Ritorno nella Valle II

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fufu1973
view post Posted on 17/9/2013, 11:05




Ho recuperato i capitoli, finalmente! :D
Mi dispiace non essere tanto presente ma sono veramente "incasinata"
L'ultimo capitolo, nella parte finale, è stato come una boccata d'aria fresca e mi è venuta in mente la frase di De Andrè " Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori"
Quoto i commenti di Barbara e Tenshina per quanto riguarda Marcus..inquietante!! :unsure:
 
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view post Posted on 17/9/2013, 16:11
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Fulvia, tranquilla! Il forum non è mai stato un obbligo per nessuno e infatti penso che siamo tra le poche che se ne fregano di visite e affini... :lol: Ti confesso che la sera sono così stanca - ma soddisfatta, veh... - che non ho neppure voglia di accendere il pc. Meglio prendere aria, godersi il panorama autunnale, il cielo, le stelle. Ieri dormivo beatamente già alle nove di sera! :lol:

Buona lettura, tesoro e tesori!

Capitolo trecentosessantatre

“La doppia vita del Lovely Bistrot”



David diede una occhiata ai DVD che si intravedevano attraverso la borsa semiaperta di Angie.
Era tornato a trovarla come promessole e riconobbe subito la sacca di iuta della giovane amica.
La sua faccia assunse le tonalità del rosso in multicolor, quindi si passò una mano fra i capelli, che, da quando era tornato da Augusta, s’eran fatti più lunghi.
Quindi, intercettò una conversazione tra due tizi che sedevano al bar.
“Stasera <la signora> non c’è…” stava dicendo uno ammiccante.
“Non dirmi che c’è <la dèa scarlatta>…!” sbottò l’altro euforico come se gli avessero dato una scarica d’adrenalina “Quegli occhi azzurri e la maschera sul viso mentre si spoglia sono …da brivido!”
“Già, non so cosa darei per vedere il suo viso: ha un corpo da urlo! Così magra, ma con tutte le forme al posto giusto!”
“Chiedo scusa,” si intromise David “posso, per cortesia, sapere di che state parlando?”
“Certo.” rispose entusiasta uno dei due ragazzi “Non hai mai assistito agli spettacoli notturni del Club?”
“Club?...” ripeté l’attore.
“Si tratta di un circolo destinato a chi ha soldi, ovviamente.” Spiegò l’altro “Chiuse le cucine, il Lovely Bistrot si trasforma nel locale più trasgressivo di tutta Los Angeles. E le <tizie di punta>, qui, non sono due qualunque…Non so se mi spiego. Sono così brave che sembra davvero di farci del sesso! Senza…senza neppure <darti una mano>, pensa…”
“Fantastico…” fece David sconcertato “Suppongo che siano forme di autoerotismo assai spinto!”
“Autoerotismo?!” sbottò uno “Ha una pelle divina, quella lì. Quando la tocchi, cadi come morto, t’assicuro!”
“La più giovane, specialmente,” soggiunse il tizio “è da brivido. Se hai un po’ di soldi, ti consiglio di iscriverti: hanno così tante richieste che, se le accettassero tutte, questo posto diverrebbe un casino. Sono già scoppiate delle risse tra gli avventori perché <la signora>, una sera, ha accettato di farsi palpare da uno che, però, aveva barato.”
Se a David avessero detto che Angie era un trans, ci sarebbe rimasto meno male.
Tutto pensava, tranne che di mestiere facesse la spogliarellista.
“E…” balbettò “di questa…<dèa scarlatta> non si sa proprio nulla?”
“A parte il fatto che è figa da paura?” chiese di rimando il giovane interlocutore “Che cazzo vuoi che ci freghi, amico? Da’ retta a me, vieni a farti due seghe con noi, appena puoi…”
David fu tentato di saltargli al collo: non riusciva a capire perché una ragazza già tanto dotata in cucina e molto intelligente, per di più, dovesse darsi ad altre <attività>.
Dacché si erano conosciuti, ella aveva parlato più volte di codice etico, di moralità: che ne aveva fatto di quei principi che tanto graziosa l’avevano fatta apparire ai suoi occhi?
Quando se la trovò davanti al bar, nel goffo tentativo di celare la sacca di juta contenente i DVD hard, David prese a fissarla in modo torvo:
“Hai lì qualche titolo carino della cineteca in cui lavori, per caso? Sai, mi piacerebbe vederlo insieme a te. Ho l’impressione che ne verrebbe fuori qualcosa di interessante.”
“Non credo.” Minimizzò Angie <assicurando> la borsa sotto al bancone.
“Perché ti nascondi?” l’incalzò l’attore.
“Non…nascondo un bel nulla.” Rispose la ragazza infastidita.
“E, dimmi, Angie è il tuo vero nome?”
Stavolta, la domanda tendenziosa indusse la giovane a riflettere.
“Sai,” proseguì David imperterrito “credo sia un nome perfetto per una che si spoglia a pagamento e si fa infilare banconote da dieci dollari nelle mutande prima di perderle…L’angelo del paradiso dei sensi! Però, che squallore…”
Ella stava per aprir bocca, ma Silvermann la placcò:
“Tutti quei bei discorsi sul moralismo, sulla necessità di darsi una regola…Ma a che pensi, quando apri le gambe a quei gaglioffi che pagano per…venire a vedere la dèa scarlatta! Non immaginavo arrivassi al punto di offendere lo stesso <credo> dei tuoi parenti!”
“Gli dèi non esistono.” Replicò Angie con tono sordo.
“Non capisco!” sbottò il ragazzo “A che giova fare cose sconce in pubblico? Hai già un buon lavoro! Mi avevi parlato di sogni da realizzare!”
“Non è così semplice.” Rispose la figlia di Jen “Se avessi una attività commerciale in bolletta, finiresti per spogliarti anche tu. Io non ho agganci per foto artistiche da calendario. Non ho un accidenti di niente!”
Sedette stancamente su uno sgabello alto, la mano alla fronte sudata per l’emozione e la vergogna insieme.
“Sapessi come mi sento quando salgo sul palco! Quanto debbo farmi di alcool per non pensare a quei maniaci pervertiti! Mi toccano, ma pagano una cifra per vedermi…! E io lo faccio, cazzo! Prima, era solo mia madre ad esibirsi sul palco. Lo ha fatto fino a poche settimane fa e qualcuno pensa ancora che <la signora> tornerà, prima o poi. Ma io non voglio! Gli apprezzamenti pesanti su di lei non li digerisco proprio. Anche se non mostro la faccia, credimi, mi vergogno! Ma solo con un club privato avremmo potuto risollevare le sorti di una azienda ormai sul lastrico. I debiti erano tali che…” si fermò un istante, assumendo un atteggiamento di chiaro rimprovero.
“Aspetta un momento…” riprese “Ma perché sto qui a giustificarmi con te? Io non devo spiegare nulla a un moralista bacchettone qual sei tu! Sei così tronfio e pieno di soldi che, quasi, mi vergogno più per te che per me!”
Egli la prese per un polso, una stretta né forte né piana:
“Non girare la frittata. Non ho raccontato io un mare di cazzate! Sei…la persona più assurda che abbia mai conosciuto. E non sai un accidenti del mio passato, per cui, ti prego, risparmiami la storia dei denari che posseggo, ma che non mi sarei legittimamente guadagnato! Li considero, invece, un risarcimento per la famiglia che mi è stata sottratta!”
“Ma che vai cianciando?!” l’offese Angie “Tu sei il figlio di uno stronzo repubblicano e guerrafondaio che siede al Congresso! Vedi di toglierti dalle palle, per favore!”
David consentì, lasciandole andare il polso:
“Hai ragione. Per un folle istante ho creduto di poterti raccontare la mia storia, di esserti amico, ma, ora, mi rendo conto di quanto sia impossibile. Tu non sei niente, per me. Sei solo una…una…”
“Non dire cose di cui potresti pentirti.” Ribadì la ragazza puntandogli il dito indice sul petto “Se solo osi ancora giudicarmi, ti faccio cacciare fuori.”
“Non ho alcun bisogno di <farmi cacciare fuori>.” Replicò Silvermann “Me ne vado io: la vista di una puttana che dice di provare schifo per se stessa non è divertente neppure un po’. Soprattutto, se quella puttana crede di essere nel giusto. Metti pure da parte i tuoi soldi, continua a venderti. Il prossimo passo sarà quello di battere nel vero senso della parola. Anche se non capisco che cosa differenzi te da una di Hollywood Boulevard, visto che ti fai toccare allo stesso modo.”

