Scusate il ritardo, ragazze. Quest'anno scolastico è un delirio: pur continuando a scrivere giorno per giorno, cerco di riposare il più possibile e di collegarmi...il meno possibile.
Capitolo trecentosettantuno
"Una gradevole prospettiva"
“Alicia, stavo riflettendo sulla possibilità di fare ritorno a Nara, questo Natale. Potremmo fare una sorpresa a Masashi. Che ne pensi?”
La proposta di Elizabeth, formulata davanti ad un gigantesco parfait al cioccolato, stupì la piccina: l’attore era rimasto più a lungo a Tokyo per alcuni servizi fotografici.
Questo perché l’inaugurazione del teatro in California era stata rinviata. Inaugurazione che si sarebbe svolta a metà gennaio e non a dicembre come convenuto in precedenza: il Presidente Hayami desiderava che tutto fosse perfetto, preferendo posticipare piuttosto che giocare d’anticipo.
“Penso sia un’idea stupenda!” esclamò entusiasta “Anche Tomo tornerà in Giappone e potremo vederci a tutte le cene tra le nostre famiglie!”
“Per favore, tesoro, non citare <il tuo futuro marito> ad ogni pie’ sospinto…” disse comicamente la Himekawa “Non ci crederai, ma mi impressiona un poco.”
“E perché?” fece Alicia con semplicità.
Elizabeth ci pensò su:
“Posso chiederti una cosa? Sembri…così convinta di ciò che senti…Come hai fatto a comprendere che si tratta di amore? Mi è un po’ difficile entrare nella psicologia di una undicenne e vorrei davvero capirti a fondo.”
In quel momento, suonò provvidenzialmente – almeno per la piccola Stanford – il campanello.
Era proprio Tomo e recava con sé un enorme pacco regalo.
Lizzie lo introdusse nella stanza in cui era stata sino a qualche minuto con la bambina, che gli saltò subito al collo.
“Che veemenza!” sorrise il chitarrista ricambiando quella stretta carica di affetto.
La Himekawa osservò il figlio di Miro scettica: si disse che dal sangue di Miro c’era da aspettarsi di tutto, ma subito si vergognò dell’orribile pensiero.
In Tomo, infatti, c’era tutta la tenerezza di un fratello maggiore, non altro.
Del resto, non avrebbe potuto essere diversamente: l’intento del ragazzo, sin dall’inizio, era stato infatti quello di adottare la figlia della compagna defunta, cosa che gli era stata negata sia a causa della sua giovane età sia perché non aveva ancora i mezzi necessarii per sostentarla.
La loro complicità era comunque un fatto: si capivano al volo e Tomo non appariva per nulla infastidito dalle domande a volte un po’ troppo esplicite della ragazzina. Le rispondeva a tono, con la <saggezza> di un ragazzo di ventiquattro anni consapevole di non poter prendere in giro colei che sedeva sulle sue ginocchia.
Era incredibile come il loro fosse un rapporto alla pari.
Davanti al loro discorrere, Elizabeth Himekawa non poté non constatare come la distanza tra loro in termini di anni fosse quasi annullata: ebbe un tuffo al cuore.
L’incredulità dell’attrice montò alle stelle quando il giovane Sakurakoji chiese ad Alicia se voleva ascoltare una sua nuova canzone: si trattava, naturalmente, di un pezzo strumentale, che la piccola ascoltò in religioso silenzio, gli occhi azzurri semisocchiusi, come a carpire punti di forza ed imperfezioni.
E il suo commento a posteriori fu spiazzante: Alicia eviscerò senza affettazione alcuna ciò che pensava, compreso quello che non le era garbato. Non si era curata di ferirlo, sospinta solo dal desiderio di essergli realmente utile.
Elizabeth scosse la testa.
“I neri hanno la musica nel sangue.” La lodò Tomo, facendole una carezza affettuosa sulla testa lucida “Sei veramente eccezionale. Mi è sembrato di vedere tua madre, lo sai?”
Ella incassò il complimento senza commentare.
Mentre preparava il tea per il suo ospite, la compagna di Masashi intercettò un altro stralcio di conversazione tra i due.
