Fulvia, tranquilla! Il forum non è mai stato un obbligo per nessuno e infatti penso che siamo tra le poche che se ne fregano di visite e affini...
Ti confesso che la sera sono così stanca - ma soddisfatta, veh... - che non ho neppure voglia di accendere il pc. Meglio prendere aria, godersi il panorama autunnale, il cielo, le stelle. Ieri dormivo beatamente già alle nove di sera!
Buona lettura, tesoro e tesori!
Capitolo trecentosessantatre
“La doppia vita del Lovely Bistrot”
David diede una occhiata ai DVD che si intravedevano attraverso la borsa semiaperta di Angie.
Era tornato a trovarla come promessole e riconobbe subito la sacca di iuta della giovane amica.
La sua faccia assunse le tonalità del rosso in multicolor, quindi si passò una mano fra i capelli, che, da quando era tornato da Augusta, s’eran fatti più lunghi.
Quindi, intercettò una conversazione tra due tizi che sedevano al bar.
“Stasera <la signora> non c’è…” stava dicendo uno ammiccante.
“Non dirmi che c’è <la dèa scarlatta>…!” sbottò l’altro euforico come se gli avessero dato una scarica d’adrenalina “Quegli occhi azzurri e la maschera sul viso mentre si spoglia sono …da brivido!”
“Già, non so cosa darei per vedere il suo viso: ha un corpo da urlo! Così magra, ma con tutte le forme al posto giusto!”
“Chiedo scusa,” si intromise David “posso, per cortesia, sapere di che state parlando?”
“Certo.” rispose entusiasta uno dei due ragazzi “Non hai mai assistito agli spettacoli notturni del Club?”
“Club?...” ripeté l’attore.
“Si tratta di un circolo destinato a chi ha soldi, ovviamente.” Spiegò l’altro “Chiuse le cucine, il Lovely Bistrot si trasforma nel locale più trasgressivo di tutta Los Angeles. E le <tizie di punta>, qui, non sono due qualunque…Non so se mi spiego. Sono così brave che sembra davvero di farci del sesso! Senza…senza neppure <darti una mano>, pensa…”
“Fantastico…” fece David sconcertato “Suppongo che siano forme di autoerotismo assai spinto!”
“Autoerotismo?!” sbottò uno “Ha una pelle divina, quella lì. Quando la tocchi, cadi come morto, t’assicuro!”
“La più giovane, specialmente,” soggiunse il tizio “è da brivido. Se hai un po’ di soldi, ti consiglio di iscriverti: hanno così tante richieste che, se le accettassero tutte, questo posto diverrebbe un casino. Sono già scoppiate delle risse tra gli avventori perché <la signora>, una sera, ha accettato di farsi palpare da uno che, però, aveva barato.”
Se a David avessero detto che Angie era un trans, ci sarebbe rimasto meno male.
Tutto pensava, tranne che di mestiere facesse la spogliarellista.
“E…” balbettò “di questa…<dèa scarlatta> non si sa proprio nulla?”
“A parte il fatto che è figa da paura?” chiese di rimando il giovane interlocutore “Che cazzo vuoi che ci freghi, amico? Da’ retta a me, vieni a farti due seghe con noi, appena puoi…”
David fu tentato di saltargli al collo: non riusciva a capire perché una ragazza già tanto dotata in cucina e molto intelligente, per di più, dovesse darsi ad altre <attività>.
Dacché si erano conosciuti, ella aveva parlato più volte di codice etico, di moralità: che ne aveva fatto di quei principi che tanto graziosa l’avevano fatta apparire ai suoi occhi?
Quando se la trovò davanti al bar, nel goffo tentativo di celare la sacca di juta contenente i DVD hard, David prese a fissarla in modo torvo:
“Hai lì qualche titolo carino della cineteca in cui lavori, per caso? Sai, mi piacerebbe vederlo insieme a te. Ho l’impressione che ne verrebbe fuori qualcosa di interessante.”
“Non credo.” Minimizzò Angie <assicurando> la borsa sotto al bancone.
“Perché ti nascondi?” l’incalzò l’attore.
“Non…nascondo un bel nulla.” Rispose la ragazza infastidita.
“E, dimmi, Angie è il tuo vero nome?”
Stavolta, la domanda tendenziosa indusse la giovane a riflettere.
“Sai,” proseguì David imperterrito “credo sia un nome perfetto per una che si spoglia a pagamento e si fa infilare banconote da dieci dollari nelle mutande prima di perderle…L’angelo del paradiso dei sensi! Però, che squallore…”
Ella stava per aprir bocca, ma Silvermann la placcò:
“Tutti quei bei discorsi sul moralismo, sulla necessità di darsi una regola…Ma a che pensi, quando apri le gambe a quei gaglioffi che pagano per…venire a vedere la dèa scarlatta! Non immaginavo arrivassi al punto di offendere lo stesso <credo> dei tuoi parenti!”