***



“Che stai facendo?” chiese Masashi ad Elizabeth, che, seduta in su una panchina di un giardinetto pubblico vicino a casa, teneva in grembo qualcosa.
“E’ una sciarpa.” Rispose la donna alzando un capo dell’indumento per mostrarglielo “Ma temo sia sghemba. Non ho contato bene i punti…”
Hayami ridacchiò:
“Non ti vedo fare lavori da donna da anni…”
“E, invece, ho continuato a farli anche dopo il divorzio.” Sorrise a sua volta Lizzie “Sono un po’ delusa: se non dovesse piacere ad Alicia, ci resterei male… Questa sciarpa è per lei e debbo farne una anche per la sua Barbie preferita…”
Masashi era scioccato di vederla parlare con tanta serietà ed entusiasmo insieme:
“Che cosa è successo alla sofisticata signora del jet set newyorkese?”
La Himekawa strizzò l’occhio.
“Ti confesso una cosa:” Disse sottovoce “non è mai esistita…e, quando ho visto la collezione di Barbie di tua figlia, ho tirato fuori anche la mia…”
“La tua…?” fece l’ex sgranando gli occhi azzurri “Me la ricordo bene! Ci sono pezzi rari! Ti sei sempre rifiutata anche solo di aprire le scatole!”
“Ora ho cambiato idea: il bello è proprio sistemarle! Ha ragione tua figlia: a che serve averne tante, se, poi, non le utilizzi?”
Lizzie era realmente convinta di ciò che diceva.
Si perse in un sospiro:
“Ti prego di non fraintendermi, ma…sono così felice di poter giocare con la tua bimba. È Alicia a prendersi cura di me ed io sento di volerle sempre più bene ogni giorno che passa.”
Masashi sedette accanto a lei:
“E…non c’è null’altro che desideri, in questo momento?”
Elizabeth si girò di scatto verso di lui: il profilo del suo ex marito non era cambiato.
Era affilato, volitivo com’era sempre stato sin dall’adolescenza.
L’attrice, di primo acchito, pensò si riferisse a Masumi e si commosse un poco.
“Per quanto sia rinata,” Disse “grazie a te e ad Alicia, è ovvio che vorrei poter tornare indietro e riavere nostro figlio accanto…”
“Scusa me, piuttosto:” si trincerò Masashi “sono uno stupido. Ancora una volta, non sono stato molto chiaro: non mi riferivo a Junior. È ovvio che il tuo desiderio sia anche il mio, ma non mi riferivo a ciò che, purtroppo, è impossibile.”
La Himekawa avvampò.
Adesso, le parole del suo ex marito erano inequivocabili.
“Ho pensato, in tutto questo tempo,” riprese Hayami “a quel nostro ballo in Central Park, all’emozione che ho provato, abbracciandoti. Essa ha <accompagnato> ogni mia notte. Se non posso vederti fisicamente, è il ricordo a perseguitarmi.”
La fissò in modo ancor più significativo:
“Non è cambiato nulla. È come se stessi ripartendo dal giorno in cui ci siamo lasciati. È come se non fosse mai accaduto!”
“Non dire così!” lo prevenne Elizabeth “Già ti ho detto che potrebbe essere tutto fasullo. Abbiamo vissuto un dolore spaventoso. Inoltre, non hai neppure provato a tornare con Bianca: e se, standole vicino, riscoprissi quel vostro legame? Tu non sei uomo da avventure fugaci, ti conosco bene. Con Lily ci sei stato per vent’anni!”
Egli le prese la mano e la baciò con tenerezza:
“Ma non hai ancora capito che è sparito tutto nel momento in cui ho posato i miei occhi su di te? Oppure fingi che non sia stato chiaro? Sei troppo intelligente per non avvedertene! Io ho desiderato solo…proteggerti. Anche il mio dolore, seppur devastante, è passato in secondo piano. Il pensiero che non ti riprendessi mi era gravoso tanto quanto la perdita di Masumi! E, quando hai tentato il suicidio, io…ho pensato che il mio amore non era stato sufficientemente forte per trattenerti. Ho sofferto: mi sono sentito inutile.”
Strinse le mani a pugno, come stesse facendo uno sforzo sovrumano.
“Io ti amo.” Confessò infine sconvolto da se stesso “Non faccio che pensare a te. Non credevo fosse possibile, dopo quanto accaduto, dopo ben vent’anni! Ma è successo. Ed io, come persona adulta, non posso più prescinderne. Dovevo dirtelo con chiarezza, Elizabeth, perché non avessi più dubbi sul motivo che mi ha indotto a restarti a fianco.”
Il cuore della Himekawa, in quel frangente, batteva così forte da superare quello del caos di automobili che, poco distante, imperversava.
Portò una mano al petto.
“Ma parli sul serio? Ne sei persuaso davvero?” chiese con occhi pieni di lacrime.
“Finora ho taciuto, ma solo perché temevo che mi allontanassi.” Spiegò il figlio di Maya “Ed ho una paura fottuta anche adesso. Volevo che passassero quanti più giorni possibile per aprire un varco nel tuo cuore, per risvegliare quei sentimenti.”
Lizzie scosse il capo:
“Non hai bisogno di risvegliare niente. Sai bene che provo grande affetto per te.”
“Ma non ti fidi ancora di me, è così?” fece deluso Masashi.
“No, è di me che non mi fido.” Rispose sicura Elizabeth “I miei sentimenti sono chiari: anche io ti amo, ma desidero presentarmi ai tuoi occhi al meglio. Ora come ora, non credo di poterti essere utile o, comunque, di starti vicino come meriti.”
Egli non la lasciò concludere: le prese il viso tra le mani e depose le sue labbra su quelle della donna.
Quasi tremavano, tanto erano titubanti.
Sovvenne in entrambi il tenero ricordo del loro primo bacio, molti anni prima.
“Siamo fortunati di ricominciare daccapo con la gioventù ancora dalla nostra.” Disse Hayami appoggiando la sua fronte a quella diafana di Lizzie “Non abbiamo fretta, ma, oggi, è una promessa d’amore che stiamo scambiandoci, che stiamo rinnovando in qualche modo. Questo mi basta.”
“Davvero?” domandò la donna incerta.
Decise di buttarla sul comico per non tradire l’imbarazzo mortale che l’attanagliava:
“Eppure, davanti alla mia biancheria, non mi sembravi così tranquillo…”
Egli la baciò di nuovo, con foga maggiore.
“Ho detto che non abbiamo fretta, non che ci saremmo mantenuti casti.” Sussurrò con sguardo eloquente.

CONTINUA!...

 
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view post Posted on 17/9/2013, 19:06
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Stregone/Strega quasi professionista

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Oh la peppetta! Ammetto che il colpo è stato forte, ma David sarà stato troppo precipitoso? Ci sarà una ricomparsa di Jen?
Che curiosità!!!
 
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view post Posted on 19/9/2013, 16:12
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David deve maturare e tanto anche!
Nei prossimi capitoli ne passerà d'ogni sorta, poveretto.

Capitolo trecentosessantaquattro

“Un giudizio molto duro”



Angie si fermò quasi di colpo: David, piazzatosi proprio davanti a lei, la fissava con occhi così seri da darle i brividi.
Vestiva uno abito scuro ed elegante, ma senza cravatta: un giovane dandy del tutto simile ad uno di quei ragazzi ricchi che aveva visto spesso nel ristorante del Lovely Bistrot.
Una mano era dentro la tasca dei pantaloni e pareva, come tutti gli altri, aspettare <il suo turno>.
La figlia di Jen si figurò la scena: trovandosela davanti, egli si sarebbe comportato come da copione: l’avrebbe toccata, ma per palesarle lo schifo che sosteneva di provare al suo indirizzo.
La bocca di David non aveva alcuna piega, ma gli occhi lievemente <stretti> comunicavano inequivocabile disprezzo e ironia.
Stava giudicandola ad ogni movimento che faceva: non c’era ripensamento, in lui, ché quella situazione non faceva che confermargli ciò che pensava di lei: aveva conosciuto una ragazza <sporca>, della quale non poteva fidarsi e alla quale mai più avrebbe dato credito.
Angie raggiunse in pochi istanti uno stato confusionale al limite del parossismo: le gambe, dopo essersi rammollite alla sua vista, divennero rigide e <severe>.
Perse il ritmo e la musica sexy di basso costo in sottofondo l’incalzò, sopraffacendola.
Nessuno, ovviamente, ci fece caso: erano concentrati su due lunghe gambe, su una nudità acerba e sensuale, su due occhi azzurri che <perforavano> a dispetto della maschera.
Quando vide David tirar fuori dalla tasca una banconota, credette di svenire.
La mano di lui rimase sospesa a mezz’aria per svariati minuti, mentre il suo volto era di una fissità allucinante.
Senza dubbio, egli intendeva infilare il denaro nel reggicalze come tutti gli altri avventori stavano già facendo.
Angie portò una mano alla bocca come stesse per vomitare, quindi, raccolto il telo semitrasparente – tutto ciò di cui era stata vestita, assieme alla biancheria sexy di cui si era già disfatta – corse dietro le quinte in preda alla vergogna.
Dalla sala <giunsero> fischi e richieste ed ella, per riflesso, si tappò le orecchie.
Come poteva tollerare ancora quello stato di cose?
Tornare dentro e vedere David sparire in preda a rinnovato disprezzo o, magari, restare e fare ciò che gli altri facevano: ovvero toccarla e pagarla anche.
Non riusciva a razionalizzare perché la cosa le dolesse tanto!
Non c’era niente, tra lei e Silvermann, ma per qualche motivo ne subiva il giudizio.
Mai si era vergognata delle sue scelte: in fondo, non faceva che vendere qualcosa di suo.
La sua verginità era intatta, ammesso valesse per qualcuno o a qualcosa.
Ma quegli occhi scuri l’avevano fatto sentire sozza come non mai: Angie entrò nel suo camerino, una stanzetta spartanamente arredata, con un grande specchio illuminato e prese a togliersi la maschera, a sciogliere i lunghi capelli scuri dalla reticella sexy che li aveva imprigionati per tutta la durata dello spettacolo fallito.
Quindi, con una spugnetta, si tolse il rossetto e il rimmel blu dagli occhi: riversò, su di essa, latte detergente e lacrime.
Jen entrò in camerino allarmata:
“Che succede? Qualcuno ha esagerato?”
Angie, con un gesto scattoso del braccio, fece cadere i trucchi di scena deposti sulla credenzina, quindi nascose il viso tra le mani.
“Ma Santo Cielo!” riprese la madre “stanno tutti aspettando! Non puoi lasciare lo spettacolo a metà!”
E prese a svestirsi per andare lei, in scena.
Non poteva neppure immaginare che sua figlia stesse male a causa di un ragazzo che, per la prima volta dacché faceva quel lavoro, l’aveva fatta vergognare.
Quando la donna fu fuori e i fischi tacquero, Angie rimase di nuovo sola, ma il suo status di pace apparente non durò a lungo.
Udì la porta aprirsi e, prima che potesse realizzare chi fosse entrato, il suo cuore comprese.
“Vattene!” urlò sconvolta “Se non te ne vai, chiamo la sicurezza! Non ti ci voglio, in casa mia!”
“Pago, per essere <in casa tua>.” Rispose David con calma glaciale, mentre richiudeva l’uscio lentamente.
“Nessuno, giuro sugli dèi…Nessuno mi ha mai fatta sentire così…” singhiozzò la ragazza.
“Lo spero proprio.” Replicò l’attore punto sul vivo “Significa che non sono come quei pervertiti da cui ti fai toccare.”
“Ma sei venuto qui coi tuoi soldi, esattamente come loro!” sbottò la giovane levandosi in piedi “Hai guardato come…come ballavo! Il mio…il mio…”
“Ho guardato solo il tuo viso.” Disse David sicuro del fatto suo “Ho cercato ancora una volta di capirti, ma non ci sono riuscito. Sembri una ragazza dolce, arrendevole. Di certo, vedendo come sei ridotta adesso, nessuno scommetterebbe sul tuo <mestiere>. Non ci sono davvero altri modi per metter da parte i denari di cui necessiti?”
“E credi non ci abbia pensato?” domandò a sua volta Angie “Ma, dopo aver sbattuto la testa un milione di volte, non sono giunta ad alcuna conclusione! E ho dovuto rinunciare persino al College!”
“Cazzate!” sbottò Silvermann “Sappiamo bene che è tutta una escamotage. Angie è diventata una celebrità…nel suo ruolo!”
La giovane sollevò lo sguardo in direzione del ragazzo, quindi una mano: era pallida da far paura. Neanche un minuto e svenne tra le braccia dell’attore.

