Incontri, FF ispirata a GnK

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tenshina
view post Posted on 18/9/2013, 17:26 by: tenshina
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Stregone/Strega quasi professionista

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CAPITOLO 39
Shiori seguì Aki senza protestare per le strade di Tokyo. Il vento gelido di fine novembre le filtrava nel pesante tessuto del cappotto ma non lo sentiva, riparata dal braccio dell’uomo sulle sue spalle. Camminarono speditamente per circa un’ora lasciando Shinjuku ed avvicinandosi al parco di Chiyoda. Entrarono al National Museum of Modern Art. L’uomo la guidò all’esposizione permanente illustrandole i capolavori dei pittori nipponici dell’inizio del Novecento. Shiori si incantò osservando le “Case di Nara” di Hayami Gyoshu. Chissà se Masumi conosceva quel pittore omonimo che aveva adorato Nara come lui stesso. Ricordava bene il suo sguardo perso in quel periodo. Sapeva che era dovuto a Maya, ma credeva che anche l’antico borgo e la foresta sacra avessero avuto il loro ruolo. Osservò con trasporto anche la “Dea Kannon che cavalca il drago” di Harada Naojiro. Gli sfumati e le tenui tonalità dei colori coniugavano la solennità dell’animale mitico con la dolcezza della divinità.
La donna riconobbe per l’ennesima volta di aver trascurato molti aspetti in vita sua. Non era mai andata ad una mostra per il piacere di farlo. Sempre, sempre era un discorso prettamente relazionale. Si girò a guardare l’uomo che l’accompagnava: non aveva intenzione di perderlo. Sperava che i loro sentimenti durassero a lungo. Si sarebbe impegnata per fare in modo che quel piccolo germoglio divenisse una forte quercia. Vinta dall’emozione dei suoi propositi, avvicinò il proprio volto al suo e depose un piccolo bacio sulla sua guancia ruvida. Vide Aki guardarla, stupito di quella carezza inaspettata e, dopo un attimo di indecisione, trarla a sé. Silenziosamente continuarono il giro. Ognuno perso nei propri pensieri si avvicinarono all’uscita: era quasi l’orario di chiusura ormai.

Mikami non voleva lasciarla andare. Dopo quella lieve e gradita carezza, non era riuscito ancora a rivolgerle la parola. Quella piccola iniziativa l’aveva emozionato, fomentando la sete di lei. Avrebbe trovato il modo di prolungare la serata.
Si derise. Quando mai si era fatto dei problemi ad invitare a cena una donna? Con un sorriso sulle labbra ricordò che di sicuro non era stato timido con lei, finora: l’intervista rubata; il loro primo bacio, rubato anch’esso; l’invito a cena in cui gli aveva confessato di non essere più fidanzata da tempo; la premiazione per la Dea Scarlatta; la cena a casa sua. Quei ricordi, uniti alla passione che lo bruciava, gli restituirono la sua spavalderia.
La prese per mano e la tirò lungo il marciapiede. Quando arrivarono di fronte al ristorante che aveva in mente l’abbracciò e le sussurrò all’orecchio: “Tesoro, avvisa casa tua perché stasera non ti lascio andare!”
Vide il rossore prevaderle il volto.
“Te l’avevo detto che ti avrei rapita! – rincarò – “Entriamo, dài!”
La sentì ferma sul posto. Si girò a guardarla e la trovò impalata, ancora rossa in volto, i capelli al vento, le labbra socchiuse.
Non resisté. Le pose una mano sulla nuca e la baciò famelico. Ogni suo atteggiamento, ogni sguardo, ogni sorriso sembravano essere stati creati per soggiogarlo.
Dopo vari minuti, poggiò la fronte sulla sua.
“Tranquilla, stavo scherzando!”
“Vuol dire che non mi rapirai?” – eccola di nuovo. La baciò ancora, divertito dal tono deluso che aveva assunto.
“Farò solo quello che vorrai…”
“Sei impossibile!” – e si fiondò nel ristorante.
