Incontri, FF ispirata a GnK

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tenshina
view post Posted on 29/9/2013, 09:37 by: tenshina
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Stregone/Strega quasi professionista

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CAPITOLO 40
Shiori non pensava. Non più. Il suo istinto non glielo permetteva. Il suo cuore non voleva. Liberò se stessa, arrendendosi a lui.
Le mani dell’uomo tra i suoi capelli le tenevano la testa modellandola per i suoi baci. Non ne aveva mai abbastanza. Il solido petto contro di sé; i lunghi capelli intrecciati alle sue dita; la pelle leggermente ruvida per la barba incolta che le stuzzicava il volto; gli occhi neri socchiusi che la scrutavano con ardore.
Ricambiò i suoi baci, dimentica dei dubbi che l’avevano assalita. Con cautela fece scorrere le piccole mani sul suo collo, fino ad aggrapparsi alle sue spalle. Sentì la forza dei suoi muscoli sotto le dita.
“Aki…” – sussurrò.
L’uomo sembrò attendesse quel segnale perché la sollevò tra le braccia e, riprendendo a baciarla suadente, attraversò tutto il soggiorno dirigendosi su un ampio soppalco, la sua camera, celata da una parete in vetro scuro satinato.
Si sedette sul letto matrimoniale tenendosela in grembo, senza lasciarle via d’uscita. Come se avesse avuto l’intenzione di andarsene! Sembrarono ripartire da dove avevano interrotto prima del matrimonio di Masumi. Una mano le serrò il fianco, mentre l’altra era sempre ferma sul suo collo. La baciò ancora, dolcemente, scendendo a volte lungo il collo esile. Quando le sfiorava l’orecchio o la carotide, sentiva i brividi scuoterla dalla spina dorsale fino alle gambe. In quei momenti, Aki insisteva finché non le risultava impossibile soffocare un flebile lamento.
La mano che prima era ferma sul fianco andò al volto, disegnando gentili carezze sulla sua pelle. Percorse il collo, laddove erano già passate le sue labbra. Si abbassò sullo sterno, facendole trarre un profondo respiro. Quando raggiunse i bottoncini della sua camicetta, le dita furono sostituite dalle labbra. Mentre umidi baci le venivano donati sulla pelle tesa, Aki si apriva un varco per approfondire le sue carezze.
Ad attenderlo trovò un reggiseno bianco, semplice, di seta, impalpabile.
La sfiorò appena, timoroso di fare qualcosa che la disturbasse, ma Shiori era persa nelle sue sensazioni: gli occhi e le labbra socchiusi, il capo reclinato. Non gli sarebbe mai bastato di vederla in quel modo.
Abbassò di nuovo il volto aspirando il tenue profumo che emanava ed assaggiando per la prima volta la sua morbida carne delicata. Aveva tirato da parte il sottile tessuto ed il seno si mostrava orgoglioso, quasi chiamandolo. Sentì le dita della donna aggrapparsi ai suoi capelli e sorrise, nascosto nel suo petto. Si prese tutto il tempo necessario, mentre Shiori avvertiva un fuoco che iniziava ad ardere nel suo ventre. Non sentì la camicetta che le veniva sfilata, né il reggiseno che veniva slacciato, troppo concentrata sulle emozioni che quelle labbra le suscitavano. Si trovò nuda di fronte a lui e non provò vergogna. Era davanti ai suoi occhi e l’espressione estatica sul volto del suo compagno la entusiasmava: non c’era spazio per i timori.
Baciandole il collo ed avvicinandosi al suo orecchio le sussurrò parole d’amore, mentre con le mani la spingeva a girarsi, arricciandosi la gonna ai fianchi e poggiando le ginocchia sul copriletto nero.
“Sei così bella, Shiori…” – ancora quella voce che le entrava dentro e la faceva vibrare. Ancora quelle labbra che la baciavano e la stuzzicavano sensuali. Ancora quelle dita che la esploravano e la stringevano.