***



La corsa all’ospedale ebbe un che di tragicomico: Jen, che era tornata in camerino dopo il termine dello spettacolo, andò dietro a David, infilandosi nella stessa auto.
“Vuole spiegarmi che sta succedendo?” chiese quest’ultimo mentre Angie veniva portata via in barella dagli operatori del 911.
Ella farfugliò qualcosa di incomprensibile, di cui il ragazzo comprese solo l’essenziale, ovvero che la figlia doveva subire un intervento all’utero per la presenza di un fibroma:
“Non è nulla di grave, ma è molto debilitata a causa dell’anemia…”
La sorpresa di David montò alle stelle: era intollerabile che una madre parlasse della salute della figlia minimizzando.
“E ha continuato a imporle di ballare per quei pervertiti?!” urlò.
Si portò le mani alle tempie:
“Ma che cazzo di madre è mai?”
“Una madre preoccupata, ma non affranta!” l’interruppe Jen “Angie <non è> in fin di vita! Ha solo bisogno di cure e di star lontana da individui come te! Non ti consento di farmi la morale, ragazzino! Tu sei un privilegiato e noi, no!”
“Ancora con questa storia!” fece David “Non può raccontarsi niente di più carino? Di originale, magari?”
“Mi par di capire che lei ti piaccia.” disse la Sakurakoji stringendo nervosamente i manici della sua borsetta “…il mio consiglio è quello di lasciar perdere. Mia figlia non deve avere delusioni di sorta da un gaglioffo come te.”
“Io non ho fatto niente!” si difese il ragazzo “Non è colpa mia tutto questo!”
“Ma sei andato a sbavare anche tu assieme a tutti gli altri e poi l’hai umiliata!” sbottò Jen spazientita “Capisco solo ora perché era tanto sconvolta. Ti si legge tutto in faccia, lo sai? E io leggo nel pensiero di mia figlia!”
Scrutò il profilo risoluto dell’attore: era un ragazzo sicuramente <sano>, ma non poteva giustificare il suo moralismo bigotto.
“Non l’ho toccata,” riprese David “ma mi sono vendicato, sì. Angie mi ha raccontato un sacco di balle!”
“Solo voi uomini riuscite a far sentire le donne autentiche puttane!” sibilò la donna “E, se proprio vuoi saperlo, mia figlia non è mai stata con nessuno…”
“Lo so, cazzo! Qualche dubbio m’era venuto prima di vedere i DVD porno! Accidenti a lei, è un’ottima attrice…”
“E che vorresti fare? Reclutarla per un tuo film?” ironizzò Jen scuotendo la testa.
David tacque rosso in viso.
“Questo è il mondo reale, ragazzino.” Soggiunse “Dove ci sono debiti e bollette da pagare. Tu vivi…”
“Basta!” urlò Silvermann “Io, sua figlia, me la porto via e, se lei intende proseguire con la sua <carriera>, s’accomodi pure…”
Non riusciva neppure a ponderare la portata delle parole che stava pronunciando: David era un ragazzo razionale, ma, di fronte a situazioni ritenute di autentica ingiustizia, finiva per agire d’istinto, sospinto soltanto dalla certezza di essere nel giusto.
“Te la porti via?” ripeté la Sakurakoji “E a che titolo? Non vi conoscete neppure da un mese. Sei solo un ragazzino presuntuoso!”
“A titolo di amico, di persona che si preoccupa per un’altra e intende cavarla dalla fogna in cui sua madre l’ha precipitata.”

CONTINUA!...

 
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Yayoi
view post Posted on 22/9/2013, 20:26




RAGAZZI...........Che botta il secondo lavoro di Angie!!!!! :o:
Capisco le buone intenzioni di David, ma mi sembra un filino rigido! :lol:
 
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view post Posted on 24/9/2013, 16:13
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Capitolo trecentosessantacinque

“Perdono”



“In che casino mi sto cacciando?”
Qualche ora dopo, in corridoio, David Silvermann era solo.
Fissò il quadrante dell’orologio, che segnava le quattro del mattino e desiderò un caffè caldo.
Un’infermiera, vedutolo, lo accostò sorridente:
“Se vuole far visita alla signorina Bergson, è il momento giusto: sua madre ha appena lasciato l’ospedale. Tornerà più tardi con un cambio d’abiti.”
“Allora,” fece l’attore illuminandosi “questo significa che uscirà dall’ospedale!”
“Certamente.” Rispose la donna “Si è trattato solo di un mancamento: la percentuale di ferro nel sangue della signorina è assai basso. Il caldo e anche la tensione nervosa, in certi casi, possono giocare brutti scherzi.”
“Sono contento che non stia male.” Disse David tirando un sospiro di sollievo.
L’infermiera alzò le spalle:
“Ma è stata trasfusa. Non è affatto vero che non sussista pericolo: deve operarsi quanto prima o le sue condizioni peggioreranno.”
Silvermann ebbe un tuffo al cuore, quindi, alzatosi, entrò in camera della ragazza.
Le sedette di fianco.
Era pallidissima e il colore delle labbra pareva scomparso.
Ebbe pena per lei e vergogna di se stesso.
“Perdonami.” disse prendendole una mano “Non intendevo offenderti né essere sgradevole. È solo che, quando ho iniziato a conoscerti, ho pensato fossi una ragazza <diversa>, realmente dedita al lavoro e con una morale di ferro. So che non sei stata con nessuno e non è certo questo, <il problema>. Ma vederti in quell’atteggiamento mi ha fatto…diventare vendicativo e ottuso. Tu ammiccavi, facendoti sfiorare da quella gentaglia. E mi sembravi un’altra persona, non la Angie che avevo conosciuto.”
Gli occhi azzurri della ragazza lo scrutarono.
“Io ti capisco.” Mormorò stremata “Ed è vero che, in un certo senso, ho tradito le tue aspettative. Ti ho mentito. Che affidabilità può mai avere una ragazza che si fa infilare una banconota da cento dollari nell’elastico della mutandina succinta?”
Sospirò profondamente:
“Ti confesso di non avere mai provato vergogna come questa sera. Gli uomini che hanno seguito le vicende della <dèa> sono dei perfetti sconosciuti per me. Molti di essi hanno provato a fare indagini sulla mia vera identità; mi hanno lasciato messaggi appassionati, cui non ho mai risposto. Ma tu, David, non sei come gli altri ed io ho timore del tuo giudizio.”
“Me ne compiaccio.” Sorrise l’attore “Anche se non credo di meritare tanta stima.”
“Sì, invece, perché, per te, non contano le apparenze, ma la sostanza.” Replicò Angie, una lacrima sulla guancia pallida “Gli attori famosi, di solito, vanno in cerca di animali da letto da esibire, ma non tu.”
Egli la fissò con simpatia.
“Allora, tu sei tutta sostanza.” Ribadì “E, comunque, per quanto non abbia gradito lo spettacolo, eri davvero…da urlo.”
Ella alzò lo sguardo d’improvviso per inquadrare quegli occhi scuri e dolci che, più volte, in quel mese di frequentazione, parevano averla scrutata nel profondo.
“…da urlo?” ripeté.
“Credo” confessò Silvermann “di aver visto raramente una donna così bella. E tu sei proprio una donna. Una donna vera, ai miei occhi.”
“Grazie.” Sussurrò la giovane “Credevo, ormai, di aver perso ogni credibilità ai tuoi occhi.”
“Promettimi di smetterla.” Disse l’attore a bruciapelo “Promettimi che non farai più spettacolini sexy. Vieni a vivere da me fino a quando non ti sarai rimessa. A titolo di amicizia, ovvio.”
“Temi, forse, che, con mia madre tra i piedi, io possa essere nuovamente tentata dall’ebbrezza del porno?” chiese divertita la ragazza.
“Sì.” Rispose con semplicità l’altro “Non voglio che ci torni. Non è dignitoso per uno chef di valore come te.”
“…dignitoso?” ripeté ancora più divertita Angie.
Mano a mano che aveva parlato, David si era fatto sempre più rosso in viso.
“Non pongo limiti al mio cuore.” Rivelò dopo un poco “Ed è certo che tu mi piaccia un po’ troppo per sperare di mantenere il nostro rapporto in termini di casta amicizia. Del resto, non avrei reagito così male, se non fossi rimasto deluso. Ciò nonostante, non intendo affrettare i tempi. Ho già convissuto con una ragazza e mi piace l’idea di riprendere in mano la mia vita di ventitreenne che non ha fretta d’accasarsi.”
“Se son rose fioriranno…” sorrise la giovane.
“E’ così.” Sottoscrisse l’altro “Mi piaci, ma non correrò. Spero comprenderai.”
Ella annuì soddisfatta.
“Allora? Vieni a casa con me?”
“No.” Rispose Angie “Ti prometto solennemente che non rimetterò più piede sul palcoscenico del Lovely Bistrot. Te lo giuro, David. Ma non lascerò la casa di mia madre. Mi curerò e tu, visto che non è tua intenzione affrettare alcunché – cosa per cui mi trovo d’accordissimo - mi frequenterai a tuo piacimento. Come amica o come qualsiasi cosa…”
David rise forte.
“Ma è come se facessi dipendere tutto da me!” esclamò.
“In effetti, è così.” Replicò la giovane alzando le spalle “Io sono tradizionalista, quanto a ruoli.”
“Bene, allora. Ci vediamo stasera?” chiese l’attore galantemente “Ammesso tu te la senta…”
“Credo di sì. Io sto già meglio e una passeggiata non mi farà male.” Rispose Angie col più tenero dei sorrisi sul volto.