La seguì sorridendo ed infilando le mani in tasca. Sarebbe stata una serata molto divertente.

Saeko tornò a casa furente. Aveva dato tutto alla Daito e quell’emerito imbecille di Hayami senior l’aveva licenziata come ennesima vendetta verso suo figlio. Se l’aspettava, certo, ma non credeva sarebbe stato tanto veloce.
Si versò un calice di vino rosso e si gettò sul divano abbandonandosi sullo schienale e chiudendo gli occhi. Aveva conosciuto la sua sostituta. Una signora di mezz’età che ambiva al posto che stava lasciando già quando era entrata lei stessa alla Daito. Quella sciocca l’aveva trattata con sufficienza, come se non avesse nulla da insegnarle, come se fosse stato inevitabile che venisse licenziata. Supponeva che fosse un’incapace. Gliel’avrebbe lasciato credere. Chi era, in fondo, per disilludere una sconosciuta?
Sorrise mestamente. Un’unica lacrima le scivolò sul viso.
Avrebbe dovuto cercare un altro impiego senza alcuna referenza: mandando curricula come se fosse appena uscita dall’Università. Bevve l’ultimo sorso del nettare e si riebbe. Scosse la testa, si diresse in cucina ed iniziò a preparare la cena. Mentre i fornelli andavano, si diresse in camera ed accese il portatile. Avrebbe iniziato subito. Non aveva intenzione di darla vinta a quel vecchio.
Cenò con calma e accese lo stereo inserendo ‘Dal Nuovo Mondo’ di Dvoŕàk. Aveva sempre adorato il secondo movimento. Sembrava di vivere un dolce risveglio; la poesia di un paesaggio innevato e silenzioso; la sorpresa del viaggiatore nel valicare un passo di montagna e scoprire la florida valle al di là dei ghiacci. Alzò il volume e si diresse in camera decisa a redarre un curriculum efficace.
Era arrivata quasi alla fine della lettera di presentazione che la sinfonia cessò. Stava per alzarsi e farla ripartire quando le squillò il cellulare. L’afferrò, incerta se rispondere o meno quella sera. Il numero era sconosciuto e stava per gettare l’apparecchio da parte quando le sovvenne che poteva essere Karato.
Rispose, incerta.
“Ciao, come stai?” – le chiese l’uomo dall’altra parte.
“Sai che hai rischiato che non ti rispondessi?” – eluse la domanda.
“Perché?”
“Non rispondo agli sconosciuti… e non ero dell’umore.” – concluse, incerta fino alla fine se rivelare o meno quanto successo in quella giornata memorabile.
“Sono d’accordo per la prima, anche perché ora il mio numero non è sconosciuto, non più di quanto non lo sia io.”
“Ne siamo sicuri?” – Saeko sembrò ritrovare un piccolo sorriso. Le faceva sempre venir voglia di flirtare.
“Dimmelo tu… e dimmi anche perché non eri dell’umore adatto.” – sospirò.
“Stai parlando con una futura disoccupata.”
“Eisuke?” – come lei, anche Karato doveva aver valutato quella possibilità.
“Già, … è venuto oggi in direzione. Ho anche tutta la giornata di domani per istruire la mia ‘sostituta’.” – sputò fuori quell’ultima parola come se avesse nominato un nuovo tipo di malattia infettiva.
“Sento che ti sta simpatica…”
“E come potrebbe essere altrimenti? È una dei benpensanti che credono che sia arrivata dove sono ora solo per il mio bell’aspetto!” – la rabbia sembrò tornare a fare capolino.
“Beh… non sono per niente simpatici! Sei molto più che ‘di bell’aspetto’!”
“Sciocco!” – rise.
“Vero anche questo!”
“Ma la smetti? Dovrei essere furibonda ed invece sto qui a ridere con te!” – cercò di assumere un tono irritato, ma non riuscì nemmeno a trattenere le risa.
“Meglio, no?” – concluse lui – “A proposito, l’hai detto al signor Masumi?”