“Anche Mia, come sai, mi dava qualche dritta. Tua madre aveva una bella voce.”
“Io sento tutto ciò che dice anche adesso.” Gli rispose Alicia con tono sommesso.
Troppo per essere falso.
Ad Elizabeth venne un gran magone: la piccola pensava davvero quelle cose.
“Sento che ciò che lei ha lasciato incompiuto dev’essere portato avanti da me.” Continuò quest’ultima.
“Vorresti diventare insegnante o scrivere, allora…” fece Tomo sorpreso.
“L’altro giorno sono passata davanti al centro sociale in cui lei è morta.” Raccontò la Stanford “Come sai, ora è inagibile: ma c’era qualcuno dei ragazzi, fuori. Dormono all’addiaccio e quest’inverno si preannuncia assai freddo.”
Sakurakoji tacque cogitabondo: non era più andato in quei luoghi pieni di dolore da molto tempo. Eppure, quando i Borderline non erano ancora famosi, i clochard avevano costituito il suo pubblico: avevano cantato insieme tante volte.
“Non c’è niente che possiamo fare?” chiese Alicia prendendo l’amico per un avambraccio.
“Mi hai letto nel pensiero…” sorrise Tomo stupito.
Lizzie, che aveva ascoltato tutto, era sempre più sconcertata dal loro corrispondersi.
“Quei due” pensò “si leggono davvero nel pensiero…”
“Forse, potrei organizzare un evento.” Azzardò il chitarrista “Con Masashi Junior avevamo intenzione di prendere contatti con un pub della zona. Potremmo destinare i soldi del biglietto per il concerto a quei ragazzi.”
“Ma certo!” disse Elizabeth irrompendo nella stanza col tea.
Le tazzine avevano tremato, tanta era stata la sua irruenza:
“E’ una idea splendida! Tra qualche tempo, inaugureremo il nuovo teatro Daito! Potrei chiedere allo <zio> di devolvere una parte degli incassi per la stessa causa. Avrete i soldi per ricostruire il centro sociale.”
Tomo scambiò una rapida occhiata con Alicia, quindi armeggiò col cellulare.
“Masashi?” chiamò “Sono io. Prepara la sala prove: dobbiamo iniziare subito.”
Si alzò per raggiungere la finestra, mentre Lizzie, compreso che all’altro capo dell’apparecchio c’era l’altro suo figlio, si emozionò ancora di più.
Giurò a se stessa che non avrebbe mai e poi mai mancato a quell’evento.
“Sono da tua madre.” Disse Sakurakoji all’amico “Ho portato un regalo ad Alicia, visto che non sono sicuro di passare le feste con lei…”
La piccola assunse una espressione corrucciata.
“Puoi raggiungermi, se vuoi.” Fece Tomo un poco imbarazzato.
Riattaccò un minuto dopo, annunciando che Masashi sarebbe arrivato di lì a poco per portarlo in sala prove.
“Pensi che venga su?” chiese Elizabeth emozionatissima.
Sakurakoji provò molta tenerezza per quella donna così provata dalla vita ed evidentemente desiderosa di riavvicinarsi al figlio.
“Lo costringerò, se non vuole.” Disse franco.
Alicia, però, continuava a tirarlo per la giacca:
“Come sarebbe che non passerai il natale con me?!”
Tomo spiegò che sarebbe potuto rimanere a New York insieme all’altro Borderline per lavoro e anche Lizzie fu delusa di quella prospettiva.
“Sarebbe stato troppo bello.” Mormorò piano.
Vide il chitarrista piegarsi sulle ginocchia per guardare Alicia negli occhi:
“Allora, festeggeremo il nostro natale prima della vostra partenza per il Giappone, che ne dici?”
La bambina saltò in aria per la felicità.
“E’ una splendida idea.” Commentò la Himekawa “L’hai resa davvero felice.”
“Anche Masashi sarà contento, vedrà.” Rincarò il figlio di Miro “Addobberemo insieme l’albero di natale, così ci sembrerà di essere tutti a casa. In fondo, basta sia presente una mamma.”
Elizabeth si sciolse in lacrime, mentre continuava a ringraziare Tomo e gli dèi per quell’insperato dono.