***



I giorni trascorrevano veloci: la vita di Masashi ed Elizabeth, tuttavia, non era più la stessa.
Da quando si erano rivelati sentimenti ed intenzioni, nulla era tornato come prima.
Il figlio di Maya si era definitivamente trasferito a casa dell’ex moglie con Alicia e non pensava a null’altro che ad un futuro condiviso con <le donne della sua vita>, come era ormai solito definirle.
Mancava un mese a Natale e New York era un tripudio di luci e suoni <a tema>.
Durante un giro in centro finalizzato ai consueti acquisti prefesta, Masashi si trovò davanti l’ultima persona che s’aspettava di vedere.
“Papà…” mormorò imbarazzato alla vista di Masumi Hayami senior.
Pur nei suoi settantaquattro anni, il Presidente della Daito Art Production era ancora un uomo piacente: i grandi occhi azzurri segnati dalle rughe d’espressione lo rendevano molto simile a Robert Redford, uno dei più grandi attori di Hollywood.
I due uomini entrarono in un elegante Bistrot: Masashi depose i pacchi e le buste ai piedi del tavolino tondo, quindi fece cenno al cameriere di avvicinarsi.
“Stai molto bene.” Esordì l’anziano “Finalmente, sei tornato sereno.”
“Grazie alla mia famiglia.” Disse il figlio con una punta di orgoglio “Elizabeth dice sempre che le ho salvato la vita, ma credo che sia stata lei a salvare la mia. Mi ha dato qualcosa su cui lavorare e per cui lottare.”
Masumi senior annuì:
“Dunque, siete tornati a fare coppia fissa.”
L’attore arrossì fortemente.
“Non abbiamo fretta: io dormo ancora nella camera per gli ospiti, ma ci siamo svelati i nostri sentimenti. Non che fossero particolarmente tenuti nascosti, ma, adesso, abbiamo chiaro ciò che vogliamo.”
“E che cosa volete?” l’incalzò il padre.
“Essere felici. Tornare ad essere una famiglia.” Rispose senza indugio Masashi.
Vide che il Presidente si schiariva la voce, come se non sapesse da dove cominciare:
“Sai, i Sakurakoji sono estremamente impegnati, negli ultimi tempi: Ian è alle prese con il ruolo di Masumi al cinema e Miro è di nuovo il protagonista de I Quattro Cavalieri.”
“Ero convinto dovesse interpretare Isshin.” Si stupì l’attore “La stampa teatrale lo dava per certo.”
“Gli è stato proposto, in effetti, ma non ha voluto.” Spiegò l’altro “La scusa è sempre la stessa: è un maledetto…non riesce a calarsi nei panni di un uomo saggio…”
“Già…” ridacchiò Masashi “Si trancerebbe l’altra gamba, piuttosto che procurarmi dispiacere. Ma io vorrei davvero vederlo in quei panni.”
“Ad ogni modo, è strano come, a cicli alterni, La Dèa Scarlatta salti la messa in scena annuale.” Parve lagnarsi l’anziano “Forse, è destino. Negli anni a venire, certo, sarà ancora un successo: non è copione da cadere nel dimenticatoio e tutti, in Giappone, nonostante sia passato più di mezzo secolo, sanno ancora chi è Chigusa Tsukikage ed anche chi è tua madre.”
“Papà, che cosa vuoi chiedermi?” domandò il figlio di Maya “Perché, se ha a che fare con il lavoro, sai già che, per il momento, non posso tornare: Elizabeth sta iniziando a riprendersi solo ora e non posso portare via dagli States anche Alicia. Si è ambientata molto bene, nella nuova scuola e credo che esprimerà il desiderio di vivere definitivamente al fianco della mia compagna, presto o tardi: quelle due vanno molto d’accordo.”
Masumi senior lo fissò eloquentemente:
“E’ Lizzie a non volersi separare da te o sei tu che non ne hai la forza?”
Masashi scosse il capo un poco scettico.
“Sai bene qual è la risposta.” Disse soltanto.
Era ovvio che fosse più vera la seconda ipotesi.
“Sono contento che lo ammetta.” Si rinfrancò suo padre “Ho parlato giusto con la mia figlioccia, prima di incontrarti. Lei è molto preoccupata per il tuo futuro: vorrebbe tornassi a casa.”
“Non senza di lei.” Rispose perentorio l’attore “Ed Elizabeth non vuole ritornare in Giappone. È ormai americana al 100%.”
“Te lo ha detto lei?” l’incalzò suo padre “Ma, anche se fosse così, il tuo futuro non deve essere trascurato.”
Masashi fece per alzarsi dal tavolino, ma Hayami lo prevenne, prendendolo per un braccio:
“Fuggire non ti servirà.”
“Non voglio fuggire!” sbottò l’attore “Tu non l’hai vista! Non l’hai vista dentro la vasca da bagno, immersa in una pozza di sangue che pareva senza fine! Quella immagine ha bloccato ogni mio muscolo. Mi sono sentito morire insieme a lei. È stato allora che ho capito: dopo la perdita di mio figlio, mi sono dedicato a Lizzie, convinto di doverle essere di supporto, ma ero io che avevo bisogno di tenerla al mio fianco. Perché era un modo per <ritrovare> in qualche modo il mio ragazzo, per vederne lo sguardo! Se avessi perso Elizabeth, quel giorno dannato, io l’avrei seguita nella tomba.”
“E l’altro tuo figlio?” chiese scandalizzato Masumi senior “Non posso credere che avresti compiuto un passo tanto scellerato!”
“Masashi è più forte di quanto non pensi, papà.” Rispose il figlio di Maya “E’ persino andato a trovare l’assassina in carcere e si è riconciliato con sua madre. Sono davvero fiero di lui.”
“E’ il tuo esempio ad averlo reso così.” Gli fece eco il Presidente “Ed è tuo dovere continuare ad esserlo. Se quel ragazzo è ciò che è lo deve a te soltanto.”
“Ad ogni modo,” dichiarò perentorio l’attore “non intendo lasciare New York. Né Elizabeth.”
“Siamo in dicembre…” sussurrò l’anziano “E per allestire uno spettacolo come si deve ci vorranno dei mesi…”
Masashi lo fissò stupito:
“Di che stai parlando, adesso?”
“Prima di venire qui,” spiegò Masumi “sono passato a trovare tua sorella. Stiamo pensando seriamente di riproporre La Dèa Scarlatta in America: mi riferisco sia al copione teatrale che allo spettacolo sulle punte. In giugno, del resto, apriremo un nuovo teatro proprio qui, a New York: che ne pensi?”
“Qui?...” ripeté il figlio quasi senza fiato “E…la parte di Akoya?”
“Non c’è bisogno di cercare alcuna Akoya. Come per Isshin, la Daito possiede già delle candidate per questo ruolo. Gente già rodata, che si è fatta le ossa proprio interpretando lo spettacolo ogni volta in modo diverso…”
Masashi rammentò Lily con tristezza, poi sua sorella e, infine, la nipote, ma proprio non riusciva ad arrivare a Lizzie.
“Davvero ti riesce tanto difficile pensare che la tua compagna non sia più tagliata per essere la tua partner?” rivelò infine Hayami senior con un sorriso enigmatico stampato sul volto “Siete entrambi attori della Ondine e alla Daito non abbiamo l’abitudine di versare lauti stipendi a persone che, di fatto, non lavorano.”

CONTINUA!...



Sì, Barbara, il povero David è un po' di legno... :lol:
 
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view post Posted on 24/9/2013, 19:01
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Ohh! Quanto tempo era che non si vedeva Masumi nostro bello! E fa sempre la sua figura!
Per quanto riguarda David, si è messo sulla buona strada, anche se credo dovrà ancora patire parecchio.
Grazie Laura!
 
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Yayoi
view post Posted on 30/9/2013, 20:03




Brava, Angie, che hai rifiutato l'allettante proposta del bell'attore!!!
Nella vita bisogna essere autosufficienti!

Il Masu originale fa sempre un gran figurone! :D
 
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view post Posted on 1/10/2013, 16:29
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Sì! E' un figo! E, da settantenne, me lo immagino come Robert Redford...UGUALE UGUALE...