“No… non lo sa nessuno. Non volevo allarmarlo.”
“Oh, non ti preoccupare… saresti solo un diversivo, in questi giorni!” – adesso era l’uomo ad aver assunto un tono schivo ed agitato.
“Che significa?”
“Meglio non parlarne al telefono. Mi inviti?”
“C’è veramente qualcosa di grave che preoccupa il signor Masumi o è solo una scusa per venire a casa mia?”
“Il signor Masumi ha veramente qualcosa di grave che lo preoccupa ed è la scusa per venire a casa tua!”
“Vuoi venire da me?” – chiese in tono fintamente formale.
“Aprimi la porta. Sono in strada!” – si affrettò a concludere lui.
“Sei veramente pazzo!”
Quando Hijiri le raccontò quello che il suo ex-principale stava subendo, dimenticò completamente le sue disgrazie. Chinatasi in avanti, fece scorrere le mani sul volto fino a raccogliersi i capelli sulla nuca.
“E adesso?” – chiese, la sua reazione tanto simile a quella di coloro che già sapevano.
“Abbiamo l’appoggio dei Takamiya. Tramite loro, il signor Masumi sta ideando un piano per riuscire a mettere fuori gioco definitivamente suo padre.”
“Sarà pericoloso?” – chiese ancora, l’ansia sempre presente nella voce.
“Non troppo. Non rischierà la vita.”
“Ma?” – Saeko colse benissimo il tono titubante dell’uomo.
Hijiri si alzò mettendosi alle sue spalle ed iniziò a massaggiarle il collo mentre rispondeva.
“Ma… abbiamo sempre a che fare con la yakuza e non mi fido.”
“Povera Maya… chissà come starà adesso!”
“La signora non sa nulla ancora. Il signor Masumi non ha voluto metterla in ansia.”
“E’ un illuso se pensa che non riesca a capire che c’è qualcosa che non va. È molto maturata negli ultimi mesi, non è più una bambina.” – non poté fare a meno di infervorarsi. Non sopportava quell’atteggiamento d’altri tempi che faceva supporre ad un uomo di proteggere la propria compagna tenendole nascoste delle informazioni.
“Concordo con te…” – cercò però di calmarla l’uomo. Dal collo fece scorrere una mano verso il mento e le alzò il volto.
Un lampo di malizia dovette illuminarle lo sguardo perché Hijiri sorrise mentre lei gli chiedeva sulle labbra ben disegnate se volesse un premio.
“Se negassi, sarei un bugiardo!”
“Non voglio un bugiardo!” – affermò seria, andando ben al di là della battuta.
“Lo immaginavo…” – sospirò piano approfondendo finalmente il bacio.
Aveva desiderato le sue labbra fin da quando si erano salutati il mattino precedente. Agognava di assaggiare ancora quella bocca morbida e succosa, quella pelle liscia come porcellana. Voleva far scorrere le dita tra i suoi lunghi capelli neri come la pece. Voleva annegare nei suoi occhi sinceri che lei sempre celava.
Si appropriò del suo collo, lasciando libere le sue labbra di schiudersi ad un gemito di aspettativa. Percorse la pelle scoperta dall’orecchio fino alla clavicola per poi salire fino alla curva della mascella. Mentre una mano le sorreggeva la nuca, l’altra scendeva leggera verso il suo seno coperto dalla leggera camicetta bianca che ancora indossava dall’ufficio. Riuscì a sentire il suo corpo tendersi anche in quel modo. La donna alzò le braccia dietro il suo collo per incatenarlo a sé. Riprendendo a baciarla aprì piano i bottoncini scuri scoprendo lentamente la sua pelle ambrata ed il reggiseno in pizzo.