Le sfuggì un singhiozzo quando Aki raggiunse il suo centro. La toccò delicato, sfiorandola appena ed attendendo le sue reazioni. Sospirò ancora il suo nome e solo allora l’uomo si fece avanti, scostando il tessuto ed insinuando un dito nel suo calore… piano, lentamente, abituandola a quella strana presenza, portandola a cercarlo. Non si muoveva, mentre le sfiorava il seno e le succhiava i capezzoli. Era lì, fermo, in attesa di un suo segnale, un segnale che Shiori ancora ignorava di poter dare. Si mosse lentamente in cerca di un maggior contatto.
“Brava… così… continua…” – approvò sulle sue labbra.
Sempre immobile, l’uomo osservava le sue reazioni ed i suoi movimenti. Vide quando il respiro si fece più accelerato; notò immediatamente quando lei comprese che doveva aumentare il ritmo per avere quello che ancora non sapeva di volere; sentì il suo gemito di passione quando un secondo dito si unì al primo e bevve i suoi ansiti direttamente dalle sue labbra mentre si avvicinava al suo primo attimo di piacere assoluto.
“Muoviti per me!” – la spronò, mentre sentiva la sua carne stringerlo ed il suo nome uscire da quelle labbra rosse e gonfie.
Si abbandonò tra le sue braccia esausta, appagata. La mano dell’uomo ancora su di sé mentre tentava di comprendere cosa fosse successo, cosa si fosse incendiato.
Sentì freddo quando sentì Aki ritrarsi.
Sentì caldo quando lo vide portarsi le dita alle labbra.
Credette di morire dal caldo quando la strinse e la portò con sé nel suo letto.
Si trovò stesa sulla schiena, praticamente nuda, con Aki in ginocchio tra le sue gambe che si toglieva la camicia scura. I lunghi capelli gli piovevano sul volto. Gli occhi la cercavano famelici.
Quando si stese di nuovo su di lei, sentì finalmente il contatto della sua pelle contro la propria e fu sconcertata dalle immediate reazioni del suo corpo: di nuovo i muscoli tesi, di nuovo il battito accelerato, di nuovo il desiderio di baciarlo. Lo baciò. Ancora e ancora, mentre Aki tentava di non gravarle addosso e si sfilava gli ultimi indumenti. Quando infine le si avvicinò, Shiori poté sentire per la prima volta la sua virilità spingere prepotentemente contro il proprio ventre.
Trattenne il respiro, cercando i suoi occhi. Aki dovette comprendere il suo smarrimento perché tornò a baciarla dolcemente.
“Tranquilla… Andrà tutto bene, te lo prometto.”
Annuì, Shiori, fidandosi di lui e delle sue parole. Allacciò le mani sul suo collo e ricominciò a baciarlo con rinnovata passione, come a voler dimenticare quella presenza sconosciuta tra di loro.
Corse a sfiorargli la schiena ed il petto, esplorò l’addome ed i fianchi. Tutto denotava un fisico asciutto ed allenato: i muscoli guizzavano ad ogni movimento e si tendevano al suo passaggio. Toccò con dita delicate la linea della mascella e gli tirò indietro i capelli.
Aki la lasciò fare, mentre con le mani la percorreva dalle spalle alla vita, dal seno alle gambe, dal ventre morbido alle ginocchia piegate. Ogni tanto la sfiorava nell’intimo.
Quando fu presa di nuovo dalla passione, le raccolse le gambe nelle braccia, esponendola totalmente, favorendo il proprio ingresso e tentando di ridurre al minimo il suo dolore.
Piano la penetrò di nuovo con un dito, ricordandole le sensazioni appena provate. Quando la sentì ansimare ancora le si accosto. Si guidò piano in lei, ondeggiando appena, facendola abituare.
Era talmente accogliente e calda che dovette attingere a tutta la sua forza per non muoversi tanto impetuosamente come l’istinto bramava. Arrivò alla sua barriera e si fermò, cercando le sue labbra per baciarla prima di avanzare ancora. Accolse il suo grido e bevve la sua lacrima.