Buona lettura!

Capitolo trecentosessantasei


"Progetti e frustrazione"



Alicia ed Elizabeth stavano parlottando nella stanza della piccina.
“E, così,” stava dicendo l’attrice incerta “sei certa di voler togliere il manifesto che ritrae i Pinguini per metterci su quello di Tomo? A tuo padre prenderà un colpo…”
La piccola Stanford sorrise sorniona:
“Oh, se ne farà una ragione! Tutti i genitori, quando i figli crescono, diventano ansiosi.”
Lizzie abbassò lo sguardo: un’ombra era scesa su di esso, poiché era ben consapevole di avere del tutto saltato quella fase della vita dei suoi ragazzi.
“A che stai pensando?” chiese Alicia, che ben leggeva nei suoi occhi azzurri.
“Credo tu lo sappia.” Rispose la Himekawa “Ma non roviniamoci questa bella giornata.”
In quel mentre, fece ritorno a casa Masashi.
Anch’egli non pareva di buon’umore: gettò le chiavi dell’auto sul tavolino all’ingresso con un gesto di stizza.
“E quelli?” cinguettò Alicia indicando i numerosi regali che aveva portato con sé.
“Tesoro, ho bisogno di parlare con Elizabeth. Da soli.” Disse perentorio.
La donna si alzò dal letto della bambina e lo seguì in salotto. Dalla vetrata che dava su tutta Manhattan si vedeva un cielo scuro, pauroso.
Lo sguardo interrogativo dell’ex moglie lo colse del tutto impreparato:
“Scusami, non era mio intento allarmarti. Ho visto mio padre. È venuto a New York con un preciso intento: ricondurmi a casa.”
Le diede le spalle per dissimulare tutto il suo fastidio.
“Credevo” riprese “che avessimo chiarito i nostri sentimenti, che stessimo ricominciando. Invece, scopro che hai già incontrato Masumi senior per…concordare con lui il mio rimpatrio.”
Lizzie lo fissò con semplicità disarmante:
“Ma, tesoro, hai intenzione davvero di rinunciare alla tua carriera?...al teatro?”
Lo raggiunse alla vetrata, fissando come lui un punto indistinto dell’orizzonte.
“Tu devi brillare.” Sussurrò “Devi tornare perché quello è il mondo che ami. Tutt’intorno, nulla si è fermato. Mentre noi eravamo qui a curarci le ferite, la gente ha continuato a vivere, ad andare avanti. Una volta, mia madre ha detto che il teatro è come la parte più pura della nostra anima: se non la coltiviamo, andrà perduta per sempre. Ed è quanto è accaduto a me, che ne sono rimasta lontana per anni: se, oggi, mi chiedessero di ricominciare, non saprei neppure da che punto riprendere.”
Si martoriò le dita incerta:
“Non voglio vederti qui a tenermi la mano, mentre Sakurakoji va alla ribalta.”
Masashi l’abbracciò, sorprendendola ancora una volta:
“Ma Miro ha sia la famiglia che il lavoro, laggiù! Ed io non voglio più allontanarmi da te.”
Quella stretta era così forte da toglierle il fiato: sentiva nitidamente il petto di Masashi pulsare contro il suo.
“Non stiamo certo dicendoci addio.” Sorrise Lizzie provando a divincolarsi.
Ma Hayami non mollava la presa:
“L’ho detto a mio padre: sono io ad avere bisogno di sentirti vicina.”
Cercò le sue labbra con ansia crescente e, dopo un attimo di incertezza, ebbe la meglio su ogni resistenza da parte della donna.
Fu un bacio lungo, accompagnato da carezze esigenti: se Alicia non fosse stata sveglia, non avrebbero avuto freni.
Elizabeth, contro la vetrata, sentiva le mani del compagno dappertutto.
Si staccarono a fatica.
“Vuoi dirmi di andarmene giusto adesso?” le chiese appassionatamente Masashi, la fronte contro quella della donna.
Entrambi erano rossi in viso.
“Certo che no.” Sussurrò Elizabeth sulle sue labbra “Ma non ritiro neppure una parola di quanto già affermato.”
Egli la sollevò tra le braccia e la condusse nella camera da letto.
“E…Alicia?...” chiese la donna prima di perdersi in un nuovo lungo abbraccio.
“E’ una ragazzina sveglia.” Rispose sicuro Masashi “Sono certo che capirà bene la situazione e non ci disturberà…”
Decise di non dirle nulla del ruolo di Akoya e di quanto concordato con suo padre.
Avrebbe rinviato al giorno della sua partenza le spiegazioni, così da preparare la compagna al meglio e, magari, stupirla in positivo.

***



Riuscirò a ritrovarti?
Così mi chiedevo.
E, così, ho preso a cercarti negli anfratti più nascosti del mio spirito. Quel diario di pelle nera sembrava ricavato davvero dal soprabito che un milione di volte ti avevo visto indosso. È stato come addentrarmi in quella grande casa che è sempre stata la tua anima.
Lì, in un cantuccio solitario, ho ritrovato <la tua fisicità>, ciò che di visivo ancora conservo di te, riscoprendo, tra l’altro, quanto infima sia rispetto a tutto il resto.
Mi guardavi dentro. La mia anima trovava spazio nella tua, che la conteneva, la esaltava, le offriva spazi di espressione.


Le parole che Laura aveva scritto in seguito alla morte di Masumi furono <collocate>, per volere del regista, al termine del film documentario dedicato al leader dei Borderline.
Secondo l’uomo, costituiva un modo intelligente per alimentare l’idea che l’anima, sublimata dall’arte, sopravvivesse alla morte più infame. Quella di Masumi era stata tale: infame.
E questo perché una pazza scriteriata vi aveva posto fine senza riguardo alcuno.
Ma il ragazzo continuava a vivere nelle sue idee originali, nei suoni alternativi e dissonanti, nei suoi versi che – ne erano persuasi tutti – sarebbero sopravvissuti al tempo, un po’ come era accaduto a tanti cantautori che, prima di lui, avevano subìto una prematura dipartita.
Benché gli avessero sconsigliato di farlo assistere alle prove, il regista aveva ottenuto che Marcus presenziasse alla registrazione e che, di tanto in tanto, desse la propria opinione.
Laura, che ogni tanto faceva avanti e indietro da Augusta per vedere a che punto fosse il film, non era stata per nulla contenta della trovata: per tutto il tempo delle sue pur brevi permanenze, aveva sentito lo sguardo del modello indugiare su di lei, chiederle esplicite risposte riguardo al <loro> futuro.
Poiché la figlia di Miro non aveva più dubbi sui suoi sentimenti, non poteva che <scansarlo>, fingere di non percepire i messaggi che egli le inviava.
Non c’era molto da dire: la preoccupazione per la salute dell’amico si era trasformata, pian piano, in paura per sé e per la propria serenità.
La Sakurakoji non aveva intenzione alcuna di informare il compagno delle vicende relative ad Anderson: Hector l’avrebbe presa malissimo e, di certo, non se ne sarebbe rimasto con le mani in mano.
Marcus si nutriva di ogni parola che usciva dalla penna di Laura.
E si preparava a darle definitivo assalto, certo che il <riscontro> sarebbe stato positivo. La visione in anteprima delle ultime scene del film gli aveva dato la certezza che tutto era aperto: la signora Hayami doveva essersi sbagliata. Il modello non percepiva alcun distacco in ciò che la giovane scrittrice aveva composto.
Anzi.
Dal suo punto di vista, ogni sillaba era la dimostrazione di come la morte fosse una atroce beffa. Masumi c’era: viveva in lui, in qualche modo.
E Laura era la figlia di una donna che era tornata dall’altro mondo, pur di stare al fianco della sua anima gemella.
I ricordi del leader dei Borderline, secondo la prospettiva dell’uomo, erano tornati vividi proprio per questo. Se, prima, avevano salvato la vita della ragazza che amava, ora servivano a ripristinare un rapporto con lei.
Durante una pausa dalle prove, appena qualche ora prima che Laura prendesse un volo per tornare ad Augusta, accadde qualcosa di inatteso e che ebbe il potere di gettare davvero nel panico la giovane scrittrice.
Dopo aver salutato suo fratello Ian, si apprestava a lasciare il teatro: il taxi l’attendeva all’esterno del teatro Daito per condurla in aeroporto.
“Lascia che ti dica” fece Anderson placcandola un istante prima “di quanto mi abbia stupito la tua <idea> di tornare in Giappone per assistere alle riprese. Stai facendoti vedere abbastanza spesso: già due volte in un mese.”
“Non sono stata io a volerlo.” Masticò la Sakurakoji un po’ alterata “Mi ha chiamato mio fratello. Farei qualsiasi cosa per aiutarlo. Questo copione, in fondo, l’ho scritto io stessa.”
“Certo.” Assentì Marcus “Su questo non ho dubbi. Nessuno avrebbe potuto mai tracciare in modo tanto sublime la storia di un amore infinito. E, a quanto pare, il principe se ne è finalmente persuaso. Debbo riconoscerlo: non è insistente. Riconosce quando <deve> fermarsi perché qualcuno, a ragione, <gli sfreccia davanti>.”
“Non ha alcun motivo di fermare alcunché.” Disse Laura senza guardarlo in viso “Ed io gli sono grata per la sua pazienza. Ogni giorno che passa, mi dimostra quanto straordinario sia.”
Il modello sospirò, ma si astenne dal replicare.
“A che stai pensando?” le chiese dopo un poco.
“Sto pensando che…non vedo l’ora di essere a casa.” Rispose la scrittrice “E desidero che te ne faccia una ragione. Tu sei…una persona straordinaria: sei intelligente, bellissimo e meriti molto di più che vivere un surrogato d’esistenza. Se anche possiedi il cuore di Masumi, i suoi ricordi, resti comunque quello che sei: Marcus Anderson. L’inimitabile Marcus.”
Egli alzò le spalle soddisfatto:
“E’ un complimento che mi lusinga: ed è vero che io e te si avesse un feeling già prima che io subissi il trapianto. Ma, ora, è tutto così intenso, così <chiaro>.”
“Questa <chiarezza> non corrisponde a verità.” Sibilò Laura, ritta e decisa davanti al cancello della Daito di Shibuya “E’ solo una illusione. Se anche fosse Masumi ad ispirarti, e non credo proprio, vorrei che gli inviassi questo messaggio: l’ho amato moltissimo, ma il mio cuore, oggi, è di Hector. Se non ci fossero state bugie e sotterfugi, quando ci siamo conosciuti, non ci saremmo mai separati. Il mio amore per Hayami ha tutta la dolcezza dell’adolescenza: ma è una stagione destinata a durare poco, a evaporare davanti a sentimenti più importanti. Ed è quando penso al mio compagno attuale che provo dentro una tempesta di emozioni incontrollabili. A Masumi riservo la mia dolcezza di bambina e, credimi, ho dovuto lavorare tanto per rielaborare la sua perdita. È stato devastante.”
“Quante balle, amor mio.” Fece Marcus amaro “Tu e Masumi stavate insieme, crescevate la vostra bambina.”
“Mia figlia è di Hector. Realmente. E, prima di diventarlo, lo è stata nell’anima. Lui mi ha aiutato a crescerla.”
“Questo perché tramavi contro Hayami, volevi negargli la sua paternità!” sbottò il modello “Anche tu, frequentando quel gaglioffo, hai appreso l’arte del sotterfugio, della menzogna! Come…come puoi rinnegare il passato?! L’erba non è ancora alta, sulla tomba newyorkese di Masumi e tu scappi per andare a fotterti il principino!...Ti ha fatto il lavaggio del cervello!”
“Smettila.” Disse Laura esasperata “Stavolta, io e te abbiamo proprio chiuso. Non osare avvicinarti a me. Chiederò ad Ian se sei nei paraggi, prima di programmare un’altra trasferta in Giappone: sono realmente sconcertata del tuo atteggiamento. C’è qualcosa di <malato> in te…!”
E corse giù per le scale, certa del fatto suo.
Ma il cuore di Marcus era tutt’altro che domo e la partita, di certo, non poteva ritenersi finita.