“Gli dèi non esistono.” Replicò Angie con tono sordo.
“Non capisco!” sbottò il ragazzo “A che giova fare cose sconce in pubblico? Hai già un buon lavoro! Mi avevi parlato di sogni da realizzare!”
“Non è così semplice.” Rispose la figlia di Jen “Se avessi una attività commerciale in bolletta, finiresti per spogliarti anche tu. Io non ho agganci per foto artistiche da calendario. Non ho un accidenti di niente!”
Sedette stancamente su uno sgabello alto, la mano alla fronte sudata per l’emozione e la vergogna insieme.
“Sapessi come mi sento quando salgo sul palco! Quanto debbo farmi di alcool per non pensare a quei maniaci pervertiti! Mi toccano, ma pagano una cifra per vedermi…! E io lo faccio, cazzo! Prima, era solo mia madre ad esibirsi sul palco. Lo ha fatto fino a poche settimane fa e qualcuno pensa ancora che <la signora> tornerà, prima o poi. Ma io non voglio! Gli apprezzamenti pesanti su di lei non li digerisco proprio. Anche se non mostro la faccia, credimi, mi vergogno! Ma solo con un club privato avremmo potuto risollevare le sorti di una azienda ormai sul lastrico. I debiti erano tali che…” si fermò un istante, assumendo un atteggiamento di chiaro rimprovero.
“Aspetta un momento…” riprese “Ma perché sto qui a giustificarmi con te? Io non devo spiegare nulla a un moralista bacchettone qual sei tu! Sei così tronfio e pieno di soldi che, quasi, mi vergogno più per te che per me!”
Egli la prese per un polso, una stretta né forte né piana:
“Non girare la frittata. Non ho raccontato io un mare di cazzate! Sei…la persona più assurda che abbia mai conosciuto. E non sai un accidenti del mio passato, per cui, ti prego, risparmiami la storia dei denari che posseggo, ma che non mi sarei legittimamente guadagnato! Li considero, invece, un risarcimento per la famiglia che mi è stata sottratta!”
“Ma che vai cianciando?!” l’offese Angie “Tu sei il figlio di uno stronzo repubblicano e guerrafondaio che siede al Congresso! Vedi di toglierti dalle palle, per favore!”
David consentì, lasciandole andare il polso:
“Hai ragione. Per un folle istante ho creduto di poterti raccontare la mia storia, di esserti amico, ma, ora, mi rendo conto di quanto sia impossibile. Tu non sei niente, per me. Sei solo una…una…”
“Non dire cose di cui potresti pentirti.” Ribadì la ragazza puntandogli il dito indice sul petto “Se solo osi ancora giudicarmi, ti faccio cacciare fuori.”
“Non ho alcun bisogno di <farmi cacciare fuori>.” Replicò Silvermann “Me ne vado io: la vista di una puttana che dice di provare schifo per se stessa non è divertente neppure un po’. Soprattutto, se quella puttana crede di essere nel giusto. Metti pure da parte i tuoi soldi, continua a venderti. Il prossimo passo sarà quello di battere nel vero senso della parola. Anche se non capisco che cosa differenzi te da una di Hollywood Boulevard, visto che ti fai toccare allo stesso modo.”
***
“Che stai facendo?” chiese Masashi ad Elizabeth, che, seduta in su una panchina di un giardinetto pubblico vicino a casa, teneva in grembo qualcosa.
“E’ una sciarpa.” Rispose la donna alzando un capo dell’indumento per mostrarglielo “Ma temo sia sghemba. Non ho contato bene i punti…”
Hayami ridacchiò:
“Non ti vedo fare lavori da donna da anni…”
“E, invece, ho continuato a farli anche dopo il divorzio.” Sorrise a sua volta Lizzie “Sono un po’ delusa: se non dovesse piacere ad Alicia, ci resterei male… Questa sciarpa è per lei e debbo farne una anche per la sua Barbie preferita…”
Masashi era scioccato di vederla parlare con tanta serietà ed entusiasmo insieme:
“Che cosa è successo alla sofisticata signora del jet set newyorkese?”
La Himekawa strizzò l’occhio.
“Ti confesso una cosa:” Disse sottovoce “non è mai esistita…e, quando ho visto la collezione di Barbie di tua figlia, ho tirato fuori anche la mia…”
“La tua…?” fece l’ex sgranando gli occhi azzurri “Me la ricordo bene! Ci sono pezzi rari! Ti sei sempre rifiutata anche solo di aprire le scatole!”
“Ora ho cambiato idea: il bello è proprio sistemarle! Ha ragione tua figlia: a che serve averne tante, se, poi, non le utilizzi?”
Lizzie era realmente convinta di ciò che diceva.
Si perse in un sospiro:
“Ti prego di non fraintendermi, ma…sono così felice di poter giocare con la tua bimba. È Alicia a prendersi cura di me ed io sento di volerle sempre più bene ogni giorno che passa.”