“Io non avevo ancora deciso cosa fare…” disse “Ne stavo giusto parlando con la bambina. Mi hai proprio tolto ogni dubbio, caro Tomo…”
***
Masashi Hayami senior si mosse un poco nervoso sulla seggiola di metallo.
Vide Laura Sakurakoji avvicinarsi al suo tavolino e, subito, prese a sorriderle.
“È davvero difficile contattarti…Oramai, vivi ad Augusta in pianta stabile. Cosa ti induce a cercarmi sin qui, tesoro?”
Erano parecchi mesi che non si incrociavano per ovvi motivi, primo fra tutti la convivenza con Hector della giovane figlia di Miro e, secondariamente, l’aver saputo che Beatrice non era figlia di Masumi junior.
“Mi spiace averti distolto dal tuo lavoro.” Disse la scrittrice “Ma era importante. Anzitutto, era mia intenzione chiedere scusa a te e ad Elizabeth per aver portato via mia figlia così repentinamente.”
Hayami scosse il capo:
“E’ <tua> figlia e puoi condurla dove vuoi. Ma ti ringrazio della delicatezza: noi abbiamo amato Beatrice come nostra e credo tu sappia che le vogliamo bene tutt’ora.”
Laura annuì.
“Soprattutto,” sottolineò “mi premeva dire che questo allontanamento non ha nulla a che vedere con il fatto che le analisi del DNA abbiano confermato la paternità di Hector.”
Si morse un labbro come chi è incerta e Masashi colse al volo quell’espressione un poco costernata.
“Ci mancherebbe.” Fece convinto “Io ti conosco bene: non agiresti mai male consapevolmente. Però…non stai dicendomi tutto. Cos’è che non va?”
La Sakurakoji sospirò:
“Siete stati contattati da Marcus Anderson, di recente?”
La domanda suonò strana alle orecchie di Masashi: i suoi anziani genitori si erano guardati bene dall’avvertirlo che il destinatario del cuore di suo figlio non aveva mai mancato di intrufolarsi agli studios e, non meno marginalmente, nelle loro vite.
“Avremmo…dovuto?” chiese l’attore facendo indiretto riferimento ad Elizabeth “So che la mia compagna lo ha visto una volta, molto tempo fa, ma null’altro.”
“Il punto è che, ultimamente, quell’uomo è diventato strano.” Disse Laura “Continua a cercarmi e, per quanto ne so, si reca spesso a teatro per assistere alle riprese della pellicola documentario su Masumi.”
“E perché lo farebbe?” fece Masashi senior di rimando.
“Non credo distingua più tra se stesso e ciò che crede di rappresentare dacché ha subito il trapianto: anche il suo aspetto, di recente, è assai cambiato. Somiglia sempre di più a…”
“A mio figlio…?”
Il quesito di Hayami era stato formulato in modo piuttosto incerto, come se il suo stesso cuore si fosse fermato.
“Dice” spiegò Laura “che <sente Masumi> ad ogni passo che fa, in ogni movenza. Percepisce – o così crede - i suoi sentimenti per me, che, ora, sono diventati i suoi. Vedi, ti ho cercato per avere una conferma di questo e l’ho avuta: sono io ed io sola l’oggetto della sua ossessione.”
“Cos…?” fece Masashi rabbuiandosi di colpo “Che razza di mentecatto?...stai dicendomi che ti si è incollato addosso dietro la scusa di …”
Fu fuori di sé nel momento in cui Laura prese a raccontargli di come fosse convinto di vivere anche <per conto> del leader dei Borderline.
“E’ assurdo.” Sbottò fremendo “Non è degno di allacciargli le scarpe: mio figlio non sarebbe mai diventato un molestatore…”
“Marcus ha passato un brutto periodo.” Cercò di giustificarlo la scrittrice “Era sul punto di morire ed ha ricevuto il cuore in extremis. Non credo che sia incline alla violenza o al sopruso. Penso, però, che si possa davvero uscire fuori di testa, specie in situazioni difficili come questa.”
“Ma non puoi vivere nel terrore!” disse il figlio di Maya “Se ti sei rivolta a me, ci sarà pure un motivo, no? Scommetto che non hai allertato tuo padre.”