CONTINUA PRESTO!...

 
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Yayoi
view post Posted on 1/10/2013, 18:22




Ma noooooo!!!
Chiudi il capitolo così??? Con un altro schizzato che gira per la Valle???
Il ragazzo sta diventando un po' ingombrante, oltre che terribilmente fastidioso!
 
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view post Posted on 1/10/2013, 20:06
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Marcus mi inquieta ad ogni capitolo di più! Angosciaaa!
 
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fufu1973
view post Posted on 3/10/2013, 10:33




Hola a tutte! :D
Ho recuperato i capitoli in arretrato, purtroppo ora non riesco a seguire con costanza, e sono felicissima!
La Valle è sempre avvincente!
Marcus è sempre più inquietante... povera Laura, non trova pace!
Grazie Laura per questi capitoli! :wub:
 
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view post Posted on 6/10/2013, 12:52
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Non preoccuparti, Tenshina! Anche io, pur scrivendo sempre, ho poco tempo sia per postare che per dedicarmi al forum. Il punto è che, per me, il forum non è un lavoro, ma un piacere cui dedicarmi quando ho qualche minuto. Un abbraccio a tutti.

Capitolo trecentosessantasette

“Sentimenti in boccio”



Ci sono volte in cui si ha la sensazione di dover fare qualcosa per il proprio corpo: coccolarlo, in qualche modo, vezzeggiarlo.
Si comprende come la massima “Medico, cura te stesso” sia non astratta filosofia, ma realtà.
Durante la settimana trascorsa in ospedale in preparazione all’intervento, Angie comprese tutto questo.
Come comprese che la solidarietà, quando si è ammalati, può cambiare la vita.
Il suo <male>, fortunatamente, non era irreversibile, ma le procurava non poche preoccupazioni.
La soluzione era tutt’altro che definitiva, dal momento che da quell’intervento dipendevano il suo futuro come donna ed anche come madre.
Avere un utero fibromatoso per natura le avrebbe mai consentito di avere dei bambini?
E David?
Sarebbe rimasto al suo fianco <comunque> anche nella prospettiva che la sua eventuale compagna potesse anche non procreare?
Rise di sé per quel pensiero un po’ fuori norma, dal momento che, ufficialmente, non stavano ancora insieme.
Di certo, il legame tra i due ragazzi era andato consolidandosi.
La <profondità> della loro amicizia, ormai, esulava da tutta quella serie di <non detto> che aveva caratterizzato la prima parte della loro relazione.
Questo era accaduto essenzialmente perché nessun segreto sussisteva più tra essi.
I sentimenti provati da Angie erano riconducibili all’amore in modo inequivocabile, per quanto ella, razionale tanto quanto l’attore, faticasse ancora ad utilizzare il termine.
Non riusciva a credere di aver avuto la fortuna di conoscere una persona che avesse, in buona parte, le sue stesse predisposizioni d’animo.
La condivisione era per lei elemento indispensabile alla buona riuscita di una relazione.
E sembrava che David corrispondesse punto per punto ai suoi desiderata.
Anche l’attore, del resto, dopo la fine della sua relazione con Eriko, si trovava catapultato in una dimensione relazionale inattesa.
Pur nella nebulosità del futuro, il <faro> era costituito dal desiderio di abbracciare una prospettiva inattesa come fosse un <dono> degli dèi.
La casualità dell’evento – il modo in cui aveva incontrato Angie – aveva reso eccitante tutto il contesto: in un certo senso, degno di essere vissuto <a tutto tondo>.
In quel frangente, l’istintualità non cozzava affatto col raziocinio, ché tutto appariva semplice e lineare, <voluto> da un Fato nel quale egli non credeva in concreto, ma lo indirizzava come una sorta di calamita esistenziale.
Non si poneva neppure <il problema> se abbracciare o no quella nuova storia: ogni fibra del corpo già glielo suggeriva e il corpo, per quanto ne sapeva, difficilmente sbaglia la propria valutazione.
Quella componente istintuale era ben sviluppata in David, temprato dai principi della gimnosofia.
Chi, come Eriko, aveva ritenuto il suo modus vivendi frustrante da un punto di vista esistenziale, poteva ben dirsi contraddetto in toto.
Egli ne era l’esempio vivente e si preparava, per l’ennesima volta, ad essere motivo di contraddizione per tutti coloro che aspettavano di coglierlo <al varco>.
Quella poteva essere la ragazza giusta per David Silvermann: ne era consapevole lui, come ne aveva la certezza la stessa Angie.
Tuttavia, il trovarsi in una condizione ancora fragile portava entrambi i giovani a sopravvalutare qualcosa che, pur nelle certezze nutrite, doveva ancora crescere insieme alla loro età.
La figlia di Jen fu sottoposta ad un intervento risolutivo in un giorno di sole novembrino.
Non durò molto, ché si trattava di mera routine operatoria, ma la nausea conseguente alla totale sedazione aveva causato alla ragazza diversi brutti momenti.
Poi, erano arrivati anche i dolori: così lancinanti da togliere il fiato.
Jen le era stata vicina fino a che il lavoro glielo aveva consentito, poi, pur a malincuore, aveva dovuto lasciare il posto a David, arrivato sin dal primo mattino per seguire l’andazzo post operatorio dell’ amica.
Se ne era rimasto seduto su una panchina di ferro, le mani l’una dentro l’altra, col viso teso e ancora un poco di vergogna per come si era posto nei riguardi della ragazza e di sua madre.
La sorella di Miro lo giudicava ancora con una punta di scetticismo: non credeva affatto nel ritrovato buon senso dell’attore, ché, per lei, i sintomi di chiusura palesati dai bacchettoni sono incurabili.
David rifletteva, pregando che tutto andasse bene e Angie non avesse più problemi di sorta.
I medici erano stati chiari: la metà delle donne di ogni età soffrono di problemi simili ai suoi. Non si tratta di situazioni senza uscita, ma di fastidi che, a lungo andare, se non curati, portano a soluzioni estreme.
C’era anche un altro particolare, rilevante soprattutto per una ragazza giovane qual era la Bergson, e Silvermann poté approfondirne la portata giusto in quelle ore.
“Come stai, ranocchia?” chiese entrando nella cameretta bianca in cui era stata sistemata la figlia di Jen “Ti senti meglio?”
Ella annuì col capo, quindi sorrise, facendogli cenno di avvicinarsi.
L’attore ubbidì, per quanto inequivocabilmente impacciato.
“I dottori dicono che l’intervento è andato piuttosto bene.” Disse subito Angie.
David fissò la sacca contenente le urine ed ebbe quasi un mancamento.
“Hanno solo tolto un paio di fibromi…” soggiunse ella ridacchiando.
Nel mentre, con una mano, aveva nascosto ciò che tanto turbamento aveva causato nell’attore.
“Non ne capisco molto, ma sono contento stia meglio.” Sospirò quest’ultimo.
“Non c’è molto da capire.” Soggiunse la Bergson “Dal mio punto di vista, ciò che viene prodotto dal mio utero può provocare qualche problema solo nel caso in cui…”
“Nel caso in cui?...” chiese Silvermann.
“Nel caso in cui volessi avere dei figli.” Rispose rossa in viso l’altra “E sempre ammesso che mi trovi un compagno che mi sopporti.”
David aveva abbassato il capo un po’ confuso:
“Suppongo che per te sia un problema. Molte ragazze americane, alla tua età, sono già madri. In effetti, non sono del tutto in disaccordo con questo principio: se è possibile avere dei bambini e si è ragazzi assennati, è giusto averne quanto prima…Così, tra le altre cose, essi godranno di genitori giovani e attenti.”
Divenne paonazzo quanto lei, che era letteralmente trasalita:
“Credi davvero che io lo sia? Assennata, intendo… Dopo…tutte le bugie che ti ho raccontato?”
“Ritenevo di aver già chiarito questa vicenda.” Sospirò David “Anche io ci sono andato giù duro e senza motivo alcuno.”
Ella annuì, perdendo lo sguardo azzurro oltre la finestra:
“Perché, per un ragazzo come te, è così importante che una ragazza si mantenga vergine? Non fraintendermi: anche io ho dei valori, ma ritengo tutto lecito, quando è la mia volontà a condurmi…”
“Mi hai frainteso.” Spiegò l’attore “Quando sono stato con Eriko, ad esempio, <il vergine> ero io.”
“Maddai…” esclamò Angie tossendo un poco.
“E’ così, giuro!” confermò Silvermann divertito “All’epoca, <mi conservavo> per il grande amore, ma temo non sia stata lei…”
Ci pensò su un istante:
“Non è la verginità in sé a contare. Ma credo sia bello, quando due ragazzi iniziano insieme e condividono poi tutta la loro vita. Provano sensazioni del tutto nuove: sanno perfettamente quando fermarsi, dove arrivare. Da questo punto di vista, tu sei più <avanti> di me: potresti ambire a un uomo <intatto> come te, piuttosto che a un filibustiere navigato.”
“No, David.” Disse la Bergson arrossendo di nuovo “Credimi, la tua donna – quella che sceglierai – sarà degna e molto, molto fortunata.”
“Degna?” ripeté l’attore.
Un po’ era stato sorpreso di vedere quel rapido dietro-front di sentimenti: se ne rammaricò, non comprendendone il motivo.
Ella annuì:
“Di certo, sarà una con un passato non discutibile e sarà felice di darti ciò che ambisci. Perché tu sei buono e meriti il meglio…”
“Bene.” Sottoscrisse David, che aveva compreso la sfumatura “A questo punto, non mi resta che sperare di essere abbastanza per lei. Davanti ad una ragazza che mi piace quanto quella con cui sto parlando, sono io ad essere in difetto. Confesso di riconoscermi, a volte, una buona dose di cinismo: la mia autostima va a mille per evitare di pensare all’errore madornale che ho commesso. Le storie possono finire, ma gli errori di valutazione me li sono perdonati sempre con difficoltà. Il mio maestro diceva sempre che il peccato più grande, per un gimnosofista che vada in cerca della felicità, è scoprirsi tendenzialmente manicheo.”
“Credo sia una cosa che, prima o poi, filosofia a parte, tutti provino.” Sospirò rinfrancata la figlia di Jen “Ma gli errori insegnano ad apprezzare comunque ciò che lo spirito ambisce nel profondo.”
Sollevò le spalle come chi sente di non sbagliare:
“Può essere una ovvietà buddhista, ma, di fatto, è così che la penso: esperire il più possibile, quando se ne sia convinti, non può <essere male>. E il male non è sempre conseguente alla fine di una storia. Ci sarà pur stato qualcosa da salvare, nel tuo rapporto con Eriko. Qualcosa che porterai con te fino alla fine dei tuoi giorni.”
Egli si passò una mano tra i capelli scuri:
“Se anche ve ne fossero, di cose positive, non me ne rammento. Sono così arrabbiato con lei e con me…da non riuscire a farmene una ragione.”
Fu una stilettata per Angie: avrebbe gradito sentire la parola <deluso>, piuttosto che <arrabbiato>. Equivaleva, per lei, a un sentimento non <risolto>, a un cuore ancora proteso verso il passato.
“Potresti sempre provare a parlarle.” Disse con tono sordo la ragazza “In questi casi, credo sia l’unico modo per definire bene la faccenda. Se non sbaglio, mi hai raccontato di aver troncato con lei telefonicamente. Non è molto bello e, di certo, evitando di guardarsi in viso, a volte vengono fuori parole che non si vorrebbero mai pronunciare.”
“Sbagli.” L’interruppe David perentorio “Non ho desiderio alcuno di vederla.”
“Questo tuo essere sfuggente, però, direbbe il contrario.” Sospirò la Bergson “Non posso certo dirti cosa fare, ma credo che non risolverai mai il tuo passato se non prenderai il toro per le corna e lo affronterai debitamente.”
“Ho chiuso con Eriko.” Rimarcò l’attore “Ti giuro che non ho interesse alcuno a tornare con lei.”
“Non è quello che ho detto.” Disse Angie “Non cogli neppure la differenza tra i due concetti! Neghi a priori di voler fare qualcosa, ma è solo un atteggiamento di comodo.”
Egli le prese la mano con forza:
“Posso giurarti – e non per rassicurare od altro – di non provare più nulla. L’amore è finito per sempre ed ho…altre preoccupazioni.”
La Bergson lo fissò interrogativa, quindi si congedarono perché ella riposasse.
Si ripromise di andare a trovarla a casa quando lei fosse stata dimessa.
“Mi piace il rituale della passeggiata serale iniziato qualche giorno fa.” Le aveva spiegato “Vorrei…gradirei davvero continuarlo.”