Masashi sedette accanto a lei:
“E…non c’è null’altro che desideri, in questo momento?”
Elizabeth si girò di scatto verso di lui: il profilo del suo ex marito non era cambiato.
Era affilato, volitivo com’era sempre stato sin dall’adolescenza.
L’attrice, di primo acchito, pensò si riferisse a Masumi e si commosse un poco.
“Per quanto sia rinata,” Disse “grazie a te e ad Alicia, è ovvio che vorrei poter tornare indietro e riavere nostro figlio accanto…”
“Scusa me, piuttosto:” si trincerò Masashi “sono uno stupido. Ancora una volta, non sono stato molto chiaro: non mi riferivo a Junior. È ovvio che il tuo desiderio sia anche il mio, ma non mi riferivo a ciò che, purtroppo, è impossibile.”
La Himekawa avvampò.
Adesso, le parole del suo ex marito erano inequivocabili.
“Ho pensato, in tutto questo tempo,” riprese Hayami “a quel nostro ballo in Central Park, all’emozione che ho provato, abbracciandoti. Essa ha <accompagnato> ogni mia notte. Se non posso vederti fisicamente, è il ricordo a perseguitarmi.”
La fissò in modo ancor più significativo:
“Non è cambiato nulla. È come se stessi ripartendo dal giorno in cui ci siamo lasciati. È come se non fosse mai accaduto!”
“Non dire così!” lo prevenne Elizabeth “Già ti ho detto che potrebbe essere tutto fasullo. Abbiamo vissuto un dolore spaventoso. Inoltre, non hai neppure provato a tornare con Bianca: e se, standole vicino, riscoprissi quel vostro legame? Tu non sei uomo da avventure fugaci, ti conosco bene. Con Lily ci sei stato per vent’anni!”
Egli le prese la mano e la baciò con tenerezza:
“Ma non hai ancora capito che è sparito tutto nel momento in cui ho posato i miei occhi su di te? Oppure fingi che non sia stato chiaro? Sei troppo intelligente per non avvedertene! Io ho desiderato solo…proteggerti. Anche il mio dolore, seppur devastante, è passato in secondo piano. Il pensiero che non ti riprendessi mi era gravoso tanto quanto la perdita di Masumi! E, quando hai tentato il suicidio, io…ho pensato che il mio amore non era stato sufficientemente forte per trattenerti. Ho sofferto: mi sono sentito inutile.”
Strinse le mani a pugno, come stesse facendo uno sforzo sovrumano.
“Io ti amo.” Confessò infine sconvolto da se stesso “Non faccio che pensare a te. Non credevo fosse possibile, dopo quanto accaduto, dopo ben vent’anni! Ma è successo. Ed io, come persona adulta, non posso più prescinderne. Dovevo dirtelo con chiarezza, Elizabeth, perché non avessi più dubbi sul motivo che mi ha indotto a restarti a fianco.”
Il cuore della Himekawa, in quel frangente, batteva così forte da superare quello del caos di automobili che, poco distante, imperversava.
Portò una mano al petto.
“Ma parli sul serio? Ne sei persuaso davvero?” chiese con occhi pieni di lacrime.
“Finora ho taciuto, ma solo perché temevo che mi allontanassi.” Spiegò il figlio di Maya “Ed ho una paura fottuta anche adesso. Volevo che passassero quanti più giorni possibile per aprire un varco nel tuo cuore, per risvegliare quei sentimenti.”
Lizzie scosse il capo:
“Non hai bisogno di risvegliare niente. Sai bene che provo grande affetto per te.”
“Ma non ti fidi ancora di me, è così?” fece deluso Masashi.
“No, è di me che non mi fido.” Rispose sicura Elizabeth “I miei sentimenti sono chiari: anche io ti amo, ma desidero presentarmi ai tuoi occhi al meglio. Ora come ora, non credo di poterti essere utile o, comunque, di starti vicino come meriti.”
Egli non la lasciò concludere: le prese il viso tra le mani e depose le sue labbra su quelle della donna.
Quasi tremavano, tanto erano titubanti.
Sovvenne in entrambi il tenero ricordo del loro primo bacio, molti anni prima.
“Siamo fortunati di ricominciare daccapo con la gioventù ancora dalla nostra.” Disse Hayami appoggiando la sua fronte a quella diafana di Lizzie “Non abbiamo fretta, ma, oggi, è una promessa d’amore che stiamo scambiandoci, che stiamo rinnovando in qualche modo. Questo mi basta.”
“Davvero?” domandò la donna incerta.
Decise di buttarla sul comico per non tradire l’imbarazzo mortale che l’attanagliava:
“Eppure, davanti alla mia biancheria, non mi sembravi così tranquillo…”
Egli la baciò di nuovo, con foga maggiore.
“Ho detto che non abbiamo fretta, non che ci saremmo mantenuti casti.” Sussurrò con sguardo eloquente.
CONTINUA!...