“Papà ha già incontrato Marcus, una volta e ne ha avuto una pessima impressione. Ho paura di rivelargli altro. Sai com’è fatto…”
“Senti,” l’interruppe Masashi senior “è del tutto ovvio che debba parlarci io con quell’Anderson. Cerca di star serena e torna dalla tua famiglia. Ti prometto che porrò fine a questa situazione incresciosa.”
***
Eriko era lì, davanti ad Angie: e appariva molto cambiata dacché aveva lasciato David.
Si era rimessa in tiro e, complici i capelli scuri, i suoi tratti, oltre ad esser diventati più <gentili>, si erano fatti anche meno marcati.
La figlia di Jen fu sorpresa di vederla al Lovely Bistrot: era ovvio che fosse venuta lì per cercare David.
“Sei la cameriera?” chiese la figlia di Rika, sedendo al bancone del bar.
Non aveva palesato alcun rispetto per la giovane anche perché ce l’aveva maledettamente con lei.
“Sono la proprietaria.” Replicò Angie.
“Ah, ho capito.” Fu l’ulteriore, sprezzante commento della Hijiri “Non avete soldi e vi riciclate nei ruoli.”
Le fu versato da bere, quindi la ragazza diede le spalle ad Eriko.
“Non sei un granché.” Disse quest’ultima, saltando alla più ovvia delle conclusioni “Di certo, non vai bene per David. Non che mi interessi più nulla di lui, eh. Non capisco a che serva avere a fianco un ragazzo che non ti è vicino quando hai massimo bisogno di lui.”
“Non capisco perché dovrei <andar bene> per uno con cui non ho alcuna relazione ufficiale.” Replicò Angie decisa.
Voleva difendere la sua privacy ad ogni costo e la Hijri ne comprese perfettamente gli intenti.
“E, allora,” l’incalzò Eriko “perché ti fai vedere con lui?”
Quest’ultima era infastidita dalla calma glaciale della giovane barista.
“David è un attore famoso.” Rispose la Bergson “I paparazzi lo braccano da sempre. Inoltre, potrei anche essere la ragazza delle consegne, visto che il mio ristorante è anche da asporto.”
“Credi di essere furba?” domandò la figlia di Rika prevenendola.
Quel colore così azzurro degli occhi – identico a quello di Miro - le metteva nostalgia, ma anche tanta rabbia.
“Non servirà a un bel nulla. Finché David non ti ripeterà un milione di volte che ti ama, come ha fatto con me, il tuo destino sarà legato alle consegne di questo …roseo ristorante…”
“Non sono furba e non sono la ragazza di David! Quindi, per favore, togliti dalle palle.”
E lasciò Eriko sola e ammiccante.
Angie si rammentò, allora, di una massima:
“Ciò che viene taciuto o non si ha il coraggio di esternare non esiste. La sacralità della parola si fonda sulla sua onesta verità, anche quando è difficile dirne.”
Se David non aveva deciso nulla di definitivo, forse aveva ragione la figlia di Rika: nutriva per lei solo blandi sentimenti d’affetto.
In effetti, a parte i baci struggenti che si erano scambiati, niente era accaduto ancora, a conferma che solo di amicizia, per lo meno da parte del ragazzo, doveva trattarsi.
Angie sospirò sconfitta.
Dopo la dipartita di Eriko, fece il suo ingresso David, vestito di un bel giubbetto sportivo e di una t-shirt nera a stampe arancio.
“Hai qualcosa di bello da indossare?” chiese lietamente il ragazzo.
Ignorava che la sua ex avesse soggiornato al Lovely Bistrot, umiliando Angie nel modo più puerile possibile.
“Perché?” fece di rimando quest’ultima.
L’attore spiegò che era suo intento condurla a cena: non in un ristorante qualsiasi, bensì a casa sua.
“Ero convinta volessi evitare i posti nei quali si poteva restar soli…” disse riluttante la figlia di Jen “Del resto, mi hai riportato a casa mia dopo quella strana e irripetuta <parentesi> tra noi. Ma non devi preoccuparti: non ho equivocato. So che sei innamorato di Eriko Hijiri. Ci sono storie che non finiscono: lei è stata la tua prima ragazza.”