“Shht… passa subito… fidati!” – la cullò. Non che lui avesse chissà quali esperienze in merito, ma sapeva che il suo corpo non avrebbe sofferto troppo a lungo.
“Come fai ad esserne sicuro?” – gli chiese scettica, avvertendo ancora il dolore della lacerazione.
In tutta risposta Aki si mosse. Una sola spinta.
“Senti ancora dolore?” – chiese – “Vuoi che mi fermi?”
“No!” – ansimò lei
Un sorriso gli increspò le labbra mentre artigliandole i fianchi con le lunghe dita iniziò finalmente quella danza che li avrebbe condotti insieme verso l’estasi.
Le mani infilate nei suoi capelli, gli occhi socchiusi, il corpo che si contorceva e le gambe strette ai suoi fianchi, Shiori era un capolavoro della natura mentre si mordeva il labbro inferiore nel vano tentativo di trattenere i gemiti.
Vedendola tanto appassionata, Mikami incrementò i suoi sforzi, lasciandosi definitivamente andare. Insieme si mossero, insieme si baciarono ed insieme unirono i propri piaceri, i propri cuori ed i propri spiriti. Infine, insieme giacquero.

Il buio… forse quello sarebbe stato l’ultimo giorno che aveva vissuto nel buio. L’oscurità era stata sua nemica, da principio, poi era divenuta sua alleata, quando le aveva consentito di competere alla pari con Maya per la Dea Scarlatta. Infine, era tornata ad essere causa di disagio. Non poteva vedere il sole, le foglie, Peter. Non poteva osservare le espressioni del suo volto. Doveva ‘accontentarsi’ delle inflessioni della sua voce e del tocco delle proprie mani.
Era notte fonda ormai, lo aveva capito dal silenzio che regnava nei corridoi della clinica. L’indomani mattina le avrebbero tolto le bende. Solo allora avrebbero potuto valutare se vi erano stati danni permanenti alla sua vista.
Sospirò. Cosa l’aspettava? Sarebbe potuta tornare a Tokyo e vedere finalmente Maya o sarebbe dovuta partire con Hamill inventandosi poi un incidente che l’avrebbe resa cieca? Tutto si sarebbe deciso da lì a poche ore.
La tentazione di alzarsi, andare in bagno e sciogliere da sola quella dannata fasciatura era forte, ma il dottore si era raccomandato in tal senso: occorreva seguire la procedura per limitare al minimo lo shock per i suoi occhi lontani dalla luce da tanti mesi.
Si girò per l’ennesima volta nel suo letto.
Il pensiero corse ai suoi genitori. A come le erano stati vicini nelle ultime settimane ed alla mancanza che aveva invece avvertito quando era piccola. Era stato un circolo vizioso: Ayumi voleva che fossero orgogliosi di lei e si mostrava indipendente e seriosa. I suoi genitori, vedendola tanto matura, la trattavano da adulta, lesinando le dimostrazioni d’affetto e d’attenzione.
Si accucciò sotto le coperte, cercando di scacciare quei brutti pensieri.
Andrà tutto bene! Andrà tutto bene!
Se lo ripeteva come un mantra e, continuando a ripeterselo, riuscì ad addormentarsi.
Si risvegliò con il richiamo di sua madre che le scuoteva la spalla.
“Ayumi, svegliati. Fra un po’ arriverà il dottore.”
La ragazza si riscosse immediatamente. Si tirò a sedere sul letto, cercando di rassettarsi i capelli sicuramente sconvolti. Si alzò e si diresse in bagno, rifiutando con un sorriso l’aiuto di sua madre. Quando ne uscì, sentì che c’era Peter con lei.
“Papà?” – chiese solo, cercando di sembrare disinteressata.
“Arriverà fra poco.” – le rispose sua madre.
“Veramente?” – non riusciva a crederci ed infatti sua madre dovette capirlo perché la rassicurò.
Ayumi si riposizionò sul letto. Rimasero in silenzio, attendendo il dottore.
Quando entrò nella camera, seguito dalla sua équipe, la salutò cordialmente. Cercò di metterla a proprio agio, scambiando alcuni convenevoli.