Adorava la sua biancheria. Era l’unico capriccio che si concedeva: pizzi e seta dominavano. Quando la vedeva vestita faticava a trattenersi, immaginando cosa potesse indossare sotto il suo tailleur. La mano birichina carezzò di nuovo il seno sentendolo inturgidirsi, scorse verso il ventre, morbido e caldo. Con lievi movimenti circolari la fece rilassare tanto da costringerla ad appoggiarsi completamente allo schienale. Le invase nuovamente la bocca con un bacio famelico. Il fuoco gli bruciava i lombi e lo stesso doveva accadere a Saeko perché quando liberò le sue rotondità accogliendole in mano avvertì un leggero movimento del bacino.
Si sporse in avanti e raggiunse un ginocchio che spuntava da sotto la gonna. In una lenta tortura le sue dita percorsero la tenera carne della coscia fasciata dal collant. Raggiunse il reggicalze, saggiando la sua effettiva morbidezza.
Arrivò alla sua femminilità.
Ancora pizzo.
E seta.
E calore.
Dalle sue labbra quasi fuggì un grido.
“Andiamo in camera.” – le sussurrò.
“Il divano è comodo…” – ribatté ansimante.
Per brevi secondi fu costretto ad abbandonarla. Girando intorno al divano si tolse giacca e camicia, rivelando il petto glabro e muscoloso. I suoi occhi lucenti non l’abbandonarono mai, imprimendosi nella mente il volto arrossato, i capelli adagiati sul suo corpo, la camicetta aperta sul davanti, il seno che si alzava al ritmo accelerato del suo respiro.
Cadde di fronte a lei, cercando ancora le sue labbra. Con le mani le aprì lentamente le ginocchia, scorrendo verso i fianchi e trascinando con sé la gonna che si ripiegò su se stessa.
Più l’assaggiava, meno era sazio.
Scese a morderle il seno florido. La sentì trattenere un ansito.
Le invase l’ombelico. Un gemito sfuggì dalle sue labbra.
Raggiunse il centro pulsante del suo essere. Le mani di lei aggredirono i suoi capelli guidandolo, tenendolo vicino, aggrappandosi a lui.
“Karato!” – quasi urlò, Saeko, perdendosi e ritrovandosi in quelle emozioni.
Quando la baciò ancora sentì il proprio sapore sulle sue labbra e la frenesia di pochi attimi prima si ripresentò.
Tirò l’uomo al proprio fianco. Così com’era, seminuda, lo liberò dei pochi indumenti che ancora gli restavano e si sedette sulle sue gambe.
Lo percorse con le mani e con le labbra; con la lingua e con i denti. Ogni sospiro ed ogni gemito era un invito a proseguire quell’esplorazione. La donna sentiva svettare la sua virilità e gli riservava languide carezze.
Quando infine non riuscirono più a trattenersi, Saeko si lasciò invadere iniziando a muoversi con ritmo altalenante cercando di prolungare il momento.
Karato non avrebbe resistito ancora a lungo e, sentendo Saeko approssimarsi al culmine, l’afferrò per i fianchi serrando i loro corpi e aumentando la profondità delle spinte. Le morse una spalla soffocando il grido di piacere che liberò.
L’abbracciò stretta nei momenti di pace che seguirono.
Sospirò il suo nome continuando a toccarle la schiena.
La prese in braccio dirigendosi verso il bagno.
Si guardarono teneramente lavandosi a vicenda sotto l’acqua calda.
Si abbracciarono stretti, mentre Morfeo li accoglieva tra le sue braccia.

Cenarono tranquillamente l’uno di fronte all’altra: il ristorante non era ancora poco affollato. Il proprietario, riconoscendo la donna, si prodigò per loro. Fece in modo che si posizionassero nell’angolo più appartato della sala e che fossero serviti da quella che dichiarò essere la sua migliore cameriera.
Shiori osservava silenziosa l’atteggiamento pacato dell’uomo: sembrava aver dimenticato le battute che si erano scambiati poco prima. Non capiva cosa fare, mentre una sottile tensione iniziò a pervaderla. Spesso Mikami la coglieva ad osservarlo. Allora distoglieva lo sguardo o sfoderava semplicemente un sorriso.