“Per un gimnosofista non esistono i concetti di <prima> e <dopo>.” Replicò Silvermann sorridente “E’ la qualità della relazione a conferirle importanza.”
“Beh, io e te non si ha alcuna relazione.” Fece Angie seccata “L’amore è altra cosa, giusto? Quando lo si prova, nessuno dei due ha il desiderio di nasconderlo.”
“Certo, ne sono persuaso anche io.” rispose David senza sapere di averla gettata nella costernazione.
Era divertente vederla corrucciata, ma, se avesse saputo che dietro a quell’atteggiamento si celava l’intervento inopportuno di Eriko, sarebbe corso ai ripari all’istante.
Si rese conto, però, di non avere chiarito un concetto basilare e, pertanto, ribadì subito, come già qualche giorno prima aveva fatto, che nessun sentimento lo legava più alla sua ex fidanzata.
“Posso sapere” proseguì “come ti è venuto in mente di rivangare i fantasmi del passato? Ti ho già spiegato di non nutrire alcuna nostalgia…”
“E’ appunto questo.” Disse Angie “Se fosse davvero finita, non avresti alcun problema a parlarne.”
“Sbagliato.” Troncò David “Non ne parlo perché <non esiste>. Lei è del tutto sparita dalla mia vita e da ogni mia aspettativa.”
La prese per mano:
“Pensi che sia tipo da stare dove non voglio? E a che titolo dovrei venire qui? Mi piace la tua compagnia, mi piace come parli: adoro la tua ironia spiazzante che colpisce come se fendesse l’aria. È tutto un andare e venire del mio cuore: ci sono momenti in cui, avvertendoti vicina, mi sento mancare il respiro. Se non è innamoramento questo, gli somiglia molto.”
“Ho sempre pensato che i ragazzi corressero molto, in queste cose.” Disse la figlia di Jen evitando di guardarlo negli occhi.
Ciò che le era stato appena detto l’aveva emozionata grandemente.
“E tu, dopo gli uomini con cui, in qualche modo hai avuto a che fare, vorresti andasse così? Che saltassi subito al dunque? Il bacio che ci siamo scambiati – unico! – lo tengo nascosto nei miei pensieri e lo tiro fuori di notte, quando non riesco a dormire. Solo che, pensando a quel che ho provato, mi emoziono così tanto da prolungare ancor di più la mia insonnia.”
Le cinse la vita, chiedendole implicitamente il permesso di tornare a baciarla.
Ed ella si abbandonò, ancor più desiderosa ed arrendevole del primo giorno in cui si erano sfiorati.
“Io ti amo, David.” Gli disse sussurrandogli all’orecchio “Non importa quanto tempo trascorrerà, prima che i miei sentimenti siano pienamente ricambiati. Non c’è nessuno, a questo mondo, che meriti sacrifici e attesa quanto te.”
Egli le accarezzò il viso con entrambe le mani:
“Grazie.”
Le fronti l’una attaccata all’altra, le mani sulla nuca tenera, Silvermann sentiva nascere dentro di lui emozioni sempre più forti.
Per la prima volta, stava godendosi il piacere dell’attesa, quel constatare di essere quasi al punto di non ritorno prima di abbandonarsi del tutto all’amore che, già, in boccio, serpeggiava in ogni anfratto del suo corpo.
Era soddisfatto di se stesso, perché, da buon gimnosofista, mescolava in qualche modo la solidarietà, la condivisione, l’amicizia disinteressata e una passione che, di per sé, nulla di distruttivo aveva.
Angie rappresentava ciò che aveva sempre desiderato.
La sua unica fragilità non era <della sfera di competenza dei sentimenti>: era solo fisica e dettata dall’amore per quella madre che, per quanto affettuosa, l’aveva avviata ad una carriera indegna, cui la giovane non poteva e non doveva rassegnarsi.
Era destinata a fare altro e, di certo, a stare con lui. Affrettare i tempi non era cosa auspicabile, ma l’attesa di David non era affannosa né piena di dubbi e perplessità: lei lo avrebbe aspettato.
Lei lo amava già come lui avrebbe dovuto amare lei.
CONTINUA!...