Lo sentì sedersi sul letto al termine della spiegazione sulla procedura che avrebbero seguito. Iniziò a sciogliere il nodo alla fasciatura. Stava ormai iniziando a svolgere le bende, quando Ayumi sentì la porta aprirsi e chiudersi silenziosamente.
“Papà?” – chiamò.
“Sì, bambina, sono qui.” – Ayumi allungò una mano e se la sentì stringere.
Il neurologo, nel frattempo, continuava a svolgere i teli sottili. Le veneziane furono tirate fino a creare una leggera penombra nella stanza. Ayumi sentiva la tensione aumentare in proporzione all’assottigliarsi della sua fasciatura. Quando anche l’ultimo strato cadde nelle mani del medico, rimase ad occhi chiusi, timorosa. Sentiva le palpebre tremare, timorose anch’esse. Sempre impavida, ora aveva paura.
Sentì forte la stretta di suo padre, come anche la voce di sua madre. I suoi genitori insieme a lei in quel momento di speranza e paura.
“Apra gli occhi.” – le chiese il dottore – “Lentamente.”
Non potendo più fuggire quel momento, si fece forza. Gli occhi le sembrarono pesanti, come macigni. Li socchiuse prima, scorgendo un leggero bagliore dalla piccola fessura.
Forse… forse poteva sperare. Era arrivata al punto di vedere solo ombre, prima dell’operazione. Già quel bagliore era un miracolo.
Abbassò di nuovo le palpebre. Trasse un profondo sospiro. Riaprì gli occhi con maggior decisione.
Un lampo di luce. Abbagliante. Che lentamente si affievolì fino a definire le sagome che le stavano davanti. Sì, poteva sperare!
Un altro battito di ciglia. La luce tenue non l’accecava più, le sagome divennero più definite e riuscì a distinguere anche i colori dominanti. Credette di riconoscere il viso di sua madre.
Un ultimo battito di ciglia. Vedeva! Le sue pupille non erano più vuote. Distingueva i volti ansiosi dei propri genitori, quelli professionalmente interessati dell’équipe medica, quello pieno di speranza e di fiducia di Peter. Fece vagare lo sguardo dall’uno all’altro, sbattendo piano le palpebre.
Tutti erano in attesa di una sua parola. Gioia o disperazione.
“Mamma, mi prenderesti il Tokyo News di lunedì? Vorrei vedere Maya in abito da sposa!” – la voce ferma, ma gli occhi vivi e lucidi.
“Sì.” – rispose sua madre, portandosi la mano alle labbra a trattenere un singhiozzo.
Suo padre si tolse gli occhiali, iniziando a pulirli per nascondere l’emozione.
I dottori si congratularono per l’ottimo risultato.
Peter. Peter la guardava. Le sorrideva. Finalmente lo rivedeva. Riesaminò i suoi tratti. Il mento volitivo, il naso stretto e pronunciato, gli occhi azzurri, i lunghi capelli biondi. Era lui. Ritrovava in quello che vedeva le scoperte delle esplorazioni effettuate con le dita.
Una lacrima percorse il profilo del suo volto. Aveva disperato di poterlo rivedere ed invece, ora, l’aveva di nuovo davanti agli occhi. Allungò la mano libera verso di lui.
“Peter!” – chiamò.
L’uomo la raggiunse. Le prese la mano tra le sue, la strinse e se la portò al volto baciandola ed accostandola alla guancia.
La mattina trascorse euforica: i suoi genitori non l’abbandonarono mai, né Peter la lasciò sola, sfidando la gelosia di suo padre sotto lo sguardo divertito di Utako.
Quando i medici confermarono che l’operazione era completamente riuscita, prepararono i documenti per il ritorno a casa. In alcuni momenti di pausa, Ayumi riuscì a leggere il giornale e a vedere con i propri occhi Maya che sposava Masumi Hayami. Era raggiante, in quella foto. Il giornalista aveva ripreso gli sposi che uscivano dalla cappella, accolti dagli amici di sempre. Entrambi sorridevano. Ayumi non ricordava di aver mai visto quell’uomo con una tale espressione vittoriosa ed appagata.