“Quando avrai finito di esaminarmi, mi farai sapere il tuo responso?” – le chiese ad un certo punto, guardando altrove.
“Non… non ho… non ti sto facendo alcun esame!” – ribatté balbettando quasi, colta in fallo.
Aki le prese una mano sopra il tavolo e continuò l’indagine.
“Allora come mai mi sento scrutato?”
Mentre la sua mano scorreva leggera verso il polso sottile della donna, Shiori sospirò cercando di raccogliere le idee.
“E’ solo che non capisco.”
“Cosa?”
“Cosa ti aspetti da me, Aki?” – la tensione che provava era finalmente sfociata in quella domanda. Shiori voleva stare con lui, ma era rósa dai dubbi. Il giornalista le aveva fatto capire di tenere a lei e di sicuro aveva dimostrato di rispettarla. Sentiva dentro il desiderio di approfondire la conoscenza con lui e con le emozioni che generava, ma come doveva comportarsi? Non voleva ripetere gli errori fatti con Masumi. Se da una parte comprendeva che la situazione era del tutto diversa, dall’altra mille dubbi le affollavano la mente. Le sembrava di girare ininterrottamente intorno alla questione senza alcuna possibilità di soluzione.
“Mi aspetto che tu faccia quello che vuoi, sempre!” – la sua voce calma penetrò nella sua testa e solo allora si rese conto di non aver mai smesso di fissarlo.
“Quello che voglio?” – chiese, notando le sue carezze sul polso – “Ma cosa voglio, Aki?” – il tono assunse quasi un tono di preghiera.
“Non lo sai?”
Non sapeva cosa voleva?
Cosa voglio?
Aki!
“Lo so!” – disse più sicura ora – “Quello che non so è… come averlo.”
Si sentì arrossire e distolse lo sguardo, ritirando la mano ed unendola all’altra in grembo.
L’uomo dovete cogliere quei segnali d’imbarazzo.
“Andiamo, vieni con me!”
“Dove?”
“A casa mia…” – nel panico più completo Shiori lo seguì dopo che ebbero pagato il conto. Si tenevano per mano ed Aki procedeva con passo sicuro.
Non aveva detto una parola dopo la sua ammissione. Solo l’aveva guardata con una strana tenerezza negli occhi, mista a quello che credeva essere… desiderio?

Shiori l’aveva scrutato per tutta la cena e lui aveva sopportato silenziosamente. Quando alla fine aveva chiesto delucidazioni, vinto dalla curiosità, le sue risposte l’avevano sciolto. Credeva, e sperava, che la donna si riferisse a lui ed allora aveva capito che era insicura. Non capiva come rapportarsi con lui. Vederla raccogliere le mani in grembo, arrossire, abbassare il volto e distogliere lo sguardo, gli aveva ricordato una bambina vergognosa di fronte al suo primo amico. Vorrebbe conoscerlo, giocarci insieme nel parco, ma non sa come comportarsi perché non capisce se lui prova le stesse cose. Non aveva molti modi per farle capire che lei poteva tutto, che era al sicuro e non aveva nulla da temere. Pertanto, finalmente, aveva lasciato il ristorante e l’aveva rapita.
La donna l’aveva seguito docilmente, timorosa e coraggiosa al contempo. Arrivarono di fronte allo stabile dove abitava: la struttura era una vecchia fabbrica tessile riconvertita. Un’impresa di costruzioni si era premurata di ristrutturarla ricavandone diversi loft su più livelli.
Entrarono nel vecchio montacarichi che fungeva da ascensore. Vicini eppure lontani. Aki la guardava mentre se ne stava in disparte in quell’angusto spazio.
Quando le porte si aprirono sul suo soggiorno la vide spalancare gli occhi. L’ambiente moderno era in contrasto con le vecchie mura esterne. L’arredamento aveva linee pulite, semplici. Un misto di grigi in diverse tonalità. Entrò cauta, osservando le gigantografie alle pareti: per lo più paesaggi dei luoghi esotici che aveva visitato per lavoro. Le isole polinesiane, la foresta vietnamita, uno skyline di Hong Kong, un villaggio in Kenya. Niente di triste. Non aveva voluto scenari di guerra in casa sua: aveva visto troppa crudeltà, troppo sangue, troppe morti per continuare a riviverle nelle immagini che lo circondavano. Per quello erano sufficienti i ricordi che non l’avrebbero mai abbandonato.
