte e li avesse visti? Se avesse visto suo figlio, tutto il loro piano sarebbe andato a rotoli ed il vecchio sarebbe stato libero di attentare ancora alla loro vita.
La marcia della carrozzina riprese e loro trassero un muto sospiro. Ora il ronzio sembrava allontanarsi come anche il pericolo di essere scoperti. Attesero che la porta dello studio si chiudesse dietro di lui e ripresero il loro percorso. Raggiunsero la porta ed entrarono, facendo attenzione a non far rumore. La stanza, attigua allo studio, era una piccola biblioteca organizzata in scaffali paralleli alti fino al soffitto, con una scrivania in un angolo ed un caminetto spento in quello opposto. Da quando Masumi si era stabilito in albergo era la stanza meno frequentata della villa. Prima era il suo rifugio: si faceva accendere il fuoco durante l’inverno, si versava un bicchiere di whisky dal tavolinetto dei liquori, prendeva un romanzo storico o un saggio economico e si sedeva davanti al fuoco scoppiettante. Ora lo stato d’abbandono era testimoniato dalle tende chiuse, dalla polvere sugli scaffali e dalla temperatura decisamente fredda.
Hijiri aveva portato un microfono direzionale ed il registratore: avrebbero ascoltato e memorizzato l’intera conversazione nella speranza che il vecchio si sbilanciasse sul ruolo che aveva sostenuto nell’incidente di Masumi.
Posizionarono l’attrezzatura ed attesero in silenzio. I minuti passavano lenti. Si guardavano negli occhi, silenziosi, troppo tesi per qualsiasi commento.
Dopo un periodo che reputarono infinito, sentirono una vettura passare sull’acciottolato del viale d’ingresso e fermarsi davanti al portone. Lo sportello sbatté. Il campanello suonò.
Koji era arrivato.
L’assistente lo fece accomodare e dopo pochi attimi udirono che entrava nella stanza adiacente. Accesero l’apparecchiatura, mentre i cuori iniziarono a battere nei petti e le mani a sudare copiosamente. Quei minuti avrebbero deciso se si sarebbero liberati o meno di quella minaccia; se Eisuke Hayami si sarebbe o meno arreso.
“Ha fatto un ottimo lavoro. Spero che il suo capo si sia congratulato con lei!”
La prima frase e la conferma. Se ce ne fosse stato bisogno.
 
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91 replies since 25/11/2011, 14:29   4659 views
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