Era quasi mezzogiorno quando tutti furono pronti per lasciare la clinica. Si diressero all’albergo per recuperare i bagagli di Hamill e dei signori Himekawa, per poi proseguire verso l’aeroporto. Nel primo pomeriggio ci sarebbe stato il volo di linea che li avrebbe riportati nella capitale.
Ayumi non vedeva l’ora di andare a trovare la signora Tsukikage per tranquillizzarla e, naturalmente, voleva parlare con Maya.

Il sole le feriva gli occhi. Accidenti! La sera precedente aveva dimenticato di tirare le pesanti tende in velluto della sua camera. Eppure era sua abitudine. Perché l’aveva dimenticato? Mentre Shiori cercava di ripercorrere con la mente le ultime azioni prima di coricarsi, ricordò tutto: la visita al museo, la cena con Aki, la fuga a casa sua, …
Si sentì andare a fuoco per l’imbarazzo e l’emozione. Non era stato solo un sogno? Non aveva immaginato di toccarlo, di essere baciata in angoli reconditi del proprio corpo? La risposta le giunse chiara in mente: no. Non aveva immaginato nulla. Non avrebbe potuto spingersi tanto in là.
Si trovava nel letto dell’uomo che le aveva fatto dimenticare chi era, la sua provenienza, le sue origini, senza farla pentire.
Sono pentita?
Ascoltò in silenzio il respiro calmo e cadenzato accanto a sé. Avvertì il calore gentile che proveniva dalla sua parte.
No!
Aprì gli occhi. Erano puntati sul soffitto chiaro, rustico, su cui spiccava un canale in acciaio per l’impianto di condizionamento. Voltò la testa verso la finestra. Il cielo era nuvoloso. Gruppi di nuvole pesanti di pioggia vagavano all’orizzonte. Guardò verso l’uomo al suo fianco. Dormiva placidamente. I capelli scomposti sul cuscino, il volto girato di lato, le coperte che a malapena nascondevano il suo petto.
Lentamente, cercando di fare meno rumore possibile, si alzò a sedere tirandosi le lenzuola appresso, memore della sua nudità.
Stava per tirarsi in piedi quando un braccio muscoloso le circondò la vita facendola cadere all’indietro.
“Dove credi di andare?” – le chiese con tono fintamente minaccioso.
“Io… credevo che dormissi… volevo… il bagno…” – balbettò.
“Dopo!” – e le chiuse la bocca con la propria, peggiorando la condizione già precaria del suo cervello.
“Cosa fai?” – riuscì a chiedere lei.
“Ti do il buongiorno… ed evito che pensi troppo rischiando che ti penta di questa notte!”
“Non sono pentita!” – riuscì ad affermare la donna con voce ferma.
“Non adesso. Ma quando vedrai le chiamate perse presenti sul tuo cellulare?”
“Chiamate perse?” – chiese attonita.
“Già. È dalle prime luci dell’alba che lo sento suonare ad intervalli regolari dal soggiorno!”
“Oh, accidenti! Ho dimenticato di avvisare a casa!”
Proprio in quel momento il telefono riprese a suonare e Shiori, dimentica di tutto, corse nuda verso l’altro ambiente per rispondere.

Aveva perso il conto di quante volte quel dannato telefono aveva squillato. Fortunatamente era dall’altra parte dell’appartamento e si sentiva appena, altrimenti avrebbe svegliato anche lei. Immaginò la faccia di Yeyasu Takamiya se avesse risposto una voce maschile al telefono dell’adorata nipote.
Shiori gli dormiva al fianco, abbandonata nel sonno come lo era stata nell’amore. Amore? Sì, credeva proprio di sì. Non era stato il rapporto di una sera, quello lo sapeva già da prima. Ma non era nemmeno quello di una relazione che dura qualche mese. Aveva provato una vera comunione dei sensi e degli spiriti.