Avanzò anche lui, chiudendo la grata dietro di sé. La raggiunse davanti al tramonto polinesiano. Il sole scendeva all’orizzonte proiettando le ombre delle capanne sulle basse acque oceaniche.
Le pose una mano su una spalla, ma era talmente tesa che non un fremito le sfuggì. La girò verso di sé: aveva abbassato la testa e non poteva scorgerne gli occhi.
“Shiori, guardami!” – usò un tono fermo, senza risultare opprimente. Finalmente lo guardò. Gli si strinse il cuore. Una donna tanto bella eppure tanto insicura.
“Puoi avere tutto ciò che vuoi.” – le sussurrò. Spostò una mano sul suo volto – “Non aver paura. Non ti farò del male”
La vide spalancare gli occhi, occhi tanto neri e brillanti da aver paura di annegarci.
“Come lo sai?” – gli chiese in un fil di voce.
“Perché ti vedo. Perché ti sento. Perché non può essere diversamente.”
Mentre parlava aveva fatto scivolare via il cappotto dalle sue spalle e le aveva preso la mano, poggiandosela sul petto: voleva che sentisse battere il suo cuore in modo forsennato. Voleva che capisse che non aveva nulla da temere perché non era la sola a provare quelle emozioni devastanti.
La fissò mentre si concentrava sulle vibrazioni del suo petto chiudendo gli occhi. Lentamente le si accostò e la cinse tra le braccia. La mano sul suo volto passò al collo, tra i capelli. Ora avrebbe potuto ascoltare il suo cuore.
“Lo senti? Mi senti?” – le chiese, deponendole un bacio tra i capelli – “Sono già con te, Shiori, non hai bisogno di fare nulla per avermi!”
Aveva azzardato, lo sapeva, ma voleva essere chiaro. Se l’avesse voluto, non l’avrebbe lasciata. Non gli importava se in passato era stata un’ereditiera viziata, se ne fregava che avesse tramato ed ingannato. L’aveva conosciuta dopo, quando era già una donna diversa, che aveva riconosciuto i propri errori e stava cercando di porvi rimedio. Non aveva parlato con la signorina ipocrita e di buona famiglia, ma con una donna sincera, che rifuggiva la menzogna e aveva voglia di vivere, finalmente. Aveva toccato una donna che non era nemmeno consapevole della propria passione. L’aveva baciata ed aveva trovato un angolo di paradiso.
Non credeva l’avrebbe mai detto in vita sua, ma credeva d’amarla.
Se era lui che voleva, non doveva far nulla per averlo.
La giovane donna rimase silenziosa tra le sue braccia.
“E’ me ciò che vuoi, Shiori?”

Quella domanda le entrò nella mente.
Troppo occupata ad ascoltare il battito ipnotico del cuore dell’uomo che l’aveva conquistata quasi non l’aveva sentito dire che era già con lei. Ma le sue parole le risuonarono nella mente, come se il suo cervello le riproponesse un’informazione che non poteva trascurare.
“E’ me che vuoi, Shiori?”
Quanto tempo era passato da quel momento?
“Sì.” – sussurrò, soffocando quella piccola importante sillaba nella camicia.
Si sentì stringere ancora.
“Ripetilo!” – le comandò – “Non ho sentito.”
Quella voce la faceva vibrare. Il cuore le tremava e lo stomaco era in subbuglio.
Lo abbracciò a sua volta.
“Sì, Aki.”
“Allora sono perduto!” – tentò di allentare la tensione e contemporaneamente chinò il capo per baciarla. Quelle labbra erano sempre più dolci di come le ricordava.
 
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