CONTINUA!...

 
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Yayoi
view post Posted on 6/10/2013, 17:44




Che teneri!
'In boccio' è l'espressione giusta per descriverli! :D
 
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view post Posted on 10/10/2013, 19:53
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Capitolo trecentosessantotto

“Complicità”



“Che sta succedendo?” chiese Alicia uscendo dalla sua camera.
Masashi aveva già ammassato i suoi bagagli a ridosso della porta principale.
“Papà torna a casa.” Sorrise Elizabeth dandole un buffetto sulla guancia.
La bambina si sentì persa: non si aspettava una simile decisione. Soprattutto, non era abituata a non essere consultata.
“Ma io…non voglio tornare in Giappone.” Fu infatti la sua risposta un po’ persa.
Divenne subito nervosa e si chiuse in un ostinato silenzio.
“Mi trovo bene, qui e, inoltre, ho cambiato scuola da poco: ho trovato degli amici. Questa è la città in cui sono nata.”
L’attrice si abbassò per guardarla nei grandi occhi chiari:
“Adesso viene il difficile, per me e tuo padre.”
Nel mentre, anche Masashi le aveva raggiunte.
“Sei tu a scegliere.” Disse l’uomo “E’ ovvio che vorrei averti con me, che mi mancherai moltissimo, ma, visto che stai bene qui e, tra Elizabeth e Tomo, i punti di riferimento non ti mancano di certo, avevo pensato di lasciarti a New York.”
Alicia gli saltò al collo:
“Grazie, papà! Sei meraviglioso!”
“Ammesso” si intromise Lizzie un po’ timidamente “ti faccia piacere stare da me. So che ci vogliamo bene, ma è probabile tu senta l’esigenza di avere tuo padre accanto!”
La piccola Stanford scosse il capo convinta:
“C’è un’altra sistemazione che gradirei, ma per quella sono disposta ad aspettare ancora qualche anno!”
Masashi la fissò ignaro: quelle parole non potevano essere riconducibili alla infantile passione che già la bambina nutriva nei confronti del più giovane dei Sakurakoji.
“Bene, allora.” sospirò Hayami “Tu resti qui fino alla fine dell’anno scolastico. Poi, si vedrà…”
E tornò alle sue cose.
Rimaste sole in cucina, Lizzie ed Alicia tornarono a confrontarsi.
“Credevo che, tra te e papà, le cose fossero ormai in via di risoluzione.” Disse quest’ultima col visetto imbronciato “Se lui torna in Giappone, significa che <non è successo>, giusto?”
La figlia di Ayumi arrossì.
“Masashi ha la sua carriera e non può trascurarla.” Disse “Io, ormai, sto bene. Quand’egli vorrà tornare qui, la mia porta sarà aperta. È l’unico uomo che vorrei al mio fianco. Ed è così da vent’anni.”
“Io, però, non ti capisco.” Bofonchiò Alicia.
“Invece, credo di sì:” rispose Elizabeth convinta “se Tomo dovesse scegliere tra la musica e te, tra qualche anno, son convinta che, generosa come sei, lo spingeresti verso la musica. Perché sai quanto lo realizzi e lo renda felice…”
“Non l’avevo messa in questi termini.” Mormorò la bambina “Scusami, <mamma>…”
Abbassò la testa come chi è colto in fallo:
“Scusami, sono una stupida…E’ stato un lapsus idiota…!”
“Come mi hai chiamato?” chiese la Himekawa stupefatta.
“So che ti dà fastidio: non sono tua figlia, ma solo una chiacchierona che parla a vanvera!” si giustificò Alicia.
“Ma che dici?” sorrise Elizabeth “Ritieni possa spiacermi essere chiamata <mamma>? Da te, poi?”
La strinse forte a sé:
“Ho sempre voluto una bambina ed io considero un miracolo che un angelo come te voglia starmi accanto!”
Fu un abbraccio commosso, cui Masashi assisté sentendo crescere dentro un gran magone.
L’amicizia tra la sua compagna e la figlia più piccola era ormai dato acclarato.
La presenza di Alicia aveva fatto riscoprire ad Elizabeth una dimensione di vita più propensa all’ascolto e alla generosità.
Compiacere una bambina aveva reso felice anche lei e il <mostro> costituito dal dolore per la perdita di Masumi era stato sconfitto.
“Però, non mi hai risposto.” Disse la Stanford fingendo di essere adombrata con lei.
L’attrice la fissò interrogativa.
“Vi siete baciati…?” continuò la bambina imperterrita “Siete andati oltre?”
“Ma sentila! Che sfacciata!” si intromise Masashi prendendola fra le braccia con un finto strattone.
Alicia sgattaiolò via ridendo:
“Avete fatto sesso, allora! E, magari, un figlio è già in arrivo!”
Elizabeth scoppiò a ridere, ma non Hayami, sconcertato da tanta veemenza e saggezza.
“Sono pur sempre giapponese, per metà.” Si lagnò “Certi discorsi non vanno neppure fatti! Non da una marmocchia!”
“E’ vero.” Sottoscrisse la Stanford “Ma ciò che conta non sono io, bensì che tu arrivi al <dunque>!”
“Alicia!!!” urlò Masashi inseguendola per casa.
Le risate della bambina riempivano l’aria.
Finalmente, l’attore riuscì ad avere la meglio su di lei e ad afferrarla per la vita.
“Comunque, non vi ho detto tutto.” fece grattandosi la testa.
Le due <donne> lo fissarono interrogative.
“E’ vero che sto partendo, ma…non vado soltanto in Giappone.” Spiegò Masashi.
Alicia aprì e chiuse la bocca in un decimo di secondo.
“Vado anche in California per inaugurare il nuovo teatro della Daito Art Productions. Lì metteremo di nuovo in scena La Dèa Scarlatta. Poi, tornerò in Giappone per sistemare alcune faccende burocratiche…”
“Cosa?” chiese Lizzie al culmine dello stupore e ignorando l’ultima parte del suo discorso “Pensavo…che lo <zio> avesse scelto la location di New York…”
“Ed è così.” Sottoscrisse l’uomo “Ma lì andrà in scena La Dèa Scarlatta sulle punte, che segnerà il ritorno in scena anche di mia sorella. L’idea di inaugurare un teatro a Los Angeles è stata di mio padre. Ed è decisione…recente.”
“Ti riferisci al giorno in cui vi siete incontrati?” domandò di nuovo la Himekawa “Io ero convinta dovessi far ritorno in Giappone…”
“E’ un sogno di Masumi Senior, quello di portare il teatro oozachiano oltre i confini del nostro Paese.” Sospirò Hayami “Un sogno rimasto sempre irrealizzato. Ora, complice il fatto che io sia negli States a tempo indeterminato, si è deciso a fare il grande salto…”
Elizabeth si ravviò i lunghi capelli biondi: era come senza fiato.
“Bene,” fece dopo aver riflettuto “è, forse, la sfida più grande che tuo padre abbia abbracciato negli ultimi vent’anni e gli auguro sinceramente di riuscire. Ma…”
“Ma…?” l’incalzò Masashi.
“Beh,” disse un poco imbarazzata la donna “mi chiedevo solo…Si sa qualcosa dell'interprete di Akoya?...”
Fino a quel momento, Alicia era stata un turbinìo di applausi e strilletti felici. Su questa domanda si fermò incredula:
“Ma che razza di domande fai? Sei un po’ tonta, ragazza mia!”
Lizzie sgranò gli occhi, comprendendo immediatamente la sfumatura.
Chiese, però, conferma al compagno, il cui sguardo benevolo e condiscendente era inequivocabile.
“Non…è possibile…Io…Akoya? Ma non so se riuscirò…”