Dopo che si era svegliato, l’aveva osservata per tutto il tempo; ogni espressione che era passata sul suo volto, ogni ciocca di capelli che vibrava al suo respiro, ogni tratto del suo viso che ormai conosceva bene come il proprio. Quando aveva avvertito il suo respiro farsi più leggero, aveva capito che si stava svegliando. Aveva udito un mugolio infastidito e poi un sospiro trattenuto: la luce del sole sul volto ed i ricordi della notte appena trascorsa.
Aki aveva chiuso gli occhi. Quando l’aveva sentita tirarsi su, non aveva resistito e l’aveva agguantata, nel timore che si facesse prendere dai dubbi.
L’aveva vista saltare letteralmente dal letto, senza coprirsi, dimenticando ogni pudore, nella fretta di andare a fugare ogni timore nella sua famiglia.
Aki sedette sul letto. Raccolse un ginocchio al petto appoggiandovi un gomito. Si passò le dita tra i capelli riavviandoli. Vide la sagoma di Shiori muoversi attraverso il cristallo opalescente. La sentiva parlare concitatamente, spiegando al suo interlocutore (suo nonno?) di non preoccuparsi ché stava bene, di aver solo dimenticato di avvisarli che avrebbe passato la notte fuori città per un improvviso impegno di lavoro (evidentemente l’unica ragione, dal punto di vista di suo nonno, che potesse giustificare una notte fuori casa). Storse la bocca in un ghigno. Presto non avrebbe più avuto bisogno di tali scuse.
Decise di alzarsi per recuperare la sua compagna. Infilò un leggero paio di pantaloni in cotone e, scalzo, si diresse verso di lei passeggiando sul caldo pavimento in legno. La donna stava posando in quel momento il ricevitore e si voltò a guardarlo.
Si ricordò allora di essere nuda perché iniziò a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca di qualcosa con cui coprirsi.
Vedendola imbarazzata, il giornalista tirò a sé il telo di cotone che usava come copri divano e glielo drappeggiò addosso, avvolgendola in un abbraccio. Shiori lo ringraziò.
“Tutto sistemato?” – chiese.
Assentì, rifugiandosi in quel bozzolo di fresco tessuto.
“Cosa succede adesso, Aki?”
“Beh… vorrei che prendessi in considerazione l’idea di frequentarmi… ufficialmente, intendo.”
Silenzio.
“Sei sicuro?”
“Perché non dovrei esserlo?”
“Non sono sicura io di meritarmi tanto. Come puoi esserlo tu?” – tornò ad esprimere i suoi dubbi.
“Tu… sei incredibile, lo sai? Quando ieri sera ti ho detto che ti vedo e ti sento non era solo perché volevo stare con te e tranquillizzarti. Ero sincero. Ogni tua nota muove il mio cuore. Puoi ridere e lui scoppia di gioia. Puoi arrabbiarti e sono invaso dal desiderio di cancellare l’ira dal tuo sguardo con i miei baci. Puoi essere insicura, come in questo momento, e l’unica cosa che mi viene in mente è rassicurarti. Puoi essere e fare tutto ciò che vuoi, ma non mi muoverò di qui!”
Finalmente la sentì rilassarsi contro di sé. Non era stato nominato l’aspetto più importante, il fatto che credeva d’amarla. Shiori non aveva chiesto e lui si sarebbe tenuto quella confessione per un altro momento, più propizio, meno delicato.
“Quando hai detto che devi tornare in città?” – chiese, con apparente disinteresse.
La vide arrossire.
“In serata… non potevo dire che sarei tornata prima di pranzo.” – concluse, come a giustificarsi.
“Quindi ti ho a mia disposizione per tutto il giorno.” – constatò soddisfatto.
“Veramente?” – chiese incredula.
“Oh sì, veramente!” – confermò – “Va’ a vestirti, mentre ti preparo la colazione.” – le suggerì infine, mentre le posava un bacio sul collo.
Reggendosi il tessuto addosso si avviò verso la camera, impacciata nella sua eleganza.
Mikami si diresse in cucina ed iniziò a preparare quanto promesso.
 
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91 replies since 25/11/2011, 14:29   4659 views
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