***



Marcus aveva deciso di andare a trovare la famiglia, in Danimarca, dopo aver appreso che suo padre era stato vittima di un infarto improvviso.
Ma l’intento non era quello di fermarsi a lungo. Il pensiero delle riprese del film dedicato a Masumi e della sua <mancata supervisione> lo tenevano in ansia.
Talvolta, il nervosismo era così forte che sentiva l’esigenza di andare in palestra per sfogarsi prendendo a pugni un sacco.
Le relazioni di parentela, al di là del suo ristretto nucleo familiare, non gli erano mai interessate. Ma Erminia, per tutto il tempo della sua permanenza, non aveva fatto altro che tampinarlo ad ogni angolo per ricordargli di andare a riprendersi Laura prima che accadesse l’irreparabile. Quell’<irreparabile>, per la principessa danese, era costituito dalla perdita del trono di Augusta e, secondariamente, dalla fine della monarchia, voce – questa – che si faceva di giorno in giorno più insistente.
Ma le continue visite della cugina non furono le uniche di cui <godette> Marcus. Una, in particolare, contribuì a mandarlo del tutto fuori di testa perché ebbe il potere di instillare in lui un sentimento di vendetta tale da risultare addirittura incontrollabile.
Per la prima volta, lo spirito razionale di Anderson fu sopraffatto da un potere irrazionale dalle sfumature omicide.
Mentre tirava un pugno al sacco da boxe, scorse, in fondo alla palestra, giusto in prossimità del grande specchio che ne ingrandiva le dimensioni, la sagoma un po’ smagrita di Heinz di Augusta.
Deglutì un paio di volte e, anche qui, si trattenne a stento all’idea di saltargli alla gola. Aveva fatto del male a Laura: del resto, il suo sangue era il medesimo di Hector.
Se <colpevole> era uno, colpevole doveva essere anche l’altro.
“Che cazzo sei venuto a fare, qui?” ringhiò avvicinandolo a grandi passi.
Mano a mano che si avvicinava, i capelli biondissimi di Heinz si facevano lucenti, quasi fossero un irresistibile richiamo. Anderson credette di vedere nello sguardo del più giovane dei principi di Augusta il suo acerrimo rivale.
“Niente di che.” Rispose con tono semibislacco quest’ultimo “Io e te siamo solo conoscenti, quindi non hai niente da temere. Non da me, per lo meno.”
“Vattene.” Disse Marcus “Non voglio avere a che fare con te. Dovrei ammazzarti per quel che hai inflitto a Laura.”
Heinz ridacchiò sommessamente:
“Che termini …forti. Si vede che lo spirito di Hayami è confluito in te…”
“Non nominarlo!” sbottò l’altro minaccioso “Sei stato tu a decidere della sua fine, a finanziare quella mentecatta di Helen! E sei ancora a piede libero! Quando dovresti marcire in galera!”
“Ma, se non avessi agito così, tu saresti morto.” Disse il principe con tono serio “Adesso sto parlando con Marcus, ovviamente. Il destino mi ha preso in giro molte volte: e l’amore per Erminia ha contribuito a rendermi piuttosto…instabile. Per anni, son vissuto per lei, per i nostri incontri.”
“Che diamine vai blaterando?” chiese Anderson “Cosa c’entra tutto questo, con me? A me non importa una beneamata fava di mia cugina!”
“Voglio solo dirti che ti capisco e che…ti appoggio.” Mormorò subdolamente Heinz.
“E credi che abbia bisogno di questo…tuo appoggio? Sparisci, mentecatto!”
Il giovane figlio di Beatriz fece un passo verso di lui:
“So che <puoi parlare> con Hayami.” Disse piano “Io chiedo perdono per quel che ho fatto! Non ho scusanti per l’omicidio commesso! Ma non ho dubbi né timore di dirti che tutto questo sia <solo> colpa di mio fratello. Quel bastardo non dovrebbe stare al mondo! Filippo ha distrutto la mia vita! Mi ha portato via Erminia e, inoltre, ci ha sempre provato anche con Laura! Pur sapendo che stava con Masumi, le è rimasto incollato. Ora, si è venuto addirittura a sapere che Beatrice non è figlia di quel poveretto, ma di Filippo! Ma credo che stia mentendo! È tutta una montatura di Filippo per tenere legata Laura. Se lui non ci fosse, lei starebbe con te, perché tu hai il cuore…”
“Credevo che ad Hector non interessasse affatto mia cugina.” Masticò innervosito il modello.
Poi, ci pensò su, ché era la seconda parte del discorso di Heinz ad aver attirato la sua attenzione:
“Davvero ritieni che Beatrice sia figlia di Hayami? Per quanto ne so io, l’esame del DNA è stato commissionato dai genitori di Laura, non da tuo fratello…”
“E’ tutta una balla e ne ho le prove.” Rispose il principe.
“Quali?” l’interruppe subito Anderson.
“So per certo che offrire il sangue a Beatrice non è stato un gesto propriamente eroico: quel mollaccione è un po’ anemico. Per anni, ha giocato a fare il vegetariano, riducendosi a un vegetale. Se avesse donato il sangue, sarebbe morto: è ovvio che provenga da un’altra persona. Poi, ha fatto in modo di confondere le acque e ha detto che la bimba non aveva il sangue di Masumi. Lui ci sa fare, con le parole. Inoltre, i genitori di Laura hanno commesso l’errore di affidare le indagini ematologiche a Vincent Ottenbourgh, che di Filippo è un grande estimatore…Quel dottore farebbe di tutto per favorirlo: i soldi gli servono per la Fondazione intitolata alla sua povera sorella.”
“Ma è assurdo!” sbottò il modello “Se mai Bea dovesse avere altri problemi di salute, ciò costituirebbe un disastro!”
Heinz annuì:
“E’ davvero terribile, hai ragione. Stavolta, Filippo non ha scusanti. Ma quando Laura scoprirà la verità, non lo perdonerà di certo! C’è di mezzo sua figlia e i figli sono sacri. Nessuno lo sa più di me, visto che ho desiderato disperatamente di averne uno con Erminia.”
Marcus ebbe un tuffo al cuore: non riusciva a credere che Hector arrivasse a tanto, ma prese a pensare che il repentino cambiamento di Laura fosse dovuto in gran parte alle bugie che egli era uso raccontare.
“Non può farla franca.” Disse “Se ciò che hai detto è vero, ti sei guadagnato un briciolo di fiducia. Ci penserò io, adesso.”

CONTINUA!...

 
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